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domenica, maggio 04, 2025

La capacità di uscire da se stessi e dal proprio ruolo

Da Uomini e Profeti del 15/09/2024 - alle giornate del Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo.

Tema di discussione con Serenella Iovino: la tendenza paranoica di certi sistemi di burocrazia.

 "L'ambivalenza del soggetto è la capacità di riconoscere la legittimità di alcune istanze paranoiche ma, allo stesso tempo, di essere capace di disidentificarsi.
Questa capacità è abbastanza comune tra gli italiani ma non sempre abita altre culture. Chi ha a che fare con certa burocrazia statunitense ne sa qualcosa. È un'esperienza psichica. Perché tu dai la stessa informazione non 10 ma 30 volte. E ogni volta, sempre dallo stesso ufficiale, questa viene richiesta seriamente. Con un'identificazione totale nella funzione di chi deve controllare. È un po' spaventoso. Non sono cose irrilevanti. Hanno a che fare con un certo modo di stare al mondo e di interpretare la propria identità senza la capacità di uscire da se stessi."

martedì, agosto 20, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione II

Uomini e Profeti del 17122024 propone un brano di Corrado Pensa sulla risposta negativa verso l’accettazione.

"Per sviluppare l’accettazione della realtà che ci capita di vivere, occorre un lungo viaggio nella nostra NON accettazione. Nella nostra non adesione alla vita. Nel conseguente disagio che questo ci provoca. Disagio che la pratica ci aiuta a vedere meglio.

È un lungo viaggio in salita perché il nostro resistere all’accettazione è frequentissimo. A cominciare dalla compulsione al giudizio mentale negativo su tutto e tutti, che è una delle forme più sorde e potenti di non accettazione.

Come procedere? Il primo passo, che rappresenta le fondamenta del lavoro interiore, quello di acquisire una grande dimestichezza e familiarità con la non accettazione che è in noi. In pratica, avere la perseveranza di sostenere lo sguardo sul nostro chiuderci. Guardare e riguardare il nostro no.

Infatti, che cosa succede se continuiamo a contemplare la non accettazione in noi? Succede che da un prevalere iniziale di sorpresa e disappunto si passa a un sentimento diverso nel quale il disappunto appare mescolato con una sorta di soddisfazione e fiducia. La fiducia che è proprio questo semplice e difficile lavoro di farsi specchio sempre più fermo a una virtù correttiva e guaritiva. Cominciamo a comprendere che, se è vero che non riusciamo a piegare a martellate la non accettazione, è tuttavia anche vero che il puntuale e sollecito contemplare la non accettazione è  il segreto per arrivare spontaneamente all’accettazione.
Il retto sforzo da compiere non può essere sforzo di accettare a meno che non si tratti di piccole cose. Lo sforzo da fare sarà quello di osservare la non accettazione prontamente, tranquillamente e, ove possibile, per tutto il tempo che essa dura. Ed è dallo sforzo di guardare in questo modo la non accettazione che può sgorgare spontaneamente l’accettazione.
Io sospetto che tanti disincanti e abbandoni sul cammino spirituale abbiano a che fare con la mancata comprensione, o la mancata spiegazione, di questo punto così cruciale. Il dettato fondamentale non è sforzati di accettare, bensì, sforzati di guardare meglio che puoi la non accettazione."

sabato, giugno 15, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione

 Uomini e Profeti del 17122024 

 “Man mano che il lavoro interiore si consolida e la meditazione di consapevolezza si approfondisce, la dimensione dell’accettazione tende a emergere emergere in modo spiccato. È molto facile tuttavia cadere in grossolani fraintendimenti circa l’accettazione. Se, per esempio, veniamo aggrediti verbalmente da qualcuno, l’accettazione non significherà inghiottire. Inghiottire è solo segno di paura. L’accettazione, invece, è soprattutto accettare il disagio che quell’aggressione produce dentro di noi. È non resistenza, nel senso di non contrazione davanti alla sensazione spiacevole che improvvisamente comincia a pulsare in noi. Questo mantenersi aperti e morbidi invece di indurirsi ci mette in grado di rispondere adeguatamente alla situazione, invece di reagire meccanicamente. E dunque, non solo non inghiottìremo, ma diremo probabilmente ciò che è appropriato e giusto dire in quella circostanza. In tal modo non cadremo nella passività impaurita e non cadremo neppure nella reattività cieca che, anch’essa, ha molto a che fare con la paura. 

Ora, la messa in pratica di questa manovra di apertura interiore, che è relativamente facile da descrivere, richiede un tirocinio di consapevolezza il più continuo possibile durante la giornata. Tirocinio che metterà radici salde allorché cominciamo a percepire tutta la sofferenza che si accompagna alla non accettazione. Ossia al chiudersi e all’irrigidirsi nell’avversione e nella paura. Infatti, chiudersi significa separarsi, dividersi, porsi contro ciò che sta accadendo. Noi siamo disposti a credere che il problema sia nella sensazione spiacevole. Ma tale credenza è effetto di ignoranza. Il problema è invece nell’avversione e nella paura. Si può dire con tranquillità che gran parte del disagio e della differenza che sentiamo nel corso di una giornata è generata dalla nostra relazione sbagliata o non accettante con ciò che accade dentro di noi. La difficoltà principale sta nel fatto che accettare silenziosamente il disagio e il turbamento è l’ultima cosa che vogliamo fare. Se però si tocca con mano che l’accettazione rende più liberi, allora crescerà l’interesse nei suoi confronti. Nell’esempio fatto sopra è evidente che grazie alla consapevolezza accettante del nostro turbamento per essere stati aggrediti noi avremo più facoltà di scelta riguardo a ciò che diremo e faremo in quella circostanza difficile. Avere possibilità di scelta significa anche lo sviluppo di un senso di responsabilità circa le nostre azioni, parole e, in una certa misura, pensieri. Avere più scelte e responsabilità significa essere più liberi e più creativi.”

sabato, febbraio 24, 2024

Le basi della meditazione 2 - Il ruolo della paura e del desiderio

Uomini e Profeti | E2 | Meditare sulle emozioni | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound

Il ruolo della paura
Abbiamo concluso l’incontro precedente presentando l’impedimento diffuso del malanimo. del disagio di percepire un perpetuo disagio esistenziale. Tale disagio è molto collegato alla paura. Senza che ci rendiamo conto siamo culturalmente trascinati nella marea del lamento. È molto difficile che una persona dica che tutto va bene. 

È vero che siamo assistendo a grandi crisi e a grandi problemi politici, ma è anche vero che i problemi a cui partecipiamo sono spesso sottolineati dalla mente che incornicia il negativo e svaluta il positivo, come dice Corrado Pensa. Siamo abituati a vedere le cose che non vanno. Ma se noi coltiviamo l’abitudine al negativo, allora sorge la paura. Perché è come se noi, con la nostra stessa proliferazione mentale, con le nostre stesse parole, con i nostri stessi atteggiamenti del volto, vivessimo una perpetua difficoltà.
La paura ne diventa una conseguenza. Essa è data molto dalla ricerca della perfezione, dalla speranza che la vita soddisfi i nostri desideri, le nostre aspettative. Questo genera il malanimo. Ma la vita è, punto. Non possiamo pretendere che la vita ci garantisca la felicità.

Se ci muoviamo nel nostro quotidiano sperando continuamente che le cose accadano per soddisfare la nostra felicità, ecco che incontreremo sempre e solo pensieri negativi e la paura la farà da padrone. La felicità non viene vista come qualcosa che possa essere sperimentata qui e ora, ma viene vissuta come una condizione che sarà possibile allorquando tutti i miei desideri siano nel tassello giusto. Cioè siamo quotidianamente addestrati all’attesa di tempi migliori.
Mi viene in mente un mio amico che aveva sempre il malumore addosso. Se gli chiedevi la ragione ti diceva: non vedo l’ora di andare in pensione. Ma quando è andato in pensione è stato profondamente infelice. Perché aveva addestrato la pratica dell’infelicità e dell’ingratitudine. 

Il ruolo del desiderio

Il desiderio di ciò che non abbiamo non ci fa apprezzare il momento presente. Ci rende ciechi nei confronti della quantità di benessere e di privilegio che viviamo quotidianamente. Se lo desideriamo possiamo essere felici adesso, in questo momento. Perché occorre tornare a vedere quello che nel concreto possiedi. Siamo costantemente bombardati da notizie su tragedie e disastri che generano una sensazione di paura costante. una paura che acceca e non fa capire dove si è. Bisogna imparare a fermarmi in un certo momento e a capire innanzitutto se quella paura è concreta ed a capire poi se esista una modalità per accoglierla.
L’obiettivo non è debellarla. L’obiettivo è imparare ad accogliere e riconoscere le nostre emozioni per renderele partecipi di un processo che porti a una liberazione interiore, a una guarigione interiore. Non significa essere felici per forza nel modo in cui ci dicono dovremmo essere felici. Significa conoscerci.

Risposta
Secondo il Buddha la sete inestinguibile. Il desiderio inteso come spinta costante al di più. È un tipo di sofferenza su cui il buddhismo ci addestra molto a lavorare innanzitutto riconoscendola. 
Innanzitutto la paura è un’emozione sana perché è parte di un istinto di sopravvivenza. Senza paura faremmo cose troppo pericolose. e serve anche il coraggio di vedere la paura. Perché spesso abbiamo paura della paura, come ci insegnano i maestri.

Innanzitutto dobbiamo riconoscerla, fermarci a sentirla, a vederla ed ascoltarla. e a volte ci accorgeremo che è solo un’abitudine che produce scenari che sono irreali. Come nell’esempio del pittore che era riuscito a dipingere così bene una tigre che poi si spaventava a guardarla.
Grazie alla mente coltivata dovremmo riuscire a riconoscere come nutriamo la paura nella nostra vita quotidiana. La paura spesso ci propone scenari immaginari ma possibili. Come gestirli? In che cosa dobbiamo avere fiducia?
Intanto non dovremmo alimentarla. Facciamo l’esempio del figlio che gira in motorino e la paura è che possa avere un incidente. Grazie alla mente più coltivata ci accorgiamo che quella paura possibile sta invadendo però tutto il nostro cuore. la vediamo, la riconosciamo. Quella paura ci fa incontrare la sofferenza e la precarietà della vita. Tutte le condizioni sono permanenti. se io parto da una prospettiva che tutto deve soddisfare i miei desideri allora allora l’imprevisto non è previsto e cresce la paura.
Ma se mi fai familiarizzo con la natura cangiante attraverso la pratica quotidiana che la mente educata, mi familiarizzo. accetto questa questa paura. ma se non l’alimento e mi limito a incontrarla, conoscerla, in realtà sto coltivando risorse interiori che nel momento che dovesse succedere qualcosa di doloroso sicuramente mi verranno in aiuto. Perché arrivare nei momenti difficili della propria vita che tutti noi prima o poi affrontiamo.

giovedì, febbraio 08, 2024

Le basi della meditazione 1 - Gestire il malanimo coltivando il buon animo

"Osserviamo che molti, a meno che non si trovino in condizioni particolarmente favorevoli, considerano normale vivere trascinando con sé il proprio senso di perpetua insoddisfazione. Invece è importantissimo coltivare il buon animo, che, innanzitutto, giova sia al proprio sia all’altrui benessere ed è inoltre condizione fondamentale per accogliere il qui e ora.


Malanimo non significa necessariamente pensare male ma è la costante di percepirsi insoddisfatti che è tipico della mente non coltivata. Perché se noi, come occidentali, ci fermassimo un attimo a riflettere. Se a mezzogiorno pensassimo alle fortune che abbiamo avuto dal momento in cui la sveglia è suonata fino a quel momento. Di quanti privilegi godiamo come se fossero dovuti. Noi in quel momento sentiremmo il cuore traboccare di gratitudine e sentiremmo anche crescere in noi il desiderio di condividere tanta fortuna. Quindi, imparare a gestire il malanimo, l’insoddisfazione, è una via reggia per incontrare la possibilità di una vita più serena, di una vita più felice. una vita in cui la gratitudine sia centrale."

Uomini e Profeti | E1 | Le basi della meditazione e gli ostacoli per entrare nella pratica | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound


Gli impedimenti a dimorare nel momento presente

"Un notevole ostacolo alla continuità nella pratica meditativa, e quindi a dimorare nel momento presente, è la fretta. La fretta intesa sia come spinta che ci porta a fare velocemente una cosa dopo l’altra, sia come di vedere subito risultati concreti. L’impedimento della fretta è insidioso perché è culturalmente e socialmente condiviso. Un altro impedimento a darsi con regolarità e fiducia al momento presente è rappresentato dall’abitudine a programmare e a considerare l’evoluzione della vita come una successione di tappe e progressi prestabiliti. A tale proposito leggiamo le parole di Larry Rosberg.

“La mente fa continuamente calcoli, vogliamo andare da B. Oppure, se siamo davvero ambiziosi, da A a Z. La nostra pratica riguarda l’andare da A ad A. Sperimentare la gamma di ciò che accade richiede un approccio esteso al momento presente. Noi tendiamo a considerare il momento presente un mezzo per ottenere infine. Se nel momento A compio una determinata azione sarò felice nel momento B. Nella nostra pratica invece ogni momento è un mezzo e un fine e lo scopo del momento A è appunto il momento A.

L’insegnamento del Budda riguarda il risveglio o la liberazione e questo sembrerebbe un obiettivo. Ma il solo modo per raggiungere è essere totalmente dove siamo in questo momento”.

Ci sembra che la prospettiva offerta da Rosemberg sia completamente diversa da quella abituale, che ci spinge a vivere il presente come momento da usare per esaudire i nostri desideri e non già come un’occasione per risvegliarci alla realtà.

Un ulteriore impedimento molto diffuso a stare nel qui e ora è costituito dalla fortissima abitudine a mettere radici non già nel momento presente, ma piuttosto nel momento pensato. Incontriamo l’attimo usando la griglia delle nostre idee precostituite, dei nostri progetti, delle nostre aspettative o paure, e così facendo, sovrapponiamo il nostro pensiero della realtà alla realtà stessa.

La pratica della consapevolezza nutre la fiducia nella possibilità di accogliere e conoscere con sincerità. Infatti, come potremmo stare nel momento presente senza essere sinceri con noi stessi? Vale a dire che se ci scopriamo abitati dalla rabbia dobbiamo essere sinceri e riconoscere che qui e ora c’è la rabbia. Sincerità e umiltà ci permettono di essere a autenticamente presenti a quello che c’è anche se non è quello che vorremmo ci fosse che ci fosse. Un pesante ostacolo a vivere nel qui e ora è infine rappresentato da una vita vita non improntata a valori etici tutto questo genere di vita rafforza di disordine e la confusione e ci rende meno sensibili alla realtà nella quale viviamo. Queste insensibilità sfociano in vere e proprie separazioni tra i nostri desideri totalmente autocentrati e tutto il resto esiste solo se considerato utile ai nostri fini."

sabato, gennaio 27, 2024

Bufale secondo gli insegnamenti di Socrate: miti fondanti ed erospoietici?

Si può davvero credere a un fatto sapendo che non è vero? Si può accettare in modo acritico un’affermazione che spacci per veri fatti mai accaduti?

In un caldo pomeriggio estivo dell’Atene del V secolo a.C. Socrate e Fedro passeggiano per le strade dell’acropoli. Discutono di un episodio leggendario: il rapimento della fanciulla Orizia da Boreo, dio del vento.
Con grande sorpresa di Fedro Socrate rivela che, come per molti ateniesi, anche per lui quel mito è vero.
Ma come è possibile! Il padre della confutazione razionale attribuisce valore di verità a una ricostruzione allegorica e fantasiosa!?
Ma per Socrate sono veri anche tutti gli altri miti inventati dai poeti. Quelli che raccontano di centauri, chimere e ciclopi.
Lo stupore di Fedro aumenta quando Socrate se la prende con i falsi sapienti che, incapaci di cogliere la verità dentro la finzione, cercano di sfatare quelle creazioni della fantasia. Secondo Socrate esprimono una razionalità falsa.
Il filosofo ci sta forse dicendo che esiste un’altra verità? Socrate arriva persino ad affermare di avere, lui stesso, la stessa natura delle creature poetiche.
Che cos’è questa verità altra che egli stesso incarnerebbe?

Può servirci questa interpretazione di Socrate per capire perché molte persone prendono per vere narrazioni che anche il loro raziocinio dovrebbe poter smontare?

Il dialogo tra Fedro e Socrate offre una soluzione: Eros e amore.
Si capisce che Eros è la materia di cui sono fatti i miti. Sono veri perché sono erotici non perché descrivono una realtà oggettiva. Sono veri perché alimentano il dispiegarsi di relazioni coinvolgenti e capaci di sottrarre chi crede alla peggiore delle condizioni: la solitudine. Una solitudine spesso mascherata da rapporti strumentali e superficiali. Questa verità erotica non descrive nulla fedelmente ma disvela. Toglie quel velo che ci isola gli uni dagli altri.
 
E la solitudine, spesso nascosta da una fitta rete di relazioni superficiali, è la condizione in cui siamo immersi noi oggi. E di cui soffrono in misura significativa anche molti seguaci di Donald Trump.
Le grottesche notizie false, proprio grazie alla carica socializzante soprattutto sulle reti sociali, hanno sedotto anche chi sospetta che siano bufale. E lo hanno fatto proprio perché offrono una risposta efficace a un dato fondamentale. E cioè una carenza erotico-politica che è disperata e diffusa.
Quindi bisognerebbe partire dalle cause profonde di questo vuoto per poter contrastare le bufale e togliere terreno all’odio che generano.
Se, invece, ci limitiamo solo a opporre la falsità dei dati il rischio è di fare la fine dei falsi sapienti di cui parla Socrate. Che perdono tempo a raddrizzare i miti. Atteggiamento che secondo Socrate pone fuori dalla Polis.”

Parafrasi di Le parole della filosofia | S2024 | Verità | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound di Pietro Del Soldà.

domenica, dicembre 03, 2023

Intelligenza come capacità di conformarsi all’esoscheletro di un’impresa

“La postmodernità chiama intelligenza la capacità di disintegrarsi quanto basta per potersi conformare all’esoscheletro di un’impresa.
Indipendentemente dall’affinità o dall’interesse verso ciò che l’impresa produce. Rinunciare alle nostre caratteristiche e peculiarità che avevamo all’inizio della nostra vita per adattarci agli obiettivi pianificati da quell’azienda seguendo i quali dovremmo raggiungere l’idea illusoria del successo. Lasciare da parte se stessi per adeguarsi a un falso se.
L’esoscheletro non è solo una struttura esterna ma anche un’entità mobile. Un gesto che non compiamo noi spontaneamente ma viene costruito e diretto al di fuori di noi.
Quando ciò accade il costo da pagare è altissimo, al netto dei grandi successi economici o professionali che si possono raggiungere.
I successi, se non raggiunti come me stesso, non mi daranno molto in cambio. Aldilà di ciò che possano pensare gli altri che mi guardano dall’esterno; che possono ammirare il successo raggiunto.”

martedì, agosto 08, 2023

Il libero arbitrio è solo un'illusione?

Ci sono due scuole di pensiero con conclusioni diametralmente opposte sul libero arbitrio.
Secondo una il libero arbitrio sarebbe totale, secondo l'altra il libero arbitrio sarebbe del tutto assente e illusorio.

David Chalmers sostiene che il libero arbitrio è probabilistico e la probabilità è guidata dalle emozioni.
Piú forti sono le emozioni più il libero aribitrio diminuirebbe. 
Ad esempio, una forte paura o una forte attrazione spingerebbero il nostro libero arbitrio verso una fuga in un caso e verso un avvicinamento nell'altro.



venerdì, giugno 23, 2023

Il mistero del suono senza numero - "in superficie è una storia semplice e ricca di mistero, in profondità nasconde l’essenza della matematica"

Daniela Molinari, insegnante di matematica e fisica presso un Liceo Scientifico ha scritto una recensione del Il mistero del suono senza numero

Qui riporto solo un piccolo estratto. Per la recensione completa: amolamatematica/il-mistero-del-suono-senza-numero

Il percorso è davvero interessante: in superficie è una storia semplice e ricca di mistero, ma in profondità nasconde l’essenza della matematica: mette in luce le caratteristiche della scuola pitagorica, il percorso della ricerca matematica dalla nascita di un’idea fino alla sua formalizzazione, ed evidenzia come le domande fondamentali si mostrino a volte come banali, ma possano mettere in crisi anche i saperi più antichi.

Le idee più profonde della matematica e della filosofia pitagorica sono trasmesse al lettore nel corso della storia e, permeando la vicenda, consentono un’assimilazione più efficace dei concetti difficili.

domenica, aprile 16, 2023

Gabriele Lolli e il platonismo matematico

Nel secondo capitolo del suo libro, Matematica in movimento. Come cambiano le dimostrazioniGabriele Lolli esplora il concetto di platonismo matematico. Cioè, di quella visione, “abbracciata dalla maggioranza dei matematici” che postula “l’esistenza di un mondo di oggetti ideali che contiene tutti gli oggetti e le funzioni della matematica”. Mi trovo molto d'accordo con le conclusioni di Lolli sul platonismo assoluto. Ho sempre avuto l'impressione che proponesse una prospettiva mistica dell'ontologia della matematica.

"Nel 1935, Paul Bernays (1891-1995), prezioso collaboratore di Hilbert nelle ricerche logiche, ha reso attuale il termine di platonismo matematico, definendo gli oggetti matematici come distaccati da ogni legame con il soggetto riflettente, senza affrontare né considerare le difficoltà logiche e gnoseologiche di una simile condizione. Nemmeno noi le affrontiamo perché la discussione sarebbe infinita. Il teorema di Pitagora, per fare un esempio, era noto in tutte le civiltà antiche, non solo mediterranee, anche indiane e cinesi; un segno dellesistenza distaccata del triangolo rettangolo? eppure le dimostrazioni tramandate sono tutte diverse, pur se tutte di tipo geometrico; un segno che le rappresentazioni mentali connesse al triangolo rettangolo in ogni civiltà non coincidevano?

Secondo Bernays l’applicazione [del platonismo alla matematica] è così diffusa che non è esagerato dire che il platonismo oggi regna sovrano in matematica. Tuttavia, se si va avanti a leggere, Bernays parla del platonismo matematico come di una concezione quasi-combinatoriadei concetti di insieme, successione, funzione, e con questo intende alludere allestensione allinfinito, per analogia, delle manipolazioni sugli insiemi finiti; Bernays chiama platonismo ristrettotale proiezione ideale di un dominio di pensiero; invece lesistenza di un mondo di oggetti ideali che contiene tutti gli oggetti e le funzioni della matematicalo denota platonismo assolutoe non nasconde che non supera la prova delle antinomie. Comunque limmagine del mito, che è evocata dalla semplice menzione del platonismo, abbracciato dalla maggioranza dei matematici, che si riferiscono a quello assoluto”, è passata nella cultura, trasmessa nella scuola, si è trasformata in un luogo comune. Nella scuola è inevitabile allinizio usare una terminologia realista, parlare di verità delle relazioni numeriche, e di numeri come esistenti utilizzandoli in esperienze concrete empiriche o costruttive, dalle quali sono estrapolati e quasi personificati come oggetti; quando poi si introducono concetti più astratti, il linguaggio e la disposizione mentale realistica sono destinati a permanere. Parlare allora di come cambia la natura della dimostrazione in matematica richiede come preliminare che linterlocutore entri nella disposizione ad accettare la possibilità di un cambiamento in un edificio che quasi certamente è abituato a considerare come monolitico e stabile per eccellenza."

lunedì, aprile 10, 2023

Considerazioni parmenidiane di Will Storr

E poi ditemi che Parmenide non aveva ragione. :-)

“Il nostro cervello non sta assolutamente sperimentando in modo diretto la realtà in cui siamo immersi. In realtà, è rinchiuso nel silenzio e nell’oscurità della vostra scatola cranica.» Questa ricostruzione allucinatoria della realtà viene talvolta definita come “modello” cerebrale del mondo. Ovviamente un simile modello dovrà essere in qualche misura accurato, altrimenti finiremmo per andare a sbattere contro i muri mentre camminiamo, o per ficcarci la forchetta nella giugulare quando mangiamo. E questa precisione la dobbiamo ai nostri sensi. I sensi ci appaiono come strumenti infallibili: i nostri occhi sono finestre tersissime attraverso cui osservare il mondo in ogni sua sfumatura di colore, in ogni suo minimo dettaglio; le orecchie sono canali in cui si riverseranno i suoni della vita. Ma le cose non stanno proprio così. La verità è che i sensi trasmettono al nostro cervello soltanto informazioni limitate, parziali. …
L’incarico che spetta a tutti i nostri sensi è raccogliere indizi dal mondo esterno sotto varie forme: onde luminose, mutamenti nella pressione dell’aria, segnali chimici. Tutte queste informazioni verranno poi tradotte in milioni di impulsi elettrici quasi impercettibili. Di fatto, il cervello legge questi impulsi elettrici proprio come un computer legge un codice, e li utilizza per costruire attivamente la nostra realtà, dandoci l’illusione che questa allucinazione controllata sia reale. Dopodiché, sfrutterà i sensi per compiere le verifiche del caso, e apportando in tutta fretta gli aggiustamenti necessari, se si accorge che qualcosa non torna.”
...
“È proprio in virtù di questo processo che a volte ci capita di “vedere” cose che in realtà non ci sono. Immaginate che sia già buio e che laggiù, accanto al cancello, vi sia sembrato di vedere un tipo assurdo, mezzo rannicchiato, con un cilindro in testa e un bastone in mano, ma presto realizzate che si trattava solo di un ceppo d’albero ricoperto da un grumo di rovi. Dite alla persona che è con voi: “Ma sai che per un istante mi è sembrato di vedere un tipo assurdo, laggiù?” In realtà, quel tipo assurdo l’avete visto per davvero. Il vostro cervello pensava ci fosse, e così ce l’ha messo; poi, una volta che vi siete avvicinati, e ha avuto modo di ricevere nuove e più accurate informazioni, si è affrettato a riconfigurare la scena, a correggere la vostra allucinazione.”
...
“Se i nostri sensi sono così limitati, come possiamo sapere con certezza che cosa accade realmente fuori dal buio e dal silenzio della nostra scatola cranica? Il vero guaio è che non possiamo. Come un vecchio televisore capace di leggere solo il segnale in bianco e nero, la nostra tecnologia biologica non è materialmente in grado di elaborare gran parte di quello che effettivamente accade nei vasti oceani di radiazioni elettromagnetiche in cui siamo immersi. Gli occhi umani riescono a leggere meno di un dello spettro luminoso. «L’evoluzione ci ha dotati di capacità percettive che ci consentono di sopravvivere» sostiene Donald Hoffman, uno scienziato cognitivo. «Ma questo prevede anche di occultarci tutto quello che non ci serve sapere. In pratica, l’intera realtà, qualunque cosa essa sia.»"
...
“Sappiamo che la realtà vera è profondamente diversa da quel suo modello che sperimentiamo nella nostra testa. Per esempio, fuori dal nostro cervello non esiste alcun suono. Se un albero cade nella foresta, ma nei paraggi non c’è nessuno a sentirlo, il suo crollo indurrà solo dei mutamenti nella pressione dell’aria e qualche vibrazione nel terreno. Il suono dello schianto è un effetto che avviene nel cervello. Quando sbattiamo l’alluce contro uno spigolo e lo sentiamo pulsare forte per il dolore, anche quella è un’illusione. Il dolore non è nel nostro dito, ma solo nel nostro cervello. Là fuori non esistono nemmeno i colori. Gli atomi non hanno colore.”
...
“L’unica cosa che potremo mai davvero conoscere sono gli impulsi elettrici inviati dai sensi. Il nostro cervello narratore utilizza tali impulsi per creare il variopinto scenario su cui andremo a interpretare la nostra vita. Poi lo completerà con un cast di attori, a loro volta dotati di obiettivi, personalità, e di un copione da seguire. Perfino il sonno non rappresenta un ostacolo per i processi narrativi del nostro cervello. I sogni ci sembrano reali perché si basano sugli stessi modelli neurali allucinatori in cui viviamo da svegli. Le cose che vediamo sono le stesse, gli odori sono gli stessi, perfino al tatto gli oggetti ci appaiono gli stessi. L’effetto surreale dei sogni dipende in parte dal fatto che i nostri sensi controllori sono temporaneamente spenti, e in parte perché il cervello deve interpretare le caotiche esplosioni di attività neurale dovute al nostro temporaneo stato di paralisi. Per spiegare questa confusione il nostro cervello reagirà come al solito: metterà insieme un modello di mondo e tirerà fuori dal cilindro una storia basata su causa-effetto. Spesso nei sogni precipitiamo da un edificio o inciampiamo per le scale, una storia che il nostro cervello si inventa per giustificare uno «spasmo mioclonico», ovvero una fastidiosa e improvvisa contrazione muscolare. “

giovedì, novembre 03, 2022

Il gatto e la tartaruga

Propongo un frammento dal mio terzo libro, Il mistero della discesa infinita, che sarà in distribuzione nei prossimi giorni.

Luglio 470 a.C.

«Dunque, sono partito dall’ipotesi che quel gattaccio di Achille sia cento volte più veloce della mia Hermes. Quindi, nel momento in cui Achille avrà percorso lo stadio di vantaggio concesso alla tartaruga, la mia Hermes avrà percorso un centesimo di stadio e avrà ancora un piccolo vantaggio. Però… mi pare che non ci sia storia. Hermes potrà rimanere in vantaggio ancora per qualche istante ma, prima o poi, Achille la supererà».
«Uhm» fece Apollonia muovendo lo sguardo tra le frasche degli olivi come se seguisse quella corsa immaginaria.
«Non ne sarei così sicura».
«Che vuoi dire?».
Apollonia si fermò e scrutò il sottobosco che delimitava il sentiero. Poi raccolse un ramo sufficientemente dritto e cominciò a tracciare segni su un tratto più soffice di terreno.
Dapprima tratteggiò una lunga linea e poi i due concorrenti: il gatto Achille all’inizio e la tartaruga Hermes a circa tre quarti della linea.

«Allora, quando Achille avrà percorso lo stadio di vantaggio, Hermes sarà avanzata di un centesimo di stadio» disse tracciando degli archi tra le posizioni iniziali e quelle finali dei due concorrenti. «E quando Achille avrà percorso quell’ulteriore centesimo di stadio che lo separa da Hermes, la tartaruga ne avrà percorso un centesimo di centesimo» proseguì tracciando due archi più brevi. «E sarà ancora in vantaggio».

«Sì, ma prima o poi…».
«Prima o poi, che?» lo interruppe Apollonia. «Un discorso simile può essere ripetuto illimitatamente andando avanti con i centesimi di centesimi di centesimi di centesimi…» disse tratteggiando archi sempre più piccoli. «Ed Hermes avrà sempre un vantaggio che, per quanto piccolo, non sarà mai nullo».

«Per Zeus!» esclamò Zenone. «Come hai fatto a farti venire in mente un’idea così brillante?».

«Non so…» si schermì Apollonia. «Forse sono stata influenzata dal ragionamento usato in una dimostrazione che si insegna nella scuola pitagorica. Quella dell’impossibilità di esprimere la diagonale del quadrato di lato uno come rapporto tra due numeri». Zenone ebbe un sussulto. «Anche lì compare la ripetizione illimitata di un’operazione e quel processo genera una conclusione assurda» proseguì la ragazza. «E se la conclusione è assurda allora l’ipotesi di partenza deve essere falsa. Inizialmente quella dimostrazione veniva nascosta. Pensa che il pitagorico Ippaso venne punito per averla divulgata!».
Al suono di quel nome il sussulto si trasformò in vertigine.
«Ma… in questo caso», riuscì ad articolare Zenone dopo essersi ripreso, «quale sarebbe l’ipotesi di partenza sbagliata?».
«Mah, non mi pare ci sia un’ipotesi sbagliata. Il ragionamento sembra corretto».
«Allora… significa che il movimento è davvero un’illusione?».
«A meno che», aggiunse Apollonia dopo averci riflettuto, «il ragionamento sbagliato non sia proprio nella suddivisione dello spazio e del tempo».
«Ma se funziona nell’esperimento mentale perché non dovrebbe funzionare nella realtà?».
«Beh», fece lei, «l’esperimento mentale funziona attraverso una divisione numerica che va avanti illimitatamente.
Ora, io ho imparato dai pitagorici che i numeri aiutano a interpretare la realtà. Ma…», continuò la ragazza sempre più immersa nelle sue speculazioni, «c’è anche il precedente che citavo prima. Ippaso scoprì un oggetto a cui non corrisponde nessun numero. Scoprì una corda che non può essere misurata e che quindi emette un suono senza numero». Zenone la fissava ammirato. Nel frattempo avevano raggiunto la scuola e Zenone salutò degli allievi che ciondolavano davanti all’ingresso. Alcuni di loro guardarono la coppia con una certa curiosità. «Questo ci insegna che», riprese Apollonia ignorandoli, «sebbene i numeri siano un ottimo strumento per indagare la realtà, esistono aspetti di questa a cui non corrispondono numeri e, similmente, potrebbero esistere fenomeni immaginabili attraverso i numeri ma senza riscontro nel mondo reale».
«Vorresti dire che…».
«…che forse non si può andare avanti illimitatamente nella frammentazione dello spazio e del tempo. Se lo si può immaginare attraverso i numeri deve essere necessariamente vero anche nella realtà?».
«Uhm» fece Zenone. «Quindi potrebbe esserci un limite? Un’unità elementare di spazio e un’unità elementare di tempo che non sarebbero divisibili ulteriormente?».
«Potrebbe essere così. Oppure una tale unità indivisibile potrebbe esistere solo per lo spazio o solo per il tempo».
«Hai un’intelligenza insuperabile!» fece Zenone col fiato corto mentre attraversavano uno spazio angusto tra due edifici. «No, mi correggo. La tua intelligenza è superata solo dalla tua bellezza».
«Smettila!» ridacchiò lei. «Non sono bella!».
«Lo sei!» protestò lui prendendola per mano. «E l’intelligenza ti rende ancora più bella» continuò avvicinandola a sé.
I due giovani si fissarono intensamente per alcuni istanti. Poi...

venerdì, settembre 02, 2022

Il mio terzo libro: Il mistero della discesa infinita

Il mio terzo libro, "Il mistero della discesa infinita", edito da Scienza Express, sarà in distribuzione a partire da metà ottobre ed è già prenotabile nelle librerie fisiche e virtuali.

Argomenti
  • Amori, scoperte, lotte e intrighi tra le aule della scuola di Parmenide.
  • Un racconto divulgativo attorno alla figura di Zenone di Elea e del suo pensiero.
  • Ricerche, paradossi, viaggi, condanne e reincarnazioni nello scenario della Magna Grecia.

Libro
Un secondo giallo ricco di competizioni, amori, viaggi, matematica e filosofia nella Magna Grecia di Elea dove, nelle prime pagine del libro, incontriamo Zenone bambino.
Il ritmo incalzante e i dialoghi serrati trascinano il lettore in un vortice di azioni e pensieri in un tempo lontano.
Il giovane Zenone gioca, lotta e si innamora. Ascoltando le affascinanti storie di suo nonno apprende dell’esistenza di un oggetto misterioso che lo spingerà a frequentare la scuola di Parmenide e che gli condizionerà la vita. Nelle aule della scuola si appassiona e ricerca questioni filosofiche che gli daranno gloria e che lo porteranno fino alla lontana Atene. Ma gli procureranno anche contrasti e inimicizie. Tra viaggi, trame e intrighi Zenone si affanna a decifrare misteri. Ma qualcuno trama alle sue spalle…


Leggetelo, fatelo leggere e regalatelo!

Dove si trova?
È prenotabile in qualsiasi libreria o su

...e su molte altre librerie virtuali.

venerdì, luglio 22, 2022

Parmenides Reloaded: tra eleatismo e moderne teorie dei campi

Oltra al libro di Giovanni CerriGustavo E. Romero, Parmenides Reloaded 1, è un altro dei testi a cui mi sono ispirato quando ho scritto le parti del mio nuovo (e ancora inedito) libro che citano il pensiero parmenideo.

Il professore di astrofisica relativistica Romero descrive la sua visione di uno spazio-tempo quadridimensionale e non dinamico in cui il divenire, quindi il tempo, non è una proprietà intrinseca della realtà. Questa e altre caratteristiche rendono la concezione romeriana dell’universo molto simile a quella parmenidea.

Nel suo poema, descritto da Romero come il primo esempio conosciuto di un sistema deduttivo applicato alla realtà fisica, Parmenide afferma che il divenire è un’illusione e che la realtà è immutabile, eterna e immobile. Molti secoli dopo, dice Romero, con l'avvento delle teorie dei campi, diventa chiaro che il cambiamento può avvenire anche in un universo completo. Infatti, una perturbazione in un campo che riempie l'inntero universo è un cambiamento.
Tuttavia, sebbene il concetto di cambiamento sia “centrale nel modello multiforme dello spazio-tempo, una volta che la geometria della varietà è determinata da un campo tensoriale che rappresenta la distribuzione di energia e quantità di moto, la sua struttura è fissa. I punti della molteplicità rappresentano eventi, ma non vi è alcun evento o cambiamento che influisca sullo spazio-tempo nel suo insieme. Lo spazio-tempo quadridimensionale, rappresentato matematicamente dal molteplice, è immutabile, eterno, immobile, unico, proprio come l'universo parmenideo. Gli oggetti che popolano l'universo sono quadridimensionali. Hanno "parti temporali", così come parti spaziali. In questo modo, il bambino che ero, è solo una parte di un essere più grande, io, che è quadridimensionale. Ciò che chiamiamo "nascita" e "morte" sono solo confini temporali di un tale essere. Il cambiamento appare solo quando consideriamo fette tridimensionali di oggetti quadridimensionali. Nelle parole di Max Tegmark: ‘Il passare del tempo è un'illusione. Abbiamo questa illusione di un mondo mutevole e tridimensionale, anche se nulla cambia nell'unione quadridimensionale di spazio e tempo della teoria della relatività di Einstein. Se la vita fosse un film, la realtà fisica sarebbe l'intero DVD: i frame futuri e passati esistono tanto quanto quello presente’”.
Romero offre anche un confronto tra spazio-tempo parmenideo e una sua interpretazione del pensiero di Eraclito proponendo che, a differenza di quanto si è pensato per millenni, probabilmente per una tradizione che ha origine in Platone, queste due visioni non siano incompatibili. Il kosmos (o spazio-tempo in una visione moderna) potrebbe essere immutabile e comunque formato da cose mutevoli, come il fiume di Eraclito.
Romero conclude affermando che Parmenide esiste in una regione dello spazio-tempo situata tra Elea e la Grecia, tra la fine del VI sec. a.C. e la metà del V sec. a.C., e per un po’ di tempo condivise il suo presente con Zenone. “Io”, scrive Romero, “esisto in un’altra regione dello spazio-tempo e non incontrerò mai Parmenide. Ma popoliamo entrambi lo stesso spazio-tempo e per questo mi sento fortunato”.

Marco Fulvio Barozzi ha scritto una recensione dell’articolo di Romero più approfondita della mia.

1 Foundations of Science 17 (3):291-299 (2012)

lunedì, febbraio 28, 2022

"Empatia in un mondo a rischio"

"L'empatia è un atto individuale legato all'incontro corporeo con un altro essere umano. Un atto quindi che produce emozione, aspettative e può portare a conoscenze e quindi anche all'azione. ...
Quando io penso di mettermi nei panni dell’altro, mi metto nei miei panni o nei suoi panni? Cioè mi immagino che cosa proverei nella sua situazione oppure immagino che cosa prova lui/lei nella sua situazione? Questa sembra una differenza minimale ma, invece, è molto importante perché io non sono l’altro o l’altra, però tento di avvicinarmi alla situazione e al luogo in cui lui/lei sta. Ecco, facendo questo movimento mi si apre un orizzonte più ampio rispetto a l'esperienza che faccio in prima persona. Ed è interessante il fatto che è l’immaginazione, la capacità della mente che mi permette di viaggiare in una differenza tra me e l’altro."

Citazione dalla puntata "Empatia in un mondo a rischio" (intorno al min 40) della trasmissione radiofonica Uomini e profeti.

giovedì, gennaio 20, 2022

"La vera vita" di François Jullien

"Può capitare talvolta, in quei rari momenti in cui riusciamo a ignorare i problemi e le faccende quotidiane, che si faccia in strada in noi un sospetto terribile e vertiginoso. Cioè che non stiamo vivendo veramente la nostra vita. Ne scaturisce un disagio molto diffuso su cui le pseudo filosofie del "vivere bene" si gettano offrendo manuali con formule risolutive. Mentre la vera vita non è definibile in questo modo. Non ci sono ricette. È il tentativo continuo di cercare una coincidenza tra quello che sentiamo di essere e le cose concrete che poi nella vita ci troviamo a fare. Un esercizio che poi non finisce mai perché a ogni nuova situazione la vita fatalmente tende a scollarsi e a de-coincidere da se stessa"


Citazione da "La vera vita" di François Jullien letta da Pietro Del Soldà nella puntata "Le scelte dei padri" della trasmissione radiofonica Zarathustra.

martedì, giugno 01, 2021

Il gatto Achille e la tartaruga Hermes (seconda parte)

Propongo la seconda parte del capitolo Il gatto Achille e la tartaruga Hermes, che fa parte del progetto descritto in Zenone, Achille, la tartaruga e… Pitagora

...
«Allora… Significa che il movimento è davvero un’illusione?», chiese Zenone.
«A meno che…», aggiunse Apollonia dopo averci riflettuto. «Il ragionamento sbagliato non sia proprio nella suddivisione dello spazio e del tempo».
«Ma se funziona nell’esperimento mentale perché non dovrebbe funzionare nella realtà?».

«Beh…», fece lei. «L’esperimento mentale funziona attraverso una divisione numerica che va avanti illimitatamente. Ora, io ho imparato dai pitagorici che i numeri aiutano a interpretare la realtà. Ma…», continuò la ragazza sempre più immersa nelle sue speculazioni, «c’è anche il precedente che citavo prima. Ippaso scoprì un oggetto a cui non corrisponde nessun numero. Scoprì una corda che non può essere misurata e che quindi emette un suono senza numero». Zenone la fissava ammirato. Nel frattempo avevano raggiunto la scuola e Zenone salutò degli allievi che ciondolavano davanti all’ingresso. Alcuni di loro guardarono la coppia con una certa curiosità. «Questo ci insegna che», riprese Apollonia ignorandoli, «sebbene i numeri siano un ottimo strumento per indagare la realtà, esistono aspetti di questa a cui non corrispondono numeri e, similmente, potrebbero esistere fenomeni immaginabili attraverso i numeri ma senza riscontro nel mondo reale».

«Vorresti dire che…».
«…che forse non si può andare avanti illimitatamente nella frammentazione dello spazio e del tempo. Se lo si può immaginare attraverso i numeri deve essere necessariamente vero anche nella realtà?».
«Uhm…», fece Zenone. «Quindi potrebbe esserci un limite? Un’unità elementare di spazio e un’unità elementare di tempo che non sarebbero divisibili ulteriormente?».
«Potrebbe essere così. Oppure una tale unità indivisibile potrebbe esistere solo per lo spazio o solo per il tempo».
«Hai un’intelligenza insuperabile!», fece Zenone col fiato corto mentre attraversavano uno spazio angusto tra due edifici. «No, mi correggo. La tua intelligenza è superata solo dalla tua bellezza».
«Smettila!», ridacchiò lei. «Non sono bella!».
«Lo sei!», protestò lui prendendola per mano. «E l’intelligenza ti rende ancora più bella», continuò avvicinandola a sé.

I due giovani si fissarono intensamente per alcuni istanti. Poi i volti cominciarono a cedere alla forza di attrazione reciproca. E il bacio li proiettò di nuovo in quel meraviglioso mondo parallelo in cui esistevano solo loro.

martedì, giugno 09, 2020

"La mistica selvaggia: splendore trascurato del mondo" di Romano Madera

Nell'ultima puntata ("Domande") della serie radiofonica "La mistica selvaggia: splendore trascurato del mondo", Romano Madera parla di alcuni esercizi per favorire il dialogo e l’ascolto.

“Si usano regole precise di comunicazione calibrati sugli aspetti biografici di ognuno e con cui si impari ad argomentare e interloquire partendo dalla nostra particolare prospettiva. Esponendo come interpretiamo gli argomenti di un altro, evitando la discussione fatta per prevalere e basta, chiedendosi quali possano essere i punti deboli nel nostro ascolto. Perché tutti siamo pieni di avversioni pregiudiziali, psicologiche, ideologiche, religiose, eccetera.
Può anche essere una discussione dura e senza risparmio, però una delle tecniche è: tu hai sostenuto la tua posizione, adesso prova a sostenere la posizione opposta. Non per confondere le parti, ma perché se tu sai sostenere e capire la posizione opposta, allora anche la tua posizione ne uscirà rafforzata. Gramsci metteva in guardia dal dare dell’asino all’avversario. Anche se l’avversario è un nemico."

mercoledì, giugno 03, 2020

Zenone, Achille, la tartaruga e… Pitagora

“Pitagora fu nel corpo di Zenone di Elea e sotto quelle spoglie investigò il problema della quantità di nu­meri compresi tra due numeri dati. Una strada che lo con­dusse all’elaborazione di quattro paradossi e all’intuizione che la geometria e non il Numero governasse il mondo.”

Così si chiudeva “Il mistero del suono senza numero”. E così si apre il suo seguito a cui ho cominciato a lavorare e che spero veda la luce nel 2021.
La lievissima brezza del Tirreno riusciva appena a stemperare l’arsura dell’aria. Viste da quel tratto, a mezzacosta del promontorio, le due isolette Enotridi di Pontia e Isacia sembravano due strane creature marine pietrificate dal vigore della vampa. I caseggiati di Elea apparivano deserti: sia quello in basso vicino al litorale, sia quelli più in alto. Anche i lavori di edificazione dell’acropoli erano fermi. In quella stagione nessuno avrebbe voluto sfidare la potenza dell’astro nelle ore centrali del cammino celeste del carro di Elio… O quasi nessuno.
«Vai, Hermes! Vai!»
«Forza, Eracle! Puoi ancora recuperare!»

Le urla d’incitazione erano rivolte a una decina tartarughe impegnate in una gara di corsa. Un branco di ragazzini le circondava. Tutti grondavano sudore. Molti saltavano e sbraitavano. E qualcuno si manteneva in silenzio, esprimendo il coinvolgimento attraverso il movimento delle braccia o la contrazione di pugni e mascelle.

«Nooo, è di nuovo Hermes», piagnucolò Pitodoro saltellando. «Di nuovo Hermes! È di nuovo lui a vincere», continuò con un tono carico d’insofferenza che strideva con l’espressione gioiosa e sorridente del volto. Era il suo modo di rallegrarsi per la nuova vittoria della tartaruga del suo amico Zenone nella gara di corsa. Hermes era un fulmine! Quando riusciva a partire in vantaggio era irraggiungibile. Avrebbe potuto battere anche un ga…

«Attenzione! Achille in vista!», urlò improvvisamente un altro ragazzino da un dosso al limite dell’ombra della grande quercia che sovrastava la pista per le gare. Molti corsero immediatamente verso la pista. Ma nessuno ebbe il tempo di recuperare la propria tartaruga. Achille, per niente a disagio sotto il sole rovente, avanzò tra le stoppie come una furia; un istante prima che Hermes tagliasse il traguardo, irruppe nella pista e si mise a menar zampate, e a dispensare morsi e graffi ai carapaci nei quali le tartarughe si erano istantaneamente ritratte.

Al seguito di Achille comparve un ragazzino dalla corporatura massiccia che indossava un elmo e brandiva una spada: entrambi di legno. Come tutti gli altri indossava un leggerissimo chitoniskos, ma se lo era fatto disporre in modo che ricordasse la linothorax, l’armatura che i guerrieri achei indossavano nella guerra di Troia. Una linothorax piuttosto umidiccia. Le braccia e le gambe scoperte mostravano sbucciature nella parte inferiore degli avambracci e sulle ginocchia. «Salve, femminucce! Avete occupato di nuovo la nostra pista con quegli stupidi animali», sbraitò con fare aggressivo e tono di voce forzatamente rauco mentre dimenava la spada verso gli altri e con l’altra mano recuperava il suo gatto. Tutti tacquero pietrificati. Cleudoro era più grande di loro e molto prepotente. Nessuno si sarebbe azzardato ad affrontarlo. «Vieni, Achille. Non sporcarti le zampe con quegli… animali di terra. Noi abbiamo ascendenze celesti. Discendiamo da Ailuros, la dea Bastet dei sapienti Egizi», declamò con sguardo ispirato ripetendo probabilmente una frase ascoltata da qualche adulto. Poi mosse dei passi verso Zenone, che nel frattempo aveva recuperato la sua Hermès, e gli puntò la spada contro. «E so che tu», riprese inasprendo il tono della voce, «sei il capo di questa banda di mezze calzette.»

«Io non sono il capo di nessuno, Cleudoro. E questa non è solo la vostra pista», rispose Zenone con tono deciso. Non sembrava intimorito. Un soffio di vento caldo gli attraversò i capelli neri e andò a smuovere anche la zazzera castana di Cleudoro.
«Non chiamarmi Cleudoro! Non vedi che indosso il sacro elmo di Achille?!» strepitò il giovane mascherato avvicinando il volto a quello di Zenone.

L’afrore dell’alito rese Cleudoro ancora più repellente. Zenone non resistette all’impulso e gli sferrò uno spintone che lo fece capitombolare all'indietro. Cleudoro piombò di schiena su una zona del prato dai ciuffi d’erba molto radi. Il suo elmo rotolò di lato e terminò la sua corsa su un mucchietto di pietrisco. La spada andò, invece, a urtare una pietra sporgente.
Cleudoro si rialzò con il volto deformato da una smorfia di incredulo stupore. Due nuove sbucciature gli erano comparse sui gomiti. Recuperò la spada e si accorse che la lama si era scheggiata. E l’elmo presentava dei graffi. Lo stupore si trasformò in collera. Gli altri ragazzini assistevano alla scena pietrificati. Il silenzio era rotto solo dal frenetico frinire delle cicale.

«Zenone maledetto!», sbraitò Cleudoro. «Ti ammazzo!»
Ma prima che riuscisse a lanciarglisi addosso, la piccola Nika si frappose tra i due. Cleudoro le incespicò addosso sbilanciandosi in avanti. Per non finire di nuovo a terra fece scattare le braccia e, toccando il terreno con i palmi delle mani, cercò di spingersi in alto. Ci riuscì ma al costo di due nuove ferite.

«Vi ammazzo tuttiii!», urlò.
Era furioso. Ma successe qualcosa di ancor più inatteso. Apollonia, la ragazzina dai capelli rossi, prese il posto di Nika, che era rimasta a terra con il viso rigato di lacrime, e immediatamente altri ragazzini si munirono di pietre e le balzarono al fianco creando un muro davanti a Zenone.
Cleudoro sbarrò gli occhi, incredulo. Come un lupo che assista a una ribellione delle pecore. Serrò i pugni sui palmi sanguinanti. Gli occhi rossi. Il volto rosso, rabbioso e dolorante. Poi il furore sembrò attenuarsi. La tensione parve dissolversi. Forse aveva capito che non gli conveniva combattere.

«Zenoneee. Niiikaaaa», risuonò una voce in lontananza.
«Che c’è, mamma!», rispose Zenone infastidito mentre Filista si avvicinava risalendo la mezzacosta.
«Perché hai fatto venire qui tua sorella!?», strillò lei continuando ad avvicinarsi. «Oh, divina Hera. È caduta! Perché è lì a terra?! E sta piangendo!», proseguì dimenandosi.
«Non l’ho fatta venire io! È stata lei a seguirmi», protestò Zenone.
«Ma tu avresti dovuto impedirglielo!»
«Zenoncino, ascolta la mamma», fece Cleudoro. La collera sembrava essere svanita e aver fatto posto a un atteggiamento di scherno. «Prendi la sorellina e tornatene a casa». Poi un lampo di rabbia tornò ad attraversargli il volto. «Femminucce! Ecco chi siete!», sibilò posando gli occhi su Apollonia.

«E tu sei un vigliacco!» replicò lei, sostenendone lo sguardo. «Fai il lupo con noi e l’agnellino con i più grandi».
«Ma da quando maschi e femmine giocano insieme? Voi avete le vostre bambole di pezza, le vostre pentoline», disse Cleudoro sprezzante.
«Smettila di fare il prepotente, Cleudoro!», intervenne Pitodoro.

Nel frattempo la madre di Zenone aveva raggiunto l’ombra della grande quercia.
«E poi non voglio che frequenti ragazzi… più grandi di te», disse Filista guardando Cleudoro con sguardo torvo.
«Che cos’ha mio figlio che non va?», chiese con impeto la madre di Cleudoro, che nel frattempo era scesa dal quartiere alto e aveva raggiunto il prato della pista senza essere vista.
«Nessuno si è rivolto a vostro figlio», ribatté Filista voltandosi.
«E io invece penso che stavate parlando proprio di lui!», incalzò l’altra.
«Ma siete voi a pensare che tutti ce l’abbiano con la vostra famiglia. E comunque non è un mistero che vostro figlio sia un prepotente e un maleducato».

«Ma che maleducato e maleducato!», gridò la donna. «E poi mi pare che ci abbia rimesso lui», aggiunse guardando le nuove sbucciature del figlio. «La verità è che voi siete invidiosi perché abbiamo fatto fortuna commerciando con l’Egitto!».
«Noi non abbiamo mai invidiato le fortune altrui. Le vere ricchezze, per noi, sono altre».
«Eh, sì. Loro sono superiori! Sono intelligenti, istruiti. Non si abbassano a desiderare ciò che tutti desiderano».
«Zenone, Nika, andiamo!», ordinò Filista ignorando le provocazioni. Poi si allontanò scendendo verso il quartiere costiero preceduta dai figli, mentre l’altra continuava a sbraitarle dietro.
«Non è finita qui… Gliela farò pagare», sibilò Cleudoro fissando Zenone che si allontanava.

sabato, febbraio 29, 2020

Saggezza, sapere ed erudizione – Vito Mancuso

“…Vi sono delle persone sagge che a parole non sanno rendere conto delle loro convinzioni. Eppure sanno risolvere problemi, conciliare animi, riportare in equilibrio situazioni delicate.Viceversa, vi sono eruditi che possono discettare per ore ma che non capiscono le situazioni né le persone e quando aprono bocca aggravano i problemi invece di risolverli. Forse perché pieni di sé o forse perché persi nelle nuvole delle loro elucubrazioni.
Questo significa che la saggezza non deriva dal sapere né tantomeno dall’erudizione.…”

Vito Mancuso da "La vita giusta: la coscienza e le quattro virtù cardinali"