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Un periodo dell'anno che mi piaceva molto, oltre ovviamente alle vacanze estative, periodo in cui il paese si riempiva di "romani" e i "giardinetti" funzionavano a pieno regime, era quello tra la metà di novembre e fine dicembre. In questo periodo per l'appunto si piluccava (lo si fa tuttora, ma non essendo più lì lo narro come un ricordo del passato). Il paese si riempiva di oriundi che tornavano per pagare il tributo alle loro radici contadine. L'attività era frenetica: si cercava di arrivare al campo all'albeggiare. Le strade erano quindi intasate di mezzi agricoli e di asini che durante la mia infanzia erano più numerosi dei mezzi agricoli. Mio nonno possedeva un asino, anzi un'asina: Mora. Quando ero molto piccolo a volte mi portava in campagna con lui trasportandomi dentro i bigonci che pendevano dai fianchi di Mora. All'inizio degli anni '80 la povera Mora venne sostituita da un trattorino.
Di solito mio padre, i miei nonni e mio zio piluccavano mentre mia madre ed io mondavamo il raccolto che veniva stipato in cantina in uno spazio delimitato da palanche. Dopo qualche giorno arrivavano gli operai del frantoio della cooperativa a caricare le olive, si andava a seguire tutte le fasi della spremitura in questo ambiente impregnato degli odori e degli aromi dell'olio nuovo, e infine si tornava in cantina con i contenitori di acciao pieni d'olio. Dopodiché c'era il lavoro più pesante: l'assaggio dell'olio sulla bruschetta.
Col passare degli anni sono stato promosso a piluccatore, ma mio padre non mi faceva partecipare molto: non voleva distrarmi troppo dallo studio. Forse proprio per questo ora vedo la piluccatura come un'attività piacevole, a differenza di qualche mio coetaneo che veniva quasi obbligato dai genitori.
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