Nel fine settimana appena trascorso ho avuto un accavallarsi di impegni causato soprattutto dal fatto che quando mi sono iscritto al laboratorio di Playback theatre non ricordavo della lunghissima prova con l'orchestra (da venerdì pomeriggio a domenica pomeriggio). Così, con un lavoro di taglia e cuci, ho incastrato i due eventi cercando di perdere il meno possibile di uno e dell'altro.
Il Playback theatre è stata un po' una scoperta per me, visto che non ne sapevo quasi nulla. Solo gli esercizi iniziali erano abbastanza simili a quelli del mio precedente corso d'improvvisazione ma, quasi subito, con l'esercizio dello specchio, ho visto qualcosa di nuovo. Nella coppia c'era quello che conduceva e quello che doveva imitare e, a un segnale dell'istruttrice, si cambiava ruolo. Nella fase successiva dovevamo decidere noi come e quando cambiare ruolo. È stato piacevole osservare come, senza grossi sforzi e senza scambio cosciente di segnali, l'alternanza risultasse molto fluida e istintiva. E mi è venuto in mente che quell'attenzione verso l'altro e quello scambio di messaggi quasi subliminali è una caratteristica fondamentale anche del ballo e della musica d'insieme. Senza di essi nessuna di queste espressioni artistiche riesce bene.
Dopo altri esercizi siamo passati alle storie. La tecnica del Playback theatre prevede che un volontario del gruppo racconti una storia. Ma la storia può anche essere una non-storia. Può anche essere solo un sentimento, può anche essere solo un'impressione, può essere un aneddoto; oppure una storia vera e propria con incipit, sviluppo, acme e conclusione.
Le storie vengono poi inscenate all'improvviso da quattro attori accompagnati musicalmente da uno strumentista (nel nostro caso anche tre o quattro), che pure improvvisa. Le diverse tipologie di storie vengono inscenate con diversi strumenti drammaturgici. Quelli visti da noi comprendevano la scultura, la scultura fluida (animata), il tabló, il coro e la scena improvvisata vera e propria.
Durante le discussioni successive tra le varie impressioni sono emersi sia aspetti di tipo ludico sia aspetti di carattere più sociologico-introspettivo. C'è stato chi ha detto: a me piace molto giocare e, da adulti, non è facile trovare i contesti giusti per farlo. A me, invece, è venuto in mente che, nella quotidianità, è molto improbabile che una nostra storia riceva tante attenzioni. La si può raccontare in una cena con amici. Magari ci si ride oppure si riceve la giusta solidarietà ed empatia a seconda della storia che si racconta. Ma poi finisce lì. Non ne segue una messa in scena e una discussione in merito. E ci sono storie che forse non verrebbero mai raccontate perché sarebbe difficile trovare un giusto contesto sociale in cui raccontarle. Ma un presupposto di questo teatro è che tutte le storie hanno pari dignità e nessuna di esse va giudicata. Poi credo anche che gli insegnanti debbano essere molto bravi a moderare e le nostre lo sono state.
Complessivamente è stato bello e coinvolgente. Mi ha lasciato una buona dose di positività. E la sera, mentre tornavo a casa dalla prova musicale post-teatrale, ho sentito che avrei voluto spendere ancora del tempo con il gruppo. L'idea ora è di continuare con un incontro al mese. Spero che il proposito si realizzi.
Il Playback theatre è stata un po' una scoperta per me, visto che non ne sapevo quasi nulla. Solo gli esercizi iniziali erano abbastanza simili a quelli del mio precedente corso d'improvvisazione ma, quasi subito, con l'esercizio dello specchio, ho visto qualcosa di nuovo. Nella coppia c'era quello che conduceva e quello che doveva imitare e, a un segnale dell'istruttrice, si cambiava ruolo. Nella fase successiva dovevamo decidere noi come e quando cambiare ruolo. È stato piacevole osservare come, senza grossi sforzi e senza scambio cosciente di segnali, l'alternanza risultasse molto fluida e istintiva. E mi è venuto in mente che quell'attenzione verso l'altro e quello scambio di messaggi quasi subliminali è una caratteristica fondamentale anche del ballo e della musica d'insieme. Senza di essi nessuna di queste espressioni artistiche riesce bene.
Dopo altri esercizi siamo passati alle storie. La tecnica del Playback theatre prevede che un volontario del gruppo racconti una storia. Ma la storia può anche essere una non-storia. Può anche essere solo un sentimento, può anche essere solo un'impressione, può essere un aneddoto; oppure una storia vera e propria con incipit, sviluppo, acme e conclusione.
Le storie vengono poi inscenate all'improvviso da quattro attori accompagnati musicalmente da uno strumentista (nel nostro caso anche tre o quattro), che pure improvvisa. Le diverse tipologie di storie vengono inscenate con diversi strumenti drammaturgici. Quelli visti da noi comprendevano la scultura, la scultura fluida (animata), il tabló, il coro e la scena improvvisata vera e propria.
Durante le discussioni successive tra le varie impressioni sono emersi sia aspetti di tipo ludico sia aspetti di carattere più sociologico-introspettivo. C'è stato chi ha detto: a me piace molto giocare e, da adulti, non è facile trovare i contesti giusti per farlo. A me, invece, è venuto in mente che, nella quotidianità, è molto improbabile che una nostra storia riceva tante attenzioni. La si può raccontare in una cena con amici. Magari ci si ride oppure si riceve la giusta solidarietà ed empatia a seconda della storia che si racconta. Ma poi finisce lì. Non ne segue una messa in scena e una discussione in merito. E ci sono storie che forse non verrebbero mai raccontate perché sarebbe difficile trovare un giusto contesto sociale in cui raccontarle. Ma un presupposto di questo teatro è che tutte le storie hanno pari dignità e nessuna di esse va giudicata. Poi credo anche che gli insegnanti debbano essere molto bravi a moderare e le nostre lo sono state.
Nessun commento:
Posta un commento