Cito due dei passi più interessanti dell'articolo di Le Scienze Emergenza Xylella. Il mistero dei nove ceppi inesistenti.
In un lavoro dello IAM del 2014 citato in perizia, gli autori analizzano 100 piante nella zona di Gallipoli, metà delle quali con sintomi di disseccamento, con il doppio intento di dimostrare un’associazione fra la presenza del batterio e la malattia e contribuire a descrivere la popolazione salentina del batterio da un punto di vista genetico. I risultati sono chiari. Si legge che 49 delle 50 piante malate sono risultate positive a Xylella, alle quali si aggiungono 9 piante asintomatiche “probabilmente infettate recentemente”. Non si può parlare di nesso di causalità, ma questi dati consentono ai ricercatori di affermare che c’è una “stretta associazione fra il batterio e la sindrome da disseccamento rapido”. Numeri poi confermati, come abbiamo visto, anche dalle analisi dei consulenti della Procura, seppure su un campione più ridotto
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Alla luce delle novità emerse in conferenza stampa e dagli stralci delle perizie che sono stati resi disponibili, le domande aumentano. Da quali altri elementi scientifici si riscontra che nel Salento siano presenti perlomeno nove diverse popolazioni di X. fastidiosa? Quali prove conducono a considerare «altamente probabile» l’ipotesi che il consumo intensivo di prodotti fitosanitari abbia favorito la virulenza di funghi e batteri, tra cui Xylella fastidiosa? Per quali aspetti la consulenza ha posto in dubbio l’attendibilità delle conclusioni scientifiche rappresentate all'Europa? Quali elementi portano a considerare «dato acquisito» che la manifestazione della sintomatologia del disseccamento non sia necessariamente correlata alla presenza del batterio Xylella fastidiosa?
Riteniamo dunque a maggior ragione indispensabile che la Procura metta a disposizione della comunità scientifica e in particolare della task force incaricata di affrontare l’emergenza Xylella, il testo integrale delle perizie, come abbiamo richiesto nella lettera aperta al Procuratore Cataldo Motta.
In un lavoro dello IAM del 2014 citato in perizia, gli autori analizzano 100 piante nella zona di Gallipoli, metà delle quali con sintomi di disseccamento, con il doppio intento di dimostrare un’associazione fra la presenza del batterio e la malattia e contribuire a descrivere la popolazione salentina del batterio da un punto di vista genetico. I risultati sono chiari. Si legge che 49 delle 50 piante malate sono risultate positive a Xylella, alle quali si aggiungono 9 piante asintomatiche “probabilmente infettate recentemente”. Non si può parlare di nesso di causalità, ma questi dati consentono ai ricercatori di affermare che c’è una “stretta associazione fra il batterio e la sindrome da disseccamento rapido”. Numeri poi confermati, come abbiamo visto, anche dalle analisi dei consulenti della Procura, seppure su un campione più ridotto
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Alla luce delle novità emerse in conferenza stampa e dagli stralci delle perizie che sono stati resi disponibili, le domande aumentano. Da quali altri elementi scientifici si riscontra che nel Salento siano presenti perlomeno nove diverse popolazioni di X. fastidiosa? Quali prove conducono a considerare «altamente probabile» l’ipotesi che il consumo intensivo di prodotti fitosanitari abbia favorito la virulenza di funghi e batteri, tra cui Xylella fastidiosa? Per quali aspetti la consulenza ha posto in dubbio l’attendibilità delle conclusioni scientifiche rappresentate all'Europa? Quali elementi portano a considerare «dato acquisito» che la manifestazione della sintomatologia del disseccamento non sia necessariamente correlata alla presenza del batterio Xylella fastidiosa?
Riteniamo dunque a maggior ragione indispensabile che la Procura metta a disposizione della comunità scientifica e in particolare della task force incaricata di affrontare l’emergenza Xylella, il testo integrale delle perizie, come abbiamo richiesto nella lettera aperta al Procuratore Cataldo Motta.
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