- Senti. L'altra volta mi hai spiegato quella cosa dei ritmi irrazionali e dentro c'era molta matematica. Adesso però mi sono venute altre curiosità sul sistema che usiamo per scrivere la musica.
- Dimmi pure! Lo sai che questo tipo di discussioni mi appassionano.
- No, mi chiedevo: ma questo sistema di notazione, in cui le altezze dei suoni e i ritmi vengono rappresentati in modo così preciso... matematico direi, come e quando è nato?
- Aha! E ti pare una domanda da poco?!
- Non lo so, però sono curiosa.
- Uhm. Difficile decidere da dove cominciare. Beh, per il momento manteniamoci all'interno della musica occidentale.
- Sì, sì, dai. Non complichiamoci le cose.
- Allora, diciamo che un antenato del nostro sistema di scrittura musicale comincia a nascere nel medioevo e, per la precisione, intorno al IX secolo, con la notazione neumatica.
- Pneumatica?
- No, no. Neumatica. Anche se qualcuno dice che entrambe le parole potrebbero avere la stessa origine greca. Comunque, inizialmente questi neumi erano di tipo adiastematico.
- Adiaste-che?
- Eh, i musicologi hanno deciso di chiamarli così. Adiastematico significa che non indicavano né l'altezza precisa dei singoli suoni, né gli intervalli precisi tra i vari suoni della melodia.
Ecco un esempio. Così capisci meglio. Questo è il più antico trovato finora.
- E i neumi sarebbero questi sgorbi scritti sul testo?
- Esattamente.
- Ma quindi, non si sapeva se si cominciava da un Do o da un Re e nemmeno se la nota successiva era un Mi o un Fa?
- No. Questo tipo di neumi non conteneva quell'informazione.
- E come facevano allora i cantori a cantare la melodia?
- Beh, i nuovi cantori la imparavano ascoltandola. Poi i neumi servivano per avere un riferimento che aiutasse la memoria. Per ricordarsi la direzione della melodia sopra alle varie sillabe. Se si doveva salire o scendere.
- Ho capito. E il ritmo?
- Eh, anche quello era piuttosto relativo. Vedi? Qui c'è una conversione nella notazione attuale.
- Aspetta, ma qui vedo pure dei quadratini e dei rombi.
- Di quello ne parliamo dopo.
- Uhm. Ma comunque nessuno sarebbe riuscito a cantare con precisione una melodia sconosciuta basandosi solo sui neumi.
- Eh no. E infatti, anche per risolvere questo problema, verso l'XI secolo si comincia a usare il rigo musicale. Fu allora che alcuni amanuensi, forse beneventani, cominciarono a tracciare delle righe e a scrivere poi il testo su righe alternate utilizzando le righe rimanenti per scrivere la musica. Le note più acute venivano scritte sopra la riga e quelle gravi sotto. Le righe divennero poi due: solitamente una rossa e una gialla.
- E due righe bastavano per rappresentare bene tutte le note di un canto?
- No. Infatti presto crebbero ancora fino ad arrivare a quattro. E quattro linee allora bastavano. Inoltre, con questo sistema si riusciva a indicare sia l'altezza precisa dei singoli suoni, sia gli intervalli tra i vari suoni della melodia.
- Ah, allora se l'altra notazione si chiamava adiastematica questa si chiamerà diastematica.
- Bravissima!
- Visto come ho capito bene l'uso dell'alfa privativa!? Senti, ma è qui che si è cominciato a matematizzare la musica?
- Eh, in qualche modo sì. C'è addirittura chi dice che questo tetragramma, e quindi poi anche il pentagramma, sia "un piano cartesiano 'qualitativo' che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata."
- Uhm... Beh, è vero. E invece la parola tetragramma immagino che derivi dal greco tetra, quattro e gramma, linea.
- Uau, ma sei diventata una grecista!
- Heh! E si sa chi ha inventato questo tetragramma.
- L'invenzione viene tradizionalmente attribuita a Guido d'Arezzo, anche se alcuni storici non sono d'accordo, certo è che quel monaco camaldolese diede un nome alle note e, se non fu lui a inventare il tetragramma, sicuramente lo perfezionò e poi fu persino invitato da papa Giovanni XIX che voleva capire meglio la sua opera.
- Quindi il Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si si deve a lui?
- Sì, anche se all'inizio le note erano sei e la prima si chiamava Ut.
- Ut!? Ma che significa!?
- E perché? Do che significa? Anzi, in realtà, ut qualcosa significava. Allora, fammi spiegare, le cose dovrebbero essere andate più o meno così. Guido voleva dare dei nomi alle note per aiutare i monaci a imparare e a ricordare i canti. Però voleva trovare dei nomi anch'essi facili da ricordare. E allora che fece?
Prese l'inno a San Giovanni, che tutti i cantori conoscevano bene, e, come nomi delle note, scelse le sillabe iniziali dei versi. E cioè: Ut queant laxis, Resonare fibris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum.
- Ah, quindi arrivò fino al la.
- Sì, per la musica dei tempi bastava. Poi, in seguito, verso alla fine del XVI secolo, si aggiunse il si. Probabilmente da "Sancte Iohannes".
- E il Do?
- Il Do arrivò in seguito per sostituire Ut, la cui pronuncia non risultava facilissima per le italiche lingue poco avvezze alle consonanti a fine parola. I francesi infatti, accanto al Do, usano ancora Ut in certi contesti. Ad esempio dicono "clef d'Ut" invece di "chiave di Do".
- Ma perché proprio la sillaba Do?
- In onore al "Dominus", disse Giovanni Battista Doni quando propose il Do. In onore del suo stesso cognome, dissero invece i maligni. Comunque, nei paesi latini, a partire da quell'epoca, i nomi dati da Guido hanno sostituito la notazione alfabetica, ereditata probabilmente dai greci, che veniva usata in precedenza e che è ancora in uso in area tedesca e anglosassone.
- E l'altezza delle sei note di Guido coincideva con quella di oggi?
- Inizialmente no. Il sistema guidoniano venne chiamato solmisazione ed era l'antenato dell'attuale solfeggio. E non era usato per indicare l'altezza assoluta dei suoni, che erano denotati con il sistema alfabetico già esistente, ma per collocare correttamente la posizione del semitono mi-fa nella melodia. Il nome Ut, quindi, non era assegnato solo alla nota che oggi chiamiamo Do. Solo dopo l'aggiunta del Si si cominciarono a usare le altezze assolute.
- E per quanto riguarda i ritmi?
- Beh, Guido codificò anche il modo di scrivere le note definendo le posizioni sulle righe e negli spazi del rigo e proponendo un sistema unificato per la scrittura utilizzando, per la parte terminale della nota, un quadrato, che sarebbe poi diventato un rombo ed infine un ovale.
- Dimmi pure! Lo sai che questo tipo di discussioni mi appassionano.
- No, mi chiedevo: ma questo sistema di notazione, in cui le altezze dei suoni e i ritmi vengono rappresentati in modo così preciso... matematico direi, come e quando è nato?
- Aha! E ti pare una domanda da poco?!
- Non lo so, però sono curiosa.
- Uhm. Difficile decidere da dove cominciare. Beh, per il momento manteniamoci all'interno della musica occidentale.
- Sì, sì, dai. Non complichiamoci le cose.
- Allora, diciamo che un antenato del nostro sistema di scrittura musicale comincia a nascere nel medioevo e, per la precisione, intorno al IX secolo, con la notazione neumatica.
- Pneumatica?
- No, no. Neumatica. Anche se qualcuno dice che entrambe le parole potrebbero avere la stessa origine greca. Comunque, inizialmente questi neumi erano di tipo adiastematico.
- Adiaste-che?
- Eh, i musicologi hanno deciso di chiamarli così. Adiastematico significa che non indicavano né l'altezza precisa dei singoli suoni, né gli intervalli precisi tra i vari suoni della melodia.
Ecco un esempio. Così capisci meglio. Questo è il più antico trovato finora.
- E i neumi sarebbero questi sgorbi scritti sul testo?
- Esattamente.
- Ma quindi, non si sapeva se si cominciava da un Do o da un Re e nemmeno se la nota successiva era un Mi o un Fa?
- No. Questo tipo di neumi non conteneva quell'informazione.
- E come facevano allora i cantori a cantare la melodia?
- Beh, i nuovi cantori la imparavano ascoltandola. Poi i neumi servivano per avere un riferimento che aiutasse la memoria. Per ricordarsi la direzione della melodia sopra alle varie sillabe. Se si doveva salire o scendere.
- Ho capito. E il ritmo?
- Eh, anche quello era piuttosto relativo. Vedi? Qui c'è una conversione nella notazione attuale.
- Aspetta, ma qui vedo pure dei quadratini e dei rombi.
- Di quello ne parliamo dopo.
- Uhm. Ma comunque nessuno sarebbe riuscito a cantare con precisione una melodia sconosciuta basandosi solo sui neumi.
- Eh no. E infatti, anche per risolvere questo problema, verso l'XI secolo si comincia a usare il rigo musicale. Fu allora che alcuni amanuensi, forse beneventani, cominciarono a tracciare delle righe e a scrivere poi il testo su righe alternate utilizzando le righe rimanenti per scrivere la musica. Le note più acute venivano scritte sopra la riga e quelle gravi sotto. Le righe divennero poi due: solitamente una rossa e una gialla.
- E due righe bastavano per rappresentare bene tutte le note di un canto?
- No. Infatti presto crebbero ancora fino ad arrivare a quattro. E quattro linee allora bastavano. Inoltre, con questo sistema si riusciva a indicare sia l'altezza precisa dei singoli suoni, sia gli intervalli tra i vari suoni della melodia.
- Ah, allora se l'altra notazione si chiamava adiastematica questa si chiamerà diastematica.
- Bravissima!
- Visto come ho capito bene l'uso dell'alfa privativa!? Senti, ma è qui che si è cominciato a matematizzare la musica?
- Eh, in qualche modo sì. C'è addirittura chi dice che questo tetragramma, e quindi poi anche il pentagramma, sia "un piano cartesiano 'qualitativo' che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata."
- Uhm... Beh, è vero. E invece la parola tetragramma immagino che derivi dal greco tetra, quattro e gramma, linea.
- Uau, ma sei diventata una grecista!
- Heh! E si sa chi ha inventato questo tetragramma.
- L'invenzione viene tradizionalmente attribuita a Guido d'Arezzo, anche se alcuni storici non sono d'accordo, certo è che quel monaco camaldolese diede un nome alle note e, se non fu lui a inventare il tetragramma, sicuramente lo perfezionò e poi fu persino invitato da papa Giovanni XIX che voleva capire meglio la sua opera.
- Quindi il Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si si deve a lui?
- Sì, anche se all'inizio le note erano sei e la prima si chiamava Ut.
- Ut!? Ma che significa!?
- E perché? Do che significa? Anzi, in realtà, ut qualcosa significava. Allora, fammi spiegare, le cose dovrebbero essere andate più o meno così. Guido voleva dare dei nomi alle note per aiutare i monaci a imparare e a ricordare i canti. Però voleva trovare dei nomi anch'essi facili da ricordare. E allora che fece?
Prese l'inno a San Giovanni, che tutti i cantori conoscevano bene, e, come nomi delle note, scelse le sillabe iniziali dei versi. E cioè: Ut queant laxis, Resonare fibris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum.
- Ah, quindi arrivò fino al la.
- Sì, per la musica dei tempi bastava. Poi, in seguito, verso alla fine del XVI secolo, si aggiunse il si. Probabilmente da "Sancte Iohannes".
- E il Do?
- Il Do arrivò in seguito per sostituire Ut, la cui pronuncia non risultava facilissima per le italiche lingue poco avvezze alle consonanti a fine parola. I francesi infatti, accanto al Do, usano ancora Ut in certi contesti. Ad esempio dicono "clef d'Ut" invece di "chiave di Do".
- Ma perché proprio la sillaba Do?
- In onore al "Dominus", disse Giovanni Battista Doni quando propose il Do. In onore del suo stesso cognome, dissero invece i maligni. Comunque, nei paesi latini, a partire da quell'epoca, i nomi dati da Guido hanno sostituito la notazione alfabetica, ereditata probabilmente dai greci, che veniva usata in precedenza e che è ancora in uso in area tedesca e anglosassone.
- E l'altezza delle sei note di Guido coincideva con quella di oggi?
- Inizialmente no. Il sistema guidoniano venne chiamato solmisazione ed era l'antenato dell'attuale solfeggio. E non era usato per indicare l'altezza assoluta dei suoni, che erano denotati con il sistema alfabetico già esistente, ma per collocare correttamente la posizione del semitono mi-fa nella melodia. Il nome Ut, quindi, non era assegnato solo alla nota che oggi chiamiamo Do. Solo dopo l'aggiunta del Si si cominciarono a usare le altezze assolute.
- E per quanto riguarda i ritmi?
- Beh, Guido codificò anche il modo di scrivere le note definendo le posizioni sulle righe e negli spazi del rigo e proponendo un sistema unificato per la scrittura utilizzando, per la parte terminale della nota, un quadrato, che sarebbe poi diventato un rombo ed infine un ovale.
- E il pentagramma, invece, quando è stato introdotto?
- Mah, guarda, ho fatto una ricerca veloce e ho trovato pochissime fonti che attribuiscono la sua nascita a Ugolino Urbevetano quindi la cosa non mi convince del tutto. Altrove ho trovato che dopo il tetragramma si hanno anche testimonianze di pentagrammi ed esagrammi.
Ah! E a proposito di esagrammi, ho trovato che qualcuno pochi anni fa ha ideato un'estensione della notazione con cui si riuscirebbero a eliminare buona parte tagli addizionali. Guarda qua l'immagine.
- Beh, niente male come idea.
- Sì, ma dubito che si affermerà.
Comunque, tornando ai ritmi, dicevo che Guido codificò il modo di scrivere le note. Però con la notazione ritmica non andò molto avanti. Un considerevole passo avanti ci fu verso la fine del XII secolo, quando nella Scuola di Notre Dame nacque la cosiddetta notazione modale.
- Modale?
- Sì, da non confondere con la musica modale. Ma quello la vedremo un'altra volta. La notazione modale, invece, è sicuramente un primo passo verso il nostro attuale sistema "matematico". Però la definizione dei ritmi non era così precisa. Quello che si definiva era il cosiddetto modo ritmico: cioè una alternanza di note lunghe (Longa) e brevi (Brevis) che potevano assumere sei disposizioni diverse ricalcate sulla metrica della poesia classica. Si parla infatti dei sei modi ritmici.
- Lunga e Breve!? Allora, forse adesso ho trovato la risposta a una domanda che mi ero posta. Perché chiamiamo Breve e Semibreve quelle che sono le figurazioni ritmiche più lunghe? È perché prima c'era anche la Lunga.
- Modale?
- Sì, da non confondere con la musica modale. Ma quello la vedremo un'altra volta. La notazione modale, invece, è sicuramente un primo passo verso il nostro attuale sistema "matematico". Però la definizione dei ritmi non era così precisa. Quello che si definiva era il cosiddetto modo ritmico: cioè una alternanza di note lunghe (Longa) e brevi (Brevis) che potevano assumere sei disposizioni diverse ricalcate sulla metrica della poesia classica. Si parla infatti dei sei modi ritmici.
- Lunga e Breve!? Allora, forse adesso ho trovato la risposta a una domanda che mi ero posta. Perché chiamiamo Breve e Semibreve quelle che sono le figurazioni ritmiche più lunghe? È perché prima c'era anche la Lunga.
- Precisamente! E gli stessi nomi vennero adottati nel passo successivo verso il nostro sistema moderno. Cioè nella notazione mensurale. In questo sistema si arriva finalmente a una descrizione precisa dei ritmi in termini di proporzioni numeriche tra i valori delle note.
- Ed eccoci arrivati al nostro bel sistema matematico anche nel ritmo!
- Eh sì! Ah, e a proposito, oltre alla Lunga, in quel sistema esisteva anche la Massima.
- Addirittura! Senti, ma dove nacque questa nuova notazione?
- Beh, una prima teorizzazione la si trova nel trattato Ars cantus mensurabilis scritto da Francone da Colonia nella seconda metà del XIII secolo. Poi un sistema più esteso e complesso fu introdotto in Francia nell'ambito dell'Ars nova e, con alcune varianti anche in Italia. Nel XV secolo fu il sistema Francese a prevalere. Infine, dal 1600 circa in poi, la notazione mensurale conobbe una graduale evoluzione verso la moderna notazione ritmica.
- E così arrivammo alla totale matematizzazione della scrittura musicale. Con un piano cartesiano qualitativo che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata e in cui i ritmi sono governati dalle potenze di due.
- Sì, eccoti accontentata.
- Senti, ma invece, al di fuori dell'Europa come si svilupparono le cose? Ci sono altri esempi di sistemi di notazione matematica?
- Heh! Il discorso si fa ancora più complicato. Magari ne parliamo un'altra volta.
- Ed eccoci arrivati al nostro bel sistema matematico anche nel ritmo!
- Eh sì! Ah, e a proposito, oltre alla Lunga, in quel sistema esisteva anche la Massima.
- Addirittura! Senti, ma dove nacque questa nuova notazione?
- Beh, una prima teorizzazione la si trova nel trattato Ars cantus mensurabilis scritto da Francone da Colonia nella seconda metà del XIII secolo. Poi un sistema più esteso e complesso fu introdotto in Francia nell'ambito dell'Ars nova e, con alcune varianti anche in Italia. Nel XV secolo fu il sistema Francese a prevalere. Infine, dal 1600 circa in poi, la notazione mensurale conobbe una graduale evoluzione verso la moderna notazione ritmica.
- E così arrivammo alla totale matematizzazione della scrittura musicale. Con un piano cartesiano qualitativo che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata e in cui i ritmi sono governati dalle potenze di due.
- Sì, eccoti accontentata.
- Senti, ma invece, al di fuori dell'Europa come si svilupparono le cose? Ci sono altri esempi di sistemi di notazione matematica?
- Heh! Il discorso si fa ancora più complicato. Magari ne parliamo un'altra volta.
4 commenti:
molto interessante davvero. Adesso ho una giustificazione ai nomi delle note.
Grazie per il complimento Anonimo.
Bell'articolo... io di musica non so nulla, ma mi è piaciuto molto e anche lo stile che hai usato. Complimenti!
Grazie :-)
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