domenica, ottobre 04, 2009

U carrozzo'



1.

Monza. Ospedale San Gerardo. In una calda estate un uomo giace su un letto. Il corpo ricoperto di elettrodi. Due lunghi aghi sintetici trafiggono gli incavi delle sue braccia e fanno confluire nel suo sangue liquidi che lo salvano devastandolo.
Qualche tagliente raggio di sole riesce a penetrare tra gli interstizi delle tende metalliche ed arriva a illuminare il suo volto glabro. Due rozze mani premurose manovrano le tende e restituiscono al volto un'asettica e rassicurante ombra.

Le linee tracciate sullo schermo luminescente dai neuroni dell'uomo, ridottesi oramai da tempo a rette orizzontali, sembrano improvvisamente perturbarsi e si trasformano in una fitta serie di cuspidi.



2.

- Ecculu, ecculu!! Varda còmo corre!!!

- Attentu a Menecuccia che te tira l’acqua d’a finestra!!

In un paesino del Preappennino laziale in un'epoca preconsumistica un allegro e piccolo stormo vociante schiamazza e scorrazza impegnato nel serissimo e popolarissimo gioco denominato u carrozzo'. Si commenta la discesa dell’ultimo modello di carrozzo' di Stitichinu.

Già da qualche decennio u carrozzó è uno dei giochi più amati nel paese. Sono i bambini stessi a costruire i carruzzuni. I componenti fondamentali che ci si deve procurare sono: una tavolaccia rettangolare, che poi diverrà la struttura portante du carrozzo', due assi di legno e tre (raramente quattro) cuscinetti a sfera. Il tutto viene quindi sapientemente assemblato, fissato e modellato.

Le tecniche di costruzione carrozzonistica di Stitichinu sono in continuo miglioramento. I suoi carruzzuni risultano di conseguenza sempre più veloci e il numero di bambini che lo considera il più bravo cresce sempre di più. Stitichinu migliora continuamente i suoi modelli anche attraverso l'aggiunta di accessori: freni, sedili morbidi, sedili biposto. È sempre alla ricerca della novità, del perfezionamento.

Il nome anagrafico di Stitichinu è Adalberto, ma se qualcuno avesse chiesto ad uno dei suoi compagni di gioco (o forse persino a sua madre): "dov'è Adalberto?", o meglio, "addo' sta Adabberto?"; come risposta avrebbe ricevuto uno sguardo smarrito ed interrogativo.
Quella dei soprannomi era un'usanza diffusissima in quel paese. Quasi tutti ne possedevano uno e a volte esso, come nel caso di Stitichinu, rimpiazzava completamente il nome.
Nel dialetto quel paese il soprannome di Adalberto evocava molto esplicitamente la tendenza del bambino a non riuscire a digerire le pochissime sconfitte che gli venivano inferte.

Stitichinu non era solo tra i più bravi nel gioco du carrozzo' era molto abile anche negli altri giochi. Nell'arcu coi friccini, ad esempio. Stitichinu costruiva l'arco con il migliore legno disponibile: u crognale. I friccini venivano ricavati dalle stecche metalliche dell'armatura di vecchi ombrelli: l'estremità posteriore veniva modellata a colpi di pietra o di martello in modo tale da fornire uno stabile appoggio alla corda dell'arco; con lo stesso metodo anche l'estremità anteriore veniva modellata, ma questa volta per dotare u friccinu di una punta acuminata. I friccini di Stitichinu erano ovviamente tra i più aguzzi, stabili ed aerodinamici; e qualche volta finivano anche per conficcarsi nelle tenere carni dei suoi coetanei.

La cerbottana di Stitichinu era la più precisa e la più potente. I suoi dardi erano dotati di punte metalliche perforanti.

Stitichinu era inoltre un maestro nella mazzafionna: sia in quella normale che in quella alla pecorara.



3.

Non tutti avevano la stessa abilità nella scelta, nella lavorazione e nell'assemblaggio dei pezzi. All'estremo opposto di Stitichinu stava ad esempio Giorgione: uno dei peggiori, se non il peggiore. Per quanto provasse non riusciva mai a mettere insieme qualcosa di decente e di competitivo. Non che avesse poi molta pazienza. La sua scarsa abilità nei giochi del momento unita al fatto che non si esprimesse in dialetto lo relegavano agli ultimi livelli della gerarchia sociale del gruppo. Il gruppo lo percepiva come appartenente alla infima casta dei "romani": piagnoni e incapaci nella costruzione manuale in quanto possessori di giocattoli acquistati nei negozi, acquisti che la maggior parte delle famiglie del paese non poteva permettersi.
Giorgione faceva di tutto per affrancarsi da questa etichetta. Nell'ambito di questa strategia decise di allearsi in una "sòcceta" con l'altro perdente del gruppo: Llallero.
Llallero a differenza di Giorgione era molto portato per i lavori manuali e molto attento ai dettagli. Gli mancavano però le doti da pilota, che d'altra parte mancavano del tutto anche a Giorgione. L'alleanza di perdenti si rivelò quindi totalmente fallimentare e Giorgione riuscì ad affrancarsi dalla casta dei romani solo diversi anni dopo (ma questa è un'altra storia).



4.

Forchettone invece era un duro. Aveva due anni di più di Stitichinu ed era considerato il più abile carrozzonista. Era lui che decideva la sequenza delle sfide.

- Oh, oh, oh, u carrozzo'.

Era Barzotto, uno dei tanti gregari, eccitato dal riapparire du carrozzo' e dalla speranza che Forchettone scegliesse lui per il prossimo turno.

- Zittu Barzo' che mo non tocca a te! Mo tocca a Stitichinu. Voglio propriu vede' se è cuscí bravu como se dice 'n giru.

Un velo di silenzio si stese lentamente, a partire dal più svelto fino al meno reattivo della giovane folla vociante: era la sfida che tutti aspettavano da tempo.

Tutto il sistema di tendini, nervi e muscoli dell'irascibile Stitichinu si contrasse improvvisamente. La sua frequenza cardiaca s'impennò e il suo ipotalamo cominciò a rilasciare endorfine. Le pulsazioni dei muscoli mascellari tradivano il suo nervosismo. I suoi occhi rivolti verso l'alto fissavano rabbiosi la massiccia figura di Forchettone che svettava spavalda e sicura tra la piccola folla.
Anche Stitichinu aspettava questa sfida. Da un po' di tempo covava il desiderio di spodestare Forchettone.

- Barzo'!! Dacce tu 'r via!

Declamò Forchettone perentorio e autoritario.
Barzotto si avvicinò titubante al punto di partenza: l'iniziu d'a discesa d'a Farimura; 'nnanzi all'arcu d'a Ventraterra.

- Giorgio', fa che cósa de bbonu va'! Portame ecco u carrozzo'.

Stitichinu si era già portato sulla linea di partenza presidiata da Barzotto e sedeva fremente sul suo carrozzone.
Giorgione, eccitato dall'importante incarico, trasportò diligente e soddisfatto u carrozzo' de Forchettone; il quale, con tutta la sua tracotanza, si sedette sul comodo e morbido sedile.
Tutta la folla si era distribuita dietro i due sfidanti e attendeva la partenza in un religioso e teso silenzio.

VIAAAA!!! Urlò finalmente Barzotto.
I due concorrenti si spinsero con forza lungo la discesa. La stazza di Forchettone costituiva un vantaggio e a metà discesa il distacco era già maggiore della lunghezza del suo carrozzone. Raggiunse la famigerata curva d'a Chiavica almeno un secondo prima di Stitichinu, ma proprio lì, per la prima volta nella sua gloriosa carriera di carrozzonista, il suo formidabile istinto fallì nel calibrare le forze in gioco; la forza centrifuga prevalse su quella centripeta e il carrozzone di Forchettone si rovesciò e si schiantò fracassandosi contro la rete di protezione e perdendo l'asse anteriore.
Stitichinu guadagnò così la vittoria con una certa facilità mentre la folla lo raggiungeva di corsa acclamandolo con delle grida liberatorie.

Quella sfida segnò il destino dei due rivali.




5.

Cinquant'anni più tardi, a provocare la fitta serie di cuspidi tra i neuroni di Stitichinu non furono i ricordi dei molteplici gran premi vinti - anche a pochi kilometri dal letto su cui giaceva. A provocarla fu invece la sequenza di immagini della sfida con Forchettone; il vecchio rivale d'infanzia, che da giorni non voleva allontanarsi dalla sedia vicino al suo letto.

21 commenti:

Fabrizio ha detto...

U carrozzone, l'arcu co i friccini e a capanna.....

dioniso ha detto...

.... a capanna du monto'....
T'è piaciuta la storiella?

Fabrizio ha detto...

certu che mè piaciuta!

ziomassimo ha detto...

Veramente bello, complimenti!

dioniso ha detto...

Grazie! :-)
Mi sono ispiarato a peronaggi ed episodi della mia infanzia. Chissà se si capisce?
Nel caso dovrò aggiungere la clausola che ogni riferimento a fatti, cose, persone, colori e città è dovuto a distorti ricordi d'infanzia ed è quindi quasi casuale ;-)

Sebastiano ha detto...

Bella storia! Ricordo anche nelle mie estati in sicilia gare con i carrozzoni, ma non mi ricordo come li chiamavano... Io naturalmente ero il cittadino sfigato, quindi guardavo e basta.

dioniso ha detto...

Grazie anche a te Sebastiano. Erano un po' diffusi in tutta l'Italia rurale allora questi carruzzuni.
Anche lì c'era la discriminazione?

ziomassimo ha detto...

Ricordo con piacere e nostalgia il periodo di "austerity" nella periferia di Roma dove ho trascorso la mia infanzia ed adolescenza (e dove vivo tuttora). Avevo nove anni e la domenica c’era il blocco totale del traffico. Con i nostri “carrozzoni” (neanche io mi ricordo come li chiamavamo) senza freni, ci buttavamo giù da discese ripidissime in sfide avvincenti. Probabilmente la realtà delle periferie romane, per molti aspetti era molto simile a quell’Italia rurale così ben descritta da Dioniso e dove mi sono riconosciuto anche io, in particolare come “appartenente alla infima casta dei romani".

Sebastiano ha detto...

Dioniso, la sfiga per me era che io venivo dalla pianura, e quei cosi necessitano di strade in discesa, possibilmente ripidissime e pericolose!

dioniso ha detto...

ziomassimo,

ma i vostri erano costruiti allo stesso modo? Tavolacce, assi e cuscinetti a sfera?
La discriminazione si percepiva molto eh!? Hai molti ricordi di quei tempi? Io sì. Hai riconosciuto qualche personaggio?

Sebastiano,

Esatto! Come la discesa della Farimura che terminava con la famigerata curva d'a Chiavica. Dove una vecchia rete traballante e arrugginita avrebbe dovuto prevenire dal precipitare dentro il burrone d'a Chiavica, il cui nome evoca abbastanza esplicitamente per quali funzioni venisse utilizzato anticamente (ma non troppo a quei tempi) quel burrone.

ziomassimo ha detto...

Erano costruiti esattamente alla stessa maniera. Esclusivamente a tre ruote e solitamente, non so bene il perché, il cuscinetto a sfera anteriore era di diametro maggiore dei due posteriori e leggermente più largo, forse per una migliore “tenuta di strada” sull’asfalto, naturalmente non era previsto nessun tipo di “impianto frenante”.
Si potevano pilotare in tre modi differenti:
Seduti, comandando con i piedi il manubrio (un’asse più piccola montata perpendicolarmente al corpo principale mediante un bullone con relativo dado, dove a sua volta era fissata l’unica ruota-cuscinetto a sfera centrale).
In ginocchio, impugnando il manubrio con le mani (in questo modo durante le curve spesso si lasciavano sul terreno veri e propri lembi di pelle delle dita).
I più temerari si lanciavano giù per le discese anche sdraiati, a faccia in giù tenendo le mani sul manubrio, oppure supini (tipo la disciplina olimpica invernale dello slittino) dandosi stabilità con l’aiuto dei piedi sul manubrio.
Effettivamente la discriminazione, la rivalità estrema e anche un po’ di cattiveria, si percepivano in modo evidente, specialmente tra i più deboli (io allora ero il caratteristico “ciccione”). Ho dei ricordi molto nitidi su quegli anni intensi.
Nel tuo racconto ho respirato le atmosfere familiari e riconosciuto luoghi della mia memoria (una curiosità:la discesa descritta era quella dove abitava tua nonna paterna?).

dioniso ha detto...

ziomassimo,

ma che rivelazione! Non avrei mai pensato che ci si giocasse anche a Centocelle. Però pensandoci bene il tuo quadro risulta perfettamente armonico con l'idea che a posteriori uno si può fare del tuo quartiere a quei tempi.

Questa cosa del cuscinetto anteriore di diametro maggiore e più largo dei due posteriori non la ricordo. Ma io non sono mai stato bravo nella costruzione. Se ricordo bene ci provai una volta e poi abbandonai. Quindi non sono un buon testimone dei dettagli tecnici. È interessante il fatto che inizialemente avevo inserito dei dettagli relativi alla costruzione che poi ho tolto per alleggerire.
La descrizione che tu hai scritto qui sopra è quasi identica alla mia eliminata.

Anche i tre modi diversi di pilotare mi erano ignoti. Credo di aver visto solo il primo.

Credo che quella discriminazione e quella cattiveria siano ora quasi scomparse, ma magari mi sbaglio. È solo una mia impressione.

Sì, la discesa descritta è quella dove abitava mia nonna, la quale molto spesso faceva le docce ai carrozzonisti.

doppiozero ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
dioniso ha detto...

doppiozero ha detto...

e come non ricordare quelle pazze incoscenti corse jo ppe a farimura e i vuli de a curva da chiavica . una volta ricordo ne feci uno co dietro le rote de na carrozzina filava ke era na favola :-) .
i soprannomi me li ricordo tutti ma non riesco a collegarli a nessuna faccia . a dire il vero rikordo anke qualke discesa ke pariva nnanzi da rina m'piazza e pure jo ppe rampinellu

grazie dioniso :-)

dioniso ha detto...

Siccome compariva il mio nome ho cancellato il commento originale di doppiozero e l'ho copiato rimpiazzando solo il mio nome.

Ciao doppio :-)
Sai che penso di ricordare il tuo carrozzone con le ruote della carrozzina. Tu éri un maestro, nella costruzione. Io no ;-)

Certu che tra a discesa du Rampinello e a curva da chiavica non se sa qual'era peggio!

I soprannomi non riesci a collegarli a nessuna faccia perché li ho inventati io. Sono ispirati a persone reali, ma i soprannomi li ho cambiati.

Roberto ha detto...

Sono arrivato in ritardo a commentare questo bel post.
Il carrozzone di doppio zero lo ricordo benissimo, aveva messo le ruote da carrozzina bianche, anche se molti storcevano il naso a questa "modernita'" (si sa, nei paesi le innovazioni non sono sempre le ben venute). io facevo parte della schiera degli "sfigati" cittadini che non potevano competere con la competizione, al limite venivo messo a guardia nella famigerata curva della chiavica per segnalare eventuali auto in arrivo; ho acquistato "punti" solamente quando da cittadino portai dei cuscinetti che mi regalò il meccanico di mio padre: erano i primi cuscinetti con i coprisfera più silenziosi e fluidi. Li usò per primo mio cugino giuseppe (giocava in casa, viveva alla farimura).
Ciao

Roberto ha detto...

Commento ai soprannomi.
I soprannomi che hai usato, anche se inventati, sono esistiti (vedi stitichinu per esempio) e spesso tramandati di padre in figlio, direttamente oppure con il "du" davanti :D

dioniso ha detto...

Ciao Roberto!
Sì è vero, le ruote da carrozzina. L'avevo dimenticato. Sì, Giuseppe faceva parte del gruppo dei carrozzonisti bravi.
È esistito qualcuno soprannominato Stitichinu? Non lo sapevo.

MadoniEventiLive ha detto...

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Anonimo ha detto...

volevo solo fare una precisione.
nel carrozzone (u carruzzuni, io sono siciliano)il cuscinetto davanti era più grande proprio per dare più stabilità e slancio per non intoppare nelle piccole pietruzze dell'asfalto. Noi cercavamo le discese con le mattonelle che erano più liscie. infatti gli uncidenti più frequenti erano Quando il cuscinetto avanti incappava in una pietra o un buco.

dioniso ha detto...

Grazie per l'interessante commento sui carruzzuni siciliani.