sabato, ottobre 31, 2015

L'Expo ai rifugiati

Per la prima volta mi trovo d'accordo con una proposta di Vittorio Sgarbi. Perché, invece di smontarla o di crearci l'ennesimo inutile polo universitario, non utilizziamo l'area dell'expo per dare accoglienza ai rifugiati che scappano dalle brutture del mondo? Lì troverebbero tutto quello che gli mancava: le infrastrutture e la bellezza. Non sarebbe un messaggio rivoluzionario?

giovedì, ottobre 29, 2015

Mineralianesimo

Dopo le rivelazioni sul manzo criminale, sui formaggi che provocano la dipendenza e su frutta e verdure inquinate e impesticidate sto meditando di diventare Mineraliano. Oltre agli ovvi benefici per la salute lo farei anche per questioni etiche: perché discriminare tra le varie forme di vita?
Qualcuno saprebbe suggerirmi che cosa potrei mangiare oltre al sale?

mercoledì, ottobre 28, 2015

Carni rosse, insaccati e rischio tumori

In questi giorni circolano molte battute divertenti su carni rosse e insaccati. Se oltre a divertirvi con quelle (come ho fatto pure io) volete anche saperne di più, trovo che questo articolo dell'AIRC chiarisca molto bene la situazione.
Tanto per fare un esempio cito il paragrafo relativo al confronto con il fumo di sigaretta.

La classificazione dello IARC, inoltre, non ci dice niente sulla potenza di una sostanza nel provocare tumori. Molti giornali hanno titolato, per esempio, che la carne rossa lavorata è "cancerogena come il fumo". Si tratta di una interpretazione sbagliata: è inserita nella stessa categoria del fumo perché per ambedue abbiamo prove scientifiche sufficienti per esprimerci con certezza. Ma il fumo è un carcinogeno molto più potente degli insaccati, per cui ragionevolmente una fetta di salame di tanto in tanto avrà minore influenza sulla nostra salute di un paio di sigarette.

Di quanto aumenta il rischio individuale di ammalarsi di cancro del colon se si consuma carne rossa?

La verità è che nessuno ha una risposta precisa a questa domanda. Gli studi epidemiologici valutano l'aumento del rischio sui grandi numeri, non a livello del singolo individuo. Gli esperti hanno infatti stabilito che il 18-21% dei tumori al colon è probabilmente legato al consumo di carni rosse e insaccati, e così il 3% di tutti i tumori. Il fumo di sigaretta, tanto per dare un parametro di confronto, è responsabile dell'86% dei tumori al polmone e del 19% di tutti i tumori, secondo i dati di Cancer Research UK. L'agenzia britannica ha anche stimato che se tutti gli abitanti della Gran Bretagna smettessero di fumare, ci sarebbero 64.500 casi in meno di cancro l'anno, mentre se tutti diventassero vegetariani ci sarebbero 8.800 casi in meno l'anno.

Anche questa infografica di Repubblica è interessante. E ancora più interessante è l'articolo di Bressanini.

Dialetti italiani

Da SB Language Maps.
Il mio dialetto lo hanno classificato, giustamente, tra i dialetti sabini. Ma poi la sottoclasse sarebbe... non ho capito bene se il poggiomoianese o il palombarese. E lì avrei qualcosa da ridire...
Vabbè, intanto godetevi la mappa.






lunedì, ottobre 26, 2015

Lettera al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sull'elogio dell'omeopatia

Mentre la ministra della sanità australiana ha fatto in modo che venisse effettuata una delle indagini più obiettive, accurate e approfondite sull'efficacia dell’omeopatia, con cui si è giunti alla conclusione di inefficacia dell'omeopatia per il trattamento di qualsiasi patologia, la ministra della sanità italiana, Beatrice Lorenzin, scrive la prefazione di un libro che elogia l'omeopatia.
"Il volume si intitola per l'appunto 'Elogio dell'omeopatia' ed è firmato da Giovanni Gorga, nuovo presidente di Omeoimprese: un raggruppamento delle principali aziende italiane produttrici di rimedi omeopatici." Quindi una voce evidentemente sopra le parti.

"Una pubblicazione di parte, perfettamente legittima in una società pluralista." - dice invece, con il solito piglio polemico, il CICAP. "Quello che è inopportuno è che sia il Ministro della Salute, con la sua prefazione, a sostenerne indirettamente il contenuto."
Ecco, io ho firmato e invito tutti a firmare la Lettera aperta al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sull'elogio dell'omeopatia.


Detto questo bisogna anche dire che (dall'articolo Ministro Lorenzin, l’omeopatia non è una cura):
«Beatrice Lorenzin si è trovata ad affrontare delle “crisi” di tipo pseudoscientifico durante il suo mandato. Si ricordi il caso Stamina. Ora, molti degli ex sostenitori di Stamina si sono riconvertiti in “No vaccini”, una posizione che rischia di causare danni su scala ben maggiore. Anche in questo caso Beatrice Lorenzin ha difeso (bene) la salute dei suoi concittadini.
Beatrice Lorenzin non è laureata in medicina, anzi: non è proprio laureata e questo la ha esposta a una serie di attacchi su quali fossero le sue competenze per essere nominata a capo del ministero della Sanità. La figura del ministro è essenzialmente di rappresentanza. Grazie anche a consulenti esperti, nelle difficili situazioni sopra esposte è riuscita a tenere il timone dritto e salvaguardare la salute dei suoi concittadini. Per questo motivo la sua prefazione, che come prevedibile è stata ampiamente strumentalizzata, è un pericoloso scivolone.
Non è facile essere in una posizione di elevata visibilità pubblica perché qualsiasi errore si presta a essere sfruttato dai mezzi d’informazione. Vedi l’ex collega ministra che si congratulò con i ricercatori italiani che avevano scoperto (erroneamente) i neutrini più veloci della luce ricordando che l’Italia aveva investito ben 40 milioni di euro per costruire il tunnel che partiva dal Gran Sasso arrivava a Ginevra. Errare è umano, ma non è facile riconoscere i propri errori.
I ricercatori italiani hanno spiegato senza problemi quale fosse la criticità nel loro esperimento (c’era semplicemente un cavo non stretto bene) e non sono stati crocefissi dalla comunità scientifica. Invece, nessuno si è scusato riguardo al presunto tunnel. E in fondo è proprio questa la differenza tra la scienza e la pseudoscienza. La scienza commette errori, perché descrive con teorie a volte troppo semplici la realtà. Le teorie si evolvono, e quando ne arriva un’altra che spiega il mondo in modo migliore della precedente non è un dramma. La pseudoscienza invece è sempre uguale a se stessa. L’omeopatia è ferma al tempo del suo scopritore, quando non era chiaro cosa fossero atomi e molecole. Chi sostiene qualsiasi forma di pseudoscienza invece assume una posizione fideistica, che non ammette nessuna conoscenza nuova la quale possa mettere in dubbio le idee preconcette.
Beatrice Lorenzin ha una grande sfida ma anche una grande opportunità. Dimostrare che quando si compiono azioni avventate e soprattutto potenzialmente dannose per la salute di tante persone, è importante un passo indietro. Nessuna “nuova opportunità di cura” (parole della ministra nella prefazione) potrà nascere da credenze pseudoscientifiche di fine 1700, come appunto è l’omeopatia.

giovedì, ottobre 22, 2015

N-ternologi: il 2-ternologio completato

Una collega americana mi ha proposto la seguente 2-ternoformula per il 7 commentandola con "I've always been a fan of Pascal's Triangle". Le avrei voluto spiegare il discorso di Tartaglia ma poi ho desistito :-)
Ad ogni modo, questa formula soddisfa le regole che avevamo definito qui?
Ecco la regola: si vogliono rappresentare i numeri tra 1 e 12 utilizzando esattamente tre volte una sola cifra tra 1 e 9 (in questo caso specifico la cifra 2), e qualsiasi simbolo matematico come operatore o come simbolo di rappresentazione numerica.
Io direi di sì, voi che ne dite?
Ecco quindi una versione del 2-ternologio completo senza utilizzare la funzione parte intera.



sabato, ottobre 17, 2015

Viaggio a Tropea: un ode alla Salerno - Reggio Calabria

La scorsa estate ho percorso la Salerno - Reggio Calabria. Sì, proprio quella! L'autostrada che da decenni incarna l'archetipo dello spreco di denaro pubblico. Quella che viene continuamente citata per la perenne presenza di lavori, interruzioni, restringimenti e crolli. Migliaia di pagine di stampa, milioni di bit di informazione spesi per esporre alla pubblica auto-flagellazione da autobus quella vergogna nazionale; quell'esempio di corruzione e sfascio.
Io nell'ultimo decennio quell'autostrada l'ho attraversata almeno cinque volte. E per la precisione tre volte 7-8 anni fa e due volte l'estate scorsa.

Lasciata la A1 e oltrepassato Salerno mi aspettavo di ritrovare il ben noto paesaggio autostradale. Ma, invece di code e cantieri, man mano che avanzavamo, continuavo a vedere una serie di gallerie nuove ampie e illuminate e un liscio mantello di asfalto drenante che si dispiegava su tre corsie e che non troveresti neppure nella migliore delle autostrade della Germania del sud-ovest. E siamo andati avanti così per tutta la Campania, la Basilicata e per 150 Km circa all'interno della Calabria, dove, per un tratto, all'altezza di Altilia, l'autostrada torna a essere quella di dieci anni fa. La differenza  è che si vedono molti cantieri aperti per la costruzione di gallerie e viadotti che, presumibilmente, presto renderanno anche il seguito dell'autostrada simile a quello precedente. Insomma, una vera e propria metamorfosi rispetto a qualche anno fa!
Tornato a casa ho controllato su Wikipedia e lì ho scoperto che "il 24 luglio 2015, con l'apertura del lotto della galleria Fossino, sono stati completati 350,75 km, 20,5 km sono in fase di ammodernamento o ricostruzione, mentre 98,65 km devono ancora essere cantierizzati."
Per non parlare poi della spettacolarità del paesaggio: alture e vallate, mare e montagna, boschi e scogli in rapida successione. Ma quella c'era già da prima, mi direte. Certo. Ma è anche quella la causa degli enormi costi di costruzione di quell'autostrada che, data la conformazione del territorio, deve necessariamente avere un susseguirsi di gallerie e mastodontici viadotti. È facile immaginare la differenza che può esserci tra la costruzione di un chilometro di autostrada in Calabria e la costruzione di un chilometro di autostrada nella pianura padana o renana.
E visto che pariamo di viadotti, ecco la sezione wikipediana che ne parla.

Particolarmente interessante il viadotto Italia (1967-1973), quello che era crollato.
L'altezza masima di quel viadotto è di 261 metri. "Tale quota altimetrica ha reso questo viadotto il più alto d'Europa fino al 2004, quando il Viaduc de Millau in Francia strappò il primato svettando a 271 metri. Resta il quarto ponte al mondo come viabilità ordinaria,"

Ad ogni modo, il fatto di cui ero rimasto un po' stupito in tutto questo era quello di non aver mai sentito parlare negli ultimi mesi o anni di tale metamorfosi della Salerno - Reggio Calabria. Poi Zucchero ha trovato questo video in cui, effettivamente, se ne parla bene.Qualcuno ha un'esperienza diversa? Qualcuno ne aveva già sentito parlare dai media o in qualche discussione?
Per concludere, sicuramente questa autostrada ha rappresentato per decenni l'emblema del fallimento se perfino il New York Times ha scritto: “nulla incarna i fallimenti dello Stato italiano più nettamente dell’autostrada da Salerno a Reggio Calabria”.  (Ho sentito, ad esempio, dire che un errore dal punto di vista ingegnaristico fu quello di voler far passare l'autostrada per Cosenza. E che quella fu una scelta di un politico per accontentare il suo elettorato. Non ho però trovato nessun articolo a riguardo. Qualcuno ne sa qualcosa? Forse il percorso migliore sarebbe stato qualcosa di più simile a quello della SS18 evitando così il Parco Nazionale del Pollino?)(vedi nota)* Ma perché adesso non diciamo al New York Times che non è più così? Evviva la Salerno - Reggio Calabria! :-)

* Aggiornamento del 21/10/15
Zucchero ha trovato questa puntata de Il Tempo e La Storia che parla della A1 e, dal minuto 33 della A3.Al minuto 33 in un documentario proiettato durante la puntata si dice che nella scelta del tracciato si preferisce quello interno a quello costiero forse "per favorire il feudo elettorale di qualche politico" e i lavori si presentano subito molto difficili.
Poi l'ospite, Galli della Loggia, commenta: Giacomo Mancini impose la scelta suicida del tracciato dell'autostrada e ancora oggi ne stiamo pagando le conseguenze (soprattutto i calabresi). Ora aggiorno il post.

Per quanto riguarda il nostro viaggio lascio solo qualche foto.
Tramonto dietro a Stromboli.
Mare calabro.
Banani in via di maturazione.
Rifugiati africani che ballano la tarantella calabrese al Vibo Tarantella Festival.

mercoledì, ottobre 14, 2015

Carnevale della Matematica #90 - Le menzogne della matematica

L'edizione di ottobre del Carnevale della Matematica è ospitata da peppeliberti. Il tema è "Le menzogne della matematica".
Io ho contribuito con due articoletti così introdotti:
Al tema, come al solito, s’accompagna un verso della Poesia gaussiana, questa volta il novantesimo, guarda caso, cullato dalle note della “Cellula Melodica” di Dioniso. Eccolo:
Cellula melodica #90“il merlo, il merlo canta tra i cespugli” — dalla Poesia gaussiana
Il felice protagonista dell’infinita poesia è un merlo e un Merlo è stato, nel mese di settembre, l’infelice protagonista dell’infinita cantilena contro i numeri, una cosa che qua vi risparmio ma che avevo già segnalato nel post di chiamata alle armi (ne han scritto anche Maurizio Codogno e Dioniso, qui equa). Non vale la pena perderci troppo tempo però, una lettura rapida, uno sghignazzo e tornate da me, ché vi racconto del 90.
Dioniso di Pitagora e dintorni, il già ricordato autore della cellula melodica, invia:
Verso la matematica moderna: Viète, Magini, Clavius e l’introduzione di nuovi simboli e concettiDioniso racconta di come, nell’ultimo quarto del XVI sec., l’Europa occidentale aveva recuperato la maggior parte delle opere matematiche dell’antichità che ci sono pervenute. L’algebra degli arabi era stata assimilata e sviluppata sia attraverso la soluzione generale delle equazioni di terzo grado sia attraverso un impiego parziale del simbolismo e la trigonometria era diventata una disciplina autonoma. Nel periodo tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 la matematica aveva quasi raggiunto quel livello di maturità che poteva consentire rapidi progressi ma fu necessario un periodo di transizione e, questo passaggio dal Rinascimento al mondo moderno, si realizzò anche attraverso una serie di figure intermedie. La figura centrale di questa fase fu il matematico francese François Viète.


Il mese prossimo l'edizione numero 91 del 14 novembre 2015(“allegro, melodioso”) verrà ospitata da MaddMaths! e il tema è ancora ignoto.

Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale
Pagina del Carnevale su Facebook


giovedì, ottobre 08, 2015

Mafiafolklore

In questo articolo Petra Reski, giornalista e scrittrice tedesca residente da molti anni a Venezia ed di crimilalità organizzate, cita il fatto che Ndranghetisti e Camorristi gestiscano molti affari dalle parti di Malaga e si meraviglia per la presenza di un locale che si chiama La Mafia. Lo etichetta come un'espressione del "Mafiafolklore". Poi, ironicamente, evidenzia un vuoto di mercato. In Spagna, ad esempio, mancherebbero i ristoranti ETA. Forse in Irlanda mancherebbero i ristoranti IRA. E così via.
E allora io mi chiedo se il vuoto di mercato non sia causato dall'assenza di una cinematografia/tvgrafia che mostri l'ETA, l'IRA o altre realtà simili in chiave ironico macchiettistica.

mercoledì, ottobre 07, 2015

Il desiderio di essere come tutti: Rapimento Moro - 2

Segue da Il desiderio di essere come tutti: Rapimento Moro - 1

Nel mio primo articoletto sul libro di Francesco Piccolo ho scritto di alcuni paralleli tra la formazione e le esperienze di Francesco Piccolo e le mie. Un'altra similitudine l'ho trovata in alcune delle sensazioni suscitate dalla scrittura che sono incluse nello stralcio che riporto di seguito.

In quel momento, pur avendo creduto di essere diverso, il mio unico desiderio era di essere come tutti. Come mio padre e mia madre, come i vicini, come quelli che parlavano al telegiornale. Come zio Nino. Come zia Rosa.
Ecco, fu lei la prima luce di conforto. Quando torna a casa, e davanti al portone: il suo sgomento assomigliava al mio, ed era più consapevole, deciso, indignato. E infatti il PCI, i sindacati, le persone che scesero subito in piazza, vennero tutti in soccorso della mia estraneità.
[...]
E poi, giorno dopo giorno, vediamo che la tristezza di Elena crescere, i suoi dubbi crescere. E la paura di quello che stava succedendo, e quel sorriso strano per fortuna se ne andò. Tanto mi innamoravo, in silenzio. O capivo di essere innamorato.
La mia passione politica stava nascendo in modo incontrastabile, e vivo [...] ero un ragazzo un po' ricco, un po' nullafacente, che si interessava alle cose in modo confuso e superficiale, e passava gran parte del suo tempo insieme ad amici un po' stupidi e nullafacenti come lui. E, andavo alle feste, quante più feste possibili. Era questa la mia vita in quegli anni: la naturale in compagnia degli amici, la mia famiglia, il parco residenziale in cui vivevo. E, il la tensione verso il Movimento, perché comunista. È questo che vidi anche in Robert Redford di "Come eravamo". Quindi, poiché questo ragazzo un po' stupido con gli amici un po' stupidi voleva fare lo scrittore, allora anch'io decisi che volevo fare lo scrittore: era il modo di conquistare Barbara Streisand [...] e mi misi a scrivere un romanzo che racconta di un ragazzo che ama la sua compagna di banco e soffre tantissimo perché lei non lo ama. Il romanzo era brutto e sì è fermato dopo alcuni capitoli, scritti in modo faticosissimo. Però in quel tempo in cui mi chiudevo in camera e scrivevo, nonostante lì fuori ci fossero i miei amici, le feste, le ragazze, e anche Elena, il Movimento; nonostante scrivere fosse molto faticoso e non produceva nulla di buono mi sentivo felice. [...] Avevo la percezione chiara che stavo scrivendo un romanzo brutto e inutile, ma andavo avanti perché in qualche modo leniva il mio dolore e perché quel tempo di scrittura era una vera sostanza di felicità. E mi dava la sensazione che non stavo buttando la mia vita. Con i miei amici avevo la sensazione di buttare la mia vita; con Elena no, ma lei non mi voleva; con il Movimento no ma non avevo abbastanza coraggio per essere come loro. Quindi, l'unico momento in cui davvero potevo sentire di non stare buttando la mia vita, era mentre scrivevo questo romanzo brutto, cosciente che fosse brutto. E forse anche l'atto di scrivere rendeva sopportabile il dolore che provavo, le pene che provavo. In fondo, mi dicevo che se soffrivo potevo poi scriverne, e quindi incanalavo la sofferenza dentro qualcosa.
...
Continua...

giovedì, ottobre 01, 2015

Verso la matematica moderna: Viète, Magini, Clavius e l'introduzione di nuovi simboli e concetti - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo detto che dopo la morte di Maurolico (1575) la geometria non conobbe grossi sviluppi per più di 50 anni e, fino all'arrivo di Cartesio, la matematica si sviluppò in altre aree.
Nell'ultimo quarto del XVI sec. l'Europa occidentale aveva recuperato la maggior parte delle opere matematiche dell'antichità che ci sono pervenute1; l'algebra degli arabi era stata assimilata e sviluppata sia attraverso la soluzione generale delle equazioni di terzo grado sia attraverso un impiego parziale del simbolismo (1, 2); e la trigonometria era diventata una disciplina autonoma. Boyer1 afferma che nel periodo tra la fine del '500 e gli inizi del '600 la matematica aveva quasi raggiunto quel livello di maturità che poteva consentire rapidi progressi ma fu necessario un periodo di transizione e, questo passaggio dal Rinascimento al mondo moderno, si realizzò anche attraverso una serie di figure intermedie.
Tuttavia, la figura centrale di questa fase fu il matematico francese François Viète (1540 – 1603), noto anche con il nome latinizzato di Franciscus Vieta. Nato in una famiglia di giuristi, Viète studiò diritto ed esercitò l'avvocatura. A 24 anni diventò precettore di Catherine de Parthenay, a 31 avvocato al parlamento di Parigi e a 33 consigliere al parlamento della Bretagna. Nel 1576 entrò a far parte del servizio del Re: dapprima di Enrico III e poi, nel 1594, di Enrico IV. E sotto quest'ultimo venne incaricato di decifrare i messaggi che gli spagnoli avevano cifrato con una chiave di oltre 500 caratteri. Attività nella quale Viète dimostrò una tale abilità che gli spagnoli lo accusarono di essere in combutta col diavolo.
Nonostante il tempo limitato che poteva dedicare alla matematica a causa dei suoi impegni politici Viète riuscì ad apportare notevoli contributi all'aritmetica, all'algebra, alla trigonometria e alla geometria. Probabilmente la maggior parte di questi vennero prodotti tra il 1564 e il 1568, quando Viète non aveva ancora impegni politici, e tra il 1584 e il 1589, quando Viète venne allontanato dal potere in quanto ugonotto. (Nel 1594 si convertì al cattolicesimo per poter prestare di nuovo servizio per il Re).
Del primo di questi due periodi è l'Harmonicon Coeleste, un testo in cinque libri mai pubblicato ma ancora disponibile come manoscritto (una copia autografa è nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, e un'altra copia di G. Borelli è nella Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma). Nell'Harmonicon Coeleste Viète presentò la sua visione tolemaica del cosmo in quanto egli credeva che l'ipotesi di Copernico non fosse geometricamente valida. Essendo un trattato di astronomia, l'Harmonicon contiene ovviamente anche molta trigonometria.
Nel 1571 Viète pubblicò un'opera di trigonometria, Canon mathematicus, nella quale presentò varie formule sulle funzioni seno e coseno. Questo lavoro costituisce il primo passo avanti della trigonometria dopo i risultati di Copernico e Rheticus. Il Canon, inoltre, fornì un impulso verso l'uso di frazioni decimali in luogo di quelle sessagesimali.
L'uso della virgola decimale vera e propria si attribuisce invece solitamente o a Giovanni Antonio Magini (1555-1617), un astronomo amico di Keplero e concorrente di Galileo alla cattedra di matematica a Bologna, nel suo De planis triangulisoppure a Christophorus Clavius, meglio noto in Italia come Cristoforo Clavio (1538 – 1612), un gesuita, matematico e astronomo tedesco, anch'esso amico di Keplero e noto soprattutto per il suo contributo alla definizione del calendario gregoriano, in una tavola di seni del 1593. Tuttavia la virgola entrò davvero nell'uso comune soltanto venti anni più tardi grazie sopratutto a Nepero. Ma di questo ci occuperemo in seguito.
Tornando invece a Viète, si può dire che fu l'algebra il campo nel quale egli fornì i contributi più importanti imprimendo a questa disciplina un forte impulso verso l'approccio moderno. Quello che vede l'algebra come una forma di ragionamento astratto e non, com'era accaduto per il periodo arabo fino all'inizio dell'età moderna, come un insieme di artifici per risolvere problemi. Prima di Viète, l'obiettivo principale di questa disciplina era rimasto la ricerca del valore dell'incognita, a quei tempi denominata "la cosa", in un'equazione con coefficienti numerici specifici senza avere alcuno schema generale per rappresentare un'intera classe di equazioni, come, ad esempio, quello attualmente in uso (ax2 + bx + c = 0) per rappresentare una qualsiasi equazione di secondo grado. Nella geometria, invece, per mezzo di una figura e di tre lettere si potevano rappresentare tutti i triangoli. Fu qui che Viète introdusse un principio convenzionale tanto semplice quanto rivoluzionario. Usò una vocale per rappresentare l'incognita e una consonante per rappresentare un numero noto introducendo così per la prima volta nell'algebra una netta distinzione tra il concetto di parametro e quello di incognita. A questo punto, usando tutte le notazioni simboliche allora esistenti, sarebbe stato possibile scrivere tutte le equazioni di secondo grado con l'unica formula BA2 + CA + D = 0. Ma né Viète né tanto meno altri matematici del tempo ebbero l'intuizione, o forse la possibilità, di elaborare una tale sintesi. L'algebra di allora rimaneva fondamentalmente un'algebra sincopata; infatti, sebbene Viète adottasse i simboli tedeschi per l'addizione e la sottrazione e usasse simboli diversi per parametri e incognite, per il resto usava ancora espressioni verbali e abbreviazioni.
Con Viète si osserva anche una chiara tendenza verso la correlazione tra la nuova algebra e la vecchia geometria di Apollonio. Il matematico francese arrivò a un passo dalla geometria analitica e, se non avesse evitato lo studio geometrico delle equazioni indeterminate, avrebbe potuto scoprire questa disciplina qualche decennio prima di Cartesio.
Anche la sua trigonometria, così come la sua algebra, fu caratterizzata da una accentuata possibilità di generalizzazione e ampiezza di vedute. Così, oltre a essere considerato il fondatore dell'algebra letterale, Viète potrebbe anche essere considerato il padre di quel metodo analitico generalizzato di trattare la trigonometria che a volte viene chiamato goniometria.

Ma oltre a Viète, in quel periodo, molti altri matematici si interessarono alla trigonometria e produssero manuali e compendi. Il termine stesso "trigonometria" fu coniato in quel periodo da Bartholomaeus Pitiscus  (Grünberg, 1561 – Heidelberg, 1613),che lo usò come titolo di un manuale pubblicato nel 1595.

Anche l'invenzione dei logaritmi avvenne in quegli anni, ma di questo parleremo nella prossima puntata che sarà su Nepero, Harriot, Oughtred e Recorde e l'introduzione di altri nuovi simboli.


mercoledì, settembre 30, 2015

Il desiderio di essere come tutti: Rapimento Moro - 1

Quando rapirono Moro io avevo otto anni. Quella mattina tornai da scuola e mia madre mi diede la notizia. Io non sapevo neppure chi fosse Aldo Moro. Ma ricordo bene i posti di blocco che incontravamo quando mio padre mi portava alla visita ortopedica e anche la sensazione di delusione per il fatto che non venivamo fermati mai.
Andavo alla visita ortopedica perché avevo la gamba destra ingessata. E dopo qualche giorno mi venne pure la varicella. Non sto qui a dirvi il piacere che mi davano le pustole della varicella sotto lo strato di gesso. Ma ricordo bene che i due problemi di salute non mi impedirono di alzarmi dal letto quando sentii il rumore dell'elicottero. E, affacciandomi dal mio balconcino, riuscii a vederlo passare sui cieli del mio paese. Non ne avevo mai visti. Quello aveva pure la doppia elica. Eravamo nei giorni del falso comunicato del Lago della Duchessa. Probabilmente il mio paese si trovava sulla rotta aerea tra Roma e il lago.

Nel mio articoletto precedente sul libro di Francesco Piccolo avevo chiuso con la frase: "Poi tutto questo (il progetto del compromesso storico) scomparve di colpo la mattina del 16 marzo...". Perché?
Ecco qualche stralcio di quello che scrive Francesco Piccolo a riguardo. Lui di anni ne aveva 13.


Quella sensazione di fine del mondo, fu una sensazione condivisa che non è più nemmeno necessario raccontarla. Ci fu per qualche ora l'idea che stesse per accadere qualcosa di ancora più grave di ciò che era accaduto in via Fani. Come se quello fosse l'inizio di chissà cos'altro.

La mattina in cui rapirono Moro, la vita personale e la vita pubblica smisero di essere separate. Uno di quei fatti di cui per tutta la vita si racconta dov'ero, cosa facevo... Tutti quel giorno, anche i più inconsapevoli, sono stati costretti a nascere una seconda volta.
[...]
Il rapimento Moro, quell'operazione di guerra che aveva ucciso uomini, che adesso erano riversi nel sangue, penzolanti fuori da una macchina, quelle voci lente e addolorate che commentavano in diretta quello che non comprendevano, comunicando quindi uno stupore atterrito che faceva anche più paura, una paura che non se n'è andata più per un sacco di tempo. Perché quel rapimento era proprio il punto preciso che unisce la vita di un uomo e la vita di una comunità. Era il rapimento di un uomo di stato ma anche di un essere umano. Era il rapimento di un rappresentante della comunità intera ma anche di un uomo che aveva una famiglia. Una questione per nulla secondaria negli eventi che seguirono: infatti [...] il presidente della DC, il rappresentante principale delle strategie politiche di quegli anni, abbassò una saracinesca sulla vita pubblica, ritenendosi sopra ogni altra cosa il padre di famiglia che noi nemmeno immaginavamo.

Ero in primo liceo scientifico. La mia compagna di banco si chiamava Elena. Faceva parte del Movimento, lei, con il suo fidanzato; la sua famiglia e quella del suo fidanzato, erano tutti comunisti. Lei e il fidanzato lo erano in modo più estremo. E mentre eravamo tutti muti e cercavamo di scappare a casa, io la guardai e vidi i suoi occhi che ridevano. Era soddisfatta. [...] Mi guardò anche lei, per un attimo, e con un filo di voce, sicura e feroce, disse: "È cominciata la rivoluzione".

Adesso, spinto dalla sua forza così chiara, toccava a me decidere. Se tenermi dentro quel terrore che mi aveva preso, oppure se mettere sull'angolo della mia bocca un sorriso segreto, in favore dell'inizio della rivoluzione. Avrei voluto, per farle piacere, avere il coraggio che ci voleva adesso. Ma proprio non ce la feci. E seguii gli altri che correvano.
[...]
Molti si mostrarono soddisfatti, almeno sul momento. Poi forse, nel tempo, hanno censurato quello reazione. Ma vidi Elena felice, in un modo stonato, di una felicità pericolosa, insensata, morbosa. Mi fece paura, mi fecero paura lei e quelli del Movimento e scappai più in fretta. Desideravo essere come loro, con loro; dal primo giorno che ero arrivato al liceo. Ma adesso, il fatto di allontanarmene mi faceva sentire a posto.

Poi per fortuna, vennero in soccorso tutti.
...

martedì, settembre 29, 2015

La matematica di Francesco Merlo

Francesco Merlo deve aver avuto insegnanti di matematica un po' difficili oppure deve essere stato uno studente con una capacità d'apprendimento piuttosto selettiva. Quando domenica ho sentito il suo commento relativo alla matematica sulla rassegna stampa di radio 3 (puntata completa) sono saltato sulla sedia. Poi, grazie a Peppe Liberti ho trovato anche l'audio di quella chicca. Sentite qua!

"Tutti parlano della matematica, eccetera. Che certo è importantissima, per carità. «Ah, guardate in matematica gli asiatici, eccetera, gli indiani!», beh, non mi pare che l’India sia il primo paese del mondo. Se davvero la matematica fosse così importante tutti questi geni indiani avrebbero portato... E poi: «perché gli italiani non amano la matematica» e anche questa è una cosa... forse perché ce n'è troppa: il numero di telefono, i numeri, il bancomat, il... persino questa si chiama Radio 3, pensi, ciò devo pensare a un numero per identificarla. E il... quando premi un tasto per cercare un disco in macchina è sempre con un numero. E va bè. Comunque..."

Francesco Merlo, Prima Pagina (Radio3) 27.09.2015

Per fortuna lo sventurato non sa ancora che esiste la numerazione di Gödel (e non solo quella) con la quale sarebbe possibile codificare ogni suo articolo in un numero. Anzi si potrebbero addirittura codificare tutti i numeri di Repubblica. O tutta una biblioteca. O tutto il sapere umano che sia mai stato scritto… Aspetta un attimo! Ma questo non è il progetto di Google?! Ahhhh! Il complotto pluto-aritmetico-massonico!

lunedì, settembre 28, 2015

L’omeopatia è inefficace per il trattamento di qualsiasi patologia

La notizia è di qualche mese fa ma non fa mai male rinfrescare la memoria. E prima di gridare al solito complotto delle solite case farmaceutiche magari uno potrebbe leggersi l'articolo. E se uno non si fida del Post magari potrebbe leggersi l'articolo del Guardian. E se uno non si fida del Guardian magari potrebbe leggersi i documenti prodotti dal più importante istituto australiano di ricerca medica, il National Health and Medical Research Council, e rivisti e confermati da un gruppo di ricercatori indipendenti. E se uno non si fida nemmeno del National Health and Medical Research Council né del gruppo di ricercatori indipendenti, beh, traete voi le conclusioni.
Detto questo ecco alcuni estratti dell'articolo.


Il National Health and Medical Research Council ha pubblicato i risultati di un’indagine sull'efficacia dell’omeopatia, concludendo che la pratica è inefficace per il trattamento di qualsiasi patologia e può mettere a rischio la salute di chi la utilizza, dato che può ritardare il ricorso a trattamenti di dimostrata efficacia.

La ricerca si è basata sullo studio di 255 paper scientifici sugli effetti dell’omeopatia nel trattamento di diverse malattie ed è stata rivista da un gruppo di ricercatori indipendente, che ne ha sottoscritto la validità. L’inefficacia dell’omeopatia era già stata più volte dimostrata da diversi studi clinici, spiega il Guardian, tuttavia esistono anche studi che sostengono posizioni contrarie: l’indagine del NHMRC – la più completa mai realizzata su questo argomento – ha dimostrato che questi secondi sono tutti invalidati dalla presenza di rilevanti errori metodologici o di ricerca, come il ricorso a un campione troppo ristretto.

A proposito delle probabili resistenze nell'accettare i risultati della ricerca, il presidente del NHMRC Paul Glasziou ha detto:

«Ci sarà ancora chi reagirà dicendo che è tutta una cospirazione dei poteri forti. Tuttavia noi speriamo che ci siano molte persone ragionevoli disposte a riconsiderare la loro scelta di vendere, usare o sovvenzionare queste sostanze».

Sull'articolo del Post c'è anche un'interessante sezione che spiega che cos'è l’omeopatia.

venerdì, settembre 25, 2015

Il desiderio di essere come tutti: il compromesso storico

Volete leggere una storia leggera e profonda allo stesso tempo e che vi faccia (ri)vivere e riflettere sulle evoluzioni/involuzioni della società e della politica italiana degli ultimi 40 anni? Francesco Piccolo ne "Il desiderio di essere come tutti" riesce brillantemente a intrecciare le vicende private del protagonista con quelle pubbliche del paese e, tratteggiando linee tra i punti degli eventi storici e politici, ci fornisce interessanti chiavi di lettura, alcune delle quali, forse anche a causa della mia ignoranza, per me nuove e illuminanti.

I fatti storici li conoscevo quasi tutti più o meno bene ma quello che a volte mi mancava era l'interpretazione. Interpretazione soggettiva, certo. Ma proposta da qualcuno che, oltre a essere un ottimo osservatore della realtà, sembra aver attraversato un percorso di consapevolezza e di autocritica, sembra essersi documentato molto bene sui fatti e avere gli strumenti storico-filosofici per poter delineare un quadro d'insieme molto acuto, coerente, accurato e autocritico.
Pur avendo avuto una storia piuttosto diversa dalla mia ed avendo vissuto gli eventi con una maturità di cinque anni di più, ho trovato alcuni paralleli tra la formazione e le esperienze di Francesco Piccolo e le mie: nel rapporto con il padre, nel tentativo di voler essere parte del "Movimento", nell'arroccamento nella purezza e nel successivo esame di coscienza autocritico.
Mi è piaciuta un po' meno la parte finale in cui Francesco Piccolo scende troppo nel personale. In questa parte ho perso la sensazione di stare a leggere un romanzo solamente ispirato a vicende autobiografiche e ho acquisito la consapevolezza di trovarmi di fronte a una vera e propria autobiografia. Ma mi rendo conto che quest'ultimo commento è molto più soggettivo rispetto agli altri.

Ringraziando Zucchero per avermene suggerito la lettura vi propongo qualche passo saliente storico/politico distribuito in qualche puntata.

Il compromesso storico
Adesso, dopo lunghe trattative, si stava per compiere il cammino che Berlinguer aveva intrapreso dai fatti del Cile in poi. Il suo interlocutore era stato sempre Aldo Moro, in questo momento presidente della democrazia cristiana e convinto sostenitore dell'alleanza con i comunisti. In pratica, da quando alle elezioni del 1976 il PCI si era avvicinato così tanto alla DC, la soluzione di Moro fu non contrapporsi più al PCI. Moro ragionava così: la clausola "ad escludendum" deresponsabilizza il partito comunista; non solo: gli dà la possibilità di giudicare di continuo l'operato dei partiti di governo, come se vivesse di rendita sugli errori degli altri; ed era questo, secondo lui, ciò che stava succedendo, e il motivo per cui i voti al PCI si allargavano ogni volta oltre il suo bacino. L'esclusione a priori del PCI lo rendeva un partito populista, senza responsabilità. È questo che Moro spiega in un incontro difficilissimo e decisivo con i deputati e senatori della democrazia cristiana. Il suo discorso politico è nitido: se noi ci alleiamo con il partito comunista, possiamo conservare il potere e il controllo sul Paese per molti altri decenni. E solo con un'alleanza governativa terremo a bada i nostri antagonisti. ... Con questo discorso convincere gli scettici promettendo in cambio moltissimi misure cautelative. La strada per il compromesso storico e finalmente spianata. L'esecutivo, guidando ancora da Andreotti, comprenderà anche il secondo partito italiano. Il nemico.

Comprenderà, però, è una parola eccessiva... Moro ritiene che il PCI non possa ancora entrare nel governo direttamente con i suoi ministri. La cosa sarebbe malvista dall'alleanza atlantica e dai conservatori italiani.

Nel PCI si denuncia il tradimento, Si teme una trappola. Le trattative diventano frenetiche, il PCI chiede almeno la presenza di tecnici che rappresentino in qualche modo una diversità. Ma Moro è irremovibile. Sa come può reagire il Paese, come possono reagire gli Stati Uniti. Convoca Andreotti e gli dà il via per il governo monocolore, senza più esitazioni. Nel PCI c'è rabbia, sospetto, voglia di abbandonare il compromesso. Berlinguer ha difficoltà a sedare gli animi. La proposta di andare in aula e non votare la fiducia viene presa in considerazione. Si sussurra che il PCI potrebbe anche decidere, a sorpresa, di non votare la fiducia ad Andreotti. La sera del 15 marzo, Moro scrivere un bigliettino a Berlinguer e lo rassicura sul fatto che nonostante i nomi dei ministri, che sono il risultato del coinvolgimento delle varie correnti del partito, il rinnovamento andrà avanti. Moro lo prega di votare la fiducia e soprattutto di fidarsi di lui: pian piano il PCI avrà visibilità, ma bisogna cominciare in questo modo. Bisogna tranquillizzare tutti: la destra DC, gli Stati Uniti, i conservatori e gli anticomunisti di tutto il paese. E il giorno dopo, nonostante i malumori e il timore di improvvise defezioni, il PCI avrebbe votato la fiducia al governo, sperando davvero in un primo passo, timido ma sincero, verso un governo comune dei due grandi partiti.
Poi tutto questo scomparve di colpo la mattina del 16 marzo...

domenica, settembre 20, 2015

Il dio degli ebrei fu ideato da un faraone egizio?

Questa storia la sentii per la prima volta dall'autore di questo libro: S.M. Olaf; che è stato il mio insegnante d'inglese durante l'ultimo anno della mia residenza romana. Durante quelle lezioni parlavamo anche di molte passioni comuni. Una di queste era la storia delle religioni. Un giorno Olaf mi portò delle fotocopie che ancora conservo. Era un articolo in cui si parlava di un'ipotesi di Freud sulle origini del monoteismo. Beh, giorni fa ne ho sentito parlare di nuovo a Pagina 3 (Da Akhenaton a Mosé). E allora non ho potuto fare a meno di leggere l'articolo citato e di riportarne qualche stralcio con evidenziamenti.



Da Akhenaton a Mosè, non avrai altro dio di Jan Assmann
Il faraone eretico e il profeta biblico sono gli inventori del monoteismo. Ma il primo lo fondava su un principio cosmologico, l’altro sulla Legge.

Akhenaton, l’eretico faraone egizio che intorno al 1350 a. C. abolì la religione tradizionale dell’Egitto e introdusse al suo posto il culto del Sole come unica divinità, e Mosè, che secondo la narrazione biblica all’incirca negli stessi anni, 100 anni prima o dopo, liberò gli Israeliti dalla schiavitù egizia e li vincolò all’alleanza con JHWH in quanto unico Dio, sono considerati gli inventori, o gli scopritori, del monoteismo. Subito dopo la riscoperta di Akhenaton, che in Egitto fu vittima di una damnatio memoriae e solo grazie all’egittologia del tardo XIX secolo cominciò a riemergere dall’oblio, si produssero teorie che cercavano di mettere in relazione tra loro i due fondatori di religioni monoteiste. Mosè e il suo messaggio monoteista furono influenzati dalla rivoluzione monoteista di Akhenaton? Mosè era un seguace di Akhenaton, come suggerì Sigmund Freud, che dopo la sua morte e la messa al bando della sua religione migrò verso Canaan e portò con sé il popolo degli Ebrei, insediato nel delta del Nilo? Tra storia e leggenda

Entrambi, Akhenaton e Mosè, sono legati da un destino analogo ma opposto, quanto al ricordo che hanno lasciato di sé. Akhenaton è una figura della storia, la cui esistenza è provata inequivocabilmente da centinaia di dati archeologici, ma che tuttavia, a motivo della damnatio memoriae di cui è stato oggetto, non ha potuto dare avvio ad alcuna tradizione nella memoria culturale dell’Egitto. Il suo nome fu cancellato dagli elenchi dei re, i suoi templi abbattuti ed eliminata ogni traccia visibile della sua esistenza. Mosè, al contrario, è una figura della tradizione, della cui esistenza storica non si sono mai potute trovare tracce archeologiche, tanto che si dubita del fatto che sia storicamente esistito. E anche se una volta dovessero emergere tracce di questo tipo, il Mosè storico avrebbe senz’altro ben poco in comune con la figura titanica cui Mosè è stato innalzato nella tradizione e che è viva ancora oggi nella mente e nel cuore di ebrei, cristiani e musulmani. Uno dei due, Akhenaton, è vissuto senz’altro ed è stato dimenticato con decisione ed efficacia; l’altro, nel ricordo, ha acquisito dimensioni fantastiche, ma probabilmente non è mai vissuto.

Cominciamo da Akhenaton. Nato all’incirca nel 1370 con il nome di Amenofi IV, prese il trono da ragazzino o comunque in giovane età e si diede il nome di Akhenaton, tenendo il potere per 17 anni. Questo arco di tempo gli fu sufficiente per rivoluzionare la religione egizia dalle fondamenta. I templi vennero chiusi, i sacerdoti congedati, le feste e i culti sospesi, le immagini degli dèi distrutte, i loro nomi cancellati. E anche se queste misure non riuscirono a essere applicate ovunque in tutta la loro radicalità, restano tuttavia molte tracce a indubitabile testimonianza degli intenti di Akhenaton. Al posto degli dèi rimossi venne imposto il culto del Sole come unica divinità.

Che cosa ha indotto Akhenaton a cancellare le varie divinità e fondare una religione radicalmente nuova? Dietro a questo progetto sta, con tutta probabilità, una scoperta cosmologica, e cioè la scoperta che il Sole non produce soltanto luce e calore, per via del suo splendere, bensì anche il tempo, per mezzo del suo muoversi in cielo, e che inoltre l’intera realtà può essere spiegata basandosi sulla luce, che rende tutte le cose visibili, e sul tempo, in cui tutte le cose si sviluppano, di modo che le altre divinità non servono più: non contribuiscono in nulla alla realtà.

Differenza fondamentale
La dottrina di Akhenaton è più una teoria cosmologica che una religione e più un atto illuminista che la fondazione di una nuova fede
. […] Non si abolisce soltanto il mondo degli dèi, a favore dell’unico dio Sole, ma anche - e questo, sinora, non è stato tematizzato - il ruolo tradizionale del dio del Sole come giudice e come dispensatore di orientamento morale. Come in Mesopotamia, anche in Egitto il dio del Sole era considerato guardiano di ciò che è giusto, giudice degli uomini, colui che vede tutto, che porta alla luce l’ingiustizia commessa e attraverso la sua luce diffonde la giustizia. Il dio di Akhenaton è tuttavia il Sole cosmico, e nient’altro che il Sole, che splende sui buoni e sui cattivi e non formula alcun tipo di giudizio morale.

Questo tratto della nuova religione è incredibilmente sfuggito agli studiosi dell’epoca della riscoperta di Akhenaton. Si esaltò la spiritualità profondamente etica della religione di Akhenaton, che la separava in maniera così netta dalla religione tradizionale e l’avvicinava così tanto al testo biblico. Invero, si trattava esattamente del contrario. […].

Il dio di Akhenaton non si dà pena per il buono e il cattivo, il povero e il ricco, il giusto e l’ingiusto. Lui è il Sole, che splende per tutti. Qui sta la differenza fondamentale tra il monoteismo di Akhenaton e quello biblico, legato al nome di Mosè. Se proprio si vuol tendere un paragone tra il monoteismo di Akhenaton e quello di Mosè, lo si può cogliere nell’energia della soppressione e dell’annientamento, nel loro rifiuto del pantheon di dèi a favore di un unico dio; tuttavia, le affinità spariscono appena ci si volga al contenuto positivo delle due religioni. L’una è fondata sul Sole, l’altra sulla Legge.

Traduzione di Mariagrazia Portera

giovedì, settembre 17, 2015

New York 6: Central Park e Metropolitan Museum of Art

Mercoledì 10 giugno 2015

Oggi ci dedichiamo al Central Park partendo dal Metropolitan Museum of Art.


Mi chiedo se esista un altro museo al mondo dove si possano trovare templi greci, templi egizi e corti spagnole ricostruiti con pezzi originali e in dimensioni originali.

E c'è anche lo studiolo di Federico da Montefeltro, quello originale! La cui copia noi avevamo visto a Gubbio: nel luogo originale!

Vedendo tutto ciò è difficile non chiedersi come questo museo abbia potuto procurarsi tutti questi oggetti. Acquistandoli in periodi in cui ciò era possibile? E la colpa, se così la si può chiamare, è più degli acquirenti o più dei venditori?
La pagina di wikipedia ci dice che "nel 1879 lo studiolo venne acquistato dal principe Massimo Lancellotti per la sua villa di Frascati. Dopo altri passaggi di proprietà venne acquistato dal museo newyorkese nel 1939."
E poi c'è Caravaggio, Van Gogh, Klimt e chi più ne ha più ne metta.

Visitiamo anche la collezione di strumenti musicali del MET dove troviamo diversi antenati del mio amato trombone, il sassofono di Bill Clinton e un simpatico accostamento dei due estremi della famiglia dei sassofoni.


Ma oltre a quello mi meraviglio molto nel trovare anche un paio di pianoforti (o meglio, gravicembali con il piano e con il forte) di Bartolomeo Cristofori. I primi della storia, visto che per la sua ideazione della meccanica a martello, Cristofori è considerato l'inventore del pianoforte.

Per riprenderci dalla fatica della visita museale decidiamo di raggiungere G, D e A presso le rive del laghetto (cit. le cui papere non si sa dove finiscano in inverno). Ma per ritrovare la strada siamo costretti a chiedere indicazioni a una signora e questa, molto gentilmente, ci accompagna. E strada facendo ci dice:
- Ditelo a tutti che anche noi newyorkesi siamo gentili. No, perché tutti sostegno il contrario.
E, tutto sommato, credo che la signora abbia ragione. Seppur con qualche eccezione, spesso abbiamo trovato gente molto gentile e disponibile che a volte si è persino fermata spontaneamente per aiutarci perché si capiva che eravamo in difficoltà.
Lungo il percorso troviamo diversi spettacoli di strada. E, in prossimità di uno di questi, ritroviamo G, D e A. I protagonisti dello spettacolo sono cinque o sei ragazzi neri. Lo spettacolo è ben strutturato. E in seguito ci accorgeremo che si tratta in realtà di una specie di format usato in diverse città americane da questi gruppi di giovani atletici: prima, per radunare un po' di pubblico, si impegnano in una serie di balli individuali con figure hip hop molto difficili e belle da vedersi, poi scelgono quattro persone del pubblico, le allineano, preparando il campo per il saltatore di persone e, dopo un lungo gioco di declamazioni corali sincronizzate, volte a divertire e ad attrarre più pubblico (altro tormentone del viaggio diventa una di quelle frasi, rivolta a una parte più distante del pubblico: "Yo see, yo pay"), improvvisamente fanno inchinare le quattro persone e il saltatore le salta con una piroetta. È interessante la mossa di far inchinare le persone solo all'ultimo momento così forse è più probabile che nella mente dell'osservatore rimanga l'immagine delle persone non inchinate.

Vista l'importanza che il tema John Lennon ha ricoperto durante questo viaggio non possiamo esimerci dal dare uno sguardo al Dakota: l'edificio in cui visse John Lennon e dove, probabilmente Yoko Ono girò i famosi video. E neppure dallo scattarci un po' di foto seduti sul mosaico Imagine dello Strawberry Fields Memorial.

Tornando infine sulle rive del laghetto troviamo un trio jazz che suona alcuni standard. Colgo l'occasione e gli chiedo se conoscono "There will never be another you". Lo suonano a stento ma è comunque piacevole e si meritano la loro mancia.

Più tardi ci incamminiamo verso Broadway dove ci godiamo una messa in scena di Mamma Mia! Lo spettacolo è bello e gli attori-cantanti sono molto bravi. Alla fine ci siamo divertiti tutti: giovani e diversamente giovani.

P.S. Alcuni dati di confronto tra dimensioni di parchi romani e Central Park

Central Park - 341 ettari
Villa Pamphilj - 184 ettari
Villa Ada - 180 ettari
Villa Borghese - 80 ettari
Poi c'è il parco della Caffarella che mi pare ancora più grande di Villa Pamphilj, ma di cui non sono riuscito a trovare le dimensioni. Il parco della Caffarella però è incluso nel Parco regionale dell'Appia antica che è di 340 ettari ma non tutti di verde.