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giovedì, novembre 03, 2022

Il gatto e la tartaruga

Propongo un frammento dal mio terzo libro, Il mistero della discesa infinita, che sarà in distribuzione nei prossimi giorni.

Luglio 470 a.C.

«Dunque, sono partito dall’ipotesi che quel gattaccio di Achille sia cento volte più veloce della mia Hermes. Quindi, nel momento in cui Achille avrà percorso lo stadio di vantaggio concesso alla tartaruga, la mia Hermes avrà percorso un centesimo di stadio e avrà ancora un piccolo vantaggio. Però… mi pare che non ci sia storia. Hermes potrà rimanere in vantaggio ancora per qualche istante ma, prima o poi, Achille la supererà».
«Uhm» fece Apollonia muovendo lo sguardo tra le frasche degli olivi come se seguisse quella corsa immaginaria.
«Non ne sarei così sicura».
«Che vuoi dire?».
Apollonia si fermò e scrutò il sottobosco che delimitava il sentiero. Poi raccolse un ramo sufficientemente dritto e cominciò a tracciare segni su un tratto più soffice di terreno.
Dapprima tratteggiò una lunga linea e poi i due concorrenti: il gatto Achille all’inizio e la tartaruga Hermes a circa tre quarti della linea.

«Allora, quando Achille avrà percorso lo stadio di vantaggio, Hermes sarà avanzata di un centesimo di stadio» disse tracciando degli archi tra le posizioni iniziali e quelle finali dei due concorrenti. «E quando Achille avrà percorso quell’ulteriore centesimo di stadio che lo separa da Hermes, la tartaruga ne avrà percorso un centesimo di centesimo» proseguì tracciando due archi più brevi. «E sarà ancora in vantaggio».

«Sì, ma prima o poi…».
«Prima o poi, che?» lo interruppe Apollonia. «Un discorso simile può essere ripetuto illimitatamente andando avanti con i centesimi di centesimi di centesimi di centesimi…» disse tratteggiando archi sempre più piccoli. «Ed Hermes avrà sempre un vantaggio che, per quanto piccolo, non sarà mai nullo».

«Per Zeus!» esclamò Zenone. «Come hai fatto a farti venire in mente un’idea così brillante?».

«Non so…» si schermì Apollonia. «Forse sono stata influenzata dal ragionamento usato in una dimostrazione che si insegna nella scuola pitagorica. Quella dell’impossibilità di esprimere la diagonale del quadrato di lato uno come rapporto tra due numeri». Zenone ebbe un sussulto. «Anche lì compare la ripetizione illimitata di un’operazione e quel processo genera una conclusione assurda» proseguì la ragazza. «E se la conclusione è assurda allora l’ipotesi di partenza deve essere falsa. Inizialmente quella dimostrazione veniva nascosta. Pensa che il pitagorico Ippaso venne punito per averla divulgata!».
Al suono di quel nome il sussulto si trasformò in vertigine.
«Ma… in questo caso», riuscì ad articolare Zenone dopo essersi ripreso, «quale sarebbe l’ipotesi di partenza sbagliata?».
«Mah, non mi pare ci sia un’ipotesi sbagliata. Il ragionamento sembra corretto».
«Allora… significa che il movimento è davvero un’illusione?».
«A meno che», aggiunse Apollonia dopo averci riflettuto, «il ragionamento sbagliato non sia proprio nella suddivisione dello spazio e del tempo».
«Ma se funziona nell’esperimento mentale perché non dovrebbe funzionare nella realtà?».
«Beh», fece lei, «l’esperimento mentale funziona attraverso una divisione numerica che va avanti illimitatamente.
Ora, io ho imparato dai pitagorici che i numeri aiutano a interpretare la realtà. Ma…», continuò la ragazza sempre più immersa nelle sue speculazioni, «c’è anche il precedente che citavo prima. Ippaso scoprì un oggetto a cui non corrisponde nessun numero. Scoprì una corda che non può essere misurata e che quindi emette un suono senza numero». Zenone la fissava ammirato. Nel frattempo avevano raggiunto la scuola e Zenone salutò degli allievi che ciondolavano davanti all’ingresso. Alcuni di loro guardarono la coppia con una certa curiosità. «Questo ci insegna che», riprese Apollonia ignorandoli, «sebbene i numeri siano un ottimo strumento per indagare la realtà, esistono aspetti di questa a cui non corrispondono numeri e, similmente, potrebbero esistere fenomeni immaginabili attraverso i numeri ma senza riscontro nel mondo reale».
«Vorresti dire che…».
«…che forse non si può andare avanti illimitatamente nella frammentazione dello spazio e del tempo. Se lo si può immaginare attraverso i numeri deve essere necessariamente vero anche nella realtà?».
«Uhm» fece Zenone. «Quindi potrebbe esserci un limite? Un’unità elementare di spazio e un’unità elementare di tempo che non sarebbero divisibili ulteriormente?».
«Potrebbe essere così. Oppure una tale unità indivisibile potrebbe esistere solo per lo spazio o solo per il tempo».
«Hai un’intelligenza insuperabile!» fece Zenone col fiato corto mentre attraversavano uno spazio angusto tra due edifici. «No, mi correggo. La tua intelligenza è superata solo dalla tua bellezza».
«Smettila!» ridacchiò lei. «Non sono bella!».
«Lo sei!» protestò lui prendendola per mano. «E l’intelligenza ti rende ancora più bella» continuò avvicinandola a sé.
I due giovani si fissarono intensamente per alcuni istanti. Poi...

venerdì, settembre 02, 2022

Il mio terzo libro: Il mistero della discesa infinita

Il mio terzo libro, "Il mistero della discesa infinita", edito da Scienza Express, sarà in distribuzione a partire da metà ottobre ed è già prenotabile nelle librerie fisiche e virtuali.

Argomenti
  • Amori, scoperte, lotte e intrighi tra le aule della scuola di Parmenide.
  • Un racconto divulgativo attorno alla figura di Zenone di Elea e del suo pensiero.
  • Ricerche, paradossi, viaggi, condanne e reincarnazioni nello scenario della Magna Grecia.

Libro
Un secondo giallo ricco di competizioni, amori, viaggi, matematica e filosofia nella Magna Grecia di Elea dove, nelle prime pagine del libro, incontriamo Zenone bambino.
Il ritmo incalzante e i dialoghi serrati trascinano il lettore in un vortice di azioni e pensieri in un tempo lontano.
Il giovane Zenone gioca, lotta e si innamora. Ascoltando le affascinanti storie di suo nonno apprende dell’esistenza di un oggetto misterioso che lo spingerà a frequentare la scuola di Parmenide e che gli condizionerà la vita. Nelle aule della scuola si appassiona e ricerca questioni filosofiche che gli daranno gloria e che lo porteranno fino alla lontana Atene. Ma gli procureranno anche contrasti e inimicizie. Tra viaggi, trame e intrighi Zenone si affanna a decifrare misteri. Ma qualcuno trama alle sue spalle…


Leggetelo, fatelo leggere e regalatelo!

Dove si trova?
È prenotabile in qualsiasi libreria o su

...e su molte altre librerie virtuali.

venerdì, luglio 22, 2022

Parmenides Reloaded: tra eleatismo e moderne teorie dei campi

Oltra al libro di Giovanni CerriGustavo E. Romero, Parmenides Reloaded 1, è un altro dei testi a cui mi sono ispirato quando ho scritto le parti del mio nuovo (e ancora inedito) libro che citano il pensiero parmenideo.

Il professore di astrofisica relativistica Romero descrive la sua visione di uno spazio-tempo quadridimensionale e non dinamico in cui il divenire, quindi il tempo, non è una proprietà intrinseca della realtà. Questa e altre caratteristiche rendono la concezione romeriana dell’universo molto simile a quella parmenidea.

Nel suo poema, descritto da Romero come il primo esempio conosciuto di un sistema deduttivo applicato alla realtà fisica, Parmenide afferma che il divenire è un’illusione e che la realtà è immutabile, eterna e immobile. Molti secoli dopo, dice Romero, con l'avvento delle teorie dei campi, diventa chiaro che il cambiamento può avvenire anche in un universo completo. Infatti, una perturbazione in un campo che riempie l'inntero universo è un cambiamento.
Tuttavia, sebbene il concetto di cambiamento sia “centrale nel modello multiforme dello spazio-tempo, una volta che la geometria della varietà è determinata da un campo tensoriale che rappresenta la distribuzione di energia e quantità di moto, la sua struttura è fissa. I punti della molteplicità rappresentano eventi, ma non vi è alcun evento o cambiamento che influisca sullo spazio-tempo nel suo insieme. Lo spazio-tempo quadridimensionale, rappresentato matematicamente dal molteplice, è immutabile, eterno, immobile, unico, proprio come l'universo parmenideo. Gli oggetti che popolano l'universo sono quadridimensionali. Hanno "parti temporali", così come parti spaziali. In questo modo, il bambino che ero, è solo una parte di un essere più grande, io, che è quadridimensionale. Ciò che chiamiamo "nascita" e "morte" sono solo confini temporali di un tale essere. Il cambiamento appare solo quando consideriamo fette tridimensionali di oggetti quadridimensionali. Nelle parole di Max Tegmark: ‘Il passare del tempo è un'illusione. Abbiamo questa illusione di un mondo mutevole e tridimensionale, anche se nulla cambia nell'unione quadridimensionale di spazio e tempo della teoria della relatività di Einstein. Se la vita fosse un film, la realtà fisica sarebbe l'intero DVD: i frame futuri e passati esistono tanto quanto quello presente’”.
Romero offre anche un confronto tra spazio-tempo parmenideo e una sua interpretazione del pensiero di Eraclito proponendo che, a differenza di quanto si è pensato per millenni, probabilmente per una tradizione che ha origine in Platone, queste due visioni non siano incompatibili. Il kosmos (o spazio-tempo in una visione moderna) potrebbe essere immutabile e comunque formato da cose mutevoli, come il fiume di Eraclito.
Romero conclude affermando che Parmenide esiste in una regione dello spazio-tempo situata tra Elea e la Grecia, tra la fine del VI sec. a.C. e la metà del V sec. a.C., e per un po’ di tempo condivise il suo presente con Zenone. “Io”, scrive Romero, “esisto in un’altra regione dello spazio-tempo e non incontrerò mai Parmenide. Ma popoliamo entrambi lo stesso spazio-tempo e per questo mi sento fortunato”.

Marco Fulvio Barozzi ha scritto una recensione dell’articolo di Romero più approfondita della mia.

1 Foundations of Science 17 (3):291-299 (2012)

martedì, giugno 01, 2021

Il gatto Achille e la tartaruga Hermes (seconda parte)

Propongo la seconda parte del capitolo Il gatto Achille e la tartaruga Hermes, che fa parte del progetto descritto in Zenone, Achille, la tartaruga e… Pitagora

...
«Allora… Significa che il movimento è davvero un’illusione?», chiese Zenone.
«A meno che…», aggiunse Apollonia dopo averci riflettuto. «Il ragionamento sbagliato non sia proprio nella suddivisione dello spazio e del tempo».
«Ma se funziona nell’esperimento mentale perché non dovrebbe funzionare nella realtà?».

«Beh…», fece lei. «L’esperimento mentale funziona attraverso una divisione numerica che va avanti illimitatamente. Ora, io ho imparato dai pitagorici che i numeri aiutano a interpretare la realtà. Ma…», continuò la ragazza sempre più immersa nelle sue speculazioni, «c’è anche il precedente che citavo prima. Ippaso scoprì un oggetto a cui non corrisponde nessun numero. Scoprì una corda che non può essere misurata e che quindi emette un suono senza numero». Zenone la fissava ammirato. Nel frattempo avevano raggiunto la scuola e Zenone salutò degli allievi che ciondolavano davanti all’ingresso. Alcuni di loro guardarono la coppia con una certa curiosità. «Questo ci insegna che», riprese Apollonia ignorandoli, «sebbene i numeri siano un ottimo strumento per indagare la realtà, esistono aspetti di questa a cui non corrispondono numeri e, similmente, potrebbero esistere fenomeni immaginabili attraverso i numeri ma senza riscontro nel mondo reale».

«Vorresti dire che…».
«…che forse non si può andare avanti illimitatamente nella frammentazione dello spazio e del tempo. Se lo si può immaginare attraverso i numeri deve essere necessariamente vero anche nella realtà?».
«Uhm…», fece Zenone. «Quindi potrebbe esserci un limite? Un’unità elementare di spazio e un’unità elementare di tempo che non sarebbero divisibili ulteriormente?».
«Potrebbe essere così. Oppure una tale unità indivisibile potrebbe esistere solo per lo spazio o solo per il tempo».
«Hai un’intelligenza insuperabile!», fece Zenone col fiato corto mentre attraversavano uno spazio angusto tra due edifici. «No, mi correggo. La tua intelligenza è superata solo dalla tua bellezza».
«Smettila!», ridacchiò lei. «Non sono bella!».
«Lo sei!», protestò lui prendendola per mano. «E l’intelligenza ti rende ancora più bella», continuò avvicinandola a sé.

I due giovani si fissarono intensamente per alcuni istanti. Poi i volti cominciarono a cedere alla forza di attrazione reciproca. E il bacio li proiettò di nuovo in quel meraviglioso mondo parallelo in cui esistevano solo loro.

mercoledì, giugno 03, 2020

Zenone, Achille, la tartaruga e… Pitagora

“Pitagora fu nel corpo di Zenone di Elea e sotto quelle spoglie investigò il problema della quantità di nu­meri compresi tra due numeri dati. Una strada che lo con­dusse all’elaborazione di quattro paradossi e all’intuizione che la geometria e non il Numero governasse il mondo.”

Così si chiudeva “Il mistero del suono senza numero”. E così si apre il suo seguito a cui ho cominciato a lavorare e che spero veda la luce nel 2021.
La lievissima brezza del Tirreno riusciva appena a stemperare l’arsura dell’aria. Viste da quel tratto, a mezzacosta del promontorio, le due isolette Enotridi di Pontia e Isacia sembravano due strane creature marine pietrificate dal vigore della vampa. I caseggiati di Elea apparivano deserti: sia quello in basso vicino al litorale, sia quelli più in alto. Anche i lavori di edificazione dell’acropoli erano fermi. In quella stagione nessuno avrebbe voluto sfidare la potenza dell’astro nelle ore centrali del cammino celeste del carro di Elio… O quasi nessuno.
«Vai, Hermes! Vai!»
«Forza, Eracle! Puoi ancora recuperare!»

Le urla d’incitazione erano rivolte a una decina tartarughe impegnate in una gara di corsa. Un branco di ragazzini le circondava. Tutti grondavano sudore. Molti saltavano e sbraitavano. E qualcuno si manteneva in silenzio, esprimendo il coinvolgimento attraverso il movimento delle braccia o la contrazione di pugni e mascelle.

«Nooo, è di nuovo Hermes», piagnucolò Pitodoro saltellando. «Di nuovo Hermes! È di nuovo lui a vincere», continuò con un tono carico d’insofferenza che strideva con l’espressione gioiosa e sorridente del volto. Era il suo modo di rallegrarsi per la nuova vittoria della tartaruga del suo amico Zenone nella gara di corsa. Hermes era un fulmine! Quando riusciva a partire in vantaggio era irraggiungibile. Avrebbe potuto battere anche un ga…

«Attenzione! Achille in vista!», urlò improvvisamente un altro ragazzino da un dosso al limite dell’ombra della grande quercia che sovrastava la pista per le gare. Molti corsero immediatamente verso la pista. Ma nessuno ebbe il tempo di recuperare la propria tartaruga. Achille, per niente a disagio sotto il sole rovente, avanzò tra le stoppie come una furia; un istante prima che Hermes tagliasse il traguardo, irruppe nella pista e si mise a menar zampate, e a dispensare morsi e graffi ai carapaci nei quali le tartarughe si erano istantaneamente ritratte.

Al seguito di Achille comparve un ragazzino dalla corporatura massiccia che indossava un elmo e brandiva una spada: entrambi di legno. Come tutti gli altri indossava un leggerissimo chitoniskos, ma se lo era fatto disporre in modo che ricordasse la linothorax, l’armatura che i guerrieri achei indossavano nella guerra di Troia. Una linothorax piuttosto umidiccia. Le braccia e le gambe scoperte mostravano sbucciature nella parte inferiore degli avambracci e sulle ginocchia. «Salve, femminucce! Avete occupato di nuovo la nostra pista con quegli stupidi animali», sbraitò con fare aggressivo e tono di voce forzatamente rauco mentre dimenava la spada verso gli altri e con l’altra mano recuperava il suo gatto. Tutti tacquero pietrificati. Cleudoro era più grande di loro e molto prepotente. Nessuno si sarebbe azzardato ad affrontarlo. «Vieni, Achille. Non sporcarti le zampe con quegli… animali di terra. Noi abbiamo ascendenze celesti. Discendiamo da Ailuros, la dea Bastet dei sapienti Egizi», declamò con sguardo ispirato ripetendo probabilmente una frase ascoltata da qualche adulto. Poi mosse dei passi verso Zenone, che nel frattempo aveva recuperato la sua Hermès, e gli puntò la spada contro. «E so che tu», riprese inasprendo il tono della voce, «sei il capo di questa banda di mezze calzette.»

«Io non sono il capo di nessuno, Cleudoro. E questa non è solo la vostra pista», rispose Zenone con tono deciso. Non sembrava intimorito. Un soffio di vento caldo gli attraversò i capelli neri e andò a smuovere anche la zazzera castana di Cleudoro.
«Non chiamarmi Cleudoro! Non vedi che indosso il sacro elmo di Achille?!» strepitò il giovane mascherato avvicinando il volto a quello di Zenone.

L’afrore dell’alito rese Cleudoro ancora più repellente. Zenone non resistette all’impulso e gli sferrò uno spintone che lo fece capitombolare all'indietro. Cleudoro piombò di schiena su una zona del prato dai ciuffi d’erba molto radi. Il suo elmo rotolò di lato e terminò la sua corsa su un mucchietto di pietrisco. La spada andò, invece, a urtare una pietra sporgente.
Cleudoro si rialzò con il volto deformato da una smorfia di incredulo stupore. Due nuove sbucciature gli erano comparse sui gomiti. Recuperò la spada e si accorse che la lama si era scheggiata. E l’elmo presentava dei graffi. Lo stupore si trasformò in collera. Gli altri ragazzini assistevano alla scena pietrificati. Il silenzio era rotto solo dal frenetico frinire delle cicale.

«Zenone maledetto!», sbraitò Cleudoro. «Ti ammazzo!»
Ma prima che riuscisse a lanciarglisi addosso, la piccola Nika si frappose tra i due. Cleudoro le incespicò addosso sbilanciandosi in avanti. Per non finire di nuovo a terra fece scattare le braccia e, toccando il terreno con i palmi delle mani, cercò di spingersi in alto. Ci riuscì ma al costo di due nuove ferite.

«Vi ammazzo tuttiii!», urlò.
Era furioso. Ma successe qualcosa di ancor più inatteso. Apollonia, la ragazzina dai capelli rossi, prese il posto di Nika, che era rimasta a terra con il viso rigato di lacrime, e immediatamente altri ragazzini si munirono di pietre e le balzarono al fianco creando un muro davanti a Zenone.
Cleudoro sbarrò gli occhi, incredulo. Come un lupo che assista a una ribellione delle pecore. Serrò i pugni sui palmi sanguinanti. Gli occhi rossi. Il volto rosso, rabbioso e dolorante. Poi il furore sembrò attenuarsi. La tensione parve dissolversi. Forse aveva capito che non gli conveniva combattere.

«Zenoneee. Niiikaaaa», risuonò una voce in lontananza.
«Che c’è, mamma!», rispose Zenone infastidito mentre Filista si avvicinava risalendo la mezzacosta.
«Perché hai fatto venire qui tua sorella!?», strillò lei continuando ad avvicinarsi. «Oh, divina Hera. È caduta! Perché è lì a terra?! E sta piangendo!», proseguì dimenandosi.
«Non l’ho fatta venire io! È stata lei a seguirmi», protestò Zenone.
«Ma tu avresti dovuto impedirglielo!»
«Zenoncino, ascolta la mamma», fece Cleudoro. La collera sembrava essere svanita e aver fatto posto a un atteggiamento di scherno. «Prendi la sorellina e tornatene a casa». Poi un lampo di rabbia tornò ad attraversargli il volto. «Femminucce! Ecco chi siete!», sibilò posando gli occhi su Apollonia.

«E tu sei un vigliacco!» replicò lei, sostenendone lo sguardo. «Fai il lupo con noi e l’agnellino con i più grandi».
«Ma da quando maschi e femmine giocano insieme? Voi avete le vostre bambole di pezza, le vostre pentoline», disse Cleudoro sprezzante.
«Smettila di fare il prepotente, Cleudoro!», intervenne Pitodoro.

Nel frattempo la madre di Zenone aveva raggiunto l’ombra della grande quercia.
«E poi non voglio che frequenti ragazzi… più grandi di te», disse Filista guardando Cleudoro con sguardo torvo.
«Che cos’ha mio figlio che non va?», chiese con impeto la madre di Cleudoro, che nel frattempo era scesa dal quartiere alto e aveva raggiunto il prato della pista senza essere vista.
«Nessuno si è rivolto a vostro figlio», ribatté Filista voltandosi.
«E io invece penso che stavate parlando proprio di lui!», incalzò l’altra.
«Ma siete voi a pensare che tutti ce l’abbiano con la vostra famiglia. E comunque non è un mistero che vostro figlio sia un prepotente e un maleducato».

«Ma che maleducato e maleducato!», gridò la donna. «E poi mi pare che ci abbia rimesso lui», aggiunse guardando le nuove sbucciature del figlio. «La verità è che voi siete invidiosi perché abbiamo fatto fortuna commerciando con l’Egitto!».
«Noi non abbiamo mai invidiato le fortune altrui. Le vere ricchezze, per noi, sono altre».
«Eh, sì. Loro sono superiori! Sono intelligenti, istruiti. Non si abbassano a desiderare ciò che tutti desiderano».
«Zenone, Nika, andiamo!», ordinò Filista ignorando le provocazioni. Poi si allontanò scendendo verso il quartiere costiero preceduta dai figli, mentre l’altra continuava a sbraitarle dietro.
«Non è finita qui… Gliela farò pagare», sibilò Cleudoro fissando Zenone che si allontanava.