martedì, luglio 29, 2008

Dolomiti 4: passo Sella, Gran Cir e Ortisei

Oggi è il giorno della grande scalata. Con gli altri due uomini del gruppo decidiamo di raggiungere Lech de Crespëina.
Il giorno prima ho comprato una memoria da 1 GB per avere sufficiente spazio sulla mia macchina fotografica.

Rag-giungiamo in auto passo Gardena, dal quale si può godere di una vista meravigliosa che copre quasi tutti i 360°.

Il nostro obiettivo è attraversare una vallata tra questi picchi e continuare quindi fino al lago. Essendo privi della nostra Guida Indiana ci affidiamo al nostro proverbiale senso dell'orientamento maschile affinato da millenni di selezione naturale che ha decimato i nostri progenitori - cacciatori e raccoglitori - meno abili.

Dopo aver oltrepassato vari tratti molto ripidi di ferrata e dopo aver pensato ripetutamente: "meno male che al ritorno percorreremo un'altro sentiero!", ci accorgiamo invece che il nostro percorso ci sta conducendo alla vetta del Gran Cir: siamo sulla via ferrata del Gran Cir.
Nel frattempo mi accorgo di aver lasciato la macchina fotografica in macchina: mi sarei mangiato le mani! Strapiombi, picchi dolomitici, ferrate: quando mi ricapiterà di poter fermare immagini del genere!?

Durante la salita vediamo qualcosa incastrato in una roccia, che attira la nostra attenzione.
"Che cos'è!? Un santino!?".
Avvicinandoci il santino assume le sembianze di una signora tedesca: una targa recita: alla tua dolce memoria.
Continuiamo raggiungendo la vetta tra sconforto e difficoltà. Solo dopo aver raggiunto la vetta ci rendiamo conto che per il ritorno dovremo percorrere lo stesso sentiero. Comincio a immaginare e forse auspicare un ritorno con l'elicottero del soccorso alpino.

Sulla vetta, in uno spazio di una cinquantina di metri quadrati, troviamo una coppia giovane di Bolzano, un solitario toscano ed una coppia piemontese intorno ai sessanta. Ci intratteniamo un po' con la coppia piemontese. Il signore ha il volto sfigurato. Ci racconta che sono amanti della montagna e delle ferrate. Ci dice che durante una delle loro scalate si scatenò un forte temporale e lui fu colpito da un fulmine. Miracolosamente si salvò, ma dovette tornare indietro con una gamba ed un braccio paralizzati. Poi ci racconta di aver perso la sensibilità alle piante dei piedi a causa di una chemioterapia. Questi racconti mi trasmettono positività. Il messaggio era: nonostante tutto sono ancora qui sul Gran Cir a fare quello che mi piace.
La signora gentilmente ci scatta anche qualche fotografia.

Ci facciamo coraggio e tentiamo la discesa.

Va molto meglio di quello che pensavo: niente elicottero!

Al ritorno un membro del trio di scalatori, non ancora soddisfatto, accompagna sua figlia in un percorso cordato attraverso un bosco di Larici.

Per il giorno dopo decidiamo di percorrere un sentiero meno impegnativo e ce ne andiamo tutti insieme a mangiare una pizza ad Ortisei.

domenica, luglio 27, 2008

Bilinguismo italico 3: genere neutro

La scoperta più interessante è però sicuramente quella che nel mio dialetto (così come probabilmente in molti altri dialetti italiani mediani) il genere neutro si è conservato. Mentre nell'italiano si è perso.
Sono giunto a questa conclusione osservando che in dialetto ci sono tre articoli determinativi: "u", "ó" e "a"; e mentre risulta molto facile trovare un collocazione per il primo e l'ultimo (corrispondono a "il" e "la" rispettivamente), mi risultava invece difficile collocare "ó". Inizialmente avevo pensato che si usasse come "lo" in italiano, ma mi resi subito conto che la cosa non funzionava trovando questi controesempi: "lo gnocco" ad esempio si dice "u gnoccu" e "lo zio" si dice "u ziu"; mentre "il pane" si dice "ó pa'".

Poi leggendo questi due articoli (1, 2) che parlano del neutro nel dialetto napoletano mi resi conto che l'articolo determinativo: "ó" non era altro che l'articolo di genere neutro.
Deuduzione confermata anche da questo articolo

Ho verificato quindi con grande interesse che effettivamente il neutro si è conservato per alcuni nomi che avevano il genere neutro in latino ("o pa'": lat. PANE, "o sangue": lat. SANGUEM, "o caciu": lat. CASEUM).

Altri esempi di neutro: "o sale", "o pepe", "o zuccaro", "o stabbiu".

Ancora più interessante ho trovato il fatto che a volte lo stesso sostantivo può avere genere neutro o maschile a seconda che si riferisca ad una categoria astratta o ad un oggetto concreto. Ad esempio se ci si riferisce al ferro da stiro si usa "u férru", maschile, ma se ci si riferisce al ferro come metallo in generale si dice "o férru". "La stupidità" si dice "o stupidu", ma se ci si riferisce ad una persona, "lo stupido" si dice "u stupidu".
"Questo è il bello di casa" (riferito a una persona) si dice "vistu è u béllu de casa", mentre in senso atratto: "Questo è il bello di codesta storia" si dice "Vesto è o béllu de ssa storia".
Dalla precedente frase si deduce che il neutro è anche presente nei pronomi dimostrativi:


Tavola dei pronomi dimostrativi.
Nota: Non riesco a capire perché, ma la tabella viene visualizzata molti "a capo" più giù.

























Italiano MDialetto MDialetto NDialetto F
questovistuvestovesta
codestovissuvessovessa
quellovilluvellovella

mercoledì, luglio 23, 2008

Dolomiti 3: Piz Boè

Il secondo giorno la mia camminata mattutina solitaria ...

mi conduce presso le sponde di un laghetto: Lech da Sompunt.

Questo è invece Lech de Boè. Il laghetto si distende sotto i nostri piedi mentre saliamo con la seggiovia che ci trasporta sul Piz da Lech, in prossimità del Piz Boè, la cima più alta del Gruppo del Sella.

Proseguiamo la salita.

Alla stazione di arrivo l'aria è frizzante. Si vedono ancora dei residui di neve.

Il colore di questi fiori attira la mia attenzione.

Mi piacciono molto anche queste formazioni.



Non poteva mancare una nuova prospettiva della Marmolada.

lunedì, luglio 21, 2008

La vera storia della principessa sul pisello

Sul blog di Ubik ho trovato questa lettera di Marina Garaventa. Pare che sia stata pubblicata su "La Stampa" e su altri media.
La lettera mi è piaciuta molto e condivido tutte le opinioni dell'autrice.
Marina Garaventa ha un blog e ha scritto un libro.
Questo video vi racconterà un po' della sua storia. È molto toccante.

Qui invece troverete un seguito di Marina Garaventa al clamore avuto dalla lettera.

Ecco la lettera:

Caro Direttore,

sono Marina Garaventa, ho 48 anni e sono, più o meno, nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby: come lui, ho il cervello che funziona benissimo, diversamente da lui, posso ancora usare le mani e la mimica facciale.

Come ho seguito il caso Welby, esprimendo la mia opinione, ho seguito il caso, ben più grave del mio, di Eluana Englaro e mi sono «rallegrata» della sentenza che ne sanciva la conclusione, sperando che nessuno si permettesse di intromettersi in un caso così delicato e personale. Non avevo la benché minima intenzione di dire o scrivere alcunché fino all’altra mattina alle 7 quando, ascoltando i primi notiziari, ho sentito tante «cazzate» che mi sono decisa a dire la mia. Io sono abituata a esprimere opinioni, dare giudizi e consigli solo su cose che conosco bene e che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe tanto che tutti si regolassero così, evitando di aprire la bocca per dare aria a sentenze basate su mere teorie filosofiche e moral-religiose.

Con queste parole mi riferisco, in particolare, alle recenti «sortite» di alcuni personaggi noti che, in un delirio di onnipotenza, dicono la loro, scrivono lettere patetiche e organizzano raccolte pubbliche di bottiglie d’acqua: le bottiglie, a Eluana, non servono perché sia l’acqua sia la nauseabonda pappa che la tiene in vita e che anch’io ho provato per mesi, le arriva attraverso un sondino.

Bando quindi ai simbolismi di pessimo gusto di Giuliano Ferrara, stimato giornalista, e al paternalismo di Celentano, mio cantante preferito. In quanto al mio esimio concittadino, il Cardinal Bagnasco, sarebbe cosa buona e giusta che, prima di esprimersi su quest’argomento, avesse la bontà di spiegarci perché a Welby è stata negata la messa e, invece, il «benefattore» della Magliana, Renatino De Pedis, è sepolto in una nota chiesa romana.

A questo punto, però, siccome neppure a me piace fare della teoria, propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai. Sono disponibile anche a mettermi a disposizione per quest’esperimento ma, devo avvisare tutti che, per loro sfortuna, io sono sicuramente meno docile di Eluana e se qualcuno, chiunque sia, venisse per insegnarmi a vivere, lo manderei, senza esitazione, «affanc…».

A sostegno di quanto detto finora, aggiungo che, nonostante io non possa più camminare, parlare, mangiare, scopare e quant’altro, amo questa schifezza di esistenza che mi è rimasta e mai ho avuto il desiderio di staccare la spina del respiratore che mi tiene in vita. Nonostante tutte le mie limitazioni, io ho una vita intensissima: scrivo su alcuni giornali locali, tengo un blog ho un’intensa vita di relazione e, in questo periodo, sto promovendo un mio libro che narra di questa mia splendida avventura. («La vera storia della principessa sul pisello», Editore De Ferrari , Genova).

Sicuramente qualcuno penserà che voglio farmi pubblicità e, in un certo senso, è vero: io voglio, per quanto posso, dar voce a tutti quelli che sono nella mia condizione e non sanno o non possono dire la loro.

Parliamoci chiaro: i malati come me, come Welby ed Eluana, sono già morti! Sono morti il giorno in cui il loro corpo ha «deciso» di smettere di funzionare e hanno ricevuto dalla tecnologia, che io ringrazio sentitamente, l’abbuono, il regalo di un prolungamento dell’esistenza. Ma come tutti i regali, anche questo vuol essere contraccambiato con merce altrettanto preziosa: una sofferenza fisica e morale che solo una grande forza di volontà può sopportare.

Nel momento in cui il gioco non vale più la candela il paziente deve poter decidere quando e come staccare la spina. Lo Stato deve garantire la miglior vita possibile a questi malati, tramite assistenza, supporti tecnologici e contributi ma non può arrogarsi il diritto di decidere della loro vita sulla base di astratti principi etici, molto validi per chi sta col culo su un bel salotto, ma che diventano assai stucchevoli quando si sta nel piscio.

Eluana non può più decidere ma chi le è stato vicino, nella gioia e nella sofferenza, chi l’ha conosciuta e amata non può dunque decidere per lei, mentre possono farlo persone che, fino a ieri, non sapevano neppure che esistesse?

Io sono pronta a chiedere umilmente perdono se questi signori mi diranno che, nella loro vita, si son trovati in situazioni come la mia o come quella di Eluana e delle nostre famiglie ma, francamente, non credo che la mia ammenda sarà necessaria. Per chiarire meglio la mia situazione rinvio al link di un video: qui
Concludo ringraziandola e sperando che voglia dare voce anche a me che parlo con cognizione di causa e non per fare della filosofia.

Marina Garaventa

giovedì, luglio 17, 2008

Bilinguismo italico 2: Ricchezza espressiva del dialetto

Prima di tutto è necessaria una bella dimostrazione di una narrazione nel mio dialetto. Attentione! Il linguaggio - per chi riuscirà a capirlo - è piuttosto scurrile e blasfemo.



Alcune osservazioni sui comportamenti linguistici mi hanno portato a registrare che molti miei compaesani si esprimono più propriamente ed in un modo più ricco di dettagli e sfumature nel momento in cui parlano in dialetto. Quando poi traducono gli stessi pensieri nella ligua di Dante, semplificano, approssimano e spersonalizzano.

Cito qualche esempio.
Nel mio dialetto "affettare il pane" si dice "fetta' o pa'". Sono però sicuro che il 99% dei miei compesani tradurrebbe con "tagliare il pane", perdendo la bella sfumatura dell'azione di produrre delle fette.
C'è un detto del mio paese che recita: "da 'na parte u mmastu a da penne". Che è un po' l'equivalente di volere la botte piena e la moglie ubriaca. "mmastu" sta per "basto", ma anche in questo caso sono sicuro che il 99% dei miei compesani lo tradurrebbe impropriamente con "sella".

Altro esempio.
Chi usa più ormai il pronome dimostrativo "codesto"? Eppure in dialetto esiste ed è ancora vivo. Solo che purtroppo suona molto diverso. "Questo", "codesto" e "quello" si traducono in "vistu", "vissu" e "villu" ("stu", "ssu" e "llu" quando usati come aggettivi dimostrativi). "Vissu", allo stesso modo di "codesto", viene usato per riferirsi ad un oggetto che si trova vicino al nostro interlocutore.

Esempio pratico
- "Passami 'm bo' ssu cortellu che hó da fetta' o pa'?!"
- "Quale cortellu vó? Vistu c'a seghetta o villu c'a lama liscia?"
- "No, voglio vissu che té esso 'nnanzi all'ócchi!"

- "Potresti passarmi codesto coltello ché voglio (devo) affettare il pane?!"
- "Quale coltello vuoi? Questo seghettato o quello con la lama liscia?"
- "No, voglio codesto che hai costì davanti agli occhi!"


"Vissu" viene usato correntemente, ma poi quando si passa all'italiano lo si traduce impropriamente o con "questo" o con "quello".
Stesso discorso per gli avverbi "qui", "costì" e "lì" che si traducono con "ecco", "èsso" e "loco". Anche in questo caso "èsso" viene usato correntemente, ma poi quando si passa all'italiano lo si traduce impropriamente o con "qui" o con "lì".

Per quanto riguarda i suddetti avverbi esistono addirittura delle sfumature che in Italiano mancano proprio: "eccuci", "essuci" e "locuci" significano "qui intorno", "costì intorno" e "lì intorno".

Il pronome dimostrativo "codesto" sopravvive nella lingua parlata probabilmente solo in Toscana in quanto parte del dialetto toscano. Suppongo che tale promome esista anche in quasi tutti i dialetti centro-meridionali. Il problema è che il suono di queste versioni dialettali non somiglia neppure un po' al suono di "codesto": basti pensare al suono di "vissu"!
Mi sono però accorto che molti miei compaesani sentono comunque l'esigenza di usare la precisione di tale pronome anche quando parlano italiano e a volte coniano all'occorrenza dei vocaboli sostitutivi come "quesso", che somiglia a "vissu", ma suona più italiano.
Io sono dell'opinione che, se invece di criminalizzare il dialetto, come è avvenuto per decenni, lo si fosse valorizzato nel modo giusto, ad esempio introducendo ai bambini del mio paese, al momento dell'apprendimento dei pronomi dimostrativi, il pronome "codesto" come una traduzione di "vissu", senza perdersi in inutili e incomprensibili spiegazioni, si sarebbero mantenute più vive le radici linguistiche e meno traumatico e depauperante il passaggio alla lingua italiana.

lunedì, luglio 14, 2008

Dolomiti 2: camminate solitarie e Pralongià

La vacanza è stata caratterizzata da un certo sfasamento di fusi orari. Zucchero ed io - ma soprattutto io - ci svegliavamo di solito circa tre ora prima rispetto al resto della compagnia. Questo sfasamento mi ha spinto verso una serie di camminate solitarie.

Questo è il panorama che ci trovavamo di fronte durante le nostre cene e colazioni: le pareti del Fanes.

Questa è una fotografia del Sassongher scattata durante la mia camminata solitaria antelucana del primo giorno.

Scattata anch'essa durante la stessa camminata....
Una delle caratteristiche secondo me più interessanti dell'alta val Badia, a parte ovviamente l'ambiente ed il paesaggio, è la varietà linguistica. La maggior parte della popolazione parla il ladino come prima lingua, ma quasi tutti parlano perfettamente anche l'taliano ed il tedesco. Per le strade si sentono parlare tutti e tre gli idiomi anche all'interno di una stessa conversazione.
Avrei voluto imparare qualche vocabolo in più, ma purtroppo ho memorizzato solo "giulan" ("grazie") e "Studafech" ("Vigili del Fuoco").

Un paio d'ore dopo la mia camminata solitaria partiamo finalmente alla volta di Pralongià.

Catturano la mia attenzione: un formicaio,

il paesaggio

e dei fiori.



I prati erano pieni di queste piante erbacee. Mi chiedo ancora che piante siano. C'è qualche esperto di botanica tra i lettori?

Giunti alla meta...

la Marmolada troneggia svettando di fronte a noi.

Ci rifocilliamo. Io prendo la polenta con i funghi. Nei giorni successivi capirò che è più conveniente mantenersi un po' più leggeri a pranzo.

Ci rincamminiamo per il ritorno.

giovedì, luglio 10, 2008

Bilinguismo italico - 1: introduzione

Questo è il primo post di una piccola serie.

Io mi considero un po' bilingue. L'altra lingua oltre l'italiano non è però né l'inglese tanto meno il tedesco è un dialetto. Individuabile nell'albero delle lingue nel seguente ramo:

Indoeuropee
Italiche
Romanze
Italo-orientali
Mediano
Sabino

In famiglia i miei parlavano il dialetto tra di loro, ma con me non lo parlavano. Si comunicava in una sorta di romano italianizzato e con forti contaminazioni sabine. Quando frequentavo l'asilo - stranamente i miei tre neuroni custodiscono molte memorie di quel periodo - tutti i miei coetanei si esprimevano invece in dialetto e mi facevano sentire un diverso: un "romano". Arrivato quindi alla prima elementare cominciai a parlare in dialetto anch'io con i miei compagni, ma non in famiglia. Questo mi creò non poche difficoltà di espressione quando mi trovavo in ambienti misti.

Negli anni successivi il mio interesse verso il dialetto che parlavo è andato crescendo. Ho cominciato ad interrogarmi sul suo uso e a sviscerarne le particolarità. Qualche anno fa, durante una delle mie letture frittatesche, scoprii che i dialetti italiani sono classificati in Italo-orientali ed Italo-occidentali. La linee di demarcazione sarebbe approssimativamente l'appennino tosco-emiliano.
Il toscano apparterrebbe quindi ai dialetti Italo-orientali. Per questo mi viene un po' da ridere quando qualcuno mi dice che l'italiano corretto è quello parlato a Milano: basti pensare alla pronuncia delle vocali nella lingua meneghina e alla quasi assenza del passato remoto dalla stessa.

martedì, luglio 08, 2008

Dolomiti 1: tappa ad Ulm ed arrivo in Alta Badia

Ecco finalmente l'agognato fotoracconto delle nostre vacanze dolomitiche.
Siamo stati estremamente fortunati con il tempo: ci sono stati sette giorni di quasi assenza di pioggia. Ci hanno detto che è stata la prima settimana così dopo mesi.

Zucchero ed io abbiamo deciso di spezzare il percorso, partendo venerdì 20 giugno dopo il lavoro e facendo tappa ad Ulma. La città ci piace. La sera passeggiamo un po' per il centro. C'è la partita Turchia - Croazia e le minoranze sono completamente dispiegate e combattive.
La mattina seguente ci avventuriamo nella scalata della torre campanaria della cattedrale. Pare che sia la torre in pietra più alta al mondo.
Dopo la faticosa scalata facciamo un giro per il grande e vario mercato ai piedi della cattedrale. Compriamo 2 Kg di ottime fragole da un contadino un po' burbero.

Ho sempre trovato le gargolle molto affascinanti...



anche queste strutture mi piacciono molto

Dopodiché partiamo alla volta dell'Alta Badia. Senonché al confine con l'Austria il poliziotto ci ferma facendoci notare che siamo senza targa.... Immagino che quello strano rumore di qualche chilometro fa fosse la targa che ci abbandonava. Siamo costretti a fermarci a Füssen per la denuncia. Ne approfittiamo per mangiare. Capitiamo in un ristorante lungo le sponde del

Lech che offre nella lista le carni più impensabili: coccodrillo, struzzo... Le ho già provate entrambe: il coccodrillo a Cuba e lo struzzo da Trimani a Roma. Prendo lo struzzo, ma mi delude: era troppo cotto. Quello di Trimani era incomparabilmente più buono.

Arriviamo all'albergo Dolasilla - il cui nome è un'omaggio alla "bellissima figlia del Re dei Fanes" - verso l'ora di cena. Insieme alla cena ci facciamo servire anche le nostre ottime fragole ulmine.

giovedì, luglio 03, 2008

Concerto AufTakt

Sabato 12 luglio alle 19:00 si terrà il concerto della "Auftakt Orchester": l'orchestra in cui suono. Il concerto avrà luogo nella "Lutherkirche" di Heidelberg.

Il programma sarà:

Edward Elgar: Immagini di mare (Sea Pictures), Ciclo di brani per contralto e orchestra, Op.37 (1897-99). Nel nostro concerto il solista sarà un baritono invece di un contralto.



Pëtr Il'ič Čajkovskij: Marcia slava, op. 31 (1876).



Ludwig van Beethoven: Settima Sinfonia in La maggiore op. 92 (1811-12).



Albert Ketèlbey: In a Persian Market (1920)



Invito tutti quelli che si troveranno da queste parti.