venerdì, novembre 27, 2015

Contano più la risposte o le domande?

Due giorni fa abbiamo partecipato alla riunione di un locale circolo culturale. Il tema di discussione era: L’Islam e noi, dopo le stragi di Parigi. La discussione è stata molto interessante. Allo stesso tempo mi ha confermato la sensazione che, di fronte a questi fatti, siamo tutti (me incluso ovviamente) molto confusi e non sappiamo bene che pesci prendere e a quali esperti e a quali interpretazioni affidarci.

Dopo esser tornato a casa mi è tornata in mente una frase che Michela Murgia aveva pronunciato in quella stessa sala qualche settimana prima. Lei si riferiva alla teologia ma penso che il consiglio lo si possa estendere a molti ambiti delle riflessioni umane: invece di cercare le risposte spesso è meglio impegnarsi nel riflettere sulle domande per raffinarle e mirare a trovare quelle giuste.

Aggiungo una mia domanda che ho scritto giorni fa su un'altra discussione:

Credo che questa del "not in my name" sia un'iniziativa necessaria e spero che aderisca il maggior numero possibile di persone. Allo stesso tempo mi vengono in mente persone che conosco e che provengono dalla cultura islamica e non posso fare a meno di pensare che a loro potrebbe sembrare abbastanza strano sentirsi dire: ti devi dissociare! Forse a loro potrebbe suonare come se qualcuno a me, non credente ma proveniente da una cultura cristiana, avesse chiesto di dissociarmi dalla strage norvegese del 2011 in quanto il responsabile era un esponente di un gruppo cristiano fondamentalista? Sono cosciente che si tratta di cose un po' diverse però non posso fare a meno di pensare a questo parallelo.

Ne avevo parlato anche con mio zio che in seguito mi ha mandato questo articolo: I musulmani devono prendere posizione contro gli attentati?

Stamane, infine, Zucchero mi ha mostrato quest'altro articolo che mostra anche quali siano i numeri: I musulmani sono 1 milione e mezzo - In mille «sotto osservazione». Ne riporto qualche stralcio.

Marocchini, egiziani, tunisini, bengalesi: per il 98% sunniti. Il nodo degli imam fai-da-te e le difficoltà dei moderati. Ma i combattenti tornati dalla Siria sono solo una decina Buccini

"...La sua è una delle cinquecento, forse mille vite in sospeso, oggi, in bilico tra Italia e origini arcaiche mai conosciute, in precario equilibrio tra una fede incontrata come una folgore e una radicalizzazione che può sconfinare nel jihadismo. «Può, ma non è detto che accada», mi spiega una fonte investigativa qualificata: «Sono soggetti di interesse operativo, ma naturalmente non è scontato affatto che compiano l’ultimo passo». «Può, ma non è detto che accada», fa eco un analista affidabile, Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali: «Però stimare in diverse centinaia questi ragazzi è corretto. Il contagio avviene per amicizie, per Internet, sono vicende spesso individuali, noi non abbiamo ancora la radicalizzazione dei quartieri come Francia e Belgio».
I musulmani in Italia sono più di un milione e mezzo. Sunniti per il 98%. Marocchini, soprattutto, e egiziani, tunisini, bengalesi. Spesso piccolissimi artigiani, quasi sempre lontani dall’operaio-massa sfornato dalle banlieue parigine. Tra loro, e forse soprattutto tra i loro giovanissimi figli, s’è fatto largo il radicalismo salafita. Appena nove o dieci sono i returnees nostrani, i combattenti di rientro dalla Siria, il pericolo più vistoso. Accanto, questa nebulosa di ragazzi e ragazze (molte le donne perché l’Isis su loro punta con cinismo). Appiattire quel milione e mezzo di anime su una legione di mille possibili dannati è ingiusto se non infame. Il rischio di blitz spettacolari ma inutili, come al centro romano Baobab , va scongiurato. E tuttavia l’Islam italiano è a un bivio, e lo percepisce."
...
Che molto sia cambiato nell’ultimo addio alla nostra ragazza uccisa a Parigi si coglie anche dalle parole del governatore veneto Luca Zaia, leghista: «Ho sentito dagli imam giudizi forti, li ho apprezzati». Stefano Allievi, sociologo dell’islamismo, parla di «Islam dialettale in Italia» con un’immagine che apre lo scenario di un rassicurante miscuglio tra la prima generazione di migranti e gli abitanti dei quartieri popolari metropolitani. Nulla di rapportabile con la Francia e i suoi alveari monocromatici, «nemmeno a viale Padova a Milano o a San Salvario a Torino». E alla prima generazione, in fondo, basta da sempre la cittadinanza come «compenso» alla fatica dell’integrazione. «Paradossalmente, al tempo della prima rivolta delle banlieue , tutti avevano già la cittadinanza francese, ma nient’altro che quella». Il problema, par di capire, sarà per noi approntare qualcosa d’altro per i nuovi italiani venuti da lontano: lavoro, trasporti, servizi sociali, sanità. Il ponte, come dice Renzi, passa lì, ma non solo. Allievi sostiene: «Una parte di islamici ha intrapreso un percorso in qualche modo simile al Pci con i terroristi Br: da provocatori a compagni che sbagliano e infine a maledetti assassini. Molti sono arrivati alla terza tappa».
...
Sono stati tredici i piani d’attacco (falliti) contro l’Italia dal 2001: otto dei quali su Milano, dove ha fatto scuola il tentativo del libico Mohammed Game di farsi esplodere sul passo carraio della caserma Santa Barbara. S’era indottrinato da solo, un caso ormai tipico di terrorista homegrown , cresciuto in casa. La chiamano auto-radicalizzazione. «Siamo sempre in ritardo, loro cambiano in fretta», mi dice un investigatore: l’articolo 270 bis del codice ha una falla, non punisce davvero la semplice adesione al terrore. Applaudire alle espulsioni è un placebo quando non si riesce ad arrestare."

Nessun commento: