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lunedì, settembre 29, 2014

La matematica degli Hindu: Aryabhata, Brahmagupta, Mahāvīra, Bhāskara, numeri negativi e irrazionali

Nella precedente puntata abbiamo abbiamo visto che la matematica hindu sarebbe diventata significativa solo dopo essere stata influenzata dai risultati greci producendo quello che viene indicato come il secondo periodo della matematica hindu, che va dal III al XIII sec. d.C. I matematici più importanti di questo secondo periodo della matematica hindu sono Aryabhata, Brahmagupta, Mahāvīra  e Bhāskara. E la maggior parte della loro opera era motivata dall'astronomia e dall'astrologia.
Abbiamo anche visto che intorno al III sec. a.C. cominciano a comparire i simboli numerici brahmanici e che, presumibilmente, intorno al IV sec. d.C. nasce l'uso dello zero posizionale. E tale uso determinò lo sviluppo del sistema numerico posizionale hindu in base 10,
da cui deriva il nostro moderno sistema di numerazione. Ma è solo intorno al 600 che la notazione posizionale in base 10, che era stata usata sporadicamente per circa un secolo, entrò nell'uso comune.1
 E, in questo contesto, a differenza di quanto era stato fatto fino a quel momento, lo zero cominciò a essere trattato come un qualsiasi altro numero. E, nel sec. IX d.C., Mahāvīra arrivò a definire le quattro operazioni per lo zero. Seppure, nel caso della divisione, egli disse che un numero diviso per 0 rimane inalterato. Ma vedremo che, più tardi, un altro matematico hindu cambierà quella definizione.
Presto gli Hindu cominciarono anche a usare una notazione simile a quella attuale per rappresentare le frazioni. Usavano disporre numeratore e denominatore uno sopra all'altro ma senza la nostra linea. Ed essi furono anche i primi ad introdurre i numeri negativi. Li introdussero per rappresentare i debiti.
Il primo uso noto lo si trova in Brahmagupta (598 d.C. – 668 d.C.) e risale al 628 circa. Nello stesso contesto Brahmagupta enuncia anche le regole per le quattro operazioni con i numeri negativi. Ma non vengono mai date definizioni, assiomi o teoremi. Brahmagupta si pone anche il problema della radice quadrata di un numero negativo. E lo risolve dicendo semplicemente che la radice quadrata non esiste, visto che un numero negativo non può essere un quadrato.


La nuova definizione di un numero diviso per 0 arrivò invece solo nel XII sec d.C. con Bhāskara II (1114 – 1185). Egli affermò infatti che una frazione con denominatore 0 rimane inalterata quale che sia la quantità che le si aggiunga o sottragga. E chiamò tale frazione una quantità infinita.
Ma Bhāskara non fece solo questo. Come ci dice wikipedia, Bhāskara "rappresenta il culmine della conoscenza matematica e astronomica del XII secolo in ambito mondiale." E il lavoro di Bhāskara relativo al calcolo infinitesimaleanticipa Newton e Leibniz di oltre mezzo millennioInfatti si può affermare, con una discreta certezza, che Bhāskara fu propabilmente il primo a concepire l'idea del calcolo infinitesimale. Inoltre Bhāskara, seppure dopo un paio di secoli ripetto agli Islamici, anche se indipendentememnte da loro, cominciò anche a usare le operazioni con i numeri irrazionali. Ma, così come avevano gia fatto gli Islamici, senza fornire delle basi teoriche. Si abituò semplicemente a trattare le grandezze irrazionali in modo simile a come trattava i numeri interi.
E Bhāskara fu anche bravo a disegnarla la matematica.
Infatti, come ci ricorda anche .mau. in "Quando una “dimostrazione” è una dimostrazione?" e in "Il teorema di Pitagora", Bhāskara produsse una sorta di dimostrazione grafica del celeberrimo teorema.
Ma, tornando al discorso dei matematici Islamici, possiamo aggiugere che, come riportato dallo storico al-Qifti (1172 – 1248), intorno all'VIII sec. d. C. gli Islamici vennero a conoscenza di buona parte della matematica hindu. E quindi anche del sistema numerico posizonale in base dieci e dello zero. In particolare, Al-Khwārizmī (محمد خوارزمی Corasmia o Baghdad, 780 circa – 850 circa) scrisse un libro sul calcolo con i numeri hindu intorno all'825, e Al-Kindi scrisse quattro volumi sull'uso dei numeri hindu (كتاب في استعمال العداد الهندي [kitāb fī isti'māl al-'adād al-hindī]) intorno all'830. Tuttavia, tali opere descrivevano ma non usavano il sistema numerico hindu. Il primo a usarlo fu Al-Uqlidisi nel libro Kitāb al-Fuṣūl fī 'l-ḥisāb al-hindī ("Il Libro delle Parti nel calcolo indiano") scritto intorno al 952.1

mercoledì, luglio 29, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 14: Omar Khayyám e altri risultati della matematica islamica

Nella puntata precedente abbiamo visto come i matematici islamici introdussero nuova metodologia algebrica che reincorporava, almeno da un punto di vista pratico, l'idea pitagorica (Tutto è Numero) ed unificava numeri razionali, numeri irrazionali, e grandezze geometriche trattando tutte queste entità in gioco come "oggetti algebrici".

Dicevamo inoltre che un altro matematico islamico illustre, il cui contributo allo sviluppo della Matematica è forse paragonabile a quello di al-Khwārizmī è Omar Khayyám (Nīshāpūr 1048 – 1131 d.C.).


Omar Khayyám scrisse un libro sull'Algebra che estendeva i risultati dell'Al-Jabr di al-Khwārizmī includendo le equazioni di terzo grado. Per tali equazioni però Omar Khayyám fornì solamente soluzioni basate su metodi geometrici (intersezioni di coniche) credendo erroneamente che fosse impossibile trovare soluzioni basate su metodi aritmetici.
Soluzioni basate su metodi aritmetici vennero trovate quasi mezzo millennio dopo dal matematico italiano Scipione Dal Ferro. Anche se Niccolò Tartaglia, e Girolamo Cardano inscenarono un'accesa, patetica e gretta controversia per accaparrarsi la paternità dei metodi risolutivi.

Omar Khayyám fu anche un grande precursore dei tempi in campo geometrico. Un altro suo grande risultato consistette infatti nel primo tentativo di formualzione di un postulato non-Euclideo come alternativa al quinto postulato Euclideo sulle parallele. Questione che venne definitivamente risolta in Europa solo nel XIX sec. prevalentemente ad opera di Gauss e Riemann.
In qualche modo quindi Omar Khayyám, anche se un po' inconsapevolmente, fu il primo a considerare le Geometrie non-Euclidee. In particolare la Geometria ellittica e quella iperbolica, anche se Khayyám escluse la seconda.

Tra le altre curiosità della matematica islamica che andrebbero citate c'è sicuramente l'origine dell'uso del simbolo x come variabile incognita.
Parrebbe che questo uso si possa far risalire all'uso della parola araba “šay'” (شيء ), che significa “cosa”, nei testi di Algebra islamici (anche in Al-Jabr) a significare appunto "variabile incognita".
Tale parola entrò quindi nelle traduzioni in Spagnolo con la pronuncia “šei”, che veniva translitterata in “xei” e che presto venne abbreviata con una “x”.

Un altro primato che va anche citato è quello dell'uso per la prima volta della dimostrazione per induzione.
La prima occorrenza nota di tale metodo si trova nell'opera al-Fakhri, scritta intorno all'anno 1000 da Al-Karaji. Il metodo viene usato per dimostrare sequenze aritmetiche com il triangolo di Tartaglia.

Dalla prossima puntata abbandoneremo i matematici islamici per spostarci di nuovo verso l'Europa cristiana.

Indice della serie

giovedì, luglio 09, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 13: i matematici islamici, l'Algebra e il ritorno di Pitagora

Nella puntata precedente abbiamo visto che il lavoro di al-Khwārizmī sulle equazioni algebriche portò alla nascita di un'opera che sarebbe divenuta un punto di riferimento per lo sviluppo dell'algebra moderna.

Stando a quello che J. J. O'Conner e E. F. Robertson scrivono nel MacTutor History of Mathematics archive, forse uno dei progressi più significativi dei matematici islamici fu proprio l'introduzione e lo sviluppo di una loro metodologia algebrica. Questo nuovo approccio algebrico rappresentava un nuovo rivoluzionario spostamento dalla concezione greco-platonica della Matematica, che era essenzialmente geometrica. La nuova metodologia algebrica reincorporava, almeno da un punto di vista pratico, l'idea pitagorica (Tutto è Numero) ed unificava numeri razionali, numeri irrazionali, e grandezze geometriche trattando tutte queste entità in gioco come "oggetti algebrici". Si potrebbe quindi a posteriori attribuire ai matematici islamici (un po' arbitrariamente) il motto ottenuto da una parafrasi di quello pitagorico: Tutto è Algebra.

I matematici islamici furono quindi i primi a trattare nella pratica i numeri irrazionali come oggetti algebrici. Anche se una vera giustificazione teorica rigorosa di tale prassi la troverà Dedekind diversi secoli dopo.
Ma come riuscirono a mettere in pratica ciò che non era riuscito ai pitagorici ? Beh, da un punto di vista puramente tecnico-sintattico non fecero nulla di eccezionale: accettarono semplicemente l'idea che anche le grandezze irrazionali, come la misura della diagonale del quadrato, potessero essere trattate alla stregua degli altri Numeri. Estesero quindi le operazioni aritmetiche alle grandezze irrazionali e si accorsero che le cose funzionavano. Visto a posteriori non sembra nulla di eccezionale; ma nella realtà tale idea impresse un fortissimo impulso al progresso della Matematica: il solito Uovo di Colombo.
A questo punto non posso esimermi dal compiere un enorme balzo in avanti nel tempo e citare John von Neumann, matematico del '900, tanto grande quanto moralmente discutibile:

"Young man, in mathematics you don't understand things. You just get used to them." (*)
"Ragazzo, nella Matematica le cose non si capiscono. Semplicemente ci si abitua ad esse."

Frase pronunciata in risposta ad un suo studente che chiedeva spiegazioni.

Quindi i matematici islamici semplicemente si "abituarono" a considerare e a trattare le grandezze irrazionali allo stesso modo dei numeri razionali.
La nuova metodologia algebrica risolveva quindi quella che era stata la causa del crollo del modello pitagorico. Voi mi direte, ma anche l'approccio platonico-euclideo risolveva la lacuna pitagorica. Sì, ma quello implicava un'interpretazione dei concetti numerici in un modello puramente geometrico. Il modello degli Islamici era invece puramente numerico.

Oltre ad al-Khwārizmī altri due nomi che vanno necessariamente citati per i loro contributi al nuovo approccio algebrico sono quelli di Abū Kāmil (850 d.C. – 930) e al-Karkhi (953 d.C. Karaj – 1029)

In particolare di Abū Kāmil Shujā ibn Aslam (c. 850 – 930), matematico egiziano, si può dire che sia stato il primo ad accettare i numeri irrazionali (spesso nella forma di radice quadrata, cubica o quarta) come soluzioni di equazioni quadratiche e come coefficienti di equazioni.
Il matematico iracheno Al-Hashimi, invece, nel X sec. fornì dimostrazioni di carattere algebrico per i numeri irrazionali e usò le quattro operazioni su quei numeri.

Un altro matematico islamico illustre, il cui contributo allo sviluppo della Matematica è forse paragonabile a quello di al-Khwārizmī è Omar Khayyám.
Ma questo lo vedremo nella prossima puntata.

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giovedì, giugno 25, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 12: Al-Khwārizmī

Dicevamo quindi che nelle prime fasi dell'apprendimento e dello sviluppo della Matematica gli Islamici attinsero molto ai risultati delle grandi culture che li precedettero: ovviamente da quella greca, ma anche da quella indiana e babilonese; e che fu proprio grazie alle traduzioni dei lavori dei matematici indiani effettuate dai matematici islamici che in Europa si cominciò a diffondere il sistema numerico indù che andò lentamente sostituendo gli scomodi sistemi numerico-alfabetici romano e greco.
Abbiamo anche visto che un altro grande dono dei matematici indiani veicolatoci dai matematici islamici fu lo Zero.

Il più celebre tra i matematici islamici è sicuramente Al-Khwārizmī
(محمد خوارزمی Corasmia o Baghdad, 780 circa – 850 circa).

Produsse risultati rilevanti in diversi campi del sapere matematico-scientifico, come la trigonometria, l'astronomia/astrologia, la geografia e la cartografia.

Il suo nome però è inestricabilmente legato agli algoritmi e all'Algebra.
Le stesse parole "algoritmo" (o "algorismo") e "algebra" derivano rispettivamente da Algoritmi, la latinizzazione del suo nome, e dal nome del suo libro al-Kitāb al-mukhtasar fī hisāb al-jabr wa 'l-muqābala (الكتاب المختصر في حساب الجبر والمقابلة), scritto verso l’825 e tradotto in latino nel XII secolo con il titolo “Algoritmi de numero Indorum”, che fu forse la prima opera completa sul sistema di numerazione indo-arabico. Grazie a questa traduzione tale sistema di numerazione, che introduceva anche il numero zero, si diffuse nel Vicino e Medio Oriente e successivamente in Europa.

Girolamo Cardano, nel suo Ars Magna, considera al-Khwārizmī addirittura il creatore dell'algebra.
Fu solo nel secondo decennio del XVII secolo, soprattutto grazie alla famosa traduzione in latino di Bachet (1621) dell'"Arithmetica" di Diofanto - come abbiamo già visto la prima traduzione fu di un italiano, Raffaele Bombelli, nel 1570, ma non venne mai pubblicata
- che si cominciò ad essere consapevoli anche del grande contributo di Diofanto allo sviluppo dell'Algebra.

Oggi si sa che abbozzi di metodi algebrici erano già presenti nella matematica babilonese e in quella egiziana nel II millennio a.C.

Ciò non toglie importanza al lavoro di al-Khwārizmī che raccolse materiale dalle tradizioni greca, indiana e siriaco-mesopotamica, ampliò il lavoro di Brahmagupta e di Diofanto sulle equazioni algebriche e compilando così un'opera che divenne un punto di riferimento per lo sviluppo dell'algebra moderna.

La sua opera (al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa-al-muqābala) si diffuse in Europa grazie soprattutto alle traduzioni in latino di Roberto di Chester a Segovia (con il titolo Liber algebrae et almucabala), nel 1145, e quella di Gerardo da Cremona.

Nella prossima puntata parleremo degli ulteriori sviluppi dell'algebra presso i matematici islamici.

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mercoledì, maggio 27, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 11: la Matematica Islamica

Dicevamo quindi che con la caduta dell'Impero romano d'Occidente era cominciato quel declino culturale che sarebbe durato diversi secoli; e la distruzione della Biblioteca di Alessandria fu un altro duro colpo che inflisse un'accelerazione a tale declino.
Un nuovo polo del sapere matematico (e non solo) venne però a ricostituirsi più di un secolo dopo la caduta della Biblioteca presso la cultura araba.

Per tutto il primo secolo dell'Impero Arabo Islamico i nuovi conquistatori, troppo impegnati a combattere, non avevano ancora acquisito gli strumenti intellettuali necessari a produrre risultati scientifici o matematici.

Fu solo nella seconda metà dell'ottavo secolo che il mondo islamico ebbe quel risveglio culturale che permise l'inizio delle ricerche matematico-scientifiche.

Si racconta che Aristotele sia comparso in sogno al califfo Abbaside Al-Ma'mun (786-833) e che in seguito a tale apparizione onirica il califfo abbia disposto che si traducessero in Arabo tutti i volumi greci che erano sopravvissuti alla distruzione.

Nella realtà gli Islamici furono forse spinti verso la ricerca matematica soprattutto da motivazioni un po' più prosaiche; e cioè dalla ricerca di soluzioni per l'applicazione della complicata legge islamica per l'assegnazione delle eredità, attraverso la quale svilupparono soprattutto l'Algebra; e dai tentativi di determinare quando cadessero esattamente le festività islamiche basate sulle fasi lunari, attraverso i quali svilupparono soprattutto la Trigonometria. Vorrei sottolineare che il calendario islamico pur se basato sulle fasi lunari è molto più complicato del calendario lunare.

AnimazioneQuali che fossero le motivazioni, sembra comunque che gli Islamici si sarebbero impegnati così diligentemente nell'attuazione della disposizione del califfo Al-Ma'mun che che quando l'Impero bizantino chiese un trattato di pace se lo sarebbero fatto pagare con volumi greci molti dei quali erano sopravvissuti alla distruzione della Biblioteca d'Alessandria.
Fortunatamente tra i volumi tradotti ci furono anche gli Elementi di Euclide.

Molti di questi volumi greci, tra i quali anche Gli Elementi, furono tradotti da Thābit ibn Qurra (826-901).

Nelle prime fasi dell'apprendimento e dello sviluppo della Matematica gli Islamici attinsero molto dai risultati delle grandi culture che li precedettero: ovviamente da quella greca, ma anche da quella indiana e babilonese.

Infatti, oltre a ai lavori di Euclide, Apollonio, Archimede e Diofanto, vennero acquisiti, tradotti e incorporati nella Matematica islamica anche i lavori di Āryabhaṭa (Devanagari: आर्यभट; Ashmaka, 476 – 550) e Brahmagupta(ब्रह्मगुप्त) (598 – 668).

Fu proprio grazie alle traduzioni dei lavori dei matematici indiani effettuate dai matematici islamici che in Europa si cominciò a diffondere il sistema numerico indù che andò lentamente sostituendo gli scomodi sistemi numerici romano e greco che rendevano complicate anche le operazioni più semplici.

Il sistema numerico indù, spesso anche denominato un po' impropriamente sistema numerico arabo, è il sistema numerico che abbiamo ancora attualmente in uso.
Un altro grande dono dei matematici indiani veicolatoci dai matematici islamici fu lo Zero.
Si suppone che i Maya siano stati i primi ad usare lo Zero posizionale nel loro sistema di numerazione a base vigesimale. Il Brahmasphuta Siddhānta di Brahmagupta costituisce però la fonte più antica conosciuta a trattare lo Zero come un numero a tutti gli effetti.

Con il tempo, le inclinazioni dei matematici islamici si sarebbero spostate verso l'esposizione deduttiva dei Greci preferendola agli ellittici versi sanscriti degli Indiani.

Nella prossime puntate parleremo di alcuni matematici arabi ed in particolare del più celebre tra essi.

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lunedì, maggio 18, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 10: riepilogo, monoteismo Egizio e matematici arabi

Breve riepilogo delle puntate precedenti:

Abbiamo visto che nel V sec. a.C. il fulcro del sapere matematico era in Calabria, a Crotone: la sede della scuola pitagorica; e che i pitagorici avevano basato il loro modello del cosmo sull'Aritmetica.

Pitagora però, prima di approdare definitivamente a Crotone e spendere lì i suoi ultimi 4 decenni di vita, aveva lasciato la sua isola natìa di Samo per viaggiare in cerca di sapere e conoscenza. Era approdato in Egitto e aveva trascorso lì qualche anno ed in seguito si era spostato a Babilonia. Nei suoi prima 40 anni di vita era quindi riuscito ad entrare in contatto diretto con le tre grandi colonne portanti del sapere di allora: il mondo ellenico, l'Egitto e Babilonia.
Questo almeno secondo quello che Giamblico scriveva circa otto secoli dopo la morte di di Pitagora. Come si può facilmente immaginare non è dato sapere dove finisca la realtà e dove cominci la leggenda.

Durante il viaggio in Egitto Pitagora dovette sicuramente entrare in contatto con la teologia del monoteismo Egizio.
Se ne rivelano infatti varie tracce nella "teologia" pitagorica che asseriva che il mondo era stato creato per mezzo dei Numeri.

Il concetto proveniva appunto dalla teologia del monoteismo Egizio: il creatore crea il mondo per mezzo della Parola, del Logos, della Logica. Nella teologia pitagorica la Parola egizia si trasforma in Numero: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è il Numero.

In principio erat Verbum - Εν αρχη ην ο Λογος

Mentre nella teologia cristiana la Parola egizia si trasformerà in Cristo: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è Cristo.
Quindi l'incipit del Vangelo di Giovanni, scritto 6-7 secoli dopo Pitagora, tradotto in Termini Pitagorici sarebbe stato:

In principio era il Numero
E il Numero era presso Dio
E il Numero era Dio


Sul tema della "teologia" pitagorica, mutuata da quella del monoteismo Egizio, vorrei fare una breve digressione.

Comunemente si tende probabilmente a pensare che il concetto di monoteismo sia nato in Israele con la religione ebraica.
La realtà potrebbe essere diversa: sembrerebbe che il monoteismo Egizio sia ben più antico del monoteismo ebraico. Anzi secondo alcuni il monoteismo ebraico sarebbe nato proprio durante la "cattività egiziana" del popolo ebraico e non sarebbe altro quindi che uno sviluppo del monoteismo Egizio.

Addirittura, secondo l'ipotesi di Freud esposta nel suo ultimo lavoro: "L'uomo Mosè e la religione monoteistica", Mosè avrebbe fatto parte della classe dirigente egizia ed egli stesso sarebbe stato un egizio.
La vicenda di Mosè si sarebbe svolta intorno all'anno 1350 a.C. durante il regno di Amenofi IV che condusse la rivoluzione monoteista nell'antico Egitto abolendo il politeismo. Egli stesso cambiò il suo nome in Akhenaton essendo Aton il dio unico.

Sarebbe stato a causa di una reazione che volle imporre in Egitto una controriforma di segno politeistico che avrebbe avuto inizio la storia del nuovo popolo di Mosè, fondato da chi non volle sottomettersi alla restaurazione del politeismo e che fu quindi costretto a fuggire dall'Egitto in cerca di una nuova terra per poter professare liberamente il nuovo credo monoteista. Terra promessa che dopo l'attraversamento del deserto fu trovata in Palestina.

Ma torniamo al riassunto delle puntate precedenti.
Abbiamo visto che in seguito ad un crollo logico-mistico-filosofico della scuola pitagorica - ma anche in seguito fisico, visto che la scuola venne bruciata - il modello pitagorico del cosmo basato sull'Aritmetica venne abbandonato e rimpiazzato con il modello di cosmo di Platone, basato sulla geometria.

Abbiamo anche visto che dopo la distruzione definitiva della Biblioteca di Alessandria in seguito alla conquista islamica dell'Egitto del 639 d.C. da parte del secondo califfo dell'Islam Omar ibn al-Khattāb, alcuni volumi custoditi nella Biblioteca sopravvissero: sia rimanendo in loco che venendo trasportati a Bisanzio; e che i primi vennero tradotti un paio di secoli dopo dagli Arabi, che nel frattempo si erano oramai evoluti e acculturati; e che fu proprio grazie a loro che molte di quelle opere, tradotte in seguito in latino, sono pervenute fino ai nostri giorni.

Circa un secolo e mezzo prima della distruzione della Biblioteca, inoltre, con la caduta dell'Impero romano d'Occidente era cominciato quel declino culturale che sarebbe durato diversi secoli; e la distruzione della Biblioteca di Alessandria fu un altro duro colpo che inflisse un'accelerazione a tale declino.
Un nuovo polo del sapere matematico (e non solo) venne però a ricostituirsi più di un secolo dopo la caduta della Biblioteca presso la cultura araba.

I matematici arabi ebbero il vantaggio di trovarsi in una posizione geografica che gli permetteva di accedere a tre grandi fonti di cultura: quella greca, quella babilonese e quella indiana.
Essi contribuirono alla disciplina con notevoli risultati, funzionando a volte come ponte culturale tra l'India e l'Europa e a volte come anello di congiunzione sintetica.

Nella prossime puntate parleremo dei matematici arabi ed in particolare del più celebre tra essi.

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