Un diario con divagazioni su varie mie passioni. Tra le quali la musica, la matematica, la scrittura, la cucina, i viaggi, la Germania e i balli popolari del centro-sud Italia.
Nella puntata precedente abbiamo visto come i matematici islamici introdussero nuova metodologia algebrica che reincorporava, almeno da un punto di vista pratico, l'idea pitagorica (Tutto è Numero) ed unificava numeri razionali, numeri irrazionali, e grandezze geometriche trattando tutte queste entità in gioco come "oggetti algebrici".
Dicevamo inoltre che un altro matematico islamico illustre, il cui contributo allo sviluppo della Matematica è forse paragonabile a quello di al-Khwārizmī è Omar Khayyám (Nīshāpūr 1048 – 1131 d.C.).
Omar Khayyám scrisse un libro sull'Algebra che estendeva i risultati dell'Al-Jabr di al-Khwārizmī includendo le equazioni di terzo grado. Per tali equazioni però Omar Khayyám fornì solamente soluzioni basate su metodi geometrici (intersezioni di coniche) credendo erroneamente che fosse impossibile trovare soluzioni basate su metodi aritmetici.
Soluzioni basate su metodi aritmetici vennero trovate quasi mezzo millennio dopo dal matematico italiano Scipione Dal Ferro. Anche se Niccolò Tartaglia, e Girolamo Cardano inscenarono un'accesa, patetica e gretta controversia per accaparrarsi la paternità dei metodi risolutivi.
Omar Khayyám fu anche un grande precursore dei tempi in campo geometrico. Un altro suo grande risultato consistette infatti nel primo tentativo di formualzione di un postulato non-Euclideo come alternativa al quinto postulato Euclideo sulle parallele. Questione che venne definitivamente risolta in Europa solo nel XIX sec. prevalentemente ad opera di Gauss e Riemann.
In qualche modo quindi Omar Khayyám, anche se un po' inconsapevolmente, fu il primo a considerare le Geometrie non-Euclidee. In particolare la Geometria ellittica e quella iperbolica, anche se Khayyám escluse la seconda.
Tra le altre curiosità della matematica islamica che andrebbero citate c'è sicuramente l'origine dell'uso del simbolo x come variabile incognita.
Parrebbe che questo uso si possa far risalire all'uso della parola araba “šay'” (شيء ), che significa “cosa”, nei testi di Algebra islamici (anche in Al-Jabr) a significare appunto "variabile incognita".
Tale parola entrò quindi nelle traduzioni in Spagnolo con la pronuncia “šei”, che veniva translitterata in “xei” e che presto venne abbreviata con una “x”.
Un altro primato che va anche citato è quello dell'uso per la prima volta della dimostrazione per induzione.
La prima occorrenza nota di tale metodo si trova nell'opera al-Fakhri, scritta intorno all'anno 1000 da Al-Karaji. Il metodo viene usato per dimostrare sequenze aritmetiche com il triangolo di Tartaglia.
Dalla prossima puntata abbandoneremo i matematici islamici per spostarci di nuovo verso l'Europa cristiana.
Dalla piazza del municipio raggiungiamo il punto d'imbarco per Bygdøy, penisola della zona ovest di Oslo dove sorgono numerosi ed interessanti musei a tema soprattutto marittimo.
Lo stato di conservazione delle navi è stpufacente. Il motivo principale di tale ottima conservazione risiede sicuramente nel fatto che esse furono usate come bare e vennero quindi totalmente interrata insieme alle salme e al corredo funerario dei propri propietari. Le imbarcazioni furono ritrovate nella loro interezza, ma la pressione costante del sovrastante cumulo terra per più di un millennio le aveva ridotte in frammenti: tutti ben conservati, ma un po' deformati. Per ricomporre il rompicapo le migliaia di frammenti dovettero essere sottoposti ad un trattamento a base di vapore acqueo atto a restituire ad essi la forma originaria. Le navi vennero costruite in gran parte in legno di quercia.
La nave di Oseberg è forse quella meglio conservata. Si tratta di una drakkar. Nel suo tumulo venne scoperto anche un ricco corredo funerario e due scheletri umani di donna. La data in cui la nave sarebbe stata trasportata all'interno del cumulo è successiva all'834. La nave venne rinvenuta e riportata alla luce tra il 1904 e il 1905.
Studi dendrocronologici fanno ritenere che la nave di Gokstad sia stata costruita con legname tagliato intorno all'890. Va citato che nel 1893 una fedele ricostruzione di questa nave attraversò l'Oceano Atlantico, in un viaggio da Bergen a Chicago. Oltre alla nave stessa e ad uno scheletro, fra i reperti venuti alla luce con gli scavi ci sono una tenda, una slitta e il necessario per cavalcare.
La nave di Tune, costruita intorno al 900, è quella che si trova nelle peggiori condizioni di conservazione.
Con la Kon-Tiki Heyerdahl voleva avvalorare la sua tesi (che poi non ebbe ulteriori riscontri) secondo cui la Polinesia sarebbe stata colonizzata dai Sudamericani, e in particolare dagli Inca, invece che dagli Asiatici. A tal scopo costruì la Kon-Tiki (Kon nella mitologia inca era il dio della pioggia) assemblandola utilizzando esclusivamente le tecniche e i materiali di costruzione degli Inca e solo legno di balsa.
Nel 1947 la Kon-Tiki con il suo equipaggio di cinque persone salpò da Callao (Perù) trasportato dalla Corrente di Humboldt e dopo 101 giorni di viaggio e 4300 miglia nautiche, riuscirà ad approdare sull'atollo di Raroia.
La Ra II fu invece costruita utilizzando solo papiri. Con la Ra II Heyerdahl e un equipaggio di sette persone di sette nazionalità diverse salparono dal Marocco e raggiunsero Barbados in 57 giorni
Infine visitiamo il Frammuseet, che contiene essenzialmente solo la nave Fram che venne utilizzata in molte spedizioni polari, tra cui quella di Amundsen (1910-12) che nel 1911 raggiuse per primo il Polo Sud geografico.
Amundsen morì agli antipodi anni più tardi nel tentativo di recuperare l'amico-rivale Nobile.
Al ritorno dalla penisola di Bygdøy siamo convinti che la palma di popolo di navigatori spetti ai Norvegesi; ma noi potremo sempre consolarci con i santi e i poeti...
Sottotitolo: chi di noi non ha avuto esperienze (semi)devastanti con la burocrazia (quasi una forma di tirannia)?
La burocrazia come minimale forma di tirannia: vendetta di infimi frustrati che bramano potere. (... il tema viene anche accennato da Bianciardi ne "La vita agra", il cui audiolibro sto ascoltando in questi giorni...)
L'ultima edizione mi ha lasciato stupito. Il 18 luglio avrebbero eseguito "La porta della legge - quasi un monologo circolare", opera di Salvatore Sciarrino del 2009, in prima quasi assoluta. La vera prima assoluta ha avuto luogo il 25 aprile 2009 nella Wuppertaler Opernhaus. Questa di Mannheim sarebbe stata un riproposizione della stessa messa in scena.
Direzione: Tito Ceccherini Scenografia: Johannes Weigand Video: Jakob Creutzburg
Non conoscevo nulla di Sicarrino e non avevo mai assistito all'esecuzione di un'opera moderna. Proprio per questo non volevo lasciarmi sfuggire l'occasione. Zucchero era un pochino riluttante, ma ha comunque assecondato i miei desideri.
Ricerco su internet un po' di notizie relative all'opera e con mio grande stupore non trovo nulla in italiano, ma molto in tedesco e solo un articolo in inglese. Addirittura sulla wikipedia italiana o inglese la voce relativa a Sicarrino non cita neppure l'opera. Wikipedia tedesca invece la cita.
Arriviamo all'Opernhaus un quarto d'ora prima dell'inizio. Sono molto curioso. Appena entrati compro il programma che contiene anche il libretto dell'opera oltre a informazioni varie.
Il libretto è tratto da un racconto di Kafka incorporato successivamente nel Processo. Rifletto sul fatto che la situazione stessa in cui ci troviamo è un po' kafkiana: un libretto in italiano tratto da un racconto scritto in tedesco, eseguito in prima assoluta per un pubblico tedesco e cantato in italiano con sovrattitoli in tedesco.
Ci sistemiamo ai nostri posti. Alla mia destra siede un ragazzotto intorno ai 30 anni che prende appunti. Zucchero mi fa notare che anche il signore dietro di me prende appunti.
Comincio a riprendere l'inizio che ho qui incluso, ma la rumorosità della mia macchina fotografica, oltre a provocarci imbarazzo, mi scoraggia dal riprendere altri pezzi... oltre al fatto che la memoria mi si era riempita, visto che non avevo ancora scaricato le foto della Norvegia.
Nella Scena Prima l'Uomo 1 (baritono), di fronte alla porta della legge, chiede all'Usciere il permesso di entrare: - forse più tardi, ora no!
La porta della legge è sempre aperta. L'Uomo 1 sbircia attraverso essa.
L'Usciere: Se L'attira tanto provi a passare! Attento, io sono soltanto l'ultimo! Ogni sala ha il suo usciere, uno più potente dell'altro. Già col terzo neppure io riesco a parlare.
L'Uomo 1 cerca di corrompere l'Usciere: - vediamo cosa si può fare, aspetti lì.
L'Uomo 1 invecchia in attesa del permesso di entrare. Prima di morire riesce a proferire un'ultima domanda.
- Che cosa vuole sapere ancora? Lei è insaziabile. - Se tutti aspirano alla Legge, come mai in tutto questo tempo nessun altro ha chiesto di entrare? (morendo) - Qui nessuno poteva entrare, la porta era destinata solo a te. Ora vado a chiuderla.
La Scena Seconda si svolge in modo simmetrico rispetto alla prima. A differenza della prima scena, qui la porta della legge si trova rivolta verso il pubblico, si chiude progressivamente e la scena è molto più illuminata. L'Uomo 2 (controtenore) ripete quasi le stesse parole all'Usciere.
Nella Scena Terza torna l'oscurità. Uomo 1 e Uomo 2 ripetono l'inizio duettando da una sorta di oltretomba mentre le loro immagini proiettate sulla parete della scena si moltiplicano rincorrendosi verticalmente.
"... ma questa non è una vera ripetizione; è invece lo sviluppo di un nuovo mondo di suoni con caratteristiche di ironia e disperazione. La progressione musicale fluisce in un continuo ed ha una periodicità interiore che quasi richiama una passacaglia."
"Attraverso questo dispositivo drammatico, la ripetizione della storia acquisisce la terribile prospettiva dell'esperienza universale che si rinnova immediatamente per un altra persona; ed è precisamente questa ripetizione che dà alla storia il suo carattere di metafisica inevitabilità."(*)
Per quanto riguarda la musica, il mio orecchio non sufficientemente allenato a percepire le tecniche della musica contemporanea si è perso le multifonie e gli intervalli microtonali vari.
Un paio di giorni fa ho fatto la solita spesa nel negozio di generi alimentari italiani vicino casa nostra. Il proprietario del negozio è un signore di mezza età tedesco. La clientela consiste prevalentemente di ultra-cinquantenni della medio-alta borghesia del nostro quartiere medio-alto borghese.
Date le premesse non vi sorprenderete se vi dirò che i prezzi non sono dei più economici. Direi approssimativamente tra un 50% ed un 150% in più rispetto al prezzo che si pagherebbe in Italia.
A questo punto mi chiederete: ma perché fate la spesa lì?
La risposta è: ci compriamo solo quelle poche cose di cui non vogliamo fare a meno e che si trovano solo lì; e cioè gli affettati italiani freschi. Prevalentemente il prosciutto, ma più di rado anche il salame, la mortadella, il culatello e la bresaola.
Il resto della mercanzia italica ce lo procuriamo al mitico supermercato Pronto, gestito da una famiglia allargata siculo-tedesca. Pronto aprì 7-8 anni fa circa e per i nostri palati di emigranti fu una vera cuccagna.
Dicevo quindi che un paio di giorni fa mentre faccio la solita spesa nel negozio di generi alimentari italiani vicino casa nostra mi capita di vedere delle strane patate: piccole e dalla forma bitorzoluta. Le patate in quel negozio sono qualcosa di inusuale. Mi incuriosico, mi avvicino e scorgo un foglio esplicativo.
Si tratterebbe di patate viola. Vista la mia curiosità il signore, in un incredibile ed inatteso slancio di generosità, me ne regala una decina.
Le ho cotte ed effettivamente il signore aveva ragione: rimangono viola anche dopo cotte e ricordano vagamente il gusto e la consistenza di una castagna lessa. Per quanto riguarda il gusto però trovo che non siano nulla di speciale. Preferisco nettamente le classiche patate gialle.
Cercando con Google non ho trovata alcuna voce su Wikipedia. Ho trovato però molte occorrenze di articoli tipo: "La patata viola per prevenire i tumori".
Dopo lo Slottet ci dedichiamo alla "strada-salotto": il Karl Johans gate: il corso di Oslo che collega lo Slottet alla stazione passando per l'università, il Nationaltheatret e il parlamento.
Il Parlamento (Stortinget) non è particolarmente interessante. Neppure la Domkirke lo è (soprattutto perché fasciata da impalcature per il restauro).
Dopo aver mangiato i panini dell'albergo ci dirigiamo verso la fortezza di Akershus. Il caldo si è intensificato, e la salita, anche se breve, si fa sentire. Da lassù riusciamo a goderci un bel panorama di Oslo, del suo porto e della parte finale del suo fiordo (lungo circa un centinaio di Km). Dato il giorno festivo e la giornata limpida il fiordo pullula di piccole imbarcazioni che lo attraversano in lungo e in largo. Ci accorgiamo che la Fujitsu ci manca...
Abbandoniamo la fortezza scendendo dal versante che dà sul municipio e sul porto. Lungo il percorso troviamo dei prati occupati da famigliole. Zucchero nota un'usanza locale che consiste nell'uso di una copertina di lana o cotone apparentemente manufatta, ma ad una più attenta analisi chiaramente prodotto industriale. La suddetta viene applicata al bordo superiore delle carrozzine a mo' di tendina parasole: baluardo per le candide e tenere cuti degli scandinavi pargoli. La copertina però, nella sua pratica ambivalenza, può essere anche usata, secondo le occorrenze climatiche, come normale protezione verso i venti e i repentini abbassamenti nordici di temperature.
Giunti sulla piazza del municipio ci troviamo di fronte al mastodontico e controverso edificio. La prima domanda che ci si pone è: ma il municipio di Oslo ha più dipendenti del parlamento norvegese? Da una veloce stima nasometrica mi risulta infatti almeno tre o quattro volte più grande del parlamento.
Ci dirigiamo quindi verso il porto e ci imbarchiamo alla volta della penisola di Bygdøy dove sorgono numerosi ed interessanti musei a tema soprattutto marittimo.
Nella puntata precedente abbiamo visto che il lavoro di al-Khwārizmī sulle equazioni algebriche portò alla nascita di un'opera che sarebbe divenuta un punto di riferimento per lo sviluppo dell'algebra moderna.
Stando a quello che J. J. O'Conner e E. F. Robertson scrivono nel MacTutor History of Mathematics archive, forse uno dei progressi più significativi dei matematici islamici fu proprio l'introduzione e lo sviluppo di una loro metodologia algebrica. Questo nuovo approccio algebrico rappresentava un nuovo rivoluzionario spostamento dalla concezione greco-platonica della Matematica, che era essenzialmente geometrica. La nuova metodologia algebrica reincorporava, almeno da un punto di vista pratico, l'idea pitagorica (Tutto è Numero) ed unificava numeri razionali, numeri irrazionali, e grandezze geometriche trattando tutte queste entità in gioco come "oggetti algebrici". Si potrebbe quindi a posteriori attribuire ai matematici islamici (un po' arbitrariamente) il motto ottenuto da una parafrasi di quello pitagorico: Tutto è Algebra.
I matematici islamici furono quindi i primi a trattare nella pratica i numeri irrazionali come oggetti algebrici. Anche se una vera giustificazione teorica rigorosa di tale prassi la troverà Dedekind diversi secoli dopo.
Ma come riuscirono a mettere in pratica ciò che non era riuscito ai pitagorici ? Beh, da un punto di vista puramente tecnico-sintattico non fecero nulla di eccezionale: accettarono semplicemente l'idea che anche le grandezze irrazionali, come la misura della diagonale del quadrato, potessero essere trattate alla stregua degli altri Numeri. Estesero quindi le operazioni aritmetiche alle grandezze irrazionali e si accorsero che le cose funzionavano. Visto a posteriori non sembra nulla di eccezionale; ma nella realtà tale idea impresse un fortissimo impulso al progresso della Matematica: il solito Uovo di Colombo. A questo punto non posso esimermi dal compiere un enorme balzo in avanti nel tempo e citare John von Neumann, matematico del '900, tanto grande quanto moralmente discutibile:
"Young man, in mathematics you don't understand things. You just get used to them." (*)
"Ragazzo, nella Matematica le cose non si capiscono. Semplicemente ci si abitua ad esse."
Frase pronunciata in risposta ad un suo studente che chiedeva spiegazioni.
Quindi i matematici islamici semplicemente si "abituarono" a considerare e a trattare le grandezze irrazionali allo stesso modo dei numeri razionali.
La nuova metodologia algebrica risolveva quindi quella che era stata la causa del crollo del modello pitagorico. Voi mi direte, ma anche l'approccio platonico-euclideo risolveva la lacuna pitagorica. Sì, ma quello implicava un'interpretazione dei concetti numerici in un modello puramente geometrico. Il modello degli Islamici era invece puramente numerico.
Oltre ad al-Khwārizmī altri due nomi che vanno necessariamente citati per i loro contributi al nuovo approccio algebrico sono quelli di Abū Kāmil (850 d.C. – 930) e al-Karkhi (953 d.C. Karaj – 1029)
In particolare di Abū Kāmil Shujā ibn Aslam (c. 850 – 930), matematico egiziano, si può dire che sia stato il primo ad accettare i numeri irrazionali (spesso nella forma di radice quadrata, cubica o quarta) come soluzioni di equazioni quadratiche e come coefficienti di equazioni. Il matematico iracheno Al-Hashimi, invece, nel X sec. fornì dimostrazioni di carattere algebrico per i numeri irrazionali e usò le quattro operazioni su quei numeri.
Un altro matematico islamico illustre, il cui contributo allo sviluppo della Matematica è forse paragonabile a quello di al-Khwārizmī è Omar Khayyám.
Ma questo lo vedremo nella prossima puntata.
Immaginava di che natura potessero essere le sue candide cicatrici neurali. Si sarebbe però volentieri risparmiato un ulteriore approfondimento.
Il consiglio dei persuasori occulti venne eccezionalmente riunito in seduta plenaria: avrebbero usato i loro mezzi per ricondurlo sulla Via della Luce.
Come suggerito dalla nostra guida, durante la colazione in albergo ci prepariamo dei panini per il pranzo: due dita di salmone e pomodoro per me e prosciutto cotto e pomodoro per Zucchero.
Zaini in spalla e panini negli appositi contenitori usciamo per la nostra prima visita di Oslo. Uno non se lo aspetterebbe da Oslo, ma fa caldo. Durante la notte abbiamo letteralmente sudato.
L'albergo si trova vicino al palazzo reale (Slottet).
Nel nostro percorso verso il porto passiamo quindi per lo Slottet che è circondato da un bel parco.
Circumnavighiamo il palazzo scattando diverse fotografie. Notiamo sorpresi che Sua Maestà Harald V di Norvegia concede generosamente l'uso dei propri giardini alle genti di Oslo: diversi sudditi prendono il sole in tenuta balneare. Sia nella parte posteriore che in quella anteriore dello Slottet si possono ammirare un certo numero di guardie che compiono una sequenza di bizzarre figure coreografico-marziali che paiono succedersi in modo casuale.
Giunti alla giusta distanza dalla parte anteriore del palazzo voglio scattare una fotografia che comprenda tutto lo Slottet e un po' di giardino. È in quel momento che la mia amata Fujitsu mi abbandona definitivamente e siccome oggi è festivo (Pentecoste) dovremo necessariamente trascorrere la giornata senza fotografie.
Fu deciso che doveva sottoporsi alla prova della bara roboante.
Dopo averlo trafitto lo adagiarono quindi nell'asettico sarcofago.
I suoi timpani ovattati venivano penetrati dai loro suoni: regolari, assordanti e ipnotici; mentre le sue vene venivano attraversate dai loro persuasivi veleni.
Il verdetto della prova lo lasciò sospeso tra vecchie cicatrici di milioni di invisibili aghi.
Dicevamo quindi che nelle prime fasi dell'apprendimento e dello sviluppo della Matematica gli Islamici attinsero molto ai risultati delle grandi culture che li precedettero: ovviamente da quella greca, ma anche da quella indiana e babilonese; e che fu proprio grazie alle traduzioni dei lavori dei matematici indiani effettuate dai matematici islamici che in Europa si cominciò a diffondere il sistema numerico indù che andò lentamente sostituendo gli scomodi sistemi numerico-alfabetici romano e greco.
Abbiamo anche visto che un altro grande dono dei matematici indiani veicolatoci dai matematici islamici fu lo Zero.
Il più celebre tra i matematici islamici è sicuramente Al-Khwārizmī
(محمد خوارزمی Corasmia o Baghdad, 780 circa – 850 circa).
Il suo nome però è inestricabilmente legato agli algoritmi e all'Algebra.
Le stesse parole "algoritmo" (o "algorismo") e "algebra" derivano rispettivamente da Algoritmi, la latinizzazione del suo nome, e dal nome del suo libro al-Kitāb al-mukhtasar fī hisāb al-jabr wa 'l-muqābala (الكتاب المختصر في حساب الجبر والمقابلة), scritto verso l’825 e tradotto in latino nel XII secolo con il titolo “Algoritmi de numero Indorum”, che fu forse la prima opera completa sul sistema di numerazione indo-arabico. Grazie a questa traduzione tale sistema di numerazione, che introduceva anche il numero zero, si diffuse nel Vicino e Medio Oriente e successivamente in Europa.
Girolamo Cardano, nel suo Ars Magna, considera al-Khwārizmī addirittura il creatore dell'algebra.
Fu solo nel secondo decennio del XVII secolo, soprattutto grazie alla famosa traduzione in latino di Bachet (1621) dell'"Arithmetica" di Diofanto - come abbiamo già visto la prima traduzione fu di un italiano, Raffaele Bombelli, nel 1570, ma non venne mai pubblicata
- che si cominciò ad essere consapevoli anche del grande contributo di Diofanto allo sviluppo dell'Algebra.
Oggi si sa che abbozzi di metodi algebrici erano già presenti nella matematica babilonese e in quella egiziana nel II millennio a.C.
Ciò non toglie importanza al lavoro di al-Khwārizmī che raccolse materiale dalle tradizioni greca, indiana e siriaco-mesopotamica, ampliò il lavoro di Brahmagupta e di Diofanto sulle equazioni algebriche e compilando così un'opera che divenne un punto di riferimento per lo sviluppo dell'algebra moderna.
La sua opera (al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa-al-muqābala) si diffuse in Europa grazie soprattutto alle traduzioni in latino di Roberto di Chester a Segovia (con il titolo Liber algebrae et almucabala), nel 1145, e quella di Gerardo da Cremona.
Nella prossima puntata parleremo degli ulteriori sviluppi dell'algebra presso i matematici islamici.
Atterriamo all'aeroporto Gardermoen di Oslo verso mezzanotte. Nel cielo c'è ancora un po' di luce. Come prima cosa cerchiamo dell'acqua per la notte. Notiamo un "duty free" con molte bottiglie esposte. È preso d'assalto dai Norvegesi. Ci chiediamo il perché. Entriamo: non vendono acqua, ma solo alcolici e superalcolici. Capiamo così il motivo della folla: i superalcolici sono estremamente cari in Norvegia a causa delle tasse.
Dopo esserci procurata l'acqua usciamo dall'aeroporto. Zucchero nota un autobus: - Forse potremmo informarci se va verso il centro - Ma vuoi andare in autobus con queste valigie pesanti!? Manco per sogno!! Andiamo in taxi è molto più comodo.
Saliamo quindi in taxi. Dopo qualche minuto mi cade l'occhio sul tassametro e mi faccio una conversione mentale corone-euro: segna una cifra pazzesca e corre ad un ritmo folle. Chiedo al tassista se ci sia ancora molta strada da fare. Risponde che il centro di Oslo dista 55 Km dall'aeroporto. Faccio di nuovo lavorare il calcolatore cerebrale e formulo la stima: la corsa ci costerà tra i 200 e i 250 euro. La stima si rivelerà abbastanza corretta: 1936 corone, cioè circa 220€.
Ad un tratto la parte in alto a destra del suo campo visivo fu invasa da una chiazza sfocata. Per quanto si sforzasse, tutti i tentativi (fisici e mentali) di eliminarla fallivano. Spostare lo sguardo, alzarlo, abbassarlo, strizzare gli occhi; persino chiudendo gli occhi la chiazza persisteva. La sua visuale si era ridotta e aveva qualche difficoltà a camminare nel corso affollato, illuminato da un accecante sole al vertice dell'eclittica.
Qualcosa di nuovo sopraggiunse. Come si dice "aspettare" in questa lingua? Non ricordo! Com'è possibile! Come si chiama quel nostro amico? .....Non ricordo. E sua figlia?! ....Non riesco a ricordarlo.... E come si chiama mia nonna!!?? Non ricordo!
E io!?!? Come mi chiamo io!?!? Non lo so! Chi sei!? Non riesco a vederti e non riconosco la tua voce.
Non riusciva più neppure a ricordare il momento in cui il pensiero era affiorato dal suo ipotalamo imprimendosi tra le sue sinapsi. Forse tra l'infanzia e la fanciullezza.
Attraverso gli anni l'idea si era consolidata e aveva assunto contorni netti. Ora possedeva la certezza: era la cavia dell'esperimento. Tutto era stato costruito appositamente per lui. Tutti lo sapevano.
Quello che gli altri non sapevano era che adesso anche lui ne era a conoscenza.
Dicevamo quindi che con la caduta dell'Impero romano d'Occidente era cominciato quel declino culturale che sarebbe durato diversi secoli; e la distruzione della Biblioteca di Alessandria fu un altro duro colpo che inflisse un'accelerazione a tale declino.
Un nuovo polo del sapere matematico (e non solo) venne però a ricostituirsi più di un secolo dopo la caduta della Biblioteca presso la cultura araba.
Per tutto il primo secolo dell'Impero AraboIslamico i nuovi conquistatori, troppo impegnati a combattere, non avevano ancora acquisito gli strumenti intellettuali necessari a produrre risultati scientifici o matematici.
Fu solo nella seconda metà dell'ottavo secolo che il mondo islamico ebbe quel risveglio culturale che permise l'inizio delle ricerche matematico-scientifiche.
Si racconta che Aristotele sia comparso in sogno al califfo AbbasideAl-Ma'mun (786-833) e che in seguito a tale apparizione onirica il califfo abbia disposto che si traducessero in Arabo tutti i volumi greci che erano sopravvissuti alla distruzione.
Nella realtà gli Islamici furono forse spinti verso la ricerca matematica soprattutto da motivazioni un po' più prosaiche; e cioè dalla ricerca di soluzioni per l'applicazione della complicata legge islamica per l'assegnazione delle eredità, attraverso la quale svilupparono soprattutto l'Algebra; e dai tentativi di determinare quando cadessero esattamente le festività islamiche basate sulle fasi lunari, attraverso i quali svilupparono soprattutto la Trigonometria. Vorrei sottolineare che il calendario islamico pur se basato sulle fasi lunari è molto più complicato del calendario lunare.
Quali che fossero le motivazioni, sembra comunque che gli Islamici si sarebbero impegnati così diligentemente nell'attuazione della disposizione del califfo Al-Ma'mun che che quando l'Impero bizantino chiese un trattato di pace se lo sarebbero fatto pagare con volumi greci molti dei quali erano sopravvissuti alla distruzione della Biblioteca d'Alessandria.
Fortunatamente tra i volumi tradotti ci furono anche gli Elementi di Euclide.
Molti di questi volumi greci, tra i quali anche Gli Elementi, furono tradotti da Thābit ibn Qurra (826-901).
Nelle prime fasi dell'apprendimento e dello sviluppo della Matematica gli Islamici attinsero molto dai risultati delle grandi culture che li precedettero: ovviamente da quella greca, ma anche da quella indiana e babilonese.
Fu proprio grazie alle traduzioni dei lavori dei matematici indiani effettuate dai matematici islamici che in Europa si cominciò a diffondere il sistema numerico indù che andò lentamente sostituendo gli scomodi sistemi numerici romano e greco che rendevano complicate anche le operazioni più semplici.
Il sistema numerico indù, spesso anche denominato un po' impropriamente sistema numerico arabo, è il sistema numerico che abbiamo ancora attualmente in uso.
Un altro grande dono dei matematici indiani veicolatoci dai matematici islamici fu lo Zero.
Si suppone che i Maya siano stati i primi ad usare lo Zero posizionale nel loro sistema di numerazione a base vigesimale. Il Brahmasphuta Siddhānta di Brahmagupta costituisce però la fonte più antica conosciuta a trattare lo Zero come un numero a tutti gli effetti.
Con il tempo, le inclinazioni dei matematici islamici si sarebbero spostate verso l'esposizione deduttiva dei Greci preferendola agli ellittici versi sanscriti degli Indiani.
Nella prossime puntate parleremo di alcuni matematici arabi ed in particolare del più celebre tra essi.
Lui era immerso nella disciplinata osservanza delle sterili regole della sopravvivenza. Le sue carni ed il suo essere venivano quotidianamente lacerati. Al suo fianco una grande donna. Giunse un Messaggero.
L'Altro fu il prescelto. Paure, speranze, sogni, forti emozioni. Lo accompagnavano una donna e un bambino.
Lui era solo da sempre.
L'Altro no. Fino a quando un tragico, doloroso ed indimenticabile evento alle soglie dell'età maggiore lo aveva reso simile a Lui.
Era nel mezzo di un autunno e agli albori del preludio ad una nuova vita.
Lui era mantenuto nell'incerta lancinante attesa: troppo alta, forse lo sposteremo. Nei reconditi meandri lo sperava.
L'Altro venne convocato in un posto lontano. Venne severamente scrutato ed esaminato. Ricevette indicazioni e disposizioni. Anch'esse sterili e dolorose. Vi si sottopose. Con diligenza e disciplina. Nutriva desideri e aspettative.
Tutto fu deciso e inciso.
Lui era immerso in un'imperturbabile indifferente insensibilità priva di speranze. Sottoponeva comunque il suo corpo alle torture dei milioni di invisibili aghi acuminati che lo trafiggevano e delle amare pozioni che lo salvavano avvelenandolo.
L'Altro fu di nuovo convocato nel posto lontano. Anche lui si sottopose alle torture dei visibili aghi che lo trafiggevano. Continuava a nutrire sogni e speranze.
Il Sacro Graal era pronto.
Il suo corpo ed il suo essere giacevano nudi in un prostrato sconforto. Al suo fianco due donne ed un uomo. Giunse un Latore.
L'Altro era tornato a casa e condivideva racconti e desideri con la sua donna e il suo bambino.
Era in una primavera all'alba di una nuova vita.
Lui aveva riacquistato fiducia forza e speranza. Cantava. Sgraziato e stonato. Ma si sentiva un fringuello.
All'Altro furono annunciate buone notizie.
Era in una quasi estate di una prima infanzia di una nuova vita.
Lui era tornato alla dura realtà. Giunse un infausto annuncio.
Anche l'Altro ricevette un annuncio che lo turbò. Fu di nuovo convocato, ma in un posto più vicino. Si rimise in viaggio preoccupato.
Era in un quasi inverno di una seconda infanzia di una nuova vita.
Lui era ormai consapevole dell'inquieta diversità della nuova vita.
L'Altro l'evocò.
Era in una primavera di una seconda infanzia di una nuova vita.
Approfittando della presenza di Sugarmammà, della sua perizia nelle arti gastronomiche e del fatto che è l'unica della famiglia allargata attualmente presente in casa nostra a condividere questa mia passione, ho organizzato una polentata per due (visto che Sugarpapà aborre tale piatto) con costatini e salsicce: un pasto che non consumavo da molto tempo.
Ieri avevo ordinato i costatini dal macellaio. Un malinteso ha fatto sì che Sugarpapà, che si era offerto per andare a ritirare l'acquisto, invece di tornare con i quattro costatini ordinati, tornasse con una busta piena di quattro carrè interi di costatini di maiale.
Inizialmente ho pensato di tornare nella macelleria e chiarire l'equivoco, poi i sugargenitori mi hanno convinto: un carrè e mezzo lo consumiamo oggi e gli altri nei prossimi giorni.
Sugarmammà si è occupata della preparazione del sugo: ottimo! Io invece ho preparato la polenta (vabbè era quella istantanea;-) e grattugiato il pecorino.
Abbiamo visto che nel V sec. a.C. il fulcro del sapere matematico era in Calabria, a Crotone: la sede della scuola pitagorica; e che i pitagorici avevano basato il loro modello del cosmo sull'Aritmetica.
Pitagora però, prima di approdare definitivamente a Crotone e spendere lì i suoi ultimi 4 decenni di vita, aveva lasciato la sua isola natìa di Samo per viaggiare in cerca di sapere e conoscenza. Era approdato in Egitto e aveva trascorso lì qualche anno ed in seguito si era spostato a Babilonia. Nei suoi prima 40 anni di vita era quindi riuscito ad entrare in contatto diretto con le tre grandi colonne portanti del sapere di allora: il mondo ellenico, l'Egitto e Babilonia. Questo almeno secondo quello che Giamblico scriveva circa otto secoli dopo la morte di di Pitagora. Come si può facilmente immaginare non è dato sapere dove finisca la realtà e dove cominci la leggenda.
Durante il viaggio in Egitto Pitagora dovette sicuramente entrare in contatto con la teologia del monoteismo Egizio.
Se ne rivelano infatti varie tracce nella "teologia" pitagorica che asseriva che il mondo era stato creato per mezzo dei Numeri.
Il concetto proveniva appunto dalla teologia del monoteismo Egizio: il creatore crea il mondo per mezzo della Parola, del Logos, della Logica. Nella teologia pitagorica la Parola egizia si trasforma in Numero: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è il Numero.
In principio erat Verbum - Εν αρχη ην ο Λογος
Mentre nella teologia cristiana la Parola egizia si trasformerà in Cristo: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è Cristo.
Quindi l'incipit del Vangelo di Giovanni, scritto 6-7 secoli dopo Pitagora, tradotto in Termini Pitagorici sarebbe stato:
In principio era il Numero
E il Numero era presso Dio
E il Numero era Dio
Sul tema della "teologia" pitagorica, mutuata da quella del monoteismo Egizio, vorrei fare una breve digressione.
Comunemente si tende probabilmente a pensare che il concetto di monoteismo sia nato in Israele con la religione ebraica.
La realtà potrebbe essere diversa: sembrerebbe che il monoteismo Egizio sia ben più antico del monoteismo ebraico. Anzi secondo alcuni il monoteismo ebraico sarebbe nato proprio durante la "cattività egiziana" del popolo ebraico e non sarebbe altro quindi che uno sviluppo del monoteismo Egizio.
Addirittura, secondo l'ipotesi di Freud esposta nel suo ultimo lavoro: "L'uomo Mosè e la religione monoteistica", Mosè avrebbe fatto parte della classe dirigente egizia ed egli stesso sarebbe stato un egizio. La vicenda di Mosè si sarebbe svolta intorno all'anno 1350 a.C. durante il regno di Amenofi IV che condusse la rivoluzione monoteista nell'antico Egitto abolendo il politeismo. Egli stesso cambiò il suo nome in Akhenaton essendo Aton il dio unico.
Sarebbe stato a causa di una reazione che volle imporre in Egitto una controriforma di segno politeistico che avrebbe avuto inizio la storia del nuovo popolo di Mosè, fondato da chi non volle sottomettersi alla restaurazione del politeismo e che fu quindi costretto a fuggire dall'Egitto in cerca di una nuova terra per poter professare liberamente il nuovo credo monoteista. Terra promessa che dopo l'attraversamento del deserto fu trovata in Palestina.
Ma torniamo al riassunto delle puntate precedenti.
Abbiamo visto che in seguito ad un crollo logico-mistico-filosofico della scuola pitagorica - ma anche in seguito fisico, visto che la scuola venne bruciata - il modello pitagorico del cosmo basato sull'Aritmetica venne abbandonato e rimpiazzato con il modello di cosmo di Platone, basato sulla geometria.
Abbiamo anche visto che dopo la distruzione definitiva della Biblioteca di Alessandria in seguito alla conquista islamica dell'Egitto del 639 d.C. da parte del secondo califfo dell'Islam Omar ibn al-Khattāb, alcuni volumi custoditi nella Biblioteca sopravvissero: sia rimanendo in loco che venendo trasportati a Bisanzio; e che i primi vennero tradotti un paio di secoli dopo dagli Arabi, che nel frattempo si erano oramai evoluti e acculturati; e che fu proprio grazie a loro che molte di quelle opere, tradotte in seguito in latino, sono pervenute fino ai nostri giorni.
Circa un secolo e mezzo prima della distruzione della Biblioteca, inoltre, con la caduta dell'Impero romano d'Occidente era cominciato quel declino culturale che sarebbe durato diversi secoli; e la distruzione della Biblioteca di Alessandria fu un altro duro colpo che inflisse un'accelerazione a tale declino.
Un nuovo polo del sapere matematico (e non solo) venne però a ricostituirsi più di un secolo dopo la caduta della Biblioteca presso la cultura araba.
I matematici arabi ebbero il vantaggio di trovarsi in una posizione geografica che gli permetteva di accedere a tre grandi fonti di cultura: quella greca, quella babilonese e quella indiana.
Essi contribuirono alla disciplina con notevoli risultati, funzionando a volte come ponte culturale tra l'India e l'Europa e a volte come anello di congiunzione sintetica.
Nella prossime puntate parleremo dei matematici arabi ed in particolare del più celebre tra essi.