giovedì, luglio 17, 2008

Bilinguismo italico 2: Ricchezza espressiva del dialetto

Prima di tutto è necessaria una bella dimostrazione di una narrazione nel mio dialetto. Attentione! Il linguaggio - per chi riuscirà a capirlo - è piuttosto scurrile e blasfemo.



Alcune osservazioni sui comportamenti linguistici mi hanno portato a registrare che molti miei compaesani si esprimono più propriamente ed in un modo più ricco di dettagli e sfumature nel momento in cui parlano in dialetto. Quando poi traducono gli stessi pensieri nella ligua di Dante, semplificano, approssimano e spersonalizzano.

Cito qualche esempio.
Nel mio dialetto "affettare il pane" si dice "fetta' o pa'". Sono però sicuro che il 99% dei miei compesani tradurrebbe con "tagliare il pane", perdendo la bella sfumatura dell'azione di produrre delle fette.
C'è un detto del mio paese che recita: "da 'na parte u mmastu a da penne". Che è un po' l'equivalente di volere la botte piena e la moglie ubriaca. "mmastu" sta per "basto", ma anche in questo caso sono sicuro che il 99% dei miei compesani lo tradurrebbe impropriamente con "sella".

Altro esempio.
Chi usa più ormai il pronome dimostrativo "codesto"? Eppure in dialetto esiste ed è ancora vivo. Solo che purtroppo suona molto diverso. "Questo", "codesto" e "quello" si traducono in "vistu", "vissu" e "villu" ("stu", "ssu" e "llu" quando usati come aggettivi dimostrativi). "Vissu", allo stesso modo di "codesto", viene usato per riferirsi ad un oggetto che si trova vicino al nostro interlocutore.

Esempio pratico
- "Passami 'm bo' ssu cortellu che hó da fetta' o pa'?!"
- "Quale cortellu vó? Vistu c'a seghetta o villu c'a lama liscia?"
- "No, voglio vissu che té esso 'nnanzi all'ócchi!"

- "Potresti passarmi codesto coltello ché voglio (devo) affettare il pane?!"
- "Quale coltello vuoi? Questo seghettato o quello con la lama liscia?"
- "No, voglio codesto che hai costì davanti agli occhi!"


"Vissu" viene usato correntemente, ma poi quando si passa all'italiano lo si traduce impropriamente o con "questo" o con "quello".
Stesso discorso per gli avverbi "qui", "costì" e "lì" che si traducono con "ecco", "èsso" e "loco". Anche in questo caso "èsso" viene usato correntemente, ma poi quando si passa all'italiano lo si traduce impropriamente o con "qui" o con "lì".

Per quanto riguarda i suddetti avverbi esistono addirittura delle sfumature che in Italiano mancano proprio: "eccuci", "essuci" e "locuci" significano "qui intorno", "costì intorno" e "lì intorno".

Il pronome dimostrativo "codesto" sopravvive nella lingua parlata probabilmente solo in Toscana in quanto parte del dialetto toscano. Suppongo che tale promome esista anche in quasi tutti i dialetti centro-meridionali. Il problema è che il suono di queste versioni dialettali non somiglia neppure un po' al suono di "codesto": basti pensare al suono di "vissu"!
Mi sono però accorto che molti miei compaesani sentono comunque l'esigenza di usare la precisione di tale pronome anche quando parlano italiano e a volte coniano all'occorrenza dei vocaboli sostitutivi come "quesso", che somiglia a "vissu", ma suona più italiano.
Io sono dell'opinione che, se invece di criminalizzare il dialetto, come è avvenuto per decenni, lo si fosse valorizzato nel modo giusto, ad esempio introducendo ai bambini del mio paese, al momento dell'apprendimento dei pronomi dimostrativi, il pronome "codesto" come una traduzione di "vissu", senza perdersi in inutili e incomprensibili spiegazioni, si sarebbero mantenute più vive le radici linguistiche e meno traumatico e depauperante il passaggio alla lingua italiana.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Trovo l'argomento molto affascinante, anche perchè trovo che riesci a trattarlo con passione e competenza.
Ancor più perchè conosco bene questo dialetto e anche per aver parlato insieme, di queste questioni dialettali, l'ultima volta che ci siamo visti.

Anonimo ha detto...

Ancora un appunto, sul detto "da 'na parte u mmastu a da penne". Che, a tuo avviso, è un po' l'equivalente di volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Io invece l'ho sempre interpretato in un'altra maniera e cioè che non esistono le cose eque, che per quanto lo possano sembrare "pendono" sempre da una parte, che se togli da una parte poi inevitabilmente peserà più dall'altra.

dioniso ha detto...

ziomassimo, grazie per i complimenti.
Sul detto hai ragione tu.
Ho semplificato dicendo che "da 'na parte u mmastu a da penne" è un po' l'equivalente di volere la botte piena e la moglie ubriaca. Siccome non esiste un vero equivalente in italiano quello mi sembrava il detto che si avvicinasse di più. In molti casi in realtà i due detti si sovrappongono, ma ci sono casi in cui va bene l'uno, ma non l'altro.

Anonimo ha detto...

Sono per il ripristino dell'uso del "codesto" anche nella lingua italiana!
Anzi: comincerò io ad usarlo.

Anonimo ha detto...

Nell'italica Toscana si usa molto codesto termine. :-)

dioniso ha detto...

Organizziamo un comitato per la protezione del codesto?!

Sì, in Toscana lo usano perché fa parte del loro dialetto. Secondo me "codesto" esiste anche in tutti i dialetti centro-meridionali.
Il problema è che il suono non somiglia neppure un po' a "codesto": pensate allo scandrigliese "vissu"!
Però mi sono accorto che molti miei compaesani sentono l'esigenza di usarlo quando parlano italiano e a volte creano dei vocaboli come "quesso", che somiglia a "vissu", ma suona più italiano.

Secondo me, se invece di criminalizzare il dialetto, come è avvenuto per decenni, lo si fosse valorizzato nel modo giusto, ad esempio introducendo ai bambini del mio paese, al momento dell'apprendimento dei pronomi dimostrativi, il pronome "codesto" come una traduzione di "vissu", senza perdersi in inutili e incomprensibili spiegazioni, si sarebbero mantenute più vive le radici linguistiche e meno traumatico e "depauperante" il passaggio alla lingua italiana.

Anonimo ha detto...

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