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domenica, marzo 02, 2025

Sabato 15 marzo: manifestazione per l'Europa a Roma, Milano e altre città italiane

Chi può partcipi anche per me. Se mi fossi trovato in Italia avrei sicuramente partecipato.
Sabato 15 marzo: manifestazione per l'Europa a Roma, Milano e altre città italiane.

Riporto due stralci dell'idea che ne è alla base.

“mi sono domandato perché non si organizza una grande manifestazione di cittadini per l’Europa, la sua unità e la sua libertà. Con zero bandiere di partito, solo bandiere europee. Qualcosa che dica, con la sintesi a volte implacabile degli slogan: “qui o si fa l’Europa o si muore”. Nella sua configurazione ideale, lo stesso giorno alla stessa ora in tutte le capitali europee. Nella sua proiezione più domestica e abbordabile, a Roma e/o Milano, sperando in un contagio continentale.”

“ penso che una manifestazione di sole bandiere europee, che abbia come unico obiettivo (non importa quanto alla portata: conta la visione, conta il valore) la libertà e l’unità dei popoli europei, avrebbe un significato profondo e rasserenante per chi la fa, e si sentirebbe meno solo e meno impotente di fronte agli eventi. E sarebbe un segnale non trascurabile, forse addirittura un segnale importante, per chi poi maneggia le agende politiche; e non potrebbe ignorare che in campo c’è anche un’identità europea “dal basso”, un progetto politico innovativo e rivoluzionario che non si rivolge al passato, ma parla del domani. Parla dei figli e dei nipoti“

Qui Serra parla dell’idea:
Particolarmente interessante è il contenuto intorno al minuto 1:55. 

Se ne è parlato molto anche nella puntata odierna di Prima pagina. Mi è piaciuta la telefonata che si trova al minuto 51 (incluso nel link che segue) e la successiva discussione:
Prima pagina | Prima pagina del 02/03/2025 | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound

sabato, febbraio 01, 2025

Il possibile esodo dalle reti sociali vicine al trumpismo

Negli ultimi giorni Loredana Lipperini, ha trattato il tema in due puntate di Pagina 3: Librerie fantascientifiche e I percorsi del potere.

Nell'ultima puntata ha consigliato la lettura di questi tre articoli.

Zuckerberg non ha mai creduto in niente - Lucy
Racconta bene tutte le metamorfosi Zuckerberg: "alfiere di tutto il contrario di cui era stato il capofila fino al giorno prima". Passato dalla telefonata dopo la vittoria del 2016 in cui Zuckerberg si è congratulato con Trump per il suo “innovativo” uso di Facebook; al dietrofront, dopo lo scandalo di Cambridge Analytica), con la promessa che la sua multinazionale avrebbe fatto di più per contrastare la disinformazione; al riavvicinamento a Trump, durante la pandemia, con la famosa esternazione che Facebook non avrebbe fatto da “arbitro della verità” di fronte alle bugie di Trump sui voti per corrispondenza; al voltafaccia, seguito all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 con la corsa di Zuck per arrivare primo nella gara a bandire il presidente dalle sue piattaforme; fino all’ultima campagna elettorale in cui Trump ha accusato apertamente Zuckerberg di aver “tramato” contro di lui nelle elezioni di quattro anni prima, spiegando che se l’avesse rifatto avrebbe “passato il resto della sua vita in prigione. Zuckerberg gli ha risposto epurando i vertici di Meta in favore di figure come il nuovo responsabile degli affari globali Joel Kaplan, trumpiano di ferro, donando un milione di euro al fondo per l’insediamento della nuova amministrazione e alleandosi alla crociata in favore della “libertà di espressione”.

Perché è il momento per un social network europeo - L'INDISCRETO

Addio Facebook e Instagram: è ora di ricostruire le nostre case digitali - Valigia Blu

Il tema proposto da Loredana Lipperini mi coinvolge e mi fa riflettere. Continuerò a seguire il dibattito. Non escludo di maturare decisioni che mi portino ad abbandonare lentamente le reti social vicine al trumpismo.

Mentre scrivo queste riflessioni sul blog mi viene da pensare quanto siano diversi la mia postura e il mio atteggiamento quando scrivo sulle reti sociali rispetto a quando scrivo su un blog. 

Nel primo caso uso quasi sempre il cellulare e tendo a scrivere in modo più veloce e superficiale. Quel tipo do scrittura non mi spinge alla riflessione e all'approfondimento. E da lettori, si rischia di non andare oltre le tre righe e saltare compulsivamente da un post all'altro. Se leggo da un blog, posso sempre salvarmi la pagina e tornarci. Pratica rara e complicata quando si legge dalle reti sociali.    

È giunto il momento di lasciare le reti sociali per salvare i libri (e il pensiero lento, aggiungerei) - Di Paolo Di Stefano

 Opinioni | Lasciare i social per salvare i libri | Corriere.it

"È giunta davvero l’ora di levare le tende dai social? È la domanda-che hanno posto sul «Foglio» Giulio Silvano e Antonio Gurrado, sollecitati da un allarme, lanciato su Dagospia da Paolo Di Paolo, a proposito del sempre più scadente livello dell’editoria e del decrescente numero di lettori. Qualche sera fa ho sentito dire che continuando a puntare tutto o quasi su prodotti popolari, alla fine gli editori rendono sempre più facile (e ovvia) la sostituzione del libro con i suoi surrogati (fiction e altro). Un vero e proprio harakiri. A loro modo anche gli autori contribuiscono al precipizio. Diventando imprenditore di sé stesso, ciascuno fa la sua corsa solitaria verso il massimo di visibilità, magari ingaggiando un addetto stampa o un social promoter ad personam.

Giulio Silvano proponeva, sul foglio, due forme di resistenza, interessanti ma altrettanto improbabili.
Primo: pubblicare un libro ogni dieci anni, abbassando la soglia della vanità e del narcisismo.
La seconda è, appunto, abbandonare i social tutti insieme, «uscire dalla dittatura dell’algoritmo e dei follower». Una dittatura che ha effetti noti: da una parte gli editori inseguono i nomi più seguiti sui social (da qui gli influencer bestseller). Dall’altra, molti scrittori impegnano le loro giornate nell’autopromozione cercando di conquistare il massimo di mi-piace.
Un esodo di massa da X, da Facebook, da Instagram avrebbe il vantaggio di assumere, in questo momento, un valore più solidamente engagé sfruttando lo sdegno generale per la svolta trumpiana dei tycoon digitali. Certo, è vero quel che dice Ricci: se non sei laggiù, nell’isola che non c’è dove tutto accade, non esisti. Da qualche settimana, a 88 anni, si è affacciato su Facebook il più raffinato e ironico scrittore italiano, Giovanni Mariotti. Dopo il grande esodo spero che sull’isola che non c’è rimanga almeno lui, con un paio d’altri (Andrea Di Consoli, Alberto Cristofori, Marco Ciriello...), non di più."

sabato, ottobre 26, 2024

Nicola Lagioia sulla lotta per la conquista dell'egemonia culturale

"Qualche tempo fa sono stato invitato a un incontro per conto di un istituto Italiano di cultura all’estero. Un paio di giorni dopo mi arriva una mail: il console ci terrebbe che lei non parlasse di fascismo, mafia e, cosa ancor più ridicola, nemmeno di caporalato.
Come ha risposto? 
Naturalmente non sono andato. Ma gli ho scritto: vi rendete conto quanto è imbarazzante per voi questa richiesta? E loro: ce ne rendiamo conto ma in questo periodo è così.
La definirebbe una censura?
No, perché io ho la possibilità di un’infinità di altri megafoni da cui parlare. La definisco un indebolimento dell’istituzione culturale del paese.
È il dichiarato tentativo della destra, di conquistare l’egemonia culturale? 
...

È una colossale stupidaggine. Dove va la cultura non lo può decidere il governo. Lo decidono gli spettatori, il lettori, la critica, i premi. C'è un sistema virtuoso che decide cosa è meglio di altro. Se Almodovar vince il festival di Venezia con un film sul fine vita, non c`è ministro che possa intervenire. L'egemonia nasce dal basso, dal basso e dall’alto, ma non certo dalle stanze del potere. 
Così ovunque. Pensi alla Francia. Houellebecq non è un simpatizzante di Macron ma uno dei più grandi scrittori francesi. E a deciderlo non può essere il presidente o il ministro. Noi in Italia potremmo brillare nella cultura e nell'arte ben oltre il nostro peso geopolitico. E invece veniamo da questi due anni con le ossa rotte. "

mercoledì, agosto 07, 2024

Scrollare fino a impazzire - doomscrolling, ovvero dello scorrimento catastrofico e della fine della narrazione

Citazione dall'articolo Scrollare fino a impazzire - Il Tascabile

"Secondo Doug Rushkoff, siamo nell’era del collasso narrativo. In altre parole, viviamo in un contesto storico, sociale, tecnologico, in cui le storie non sono più il modo principale in cui ci relazioniamo con il mondo
Viviamo, secondo lo studioso americano, in una cultura presentista, che genera un approccio postnarrativo al racconto di storie. Un approccio che non prevede premesse né conseguenze, ma si concentra sull’esperienza stessa, che così sostituisce lo sviluppo di una trama. “Non si tratta di cosa succederà dopo o di come finirà la storia – scrive Rushkoff – ma di capire cosa sta succedendo in questo momento, e goderselo”.
È un altro modo per considerare un neologismo recente: doomscrolling, vale a dire quella pratica che prevede lo scorrere dello smartphone così, senza una vera direzione, un contenuto (catastrofico) dopo l’altro, preda degli algoritmi che decidono per noi cosa è importante. C’è un aspetto del doomscrolling che, in particolare, racconta molto bene come ci rapportiamo alla realtà – e alle rappresentazioni della realtà – all’interno dello spazio digitale. Il feed, la home page del social network, è infinito: non importa quanti movimenti di pollice facciamo, ci sarà sempre un contenuto ad aspettarci. Il senso di doom, di rovina, di catastrofe, ce lo dà proprio questo scrollare via dal senso, questo accumulo di presenti senza scioglimento."


La crisi della narrazione, Byung-chul Han. Giulio Einaudi editore - Stile libero Extra
"Le narrazioni sono in crisi da tempo. Da bussole capaci di dare senso all’esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre. Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni. L’accumulo di notizie ha preso, insomma, il posto delle storie. Dati e informazioni, però, frammentano il tempo, ci isolano e ci bloccano in un eterno presente, vuoto e privo di punti di riferimento. A diventare impossibile è la felicità stessa. Perché la vita, con tutti i suoi imprevisti, inciampi, tentativi ed errori, incontra la pienezza solo quando può essere condivisa e tramandata all’interno di una narrazione collettiva.

«Vivere è narrare. L’essere umano, in quanto animal narrans, si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La narrazione ha la forza del nuovo inizio. Lo storytelling, di contro, conosce solo una forma di vita, quella consumistica»."


venerdì, marzo 01, 2024

Occhio per occhio

Mi ricordo dello stupore quando per la prima volta sentii definire la legge del taglione come un progresso nella storia del diritto. Eppure è semplice comprenderne il motivo: quel principio regolamentava situazioni in cui il potente poteva rivalersi dieci, cento, mille volte tanto rispetto all’offesa subita.
 
A volte mi chiedo se questo semplice principio arcaico non possa ancora essere un punto di riferimento in conflitti odierni, nonostante le complessità geo-storico-politiche.
L'"occhio per occhio, dente per dente" non definiva solo un diritto della parte offesa, ma anche un limite a quel diritto: rivalersi sì, ma in modo commisurato all'offesa subita.

domenica, dicembre 03, 2023

Intelligenza come capacità di conformarsi all’esoscheletro di un’impresa

“La postmodernità chiama intelligenza la capacità di disintegrarsi quanto basta per potersi conformare all’esoscheletro di un’impresa.
Indipendentemente dall’affinità o dall’interesse verso ciò che l’impresa produce. Rinunciare alle nostre caratteristiche e peculiarità che avevamo all’inizio della nostra vita per adattarci agli obiettivi pianificati da quell’azienda seguendo i quali dovremmo raggiungere l’idea illusoria del successo. Lasciare da parte se stessi per adeguarsi a un falso se.
L’esoscheletro non è solo una struttura esterna ma anche un’entità mobile. Un gesto che non compiamo noi spontaneamente ma viene costruito e diretto al di fuori di noi.
Quando ciò accade il costo da pagare è altissimo, al netto dei grandi successi economici o professionali che si possono raggiungere.
I successi, se non raggiunti come me stesso, non mi daranno molto in cambio. Aldilà di ciò che possano pensare gli altri che mi guardano dall’esterno; che possono ammirare il successo raggiunto.”

mercoledì, settembre 20, 2023

In viaggio con Barbero - Democrazia e dittatura

Consiglio a tutti di vedere la putata In viaggio con Barbero - Democrazia e dittatura (la7.it).
Ascoltando la sua lezione sul concetto di democrazia mi sono reso conto di quante fossero le mie lacune e i miei pregiudizi su quel tema. 

Ecco alcune delle mie lacune o convinzioni sfatate

Barbero mi ha fatto capire che forse oggi definiremmo la tanto idolatrata democrazia ateniese come una dittatura della maggioranza. Ben distante dalle nostre democrazie costituzionali che impongono alla maggioranza di muoversi entro certi limiti ben definiti.
Lo si trova tra il minuto 29 e il minuto 35.


Anche l'amministrazione della giustizia nella democrazia ateniese era gestita dal popolo, attraverso una giuria sorteggiata. Ad esempio per il processo a Socrate 501 cittadini sorteggiati votano a maggioranza per la condanna a morte del filosofo.
Lo si trova tra il minuto 37 e il minuto 39.

Ho scoperto anche che subito dopo la rivoluzione americana gli Stati Uniti d'America non erano una democrazia bensì un'oligarchia. John Adams, padre fondatore e secondo presidente degli Stati Uniti scrive:
"La democrazia, finché dura, è più sanguinaria di un'aristocrazia o di una monarchia. Ricordatevi che una democrazia non dura mai a lungo. Si corrompe, si esaurisce, si suicida. Non c'è mai stata una democrazia che non si sia suicidata"
Sostanzialmente gli Stati Uniti diventano una democrazia solo dopo la guerra di secessione.
Lo si trova tra 1h 11m e il minuto 1h 13m.

domenica, luglio 09, 2023

La doppia vita dei nazisti: strage di civili in Italia e tornati in Germania, senza pagare i loro crimini

Trovo molto interessante l’articolo lungo di Carlo Bonini di oggi.
Ne riporto solo alcuni brani.

“Hanno fatto strage di civili in Italia. Poi sono tornati a casa in Germania, senza mai pagare i loro crimini. Ecco le loro storie.”

“Li chiamavano "lupi mannari", werwolf, perché dietro l’aspetto presentabile conservavano l’anima delle belve. Non avevano dimenticato l’orrore di cui erano stati protagonisti: lo tenevano dentro, aspettando che tornasse la loro ora. Quando il Terzo Reich è crollato, all’inizio hanno pensato di proseguire la lotta con le armi. Poi è sorta la Guerra Fredda e hanno trovato nuovi nemici e altri modi per riscattare i vecchi camerati: progressivamente non hanno neppure sentito il bisogno di nascondersi e sono tornati a radunarsi tra reduci.

La Germania ha faticato ad affrontare l’eredità nazista. Salvo pochissime eccezioni, l’intero Paese aveva seguito Hitler e per questo sono stati adottati criteri di epurazione molto selettivi: soltanto artefici e carnefici dell’Olocausto sono stati considerati criminali da perseguire. Subito si è creata una distinzione, che è tuttora in voga nella destra, tra i gerarchi del Partito e gli uomini delle Waffen SS, equiparando questi ultimi ai "normali" combattenti delle forze armate. Non si è voluto guardare alla realtà, ancora più drammatica: in Italia come negli altri territori occupati erano stati militari di ogni tipo a commettere gli eccidi: Waffen SS, Wehrmacht, Luftwaffe. A ordinare le stragi di civili e a portarle a termine erano stati volontari e coscritti, soldati semplici e ufficiali. Questa responsabilità in qualche modo collettiva ha contribuito alla rimozione individuale della colpa, permettendo ai massacratori di dormire sonni tranquilli per decenni. Li ha aiutati la volontà dei governi occidentali di non infierire sulla Germania federale, tornata a essere un alleato fondamentale nella sfida con il blocco comunista: i fascicoli dei procedimenti aperti in Italia sono stati murati nel famigerato "armadio della vergogna". E la sensibilità giuridica della magistratura ha spinto a punire soltanto le figure apicali, graziando chi aveva obbedito agli ordini, pur eseguendoli con compiaciuta crudeltà. Poi in mezzo secolo i valori etici sono cambiati e anche la giurisprudenza ne ha preso atto. L’innocenza di uomini come il capitano Erich Priebke, uno dei registi delle Fosse Ardeatine, è stata considerata inaccettabile. E agli inizi del millennio la procura militare di La Spezia, guidata da Marco De Paolis, ha realizzato un miracolo investigativo individuando - grazie soprattutto alle ricerche negli archivi di Carlo Gentile - e facendo condannare centinaia di aguzzini sopravvissuti nel silenzio. L’opera di giornalisti determinati come Udo Gumpel ha scosso le coscienze tedesche. Ma bisogna andare oltre. In questo momento infatti ricordare è doppiamente fondamentale. Perché, come i personaggi delle biografie scritte da Francesca Candioli in questo longform, sono tornati sulla scena europea partiti che non rinnegano quel passato di terrore, conservandolo nei loro simboli e nei loro slogan. Sono i nuovi lupi mannari, che aspettano il momento opportuno per gettarsi sul nostro futuro.”

Seguono biografie dei lupi mannari : La doppia vita dei nazisti dopo la Seconda Guerra Mondiale - la Repubblica

Riporto solo qualche brano dalla solo biografia di Walter Reder.

Per due volte, prima nel ’67 e poi nel ’84, l’ex ufficiale scrive una lettera di perdono ai cittadini di Marzabotto. I familiari delle vittime e i superstiti con un referendum decidono in entrambi i casi di respingere il suo appello. Ma in Germania e Austria viene lanciata una campagna di solidarietà, presentandolo come un martire, un capro espiatorio, un sepolto vivo in ostaggio dei comunisti italiani. Nel 1980 anche da noi le cose cominciano a cambiare e il tribunale militare di Bari gli concede la libertà condizionale, riconoscendo "un sincero ravvedimento". Il rilascio definitivo è previsto nel 1985. Ma dopo una serie di trattative che coinvolgono il governo di Vienna e il Vaticano, l’allora premier Bettino Craxi decreta l’estradizione in Austria sei mesi prima della fine della pena.

Dopo oltre 30 anni di prigionia nel carcere vista mare di Gaeta, il maggiore delle Ss Walter Reder, che si è reso responsabile di alcuni tra i più sanguinosi massacri in Italia, torna a casa a quasi 70 anni. La stretta di mano con il ministro, che lo accoglie come un eroe, crea un caso internazionale e una crisi di governo. Reder trascorre i suoi ultimi anni di vita in Carinzia, riprende a frequentare i suoi vecchi amici durante i raduni di ex reduci delle SS e, come prima cosa, ritratta il suo pentimento. A pochi mesi dal suo arrivo in Austria, dichiara alla stampa che non deve giustificarsi di nulla e che le richieste di perdono e di scuse che aveva mandato alle vittime italiane erano state solo una mossa del suo avvocato.
Sei anni dopo il suo ritorno, muore a Vienna il 26 aprile 1991: al suo funerale partecipa un pubblico molto numeroso, tra cui diverse ex SS e alcuni membri dell’estrema destra. Durante l’occupazione tedesca in Italia, Reder trasforma le operazioni contro i partigiani in una sequela di massacri contro la popolazione: Vinca, Valla e Bardine San Terenzo e poi Monte Sole, quella erroneamente chiamata strage di Marzabotto, l’eccidio più grave realizzato dai nazisti nell’Europa occidentale. In pochi giorni furono massacrate 770 persone in oltre 100 località sparse tra le montagne dell’Appennino Bolognese, e ad uccidere gran parte delle vittime furono proprio gli uomini del battaglione esplorante della 16a divisione Reichsführer Ss guidato da Reder. Nel 1945 il maggiore viene fatto prigioniero in Austria e nel 1948 estradato in Italia. Nel 1951 il processo celebrato a Bologna lo condanna all’ergastolo.

venerdì, luglio 07, 2023

Guida veloce in città: vantaggi e svantaggi

Da Radio3 Scienza | S2023 | Andavo a 30 all'ora… | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound

"Il grande inganno della velocità in città e che crediamo di andare a 60, 70, 80 km l’ora perché vediamo quella velocità nel tachimetro. In realtà la nostra velocità media è molto più bassa perché dobbiamo frenare e ripartire in continuazione. Crea condizioni circostanti di pericolo ma non ci fa arrivare prima."
Portale - Simona Larghetti (cittametropolitana.bo.it)

Riassunto in una tabellina...


Ci sono più vantaggi o svantaggi? Ma allora perché continuiamo a farlo?


sabato, gennaio 29, 2022

Elezione del nuovo Presidente della Repubblica

In queste ultimi giorni vedo commenti che lamentano vergognosi pasticci e mercanteggiamenti per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Potrei capire l'osservazione se venisse da un giovane alla prima esperienza, ma, altrimenti, credo che manchi la memoria delle precedenti elezioni, che molto spesso si sono concluse dopo molti scrutini e lunghe trattative.

Quanto sta accadendo a me pare una normale dialettica democratica che occorre anche in situazioni simili (con ovvie variazioni dovute a usi e costumi diversi) di parlamenti di altri paesi.

Non credo sussista necessariamente un correlazione del tipo tanti scrutini e tante trattative implicano uno scarso risultato. 
Tanto per citare un esempio, Cossiga fu eletto al 1° scrutinio e Pertini al 16°.

A giudicare dall’elenco dei presidenti della Repubblica del passato, e soprattutto degli ultimi tre decenni, i risultati non sembrano pessimi: Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella. E il metodo è stato sempre lo stesso. 
Abbiamo avuto episodi poco virtuosi anche nel passato? Beh, ricordate la vicenda della candidatura di Prodi del 2013?

E comunque, dalle voci di queste ultime ore, pare proprio che si ripeterà una storia simile a quella del 2013.

giovedì, gennaio 13, 2022

La trappola del perfezionismo: Josh Cohen

"Gli psicologi collegano la diffusione dell’ansia perfezionista, soprattutto tra i giovani, all’atmosfera di precarietà e competizione generata dal libero mercato. E mettono in discussione il concetto di merito. La richiesta di perfezione può essere soffocante ma un perfezionista può sentire anche che i suoi successi siano l’unica cosa che lo tiene insieme. Quando siamo sopraffatti dalla vita e ci puniamo per le nostre inadeguatezze, un punteggio stellare a un esame oppure 1000 mi piace su Instagram possono dare invece la fugace sensazione che tutto sia sotto controllo. Può sembrare che il perfezionismo sproni al successo da adulti ma in verità è un atteggiamento fondamentalmente infantile. Ci fa credere che la vita finisce se rinunciamo alla speranza di diventare la versione migliore di noi stessi. Al contrario quello è il momento in cui la vita può finalmente cominciare."

Citazione di Josh Cohen ascoltata nella puntata "Liberi di non scegliere" della trasmissione radiofonica Zarathustra.

venerdì, marzo 05, 2021

CCCP e C.S.I. a Sanremo

Chi lo avrebbe mai detto che le canzoni di uno dei gruppi preferiti della mia tarda adolescenza sarebbero finite a Sanremo?

    
Mi sono davvero sorpreso quando ho sentito prima i Måneskin e Manuel Agnelli intonare “Amandoti” (versione originale - versione 2021), scritta nel 1987 da Giovanni Lindo Ferretti con musica di Massimo Zamboni; e poi Max Gazzé e Daniele Silvestri cantare “Del mondo” (versione originale - versione 2021)

A proposito, pure a qualcun altro viene la gastrite quando sente pronunciare venti-ventuno l'ano 2021?

A Sanremo un omaggio ai Cccp e ai Csi nella terza serata

lunedì, dicembre 28, 2020

Le dichiarazioni di Andrea Crisanti sul vaccino COVID19

Non credo che un virologo non potesse non immaginare che sarebbe finita così. E allora perché a novembre ha sentito quell’impellente necessità di rilasciare dichiarazioni che hanno confuso molti cittadini? 

19 novembre 2020: Andrea Crisanti: "Col primo vaccino a gennaio, senza dati, non mi vaccinerei"


Ecco un virgolettato della dichiarazione di Crisanti di novembre:
“Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio. Perché vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie”.

Mi pare una dichiarazione formalmente corretta da un punto di vista logico ma assolutamente priva di buon senso, perché non si stava parlando dell’Avigan né della clorochina dei complottisti. La dichiarazione riguardava vaccini che stavano seguendo tutte le procedure necessarie per ricevere l’approvazione dagli organi preposti.
Quindi un’implicazione con antecedente vero per definizione perché nessun vaccino può essere somministrato senza essere stato opportunamente testato e senza soddisfare tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Quello di Crisanti è stato quindi un esercizio di stile che ha avuto l’effetto di una dichiarazione ovvia per chi già sapeva come stavano le cose, e, invece, ha confuso la maggior parte dei cittadini che non sanno nulla delle procedure di approvazione dei farmaci.
Ne ho avuto la riprova con un’amica, non negazionista, né antivax, e di istruzione medio-alta, che, dopo aver sentito le dichiarazioni di Crisanti ha cominciato ad avere dubbi se vaccinarsi o meno.

giovedì, dicembre 17, 2020

La metafisica del populismo

Ieri ho finito di leggere Il colibrì. Nei ringraziamenti finali, Sandro Veronesi scrive:
"l’idea del conflitto tra verità e libertà proviene dalla lettura di un formidabile saggio di Rocco Ronchi intitolato Metafisica del populismo, pubblicato sulla rivista “Doppiozero” del 12 novembre 2018. È veramente una lettura illuminante, che tutti dovrebbero fare."

E allora ecco l'articolo illuminante:

Metafisica del populismo

Di cui qui riporto solo la conclusione.

"... Se tale è la metafisica del populismo, bisogna rettificare il giudizio che lo bolla di fascista e razzista. Il suo fascismo non è quello gentiliano dello stato etico ma quello mussoliniano del “me ne frego”. Il suo razzismo non è quello codificato, ideologico e, in un certo senso, ammantato da una pretesa cornice teorica del Mein Kampf, ma quello per così dire “estetico” del “non mi piacciono i negri, gli zingari, i froci ecc.”. Contro questo fascismo e contro questorazzismo sono però inefficaci gli appelli alla libertà razionale, alla terzietà del giudizio, al tribunale della ragione critica. La grande onda della cultura postmoderna ha contribuito a metterne in questioni i fondamenti. Lo ha fatto con le migliori intenzioni, credendo di assicurare all'umanità un futuro di libertà, ma il risultato è stato quello di dare armi teoriche al nemico. A forza di sospettare della verità, della verità non ne è infatti più nulla e a dominare la scena è ormai solo il diritto assoluto dell'uomo del sottosuolo a insorgere contro ogni verità. Per poter essere combattuta su tutti i campi (sociale, politico, istituzionale, giuridico, pedagogico), la battaglia antifascista deve perciò ritornare sul terreno metafisico nel quale si è generata la concezione moderna della libertà nella sua doppia versione, intellettuale ed esistenziale, libertà per la necessità e libertà dalla necessità. Come pensare, come praticare, come sperimentare “qui e ora”, in queste situazioni determinate, una libertà del terzo genere, una libertà che sia finalmente “reale” e non immaginaria come lo è quella dell'anarca populista?"

lunedì, giugno 15, 2020

Manifestazione contro il razzismo "Black Lives Matter" del 7 giugno a Piazza del popolo

Ieri, con un po' di ritardo, ho visto un servizio sulla manifestazione contro il razzismo "Black Lives Matter" del 7 giugno a Piazza del popolo.

Sono rimasto ammirato dalla compostezza, dalla dignità e dal contegno dei manifestanti.
Immagini e parole che riaccendono speranze e che ho trovato letteralmente commoventi.

"Black Lives Matter", manifestazione a Roma: Piazza del Popolo in ginocchio per George Floyd

giovedì, giugno 11, 2020

Che fare con le tracce scomode del nostro passato: abbattere o dibattere?

Mi è piaciuta molto la proposta che Igiaba Scego, riprendendo un'idea di Gianni Rodari, espone nel suo articolo Cosa fare con le tracce scomode del nostro passato.
Ne riporto qualche estratto.

A Roma il "passato di violenza e coercizione è ancora tra noi, vivo nello spazio urbano. È un passato che contamina il presente e che se non viene discusso può provocare danni alle generazioni future.
In occidente il dibattito sui monumenti con un portato storico “pesante” si apre ciclicamente, spesso dopo una qualche azione pubblica. Il dilemma è sempre lo stesso: rimuovere o non rimuovere quelle tracce funeste? Quale azione è più efficace?"

Dopo aver considerato il caso statunitense e quello europeo, Igiaba Scego discute il caso italiano.

"E gli abitanti di Roma? E quelli dell’Italia intera? Come si pone il nostro paese all’interno di questo dibattito? Prendiamo l’esempio della capitale. È chiaro che qui le tracce del fascismo non possono essere abbattute come una statue. Sono tracce della storia di questa città e di questo paese, in alcuni casi sono esempi di quell’architettura razionalista che, con il suo gioco di linee e sinuosità, ha realizzato monumenti di gran valore. Ma se non possono essere cancellate, cosa possiamo fare? Di certo sono tracce che non possono essere lasciate lì senza un dibattito e un lavoro intorno a loro. Alla vigilia delle Olimpiadi di Roma del 1960 Gianni Rodari scrisse per il quotidiano Paese Sera un pezzo dal titolo “Poscritto per il Foro”. Era sulle scritte al Foro Italico che inneggiano al fascismo, un’epoca ancora piuttosto recente nei tempi in cui Rodari firmava il suo articolo.

Si vogliono lasciare le scritte mussoliniane? Va bene. Ma siano adeguatamente completate. Lo spazio, sui bianchi marmi del Foro Italico, non manca. Abbiamo buoni scrittori per dettare il seguito di quelle epigrafi e valenti artigiani per incidere le aggiunte.
Per Rodari le aggiunte dovevano riguardare il dolore che il fascismo aveva inflitto. Un dolore che andava ricordato per non ripetere più un obbrobrio del genere. Completare quindi, per non soccombere. Un tentativo in questo senso è stato fatto nel 2019 quando il festival Short theatre ha svolto alcune delle sue attività anche nel palazzo che un tempo fu la Casa della gioventù italiana del littorio (Gil), restaurato dalla regione Lazio. Ideato nel 1933 dall’architetto Luigi Moretti, che allora aveva 26 anni, l’edificio è in puro stile razionalista ed è stato inaugurato nel 1937, l’anno dopo la conquista violenta dell’Etiopia, proprio per celebrare quella guerra sanguinaria.

Nel 2019 un collettivo di studiose postcoloniali e femministe formato da Ilaria Caleo, Isabella Pinto, Serena Fiorletta e Federica Giardini hanno, insieme agli organizzatori del festival, portato all’attenzione pubblica la problematicità del palazzo e soprattutto di una mappa esposta nel salone d’onore, un luogo di passaggio tra le palestre e i piani superiori, raggiungibili attraverso una scala di marmo. In quella raffigurazione, l’Africa è immensa e domina tutta la parete, ma è un continente vuoto, dove sono segnati solo i possedimenti italiani e si vede solo la M di Mussolini (insieme alla sua famosa frase “Noi tireremo dritto”), che sembra incombere sui territori occupati. Accanto alla mappa i nomi delle città conquistate dagli italiani: Adua, Adigrat, Macallè…

Cosa fare davanti a un tale sfoggio di fascismo coloniale? Quella mappa lascia interdetti per la sua ferocia, ma picconarla sarebbe un grande errore, perché solo osservandola si capiscono tante cose della nefasta visione che il fascismo aveva del mondo, soprattutto di quei popoli che erano malauguratamente finiti sotto il suo dominio. Quella mappa vuota ci parla ancora oggi delle violenze che si sono abbattute sui corpi dei colonizzati.

Il collettivo l’ha inondanda di frasi, proiettate o messe lì attraverso dei cartelli, e parallelamente ha organizzato dibattiti pubblici. Il vuoto è stato riempito con domande come: la mia pelle è un privilegio? Chi è civile? Chi è superiore? Gli italiani sono bianchi? Che lingua parlano i tuoi fantasmi? Dov’è la Somalia? Dov’è L’Etiopia? Dov’è l’Eritrea? Chi può parlare? La patria è donna? Perché questa mappa dell’Africa è vuota?

“Qui, per intervenire, una didascalia, non basta (…) fare memoria è un atto simbolico quanto materiale, e quindi politico, riportando sulla scena le relazioni tra quante rifiutano le narrazioni del colonizzatori. E il come è tutto da inventare”, hanno scritto le studiose.

La parola magica è relazione, ed è la parola che ha adottato il nuovo museo italo-africano nel quartiere Eur di Roma. Dedicato alla giornalista italiana Ilaria Alpi, uccisa in Somalia insieme all’operatore Miran Hrovatin nel 1994, il museo sta ancora archiviando i materiali che presenterà al pubblico nel 2021. Ma intanto ha creato una comunità dialogante di artisti, studiosi, studenti, insegnanti che di temi legati al colonialismo si sono sempre occupati. Perché solo una collettività transculturale (con origini diverse) può prendere queste tracce e reinventarle a seconda dei tempi e delle circostanze.

Il delicato dibattito sulle tracce del passato non va ridotto all’abbattimento o meno di statue e monumenti. A sdegni incrociati. A veti. A rabbie. Va tutto discusso e reso patrimonio comune. In questa storia non c’è giusto o sbagliato. Ci sono le relazioni. Il consiglio di Rodari, ovvero quello di completare quelle tracce, è sempre da tenere presente. Oltre a monumenti su cui discutere collettivamente – a Roma l’obelisco con la scritta Dux, a Parma la statua dedicata all’ufficiale ed esploratore Vittorio Bottego, sarebbe importante anche costruire monumenti riparativi. Ovvero dare dignità, anche monumentale e statuaria, a chi ha sofferto. Se i nostalgici della schiavitù a inizio novecento hanno progettato statue razziste, forse, soprattutto ora dopo la morte di George Floyd, anche qui in Italia è arrivata l’ora di costruire monumenti dedicati a schiavi, colonizzati, vittime del fascismo.

Una delle azioni decoloniali più recenti è stata quella del movimento Non una di meno, che ha versato una vernice rosa lavabile sulla statua di Indro Montanelli a Milano. Il giornalista, quando negli anni trenta era in Africa a comando di un battaglione di ascari, aveva con sé una bambina di dodici anni costretta al concubinaggio forzato. L’azione di Non una di meno voleva dare peso, con quella vernice rosa, alla sofferenza di quella lontana bambina colonizzata dell’Africa orientale e con lei a tutte le bambine che soffrono di abusi sessuali più o meno legalizzati nel mondo. Sarebbe bello che qualcuno, che sia uno street artist o un comune, dedicasse una statua, un disegno, un ricordo a quella bambina lontana. Perché hanno ragione Caleo, Pinto, Fiorletta, Giardini: “Una didascalia non basta”.

venerdì, aprile 24, 2020

La sventura ci renderà migliori?

In questo periodo circola il pensiero che la sventura collettiva ci renderà migliori. È un buon auspicio che spero si avveri.
Tuttavia, l’esperienza personale mi ha insegnato che la sventura può essere un’occasione, ma l’eventuale miglioramento non è automatico, scontato e indolore, come molti sembrano sottintendere. Implica impegno, elaborazione e introspezione.
Ammesso che questo parallelo tra pubblico e privato abbia una qualche validità, mi auguro che la nostra società sia pronta ad attraversare un tale processo di trasformazione.

sabato, aprile 18, 2020

La nuova app Immuni e le reti sociali

– Ho visto che sei molto attivo sulle varie reti sociali. Condividi notizie personali, partecipi a sondaggi in cui riveli il tuo orientamento politico, condividi molto notizie… a volte anche un po’ discutibili…
– Sì, non sono libero di farlo?
– Certo, certo. Però non so se hai sentito della storia di Cambridge Analytica. Raccoglievano i dati personali di milioni di utenti di Facebook e li usavano per spostare flussi elettorali. Addirittura la giornalista Carole Cadwalladr ha scoperto che Cambridge Analytica ha usato i dati di Facebook per spostare flussi determinanti di elettori nelle ultime elezioni americane e nel referendum sulla Brexit.
– Aha!
– Ma mi stai ascoltando?
– Sì, scusa. È che stavo partecipando a un sondaggio in cui mi chiedevano il parere sulla fase due per il COVID.

– A proposito, hai saputo che è quasi pronta Immuni? Una nuova app con cui si dovrebbero tracciare i movimenti dei contagiati da coronavirus? Farebbe sapere se siamo entrati in contatto con delle persone positive.
– E la dovremmo installare sui nostri cellulari?!
– Sì, ma non sarà lesiva della privatezza in quanto la si installerà solo su base volontaria. A queste condizioni persino il garante l’ha approvata. Infatti usa il bluetooth e non la geolocalizzazione come molte delle app che probabilmente usi e che, sostanzialmente, rendono nota ogni istante la posizione in cui ti trovi.
– Sveglia!!! Questo maledetto governo vuole controllarci! Ci toglie la libertà! Siamo al grande fratello! Siamo alla dittatura! Liberticidiiii!!!

venerdì, aprile 17, 2020

La fallacia dell’argomento che i fondi europei covid19 favoriranno le mafie italiane: Saviano torna sul tema

Dopo aver risposto a Die Welt ("Meno soldi arriveranno all'Italia dall'Ue, più potere avranno le mafie") Saviano, uno dei massimi esperti in fatto di mafie e relativi investimenti, scrive un articolo sul settimanale Die Zeit.
"Se la nostra economia non sarà sostenuta, ne beneficieranno le mafie: e il problema non riguarderà solo noi ma tutta l'Europa"
Ne riporto alcuni brani.

"L'errore più grave che i cittadini tedeschi possano commettere oggi è credere che gli aiuti economici ai Paesi più devastati dal Covid-19 siano risorse saccheggiate alla propria ricchezza; sono, al contrario, la messa in sicurezza della propria economia che, anche se tedesca, è indivisibile dalla condizione delle economie di tutti gli Stati membri. L'errore in cui l'opinione pubblica e la politica tedesche possono incorrere in queste ore è credere che gli aiuti all'economia italiana siano un regalo alle organizzazioni mafiose. Errore madornale.

Un articolo di qualche giorno fa del quotidiano Die Welt descriveva le mafie italiane in attesa della pioggia di euro che l'Europa sta discutendo se versare o meno all'Italia e ad altri Paesi in difficoltà: peccato che questa sia una posizione profondamente ingenua, perché le organizzazioni criminali si insinuano laddove la struttura economica legale entra in crisi e si trova in affanno. ...

Alle aziende prosciugate dalla crisi del Covid-19 le mafie offriranno la loro liquidità per ripartire: soldi in cambio di quote societarie o addirittura dell'intera società, che magari continuerà a mantenere ufficialmente la stessa proprietà, ma svuotata di ogni potere, perché a decidere e gestire saranno i clan. E quando un clan entra in un'azienda, finisce per inquinare tutto il mercato, perché quell'azienda - sostenuta da capitali criminali di origine illecita - potrà permettersi di offrire prezzi competitivi che le aziende sane non possono permettersi: questo annienterà la concorrenza, falserà il mercato, ucciderà l'economia pulita. E questo rischia di accadere non solo in Italia, ma anche - e soprattutto - in Germania.

I soldi delle organizzazioni criminali si trovano negli scrigni europei - a Londra, in Lussemburgo, in Liechtenstein, a Malta, ad Andorra, solo per citarne alcuni. I soldi lì depositati si trasformano in hotel, resort, ristoranti, negozi, imprese in ogni settore e in ogni luogo. Non penserete davvero che le organizzazioni si fermino all'interno dei confini italiani! Sarebbe una colpevole ingenuità crederlo. ...

La Germania è una delle nazioni con maggiore opacità del proprio sistema finanziario, è un luogo dove è molto facile nascondere denaro. Il Tax Justice Network (autorevole gruppo internazionale indipendente) ogni anno stila il Financial Secrecy Index, una classifica dei Paesi in base al loro grado di segretezza e alla portata delle loro attività finanziare offshore: ebbene, in un elenco guidato dalle Cayman Islands, la Germania si piazza al 14° posto, scalzando addirittura giurisdizioni come Panama e Jersey, classificati rispettivamente al 15° e al 16° posto. Uno studio del 2015 a cura del Prof. Kai Bussmann, collocava la cifra del riciclaggio in Germania attorno ai cento miliardi di euro annui. Da allora sono passati cinque anni e, studiando gli affari criminali internazionali, possiamo ipotizzare che le somme siano aumentate.

Insomma, quello che vorrei poter dire a gran voce ai tedeschi, è che nel loro Paese c'è presenza mafiosa esattamente come in Italia, in Albania, in Serbia, o in Messico, ma non avere le diottrie giuste per l'analisi costringe a misurare il fenomeno mafie solo seguendo il sangue. In Germania si registrano molti meno omicidi di stampo mafioso rispetto all'Italia, e per questa ragione i tedeschi si credono al riparo. Non è così. Le organizzazioni mafiose sul territorio tedesco sono molto numerose e varie. La Germania è sempre stata l'El Dorado delle mafie.

Dal Report sulla Situazione Internazionale del Crimine Organizzato 2018 stilata dal Bundeskriminalamt le persone indagate risultano di ben 90 nazionalità diverse. Il numero vi stupisce? Forse c'è un motivo al vostro stupore, e voi non ne avete responsabilità: in Germania il reato di associazione mafiosa non esiste. Perseguire un clan a Monaco si rivela molto più difficile rispetto a perseguire lo stesso clan a San Luca d'Aspromonte, per cui un mafioso in Calabria può essere considerato un rispettabile imprenditore in Baviera. Inoltre, anche la normativa antiriciclaggio tedesca continua ad essere all'atto pratico molto debole nonostante l'adozione delle nuove direttive europee. L'azione di contrasto alle mafie è affidata prevalentemente all'associazionismo, con movimenti come Mafia? Nein danke!, che sopperiscono anche a un'informazione sul crimine organizzato che in Germania è molto carente per via di rigide leggi sulla tutela dei diritti della personalità e di un codice della stampa che spesso si trasforma in censura. Se la Germania adottasse una vera ed efficace legislazione antimafia, porrebbe al centro del suo dibattito anche i flussi di denaro criminale che la affliggono. Ora è tutto sott'acqua da anni, da troppi anni.

Abbiamo bisogno di una politica comune di contrasto per difenderci tutti. Se non organizziamo una tenuta forte dell'Europa l'economia tedesca verrà divorata. Come? Semplice: le aziende oneste soccomberanno inesorabilmente nello scontro concorrenziale con aziende che invece possono contare su alleati criminali. Lo so, state pensando che queste storie non vi riguardino direttamente, ma riguardino solo dei delinquenti stranieri che vi sono entrati accidentalmente in casa. Altra totale fesseria. Ad usare i capitali mafiosi sono le piattaforme finanziarie tedesche e una parte della borghesia tedesca che si rende partecipe di tutto questo. Ma allo stesso tempo, chi paga per questo flusso mafioso che sta alterando gli equilibri economico-sociali in Germania? I cittadini tedeschi.

Cari tedeschi, siamo sullo stesso fronte, dovete decidere da che parte stare. Con o contro i poteri criminali? Volete che la Germania sia una loro piattaforma? Sto già immaginando un'altra vostra domanda: ma se le mafie hanno sempre saccheggiato risorse pubbliche, perché non dovrebbe accadere in questo caso? Certo, i clan proveranno sempre a infiltrarsi negli appalti pubblici. Lo fanno in diversi modi: corrompendo i politici, i quali poi fissano i parametri dell'appalto su misura per quella determinata azienda mafiosa e ne facilitano la vincita; giocando al ribasso, ossia proponendo prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato e quindi più bassi rispetto a quelli che le aziende concorrenti potrebbero mai offrire, tanto all'impresa mafiosa quell'appalto non serve per guadagnare ma solo per ripulire denaro già guadagnato con attività illecite; infine, con la forza dell'intimidazione, per cui le imprese sane hanno paura a partecipare alle gare in cui si presentano anche imprese mafiose e quindi lasciano a loro libero il campo. La soluzione a queste dinamiche malate, però, non è bloccare tutti gli appalti e i fondi pubblici, ma permettere alle aziende sane di essere protette.

La lotta per l'Europa unita è ancora lunga, ma i destini dei suoi Stati sono già annodati e si realizzeranno soltanto insieme. In questo momento l'Europa è sotto attacco, non solo da parte del Covid-19 ma anche della sfiducia di tanti suoi cittadini: i movimenti antieuropeisti, dopo aver sputato a lungo sull'Unione, ora le chiedono un aiuto e vedono nella titubanza della politica nordica e nell'ostilità di certa stampa tedesca la conferma che l'Europa è matrigna; di contro, in Germania l'eventualità di un ennesimo aiuto economico ai Paesi meridionali viene visto come tradimento dell'Europa, che usa risorse tedesche per risolvere problemi che si considerano estranei. Bisogna tenere conto di un fatto oggettivo, però: la pandemia non è un problema italiano e sarebbe un errore imputare la situazione critica in cui ci troviamo solo all'incapacità degli italiani di costruirsi una stabilità economica. Nessuno qui sta implorando la Germania e il suo popolo, qui ci si sta guardando negli occhi: noi non siamo in guerra, non siamo quindi fronti che devono negoziare armistizi, la metafora bellica utilizzata con la pandemia è del tutto sbagliata, presuppone confini, battaglie, soldati e generali. Noi qui dobbiamo allearci contro il virus e provare a curarci a vicenda, la cura presuppone comprensione, dialogo e direzione comune non per vincere ma per guarire. O guariremo insieme o non si salverà nessuno.

Roberto Saviano: "Cari tedeschi, ecco perché bisogna aiutare l'Italia nella lotta al virus"