giovedì, febbraio 26, 2015

L'ospedale di Frosinone e i delitti della Rue Morgue: #dilloinitaliano

Ho provato a interpretare la logica dietro il ragionamento che ha spinto qualcuno (un dirigente dell'ospedale di Frosinone?) a scrivere "Morgue", parola che suppongo sia totalmente incomprensibile per una grande maggioranza di Italiani, invece di obitorio/camera mortuaria.
Il termine è evidentemente rivolto a un pubblico italiano, visto che tutto il resto è scritto in italiano. Propongo allora alcune interpretazioni.

1. Addolcire un termine considerato negativo. Come quando di dice scomparso invece di morto e non-vedente invece di cieco. Ma allora perché non scegliere il più comprensibile "Mortuary"? Perché quella parola avrebbe evocato troppo la parola tabù? Ma se metto "Morgue" poi la conseguenza non è che decine di persone, non proprio in vena di goliardate, debbano andare in giro a chiedere informazioni per raggiungere la camera mortuaria?
2. È il complotto ordito dalla lobby delle pompe funebri per rendere il termine incomprensibile e aumentare i guadagni.
3. Il suddetto dirigente è un appassionato di Edgar Allan Poe ed è iscritto al club dei rilettori de I delitti della Rue Morgue.

Voi che ne dite?
#dilloinitaliano

giovedì, febbraio 19, 2015

Il pianoforte a pedali

Ieri, ascoltando Primo movimento, ho scoperto uno strumento di cui ignoravo l'esistenza: il pianoforte con pedaliera. Allora sono andato a fare una veloce ricerca. E ho scoperto che la pedaliera era già comparsa nell'antenato del pianoforte. E cioè nel clavicembalo. Sembra che nel periodo barocco a qualche costruttore di clavicembali venne l'idea di aggiungere una pedaliera con lo scopo di fornire agli organisti uno strumento con cui esercitare l'abilità pedale anche a casa. Ovviamente, l'organo era già dotato di pedaliera. E non c'è da meravigliarsi del fatto che anche Bach possedesse un clavicembalo con pedaliera. In un inverno nord-teutonico voi preferireste esercitarvi in chiesa?
Quindi, dopo che Bartolomeo Cristofori ebbe ideato il pianoforte ("gravicembalo con il piano e il forte") qualche dovette avere l'idea di aggiungere la pedaliera anche al nuovo strumento a tastiera. E, negli corso degli anni, si affermarono due tipi di pianoforte con pedaliera: quello in cui la pedaliera usa le stesse corde e lo stesso meccanismo della tastiera;
e quello (meno comune) doppio, che consiste di due veri e propri pianoforti con corde, meccanismo, cassa armonica e tavola armonica separati.
Sembra che Mozart possedesse un fortepiano con pedaliera indipendente costruito appositamente per lui nel 1785. E anche Schumann ne aveva uno con 29 pedali ma non doppio. E infatti Schumann è anche uno dei pochi compositori ad aver scritto musica per quello strumento.
Infine ho scoperto anche un'altra eccellenza pianistica italiana: il Doppio Borgato. Uno strumento progettato e costruito da quel meraviglioso artigiano che è Luigi Borgato e brevettato nel 2000. La pedaliera del Doppio Borgato ha 37 pedali. Altro che Mozart e Schumann!

Ed ecco alcuni esempi di esecuzioni al Doppio Borgato: Carlo Alberini: Schumann, Studio in forma di canone, op. 56 n. 4 - Doppio Borgato
Doppio Borgato - Patrizia Cavinato plays J.S. Bach
Qui, invece, Luigi Borgato presenta il suo Doppio Borgato.

Ah, se vi dovesse interessare il Doppio Borgato costa 335.750 €.

lunedì, febbraio 16, 2015

Carnevale della Matematica #82 - Famolo strano

Ormai è tradizione che l'edizione valentiniana del Carnevale della Matematica venga ospitato dai Rudi Mathematici. L'interessante tema è "Famolo strano".
Io ho contribuito con la Cellula Melodica


e con il mio articoletto così introdotto:

,,,e lì i Greci fondavano la geometria e le città mirabili, come Siracusa. Città che si specchia nel Mediterraneo più intenso, che è stata patria di geni matematici come Archimede e di dei come Dioniso, se ad un passo da Ortigia si trova quella meraviglia dell'acustica che è l'Orecchio di Dioniso. Ma... ma... non c'è quasi un déjà-vu, in tutto questo? Non avevamo già parlato di Dioniso e di acustica, o meglio di musica? Ah, ma certo... lo abbiamo fatto a proposito della cellula melodica! Ebbene, che tutti sappiano che il contributo di Dioniso (il blogger, non il dio) non si è limitato alla messa in pratica della colonna sonora del Carnevale, ma anche a tutta la parte teorica, perdinci. Infatti è lui che, nel suo blog dal nome evocativo "Pitagora e dintorni", è venuto fin qua a parlarci della musica e la sua matematizzazione.


Il carnevale si conclude segnalando il prossimo ospite.
l mese prossimo, terzo nell'ordine usuale del calendario, cadrà puntualmente proprio nel Pi-day, il 14/3, che se letto all'americana suona 3.14. Anfitrione usuale di Marzo, sulle languide sponde di DropSea, sarà l'esimio Gianluigi Filippelli: a lui va il duro compito di convincere l'Ignaro Pellegrino che si possono stilare dei Carnevali della Matematica realmente piacevoli e divertenti, e non arruffati e maleducati come questo. 

Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale
Pagina del Carnevale su Facebook

mercoledì, febbraio 11, 2015

Il prestito pro capite italiano alla Grecia: più alto di quello tedesco

Giorni fa ho sentito a Prima Pagina che il prestito pro capite italiano alla Grecia è più alto di quello tedesco. Però mi ero perso la cifra precisa. Allora con una ricerca veloce ho trovato la cifra 58 miliardi che equivarrebbe a circa 954€ pro capite per l'Italia. Spalmati su 37 anni verrebbero più di 25€ pro capite per anno. Poi un amico mi ha recuperato l'articolo. E lì si dice:
"Per l’esattezza gli aiuti concessi alla Grecia sono pari a 623 euro per ogni cittadino italiano; il nostro Stato ha dovuto contrarre un debito aggiuntivo per quell'importo, con un onere per interessi stimabile, sempre a persona, in circa 22 euro annui (per i tedeschi, che tanto se ne lamentano, il costo è più basso: 17 euro)."
Nei risultati finali non c'è molta differenza ma nei dati intermedi sì. Mi chiedo che tipo di calcoli abbia fatto il giornalista del La Stampa. Dobbiamo stare attenti perché Varoufakis è laureato in matematica.

martedì, febbraio 10, 2015

La musica e la sua matematizzazione

- Senti. L'altra volta mi hai spiegato quella cosa dei ritmi irrazionali e dentro c'era molta matematica. Adesso però mi sono venute altre curiosità sul sistema che usiamo per scrivere la musica.
- Dimmi pure! Lo sai che questo tipo di discussioni mi appassionano.
- No, mi chiedevo: ma questo sistema di notazione, in cui le altezze dei suoni e i ritmi vengono rappresentati in modo così preciso... matematico direi, come e quando è nato?
- Aha! E ti pare una domanda da poco?!
- Non lo so, però sono curiosa.
- Uhm. Difficile decidere da dove cominciare. Beh, per il momento manteniamoci all'interno della musica occidentale.
- Sì, sì, dai. Non complichiamoci le cose.
- Allora, diciamo che un antenato del nostro sistema di scrittura musicale comincia a nascere nel medioevo e, per la precisione, intorno al IX secolo, con la notazione neumatica.
- Pneumatica?
- No, no. Neumatica. Anche se qualcuno dice che entrambe le parole potrebbero avere la stessa origine greca. Comunque, inizialmente questi neumi erano di tipo adiastematico.
- Adiaste-che?
- Eh, i musicologi hanno deciso di chiamarli così. Adiastematico significa che non indicavano né l'altezza precisa dei singoli suoni, né gli intervalli precisi tra i vari suoni della melodia.
Ecco un esempio. Così capisci meglio. Questo è il più antico trovato finora.
- E i neumi sarebbero questi sgorbi scritti sul testo?
- Esattamente.
- Ma quindi, non si sapeva se si cominciava da un Do o da un Re e nemmeno se la nota successiva era un Mi o un Fa?
- No. Questo tipo di neumi non conteneva quell'informazione.
- E come facevano allora i cantori a cantare la melodia?
- Beh, i nuovi cantori la imparavano ascoltandola. Poi i neumi servivano per avere un riferimento che aiutasse la memoria. Per ricordarsi la direzione della melodia sopra alle varie sillabe. Se si doveva salire o scendere.
- Ho capito. E il ritmo?
- Eh, anche quello era piuttosto relativo. Vedi? Qui c'è una conversione nella notazione attuale.
- Aspetta, ma qui vedo pure dei quadratini e dei rombi.
- Di quello ne parliamo dopo.
- Uhm. Ma comunque nessuno sarebbe riuscito a cantare con precisione una melodia sconosciuta basandosi solo sui neumi.
- Eh no. E infatti, anche per risolvere questo problema, verso l'XI secolo si comincia a usare il rigo musicale. Fu allora che alcuni amanuensi, forse beneventani, cominciarono a tracciare delle righe e a scrivere poi il testo su righe alternate utilizzando le righe rimanenti per scrivere la musica. Le note più acute venivano scritte sopra la riga e quelle gravi sotto. Le righe divennero poi due: solitamente una rossa e una gialla.
- E due righe bastavano per rappresentare bene tutte le note di un canto?
- No. Infatti presto crebbero ancora fino ad arrivare a quattro. E quattro linee allora bastavano. Inoltre, con questo sistema si riusciva a indicare sia l'altezza precisa dei singoli suoni, sia gli intervalli tra i vari suoni della melodia.
- Ah, allora se l'altra notazione si chiamava adiastematica questa si chiamerà diastematica.
- Bravissima!
- Visto come ho capito bene l'uso dell'alfa privativa!? Senti, ma è qui che si è cominciato a matematizzare la musica?
- Eh, in qualche modo sì. C'è addirittura chi dice che questo tetragramma, e quindi poi anche il pentagramma, sia "un piano cartesiano 'qualitativo' che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata."
- Uhm... Beh, è vero. E invece la parola tetragramma immagino che derivi dal greco tetra, quattro e gramma, linea.
- Uau, ma sei diventata una grecista!
- Heh! E si sa chi ha inventato questo tetragramma.
- L'invenzione viene tradizionalmente attribuita a Guido d'Arezzo, anche se alcuni storici non sono d'accordo, certo è che quel monaco camaldolese diede un nome alle note e, se non fu lui a inventare il tetragramma, sicuramente lo perfezionò e poi fu persino invitato da papa Giovanni XIX che voleva capire meglio la sua opera.
- Quindi il Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si si deve a lui?
- Sì, anche se all'inizio le note erano sei e la prima si chiamava Ut.
- Ut!? Ma che significa!?
- E perché? Do che significa? Anzi, in realtà, ut qualcosa significava. Allora, fammi spiegare, le cose dovrebbero essere andate più o meno così. Guido voleva dare dei nomi alle note per aiutare i monaci a imparare e a ricordare i canti. Però voleva trovare dei nomi anch'essi facili da ricordare. E allora che fece?
Prese l'inno a San Giovanni, che tutti i cantori conoscevano bene, e, come nomi delle note, scelse le sillabe iniziali dei versi. E cioè: Ut queant laxis, Resonare fibris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum.
- Ah, quindi arrivò fino al la.
- Sì, per la musica dei tempi bastava. Poi, in seguito, verso alla fine del XVI secolo, si aggiunse il si. Probabilmente da "Sancte Iohannes".
- E il Do?
Il Do arrivò in seguito per sostituire Ut, la cui pronuncia non risultava facilissima per le italiche lingue poco avvezze alle consonanti a fine parola. I francesi infatti, accanto al Do, usano ancora Ut in certi contesti. Ad esempio dicono "clef d'Ut" invece di "chiave di Do".
- Ma perché proprio la sillaba Do?
In onore al "Dominus", disse Giovanni Battista Doni quando propose il Do. In onore del suo stesso cognome, dissero invece i maligni. Comunque, nei paesi latini, a partire da quell'epoca, i nomi dati da Guido hanno sostituito la notazione alfabetica, ereditata probabilmente dai greci, che veniva usata in precedenza e che è ancora in uso in area tedesca e anglosassone.
- E l'altezza delle sei note di Guido coincideva con quella di oggi?
- Inizialmente no. Il sistema guidoniano venne chiamato solmisazione ed era l'antenato dell'attuale solfeggio. E non era usato per indicare l'altezza assoluta dei suoni, che erano denotati con il sistema alfabetico già esistente, ma per collocare correttamente la posizione del semitono mi-fa nella melodia. Il nome Ut, quindi, non era assegnato solo alla nota che oggi chiamiamo Do. Solo dopo l'aggiunta del Si si cominciarono a usare le altezze assolute. 
- E per quanto riguarda i ritmi?
- Beh, Guido codificò anche il modo di scrivere le note definendo le posizioni sulle righe e negli spazi del rigo e proponendo un sistema unificato per la scrittura utilizzando, per la parte terminale della nota, un quadrato, che sarebbe poi diventato un rombo ed infine un ovale.
- E il pentagramma, invece, quando è stato introdotto?
- Mah, guarda, ho fatto una ricerca veloce e ho trovato pochissime fonti che attribuiscono la sua nascita a Ugolino Urbevetano quindi la cosa non mi convince del tutto. Altrove ho trovato che dopo il tetragramma si hanno anche testimonianze di pentagrammi ed esagrammi.
Ah! E a proposito di esagrammi, ho trovato che qualcuno pochi anni fa ha ideato un'estensione della notazione con cui si riuscirebbero a eliminare buona parte tagli addizionali. Guarda qua l'immagine.
- Beh, niente male come idea.
- Sì, ma dubito che si affermerà.
Comunque, tornando ai ritmi, dicevo che Guido codificò il modo di scrivere le note. Però con la notazione ritmica non andò molto avanti. Un considerevole passo avanti ci fu verso la fine del XII secolo, quando nella Scuola di Notre Dame nacque la cosiddetta notazione modale.
- Modale?
- Sì, da non confondere con la musica modale. Ma quello la vedremo un'altra volta. La notazione modale, invece, è sicuramente un primo passo verso il nostro attuale sistema "matematico". Però la definizione dei ritmi non era così precisa. Quello che si definiva era il cosiddetto modo ritmico: cioè una alternanza di note lunghe (Longa) e brevi (Brevis) che potevano assumere sei disposizioni diverse ricalcate sulla metrica della poesia classica. Si parla infatti dei sei modi ritmici.
- Lunga e Breve!? Allora, forse adesso ho trovato la risposta a una domanda che mi ero posta. Perché chiamiamo Breve e Semibreve quelle che sono le figurazioni ritmiche più lunghe? È perché prima c'era anche la Lunga.
- Precisamente! E gli stessi nomi vennero adottati nel passo successivo verso il nostro sistema moderno. Cioè nella notazione mensurale. In questo sistema si arriva finalmente a una descrizione precisa dei ritmi in termini di proporzioni numeriche tra i valori delle note.
- Ed eccoci arrivati al nostro bel sistema matematico anche nel ritmo!
- Eh sì! Ah, e a proposito, oltre alla Lunga, in quel sistema esisteva anche la Massima.
- Addirittura! Senti, ma dove nacque questa nuova notazione?
- Beh, una prima teorizzazione la si trova nel trattato Ars cantus mensurabilis scritto da Francone da Colonia nella seconda metà del XIII secolo. Poi un sistema più esteso e complesso fu introdotto in Francia nell'ambito dell'Ars nova e, con alcune varianti anche in ItaliaNel XV secolo fu il sistema Francese a prevalere. Infine, dal 1600 circa in poi, la notazione mensurale conobbe una graduale evoluzione verso la moderna notazione ritmica.
- E così arrivammo alla totale matematizzazione della scrittura musicale. Con un piano cartesiano qualitativo che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata e in cui i ritmi sono governati dalle potenze di due.
- Sì, eccoti accontentata.
- Senti, ma invece, al di fuori dell'Europa come si svilupparono le cose? Ci sono altri esempi di sistemi di notazione matematica?
- Heh! Il discorso si fa ancora più complicato. Magari ne parliamo un'altra volta.

lunedì, febbraio 09, 2015

Come si usano forchetta e coltello?

Poco dopo essere arrivato qui notati che forchetta e coltello si usano in modo diverso da come ero abituato. Ne ho parlato già qui anni fa: "il coltello si usa anche a mo' di spatola per massimizzare la quantità di salsa ingurgitata ad ogni boccone".
Ma solo ieri, mangiando nell'ottima mensa della Bundesakademie für musikalische Jugendbildung di Trossingen, dopo più di quindici anni, mi sono accorto che c'è anche un'altra differenza.
Allora, se io mi trovo a dover tagliare qualcosa, impugno la forchetta con la sinistra e il coltello con la destra. Come mostrato nell'immagine. Poi cambio la forchetta di mano e inserisco il boccone in bocca usando la destra. 
Se, invece, mi trovo a mangiare un piatto che non richiede l'uso della forchetta, come gli spaghetti, il coltello non lo tocco proprio e uso solo la forchetta con la destra.
Ecco, ieri mi sono accorto che qui forchetta e coltello si usano sempre e rimangono per tutto il pasto entrambi in mano e, soprattutto, la forchetta rimane costantemente sulla mano sinistra.
Mi sono subito chiesto: sarà questa la ragione per cui qui si hanno molti problemi a mangiare gli spaghetti usando solo la forchetta?
Poi, guardando questa pagina, in cui il sistema visto qui da me viene descritto come europeo e quello che uso io come americano, mi sono anche chiesto se sia io a essermi americanizzato (probabilità molto bassa), o quel sito ad avere un'informazione sbagliata. A giudicare dal fatto che esattamente la stessa informazione si trova anche in tedesco propenderei per la seconda ipotesi. Qualcuno deve avere semplicemente tradotto quel testo dalla sua lingua originale.

Ora la domanda per tutti - italiani, non italiani ed espatriati - è: come si usano secondo voi correttamente o abitudinariamente forchetta e coltello?

martedì, febbraio 03, 2015

Incompresa

Domenica scorsa ho visto Incompresa di Asia Argento e mi è piaciuto. Subito dopo mi è venuta la curiosità di capire fino a che livello la trama rispecchiasse la realtà autobiografica della regista. E, dall'idea che mi sono fatta, credo che la storia fosse molto vicina alla realtà. O, se non alla realtà totalmente oggettiva, almeno a quella vissuta da una bambina di nove anni.
SPOILER
Le foto mostrate dopo l'infausto evento finale, visto il taglio di capelli, mi fanno pensare che siano state scattate dopo l'evento stesso. Qualcuno l'ha visto e ha avuto la stessa impressione?

lunedì, febbraio 02, 2015

Playback theatre e lunghissima prova finesettimanale

Nel fine settimana appena trascorso ho avuto un accavallarsi di impegni causato soprattutto dal fatto che quando mi sono iscritto al laboratorio di Playback theatre non ricordavo della lunghissima prova con l'orchestra (da venerdì pomeriggio a domenica pomeriggio). Così, con un lavoro di taglia e cuci, ho incastrato i due eventi cercando di perdere il meno possibile di uno e dell'altro.

Il Playback theatre è stata un po' una scoperta per me, visto che non ne sapevo quasi nulla. Solo gli esercizi iniziali erano abbastanza simili a quelli del mio precedente corso d'improvvisazione ma, quasi subito, con l'esercizio dello specchio, ho visto qualcosa di nuovo. Nella coppia c'era quello che conduceva e quello che doveva imitare e, a un segnale dell'istruttrice, si cambiava ruolo. Nella fase successiva dovevamo decidere noi come e quando cambiare ruolo. È stato piacevole osservare come, senza grossi sforzi e senza scambio cosciente di segnali, l'alternanza risultasse molto fluida e istintiva. E mi è venuto in mente che quell'attenzione verso l'altro e quello scambio di messaggi quasi subliminali è una caratteristica fondamentale anche del ballo e della musica d'insieme. Senza di essi nessuna di queste espressioni artistiche riesce bene.

Dopo altri esercizi siamo passati alle storie. La tecnica del Playback theatre prevede che un volontario del gruppo racconti una storia. Ma la storia può anche essere una non-storia. Può anche essere solo un sentimento, può anche essere solo un'impressione, può essere un aneddoto; oppure una storia vera e propria con incipit, sviluppo, acme e conclusione.
Le storie vengono poi inscenate all'improvviso da quattro attori accompagnati musicalmente da uno strumentista (nel nostro caso anche tre o quattro), che pure improvvisa. Le diverse tipologie di storie vengono inscenate con diversi strumenti drammaturgici. Quelli visti da noi comprendevano la scultura, la scultura fluida (animata), il tabló, il coro e la scena improvvisata vera e propria.
Durante le discussioni successive tra le varie impressioni sono emersi sia aspetti di tipo ludico sia aspetti di carattere più sociologico-introspettivo. C'è stato chi ha detto: a me piace molto giocare e, da adulti, non è facile trovare i contesti giusti per farlo. A me, invece, è venuto in mente che, nella quotidianità, è molto improbabile che una nostra storia riceva tante attenzioni. La si può raccontare in una cena con amici. Magari ci si ride oppure si riceve la giusta solidarietà ed empatia a seconda della storia che si racconta. Ma poi finisce lì. Non ne segue una messa in scena e una discussione in merito. E ci sono storie che forse non verrebbero mai raccontate perché sarebbe difficile trovare un giusto contesto sociale in cui raccontarle. Ma un presupposto di questo teatro è che tutte le storie hanno pari dignità e nessuna di esse va giudicata. Poi credo anche che gli insegnanti debbano essere molto bravi a moderare e le nostre lo sono state.

Complessivamente è stato bello e coinvolgente. Mi ha lasciato una buona dose di positività. E la sera, mentre tornavo a casa dalla prova musicale post-teatrale, ho sentito che avrei voluto spendere ancora del tempo con il gruppo. L'idea ora è di continuare con un incontro al mese. Spero che il proposito si realizzi.