venerdì, settembre 28, 2012

Riunioni internazionali

Tutti i partecipanti si sono profusi in elogi per l'organizzazione dell'evento e mi hanno detto di far tutto il possibile per organizzarne un altro il prossimo anno. Mi ha fatto piacere. Ora finalmente torno a casa e mi concedo qualche settimana un po' più rilassata prima della nuova partenza verso gli USA di fine ottobre.
Buon inizio di fine settimana a tutti!

lunedì, settembre 24, 2012

Reparti

Entrati nella nuova stanza Fosco e Sara disfecero la valigia per la seconda volta in due giorni.

- A proposito, l'infermiera mi ha detto che puoi collegarti alla Rete - gli disse Sara passandogli il portatile.
- Bene. Tra l'altro devo ancora scrivere a Günter per annullare i corsi.
- Che hai preso per pranzo? - chiese Sara prendendo il foglio del menù che giaceva sul letto.
- Penne all'arrabbiata.
- Penne all'arrabbiata!? - esclamò Sara sorpresa conoscendo l'opinione di Fosco in fatto di cucina pseudo-italiana. - Scusa, ma non hai visto come l'hanno scritta? "Penne al arabiata".
- Sì, lo so. Sembra il nome di un'emittente araba. Però hai visto quali erano le altre due possibilità?
- Be', effettivamente ... - rispose Sara guardando di nuovo il foglio.

In quel momento entrò un'infermiera con un vassoio. Aveva capelli e carnagione scura e un fisico non propriamente snello.

- Il pranzo! - disse con voce forte e sgraziata.

Dietro di lei una seconda infermiera alta, bionda e appariscente portava il secondo vassoio.
Fosco sollevò il coperchio di plastica, guardò il piatto stupefatto e poi guardò Sara. Prese infine la forchetta e si mise a smuovere il contenuto. Si trattava di una sorta fettuccine con salsa di cipolline sottaceto, peperoni e piselli. Sollevò di nuovo lo sguardo verso Sara che ricambiò la smorfia con un sorriso. Una delle passioni di Fosco era la cucina ma nonostante fosse un buongustaio egli si adattava a mangiare un po' tutto. Tuttavia a finire quel piatto di Penne al arabiata non ce la fece proprio.

- Stasera ti porto qualcosa io - disse Sara.

Non appena Sara fu uscita Fosco si mise a scrivere ai suoi capi per annullare il viaggio di lavoro. Egli sarebbe dovuto partire quella domenica per andare a tenere un corso a Roma. Era da un paio di mesi che dedicava una parte delle sue giornate lavorative alla preparazione di quel corso e da alcune settimane si stava pregustando il viaggio verso la sua città d'adozione. Aveva spiegato a Günter e Pedro qual era il motivo dell'annullamento e gli aveva detto che, se il suo stato di salute glielo avesse concesso, avrebbe voluto continuare a lavorare un po' in quei mesi di ospedale. Deliziato dal sottofondo di musica Schlager che proveniva dal televisore di Herr Mittnacht, il suo nuovo compagno di stanza, Fosco aveva quindi continuato ad usare il portatile. Si alternava tra la ricerca d'informazioni sulla sua malattia e la stesura di un appello. Quando l'ebbe terminato spedì l'appello a tutti i suoi contatti italiani e lo usò anche per aprire un forum di discussione su uno dei siti web che frequentava. Fosco aveva aperto l'appello con il racconto di quello che gli era accaduto negli ultimi giorni. Aveva quindi proseguito:

I medici mi hanno spiegato che avrò bisogno di un trapianto di cellule staminali provenienti da un donatore e che tali cellule dovranno essere compatibili con le mie. Tra fratelli è molto probabile (30%) che sussista una tale compatibilità. Tuttavia, essendo figlio unico, io dovrò usufruire della banca dati mondiale che raccoglie le caratteristiche delle cellule di tutti i potenziali donatori. Ovviamente, più grande è il numero di potenziali donatori presenti nella banca dati, più alta è la probabilità che si trovino delle cellule compatibili con le mie. Per questo vorrei pregare tutti voi dal profondo del cuore di dare una speranza a me e ai miei cari recandovi presso il più vicino centro dell'ADMO (Associazione Donatori Midollo Osseo) e farvi registrare come donatori. La procedura prevede un solo un prelievo di sangue come per una qualsiasi analisi.

Il tempo che ho a disposizione è di 4-6 mesi. Vi prego di registrarvi il più presto possibile e far registrare quante più persone potete.

Vi ringrazio, vi abbraccio e vi bacio.

Fosco


- Buongiorno signor Chiellini, sono la dottoressa Engel.

Voltandosi Fosco vide una figura minuta, graziosa, con i capelli corti e scuri e il volto da bambina.

- Sono una dei medici di reparto - continuò la dottoressa mentre Fosco chiudeva il portatile. - Sono qui per l'anamnesi e per fornirle alcune informazioni.

La dottoressa lo visitò, lo palpò, lo auscultò. Poi gli fece una serie di domande sulla sua storia sanitaria e su quella della sua famiglia. La Engel piacque subito a Fosco. Mostrava tatto, dolcezza e umanità in ogni sua azione.

- Ho una domanda - azzardò Fosco. - Visto che ora i globuli bianchi sono meno di quarantamila, non si potrebbe seguire il protocollo per le leucemie a basso rischio ed evitare quindi il trapianto?
- No. Per la classificazione conta il risultato della prima analisi. E poi senza trapianto la terapia durerebbe almeno due anni. Con il trapianto invece tra sei mesi potrebbe esser già tutto finito.
- Eh già - disse Fosco con scarsa convinzione.
- Con la chemioterapia non abbiamo ancora cominciato - riprese la dottoressa. - Le flebo che le stiamo somministrando sono a base di cortisone. Con i pazienti più giovani di solito ritardiamo l'inizio della terapia per dar loro l'opportunità di congelare lo sperma.
- Congelare lo sperma? - ripeté Fosco.
- Sì. Molto probabilmente la terapia la renderà sterile. Se vuole noi siamo in contatto con un ginecologo che offre questo servizio.

Più tardi, dopo un viaggio in taxi rimborsato dalla clinica, Fosco constatò che gli sgabuzzini medici dotati di riveste pornografiche non esistono solo nelle leggende metropolitane.

domenica, settembre 23, 2012

Baccalà alla portoghese

Stasera ho provato una nuova ricetta: baccalà alla portoghese.
Il risultato non è stato niente male. Penso si possa ripetere.

Ingredienti: (per 4 persone ma noi abbiamo mangiate 3 porzioni in 2 e non siamo mangioni)
baccalà ammollato 600 g - patate 500  g  - cipolla bianca o gialla 300 g - olio d'oliva 100  g  - 6 chiodi di garofano - 4 spicchi d'aglio - prezzemolo - sale.

Preparazione:
Tagliate il baccalà a pezzi regolari, privandoli di scarti. Pelate le patate e affettatele a rondelle (me ne sono avanzate quindi ne dovrei mettere di più per ogni strato); mondate e affettate le cipolla a rondelle. 
 In una teglia, possibilmente di coccio, preparate degli strati (ne sono venuti tre) con la cipolla, le patate e i pezzi di baccalà condendo man mano con 6 chiodi di garofano, prezzemolo tritato e spicchi d'aglio, interi e tritati, in quantità a piacere (almeno 4). Irrorate con l'olio, cuocete la preparazione nel forno già a 200° per circa un'ora e 15'. A cottura ultimata, assaggiate e, al caso, aggiustate di sale. Servite il baccalà nel recipiente di cottura, cosparso con un pizzico di prezzemolo tritato.

venerdì, settembre 21, 2012

Ultimo giorno d'estate

Godetevi l'ultimo giorno d'estate.
Domani 22 settembre alle ore 14:49 entrerà ufficialmente l'autunno

Buon equinozio d'autunno!!


domenica, settembre 16, 2012

Guida statunitense e usanze gastronomiche giapponesi

Ieri sera mi sono intrattenuto di nuovo con il nuovo collega edochiano. Tra le altre cose gli ho detto che attraverso brevi ricerche su Tokyo e il Giappone ho appreso anche un nuovo vocabolo italiano che non avevo mai sentito prima. E cioè proprio il termine "edochiano". Lui mi ha confermato subito quello che dice anche la Treccani: Edo era l'antico nome di Tokyo.
Tra una chiacchiera e l'altra ci siamo incamminati per recarci al vicino centro abitato per la cena. In realtà, chiamarlo centro abitato non è molto corretto. Soprattutto se il lettore non ha mai visitato una moderna città USA. Questi centri abitati sono infatti cellule urbane composte di ristoranti, distributori, qualche negozio ed, eccezionalmente in questo caso, anche da una palazzina con appartamenti. Dico eccezionalmente perché qui la maggior parte delle abitazioni sono case con giardini disposte in un altro tipo di cellule urbane composte esclusivamente da case con giardini. Tutte queste cellule urbane sono delle isole circondate dalle famose ragnatele di superstrade a 5-6 corsie ed immerse in un territorio molto boscoso. Il tutto messo insieme costituisce la città. Per chi volesse farsi un'idea sulla ecco un esempio.
Ad ogni modo, la grande sorpresa e novità è stata la presenza di qualche sporadico semaforo pedonale. Un enorme passo avanti! Ora non si rischia più di essere investiti percorrendo quei dieci minuti di cammino che separano la struttura alberghiera dalla zona ristoranti. Cominciassero a capire che per spostarsi non è sempre necessaria l'auto? A dire il vero comunque devo anche spezzare una lancia a favore dello stile di guida locale. Lo ammiro molto. Sono molto gentili quando guidano: se uno ha sbagliato corsia e vuole rientrare, loro frenano e lo lasciano rientrare; se uno fa un errore gli sorridono. Insomma applicano gli stessi principi che uno applicherebbe se sta camminando. Ed è quello che cerco di fare anch'io da un po' di anni. Non capisco perché quando uno si trova alla guida si debba disumanizzare.
Ma comunque, tornando alla conversazione di ieri, una volta raggiunta la cellula urbana dei ristoranti abbiamo deciso di scegliere uno dei migliori e forse anche il più caro. Che è poi di proprietà della moglie del nostro megacapo galattico.

Entrati nel ristorante ci siamo accorti con una certa sorpresa che il luogo era ben attrezzato per sushi e sashimi. A quel punto, visto il mio interesse, la scelta è stata quasi obbligata e ci siamo orientati sul piatto grande di sashimi.
- Ma allora - ho detto - la cena deve essere totalmente giapponese. E se voi pasteggiate con il saké, vada per il saké. Solo che io pensavo si trattasse di un superalcolico e sono rimasto molto sorpreso quando il mio collega ne ha ordinata una bottiglia da 0,75. E invece andando a leggere ho visto che aveva solo 16°. Poco più di un vino rosso quindi. Quando poi il collega mi ha spiegato che i saké vengono classificati su una scala con gradazioni dal dolce al secco e che loro scelgono gradazioni diverse a seconda del cibo ho capito che l'attenzione e l'importanza che la loro cultura attribuisce al cibo è paragonabile a quella della nostra cultura. Il che mi ha reso quella cultura ancora più interessante.

Dopo l'arrivo del saké è arrivato questo legume simile a una fava ma che fava non era e il cui sapore non le somigliava neppure. Dice che loro lo usano così, per intervallare il pasto. E penso che avrà riso molto dentro di se quando io ho infilato in bocca tutto il baccello ed ho poi passato un paio di minuti a sputare i resti.
Poi c'è stata la lezione sul sashimi. Che non si mangia così com'è ma ha un suo rituale che prevede il versamento della salsa di soia nel piattino, il distaccamento di un grumetto di wasabi con le bacchette1, il suo posizionamento sul bordo del piattino, il posizionamento del pezzo di pesce nel piattino2, il posizionamento di un mini grumetto di wasabi3 sul pesce e infine la sospirata introduzione del boccone nel cavo orale.
Oltre all'uso appropriato del wasabi il collega mi ha detto che le fettine di zenzero vengono usate quando si passa da una qualità di pesce ad un'altra come a voler far ripartire le papille gustative: un po' come il nostro sorbetto tra pesce e carne. Poi abbiamo parlato di buddismo, di geishe, di zen e della cerimonia del tè di cui sua moglie è una cultrice.
Poi mi ha raccontato aneddoti sulla visita a Tokyo del megacapo galattico. Dovete sapere che qui hanno l'ossessione per l'aria condizionata. Vi dico solo che appena entrato nella mia camera d'albergo ho dovuto accendere i riscaldamenti. C'erano 18° quando fuori stavamo a 28°. Insomma questa visita a Tokyo del megacapo galattico è avvenuta poco dopo l'incidente di Fukushima4, quando il governo aveva dato indicazioni per risparmiare energia. Con 28° i condizionatori erano quindi spenti e pare che egli si sia lamentato e in particolare per il fatto che con quel caldo servissero caffè e non coca-cola. 

Invece oggi per pranzo, insieme alla mia capa, siamo capitati, un po' per caso e mio malgrado, in un ristorante pseudo-italiano. Come musica c'erano canzoni italiane a ripetizione e le ricette erano ovviamente anch'esse pseudo-italiane ma con la pretenziosità di apparire genuinamente italiane. Ecco, forse è questa la differenza tra i ristoranti italiani in Germania e quelli negli USA: entrambi sono pseudo, ma quelli in Germania sono quasi sempre gestiti da italiani e non seguono quella falsa ritualità e pretenziosità. Ad ogni modo la sorpresa più grande l'ho avuta quando sono andato in bagno. Ho trovato una porta con su scritto "donne" e l'altra con su scritto "signore". Purtroppo non avevo il telefono con me e quindi non sono riuscito a fotografare l'irripetibile scena. Se voi foste stati nei miei panni quale porta avreste scelto?

1 Ma io dopo vari tentativi inutili ho usato la forchetta
2 Se si usano le bacchette tutto risulta più elegante ed efficace. 
3 Attenzione alla quantità altrimenti anche di lacrime ne verserete una quantità discreta
4 Non si dice né Fukùshima e né Fukushìma. In giapponese non esistono glii accenti

sabato, settembre 15, 2012

Italia - Giappone

Stamane la corsa antelucana non è andata così bene come ieri. I muscoli erano un po' indolenziti e il ginocchio sinistro mi dava un po' di fastidio. Probabilmente a causa dell'inusuale sforzo di ieri.
In compenso ho appreso che la tv giapponese trasmette una qualche trasmissione condotta dal nostro amatissimo erede dimezzato al trono inesistente: Emanuele Filiberto. Non ho ben capito di quale trasmissione si trattasse, ma come potrete immaginare il mio cuore si è riempito di gioia nel constatare come solo il meglio del nostro paese raggiunga anche l'altra faccia del globo.
Poi ho appreso che la moglie del nuovo collega edochiano ha studiato l'italiano e che prima
della partenza del marito per le Americhe ha stilato una serie di raccomandazioni per lui. Tra le quali: Mi raccomando! Non salutarlo con il "ciao"! Lui è il tuo capo, non puoi dirgli "ciao"! E forse altre raccomandazioni che non mi ha raccontato.
Ho anche appreso che la coppia nipponica ha trascorso il viaggio di nozze in Italia. Sono rimasti talmente colpiti che hanno deciso di chiamare la figlia, probabilmente concepita durante quel viaggio, con il nome di una città toscana. Al che ho fatto sfoggio della mia comprensione del sistema di scrittura giapponese osservando:

- Ma allora per scrivere il suo nome avete dovuto usare il sistema di scrittura Katakana, visto che la parola è straniera! Quindi tua figlia non ha un pittogramma tradizionale Kanji per il suo nome.
- No - mi ha risposto lui. - In Giappone è usanza che i nomi dei figli ereditino un pittogramma dal nome del padre e un pittogramma dal nome della madre. E noi nei nostri nomi avevamo i due pittogrammi che ci servivano per esprimere il nome di quella città. Quindi anche lei ha i suoi due bei pittogrammi.

Questa storia mi è piaciuta molto. Una storia che invece stento ancora a comprendere è quella in cui il collega edochiano ha ordinato il "peperoncino" (sembra che lo chiamino con il nome italiano anche in Giappone, quindi con quale sistema di scrittura lo scriveranno?) in un ristorante romano e i camerieri gli hanno chiesto se voleva il "peperoncino bianco" o quello rosso. Avete mai sentito parlare del "peperoncino bianco"?

venerdì, settembre 14, 2012

Boschi americani e cultura giapponese

Stamane nuova corsa antelucana per i boschi americani. Ma stavolta si faceva sul serio. Perché non ero solo. Ero con il mio collega danese che vive in Francia e che si sta allenando per la maratona di NY. Per venti minuti ho quindi sostenuto un ritmo che non avevo mai raggiunto prima: tra i 5 e i 6 min/Km.
Poi gli ho detto: se vuoi andare più veloce vai pure. E dopo un po' lui si è involato e io ho virato la marcia viaggiando ai miei più confortevoli 8 min/Km e concedendomi delle pause per scattare le foto che vedete. L'alba sul lago con anatre e bruma mattutina erano veramente un bello spettacolo. Interessante anche il fatto che quasi tutti gli altri corridori che incrociavo mi salutavano. Addirittura uno mi ha salutato con la mano e poi girandosi alle mie spalle mi ha chiamato per nome. Ho capito chi fosse solo più tardi a mensa: uno da cui cinque anni fa ho rischiato di essere licenziato.

Per quanto riguarda la cultura giapponese invece ho appreso che hanno quasi la stessa quantità di ferie e festivi che abbiamo noi solo che ne usano pochissimi. E mi ha fatto piacere constatare che il nuovo collega di Tokio ha un buon senso dell'umorismo. Ieri mattina davanti all'ascensore mi ha spiegato che se in Giappone si trova in quella situazione con il suo capo, quando arriva l'ascensore deve entrare lui per primo, tenere premuto il bottone per bloccare le porte e dopo l'ingresso del capo premere il bottone per chiudere le porte. Quando ci siamo trovati nella stessa situazione nel pomeriggio non appena le porte dell'ascensore si sono aperte lui si è tuffato all'interno mimandomi tutta la scena e dicendomi sorridendo: ora sei tu il mio capo.

Il corso sulle metodologie di risoluzione dei problemi procede piuttosto bene. È basato molto sul ragionamento di tipo logico. E la cosa mi piace. Anche la cena di stasera, che immaginavo molto noiosa, alla fine non è stata male. Forse perché non eravamo troppi, né troppo pochi.

giovedì, settembre 13, 2012

Di nuovo negli USA

Rispetto al viaggio USA dello scorso anno stavolta ho molto meno da raccontare. Purtroppo i tempi serrati tra la vacanza italica e la partenza per questo viaggio non mi hanno consentito il solito girovagare per la città di scalo e i ritmi serrati al lavoro, con l'opera di ciceronaggio con il mio nuovo acquisto di Tokio e questo corso sulle metodologie di risoluzione dei problemi, mi concedono pochissimo tempo libero. Devo rubarlo qua e là. Tra la fine di un corso e l'inizio di una cena di lavoro.

Oppure la mattina sfruttando la maledizione dei troppo velocemente attraversati meridiani terrestri. Stamane ad esempio il dio dei meridiani mi ha fatto svegliare alle 4:30. Dopo vari tentativi vani di riprendere sonno mi sono alzato e sono uscito all'alba per una corsetta. Ho potuto così constatare che in questo strano questo posto, appena si sconfina di un centinaio di metri dalle strutture alberghiere supertecnologiche e dalle ragnatele di superstrade a 5-6 corsie uno si trova circondato da una natura paragonabile a quella delle parti più incontaminate dei nostri parchi.

 Imboccato il sentiero silvano che parte dal parcheggio dell'albergo ho trovato immediatamente questi funghi.
Sono stato tentato di usarli per un aperitivo alla colazione. Ma poi ho desistito: erano troppo belli. Che dite? Forse sarei stato più creativo nel trovare le risoluzioni ai problemi durante il corso?
Poi continuando a correre ho visto con la coda dell'occhio un grosso animale che scappava. Credo si trattasse di un daino.... oppure.... era forse l'effetto virtuale del fungo?

Forse il fatto più interessate di questo viaggio è che sto imparando qualcosa sulla cultura giapponese dal mio nuovo collega. Mi ha parlato del loro tipo di rapporto reverenziale con chiunque occupi un gradino superiore nella scala socio-anagrafica, mi ha mostrato le foto del più grande mercato del pesce del mondo che si trovava sotto le finestre del loro precedente ufficio, con particolari di centinaia di tonni allineati (e lì non ho potuto fare a meno di pensare che molti di quelli era stati probabilmente pescati nel mediterraneo) e infine mi ha spiegato i primi rudimenti del sistema scrittura giapponese.

Ho scoperto così che, non solo il sistema di scrittura giapponese è composto da logogrammi cinesi, che di per sé rendono le cose già molto complicate, ma che i giapponesi usano addirittura altri due alfabeti. Fatto che rende tale sistema il più complicato tra i sistemi di scrittura esistenti. In tutto i giapponesi usano quindi tre alfabeti: il
Kanji, costituito da caratteri cinesi;

il Kana, sistema sillabico a matrice, che a sua volta si divide in:
Hiragana, usato insieme al kanji per parole giapponesi originali o naturalizzate e per elementi grammaticali; e Katakana, usato per le parole straniere, per i nomi, per le onomatopee e per i nomi scientifici.

A proposito, avete presente lo stereotipo linguistico dell'orientale che trasforma tutte le "r" in "l"? Be' è parzialmente vero. In quanto molte volte le "r" diventano "l" ma molte altre volte succede il contrario: cioè le"l" diventano "r". Quindi, ad esempio, "Italy" si tramuta in "Itry". Diciamo che quando non capisco qualche parola mi devo fare sempre una conversione mentale con tutte le possibili permutazioni di "r" ed "l" presenti nella parola.

Comunque, se imparerò cose nuove vi terrò aggiornati. So che starete tutti fremendo per una nuova lezione di giapponese.

martedì, settembre 04, 2012

Ragazzetto niro niro

Il nipotello, prima di ripartire per il centro Italia causa malattia ha inviato la sua apodittica risposta alla signora dai capelli rossicci.

Erano sul divano e Zucchero gli leggeva "Anna e la lezione di nuoto". Durante la lettura di una delle pagine il pargolo ha indicato Anna.
- Quetta è zia Daddà - ha detto. Poi guardando uno dei bambini - Quetto è Lele - e infine indicando l'unico bambino nero ha scandito: - E quetto è zio Babbu.

Signora dai capelli rossicci! Tèèhhh!

domenica, settembre 02, 2012

Cilento: Acciaroli, Novi Velia e Padula

Siamo giunti ad Acciaroli dopo un viaggio di circa 250 km con suoceri e nipotello. Rimarremo una settimana, ma il portabagagli è stipatissimo. E non solo il portabagagli. C'è mancato poco che non mi ritrovassi qualche pacco di pasta tra l'acceleratore e il freno. Pomodori, zucchine, patate, caffè, zucchero, crostate... e.... limoni. Giustamente! Uno va a sud di Amalfi e che fa!? Non si porta i limoni!? Probabilmente qundo Totò e Peppino andarono a Milano avevano meno scorte di noi. Purtroppo a noi mancavano i polli vivi. Penso che il nipotello avrebbe apprezzato molto un viaggio con le coccò.

Durante la permanenza balneare l'amore del nipotello per gli zii e in particolare per il pbone verde dello zio Babbu è cresciuto a dismisura. Il primo giorno non si voleva staccare dalla culisse. Pianti disperati quando ho dovuto togliergliela. Il giorno dopo l'ha vista sul mobile e gliel'ho data a patto che non la sbattesse. Visto che si è mostrato coscienzioso lo zio Babbu l'ha premiato montandogli pure la campana e il bocchino e spiegandogli che per suonare doveva fare una pernacchia senza la lingua ma solo con le labbra. E magicamente il nipotello è riuscito a far suonare il pBone. Ha intrattenuto tutta la famiglia. Chiama mamma! Chiama nonna! E poi ha voluto pure duettare con lo zio: "Zio Babbu, pendi l'oganetto". Ho foto e video che sarei molto tentato di condividere ma purtroppo non si può. Alla fine ho imparato pure come farlo smettere senza grossi traumi. E ora per ricattarlo ho l'arma del pBone: guarda che se non mi ascolti il trombone non te lo faccio più suonare. Prevedo un nuovo J.J. Johnson.

L'ultimo giorno di agosto siamo andati in questo bel paesino di alta collina che è Novi Velia. Leggendo il quotidiano del Cilento "La città" avevo infatti scoperto che a Novi Velia avrebbe ospitato il Festival Antichi Suoni.


Non avevo mai visto una tale quantità di bancarelle di artigiani di cose ballo-popolaresche. Organetti, castagnette, zampogne, ciaramelle, tammorre, tamburelli, triccheballacche... E ovviamente non potevamo non acquistare un bel paio di castagnette.
Poi ci è scappata pure un'abballatina nell'affollatissima piazza. Tra l'altro ho scoperto cose interessanti su questa zona.
Sembrerebbe che questo festival celebri "gli antichi raduni di tanti pellegrini, provenienti dalle regioni vicine, che facevano tappa a Novi Velia, per raggiungere poi il Santuario della Madonna di Novi Velia, posto sulla vetta del Monte Gelbison, 1707 m. slm, antico luogo di culto, la cui origine si perde nella notte dei secoli."
Strano toponimo per un monte italiano, eh!?... A meno che... 
"Il Santuario della Madonna del Monte si trova sulla cima del Monte Gelbison, sul luogo di un antico insediamento sacro pagano. Probabilmente gli Enotri eressero un tempio ad una loro divinità, in seguito identificata con Era. Quasi certamente il sito fu conosciuto al tempo dei Saraceni: infatti Gelbison sembra derivare da Gebel-el-son, che in arabo significa Monte dell'Idolo."
C'erano anche bambini che suonavano. La ragazzina all'organetto era bravissima. E ce n'era un altro ancora più piccolo che batteva un ritmo di pizzica fenomenale.
Ovviamente c'era anche sovrabbondanza di specialità gastronomiche locali: mozzarella con mirto, prosciutti, salsicce al finochietto, pizze con friarielli (i nostri broccoletti), vino e percoche, fichi, dolci...

...e cose dietetiche come "melanzane mbuttute", panino cu' suffritto, e fritture varie.
Ieri infine abbiamo visitato la bellissima Certosa di Padula







Purtroppo non ho il programma per ruotarla. Quindi, per apprezzare appieno il fascino di questa strabiliante scala a chiocciola, dovrete ruotarvela voi.

Al ritorno dalla Certosa siamo ripassati per Novi Velia dove abbiamo partecipato al laboratorio di tammurriata della bravissima Raffaella Coppola nella chiesa sconsacrata il cui soffitto vedete nella foto.
Sono state tre ore dense di apprendimento ballo-popolaresco e non solo di nozioni tecniche, ma anche di filosofia e valori correlati ad esso.