Dopo aver gettato uno sguardo nella vita privata di Pitagora vediamo qualcosa sulle sue scoperte e sul suo pensiero.
Se qualcuno vi chiedesse: qual è la scoperta più importante del grande Pitagora? Che cosa rispondereste? Il teorema di Pitagora? Beh, avevamo già visto qui che esistono documenti che precedono Pitagora di più di un millennio da cui si evince una conoscenza applicativa di quel teorema. Inoltre, pur volendo attribuire ai pitagorici la paternità del teorema, o almeno della sua dimostrazione, potremmo davvero assegnare al teorema il titolo di scoperta più importante? Proviamo a capirlo.
La tradizione tramandata da Giamblico (245 – 325 d.C.) ci dice che Pitagora si accorse di un'inimmaginabile relazione tra suoni e numeri durante le sue passeggiate per le strade di Crotone. Il filosofo era solito passare nei pressi della bottega di un fabbro. E fu proprio lì che un bel giorno il suo sensibile orecchio fu particolarmente disturbato dalle differenze tra i suoni delle martellate che provenivano dall’interno della bottega: alcune combinazioni tra suoni risultavano gradevoli al suo sensibile timpano, erano cioè consonanti, mentre altre combinazioni lo infastidivano, erano cioè dissonanti. Da buon filosofo Pitagora si interrogò sulla causa di quella differenza e volle andare a verificare di persona. Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e dopo un po' si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi dei martelli...
O almeno questo è quanto ci racconta la tradizione tramandata da Giamblico. Ma non sempre la tradizione riporta i fatti nel modo corretto. Sarà vero che la scoperta avvenne nella bottega di un fabbro? Non lo sappiamo con certezza, ma è bello pensarlo. Tuttavia, l'unica cosa del racconto di Giamblico che forse andrebbe corretta sono gli errori oggettivi. E allora riprendiamo la storiella aggiungendo solo una piccola correzione.
...Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi delle incudini. Incudini uguali producevano lo stesso suono. Quando invece un'incudine pesava il doppio dell’altra, cioè quando i rapporti fra i pesi erano 2 a 1, i suoni prodotti si trovavano a un’ottava di distanza (ad esempio come due do separati da sei tasti bianchi sul pianoforte). Il fatto dovette sembrare molto strano a Pitagora. Perché un fenomeno musicale percepito dal nostro orecchio dovrebbe essere correlato al rapporto fisico tra il peso delle incudini? E perché quest'ultimo dovrebbe essere a sua volta descritto attraverso un rapporto matematico tra i numeri 2 e 1? Perché una percezione puramente umana come quella della consonanza tra due suoni dovrebbe essere interconnessa con un determinato fatto fisico e con un preciso rapporto numerico? Si trattava di una coincidenza? Pitagora, ancora più incuriosito, proseguì le sue ricerche e si accorse che se le incudini erano in rapporto 3 a 2, cioè se il peso di un'incudine era solo una volta e mezza il peso dell’altra, i suoni risultavano ancora consonanti, però stavolta l’intervallo musicale era quello di quinta, do-sol ad esempio. Pitagora si spinse oltre e provò il rapporto successivo: 4 e 3. E scoprì una nuova consonanza: la quarta; do-fa ad esempio. La sorpresa fu grande! Esisteva chiaramente un rapporto tra musica, fisica e matematica.
Inoltre questo rapporto lo si trovava anche altrove. Come nei movimenti e nelle orbite dei pianeti. Quest'ultima scoperta in particolare spinse i pitagorici a formulare l'ipotesi, che in questo caso però si rivelerà in seguito fallace, della produzione di una musica non udibile da parte dei corpi celesti. Ma questa è un'altra storia.
Ad ogni modo, la scoperta di queste connessioni fisico-numeriche condusse i pitagorici ad immaginare una generalizzazione per cui partendo a ritroso dalla matematica si sarebbero potuti interpretare tutti i fenomeni fisici dell’Universo. L’idea era molto affascinante. Attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo. Fu ovvio quindi giungere alla conclusione che “Tutto è Numero”. E, secondo molti, è proprio questa la più grande scoperta dei pitagorici! Non è forse questa l’idea che Galileo Galilei riprese quando scrisse: « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. »
Così ne parla Kitty Ferguson nel suo bel libro "La Musica Di Pitagora".
«Pitagora e i suoi primi seguaci non erano neppure in grado di concepire quale immenso paesaggio si aprisse dinanzi alla porta da loro dischiusa. Da guizzi di indeterminazione inimmaginabilmente piccoli alle innumerevoli galassie, a dimensioni multiple, e forse fino a un'infinità di altri universi. Eppure numeri e relazioni numeriche sembrano aver guidato il cammino in questo labirinto dell'universo fisico con un'efficacia quale lo stesso Pitagora non avrebbe mai osato sperare.
Oggi molti scienziati e matematici aderiscono alla fede pitagorica secondo cui la verità dell'universo sarebbe intrinsecamente matematica e sarebbe quindi possibile cogliere frammenti di tale verità usando il nostro livello umano di matematica. Alcuni sottolineano che la matematica è l'unica disciplina in cui alcune cose sono indiscutibilmente vere, e non soggette all'opinione, mentre altri non lo concedono. Altri ancora ridefiniscono la "completa verità" come "verità" che gli esseri umani possono scoprire attraverso la matematica.»
Ma la Ferguson si pone pure una domanda in qualche modo correlata con l'approccio cognitivista alla matematica.
«Oppure..., forse i pitagorici hanno avuto una falsa intuizione, e noi abbiamo vissuto soltanto un sogno. Forse il mondo non è mai andato oltre un illimitato informe, e noi stiamo solo immaginando quella regolarità matematica, o la creiamo noi stessi. Forse la maggior parte di noi è troppo inebriata dalla musica di Pitagora per soffrire una crisi di fede.»
Ma tornando alla nostra storia, la conclusione che attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo, spinse i pitagorici a impegnarsi in una ricerca ossessiva di queste proprietà. La scuola, attraverso derive poco scientifiche secondo la nostra definizione moderna, assunse quindi lentamente anche le sembianze di una sorta di setta di numerologi ma il risvolto positivo di questa trasformazione fu la scoperta di diverse proprietà dei numeri che quella ricerca ossessiva produsse.Questo assetto della scuola funzionò senza grosse variazioni fino al giorno in cui un adepto della scuola si accorse della presenza di un grosso problema. E del fatto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. Dentro il teorema di Pitagora!
Ma questo lo vedremo nelle prossime puntate ...
Per chi invece volesse sapere come andarono le cose direttamente dalla voce di Pitagora può leggere Interviste impossibili: Pitagora nella bottega del fabbro.
Indice della serie
Se qualcuno vi chiedesse: qual è la scoperta più importante del grande Pitagora? Che cosa rispondereste? Il teorema di Pitagora? Beh, avevamo già visto qui che esistono documenti che precedono Pitagora di più di un millennio da cui si evince una conoscenza applicativa di quel teorema. Inoltre, pur volendo attribuire ai pitagorici la paternità del teorema, o almeno della sua dimostrazione, potremmo davvero assegnare al teorema il titolo di scoperta più importante? Proviamo a capirlo.
La tradizione tramandata da Giamblico (245 – 325 d.C.) ci dice che Pitagora si accorse di un'inimmaginabile relazione tra suoni e numeri durante le sue passeggiate per le strade di Crotone. Il filosofo era solito passare nei pressi della bottega di un fabbro. E fu proprio lì che un bel giorno il suo sensibile orecchio fu particolarmente disturbato dalle differenze tra i suoni delle martellate che provenivano dall’interno della bottega: alcune combinazioni tra suoni risultavano gradevoli al suo sensibile timpano, erano cioè consonanti, mentre altre combinazioni lo infastidivano, erano cioè dissonanti. Da buon filosofo Pitagora si interrogò sulla causa di quella differenza e volle andare a verificare di persona. Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e dopo un po' si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi dei martelli...
O almeno questo è quanto ci racconta la tradizione tramandata da Giamblico. Ma non sempre la tradizione riporta i fatti nel modo corretto. Sarà vero che la scoperta avvenne nella bottega di un fabbro? Non lo sappiamo con certezza, ma è bello pensarlo. Tuttavia, l'unica cosa del racconto di Giamblico che forse andrebbe corretta sono gli errori oggettivi. E allora riprendiamo la storiella aggiungendo solo una piccola correzione.
...Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi delle incudini. Incudini uguali producevano lo stesso suono. Quando invece un'incudine pesava il doppio dell’altra, cioè quando i rapporti fra i pesi erano 2 a 1, i suoni prodotti si trovavano a un’ottava di distanza (ad esempio come due do separati da sei tasti bianchi sul pianoforte). Il fatto dovette sembrare molto strano a Pitagora. Perché un fenomeno musicale percepito dal nostro orecchio dovrebbe essere correlato al rapporto fisico tra il peso delle incudini? E perché quest'ultimo dovrebbe essere a sua volta descritto attraverso un rapporto matematico tra i numeri 2 e 1? Perché una percezione puramente umana come quella della consonanza tra due suoni dovrebbe essere interconnessa con un determinato fatto fisico e con un preciso rapporto numerico? Si trattava di una coincidenza? Pitagora, ancora più incuriosito, proseguì le sue ricerche e si accorse che se le incudini erano in rapporto 3 a 2, cioè se il peso di un'incudine era solo una volta e mezza il peso dell’altra, i suoni risultavano ancora consonanti, però stavolta l’intervallo musicale era quello di quinta, do-sol ad esempio. Pitagora si spinse oltre e provò il rapporto successivo: 4 e 3. E scoprì una nuova consonanza: la quarta; do-fa ad esempio. La sorpresa fu grande! Esisteva chiaramente un rapporto tra musica, fisica e matematica.
Inoltre questo rapporto lo si trovava anche altrove. Come nei movimenti e nelle orbite dei pianeti. Quest'ultima scoperta in particolare spinse i pitagorici a formulare l'ipotesi, che in questo caso però si rivelerà in seguito fallace, della produzione di una musica non udibile da parte dei corpi celesti. Ma questa è un'altra storia.
Ad ogni modo, la scoperta di queste connessioni fisico-numeriche condusse i pitagorici ad immaginare una generalizzazione per cui partendo a ritroso dalla matematica si sarebbero potuti interpretare tutti i fenomeni fisici dell’Universo. L’idea era molto affascinante. Attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo. Fu ovvio quindi giungere alla conclusione che “Tutto è Numero”. E, secondo molti, è proprio questa la più grande scoperta dei pitagorici! Non è forse questa l’idea che Galileo Galilei riprese quando scrisse: « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. »
Così ne parla Kitty Ferguson nel suo bel libro "La Musica Di Pitagora".
«Pitagora e i suoi primi seguaci non erano neppure in grado di concepire quale immenso paesaggio si aprisse dinanzi alla porta da loro dischiusa. Da guizzi di indeterminazione inimmaginabilmente piccoli alle innumerevoli galassie, a dimensioni multiple, e forse fino a un'infinità di altri universi. Eppure numeri e relazioni numeriche sembrano aver guidato il cammino in questo labirinto dell'universo fisico con un'efficacia quale lo stesso Pitagora non avrebbe mai osato sperare.
Oggi molti scienziati e matematici aderiscono alla fede pitagorica secondo cui la verità dell'universo sarebbe intrinsecamente matematica e sarebbe quindi possibile cogliere frammenti di tale verità usando il nostro livello umano di matematica. Alcuni sottolineano che la matematica è l'unica disciplina in cui alcune cose sono indiscutibilmente vere, e non soggette all'opinione, mentre altri non lo concedono. Altri ancora ridefiniscono la "completa verità" come "verità" che gli esseri umani possono scoprire attraverso la matematica.»
Ma la Ferguson si pone pure una domanda in qualche modo correlata con l'approccio cognitivista alla matematica.
«Oppure..., forse i pitagorici hanno avuto una falsa intuizione, e noi abbiamo vissuto soltanto un sogno. Forse il mondo non è mai andato oltre un illimitato informe, e noi stiamo solo immaginando quella regolarità matematica, o la creiamo noi stessi. Forse la maggior parte di noi è troppo inebriata dalla musica di Pitagora per soffrire una crisi di fede.»
Ma tornando alla nostra storia, la conclusione che attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo, spinse i pitagorici a impegnarsi in una ricerca ossessiva di queste proprietà. La scuola, attraverso derive poco scientifiche secondo la nostra definizione moderna, assunse quindi lentamente anche le sembianze di una sorta di setta di numerologi ma il risvolto positivo di questa trasformazione fu la scoperta di diverse proprietà dei numeri che quella ricerca ossessiva produsse.Questo assetto della scuola funzionò senza grosse variazioni fino al giorno in cui un adepto della scuola si accorse della presenza di un grosso problema. E del fatto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. Dentro il teorema di Pitagora!
Ma questo lo vedremo nelle prossime puntate ...
Per chi invece volesse sapere come andarono le cose direttamente dalla voce di Pitagora può leggere Interviste impossibili: Pitagora nella bottega del fabbro.
Indice della serie
2 commenti:
Complimenti! Sei stato veramente brillante nell'esposizione e nel bilanciamento del testo. Mi chiedo se le conclusioni che presenti come alternative non possano, in qualche modo, rapportarsi con un ET o, al più, con un VEL.
www.diariodiundruido.blogspot.it
Grazie Giovane Druido e benvenuto sul Blogghetto.
Che intendi? Che la "matematicità" dell'universo potrebbe essere oggettiva e invenzione immaginaria degli umani allo stesso tempo?
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