Uno dei motivi per cui non mi stancherò mai di ringraziare i miei genitori è per non avermi mai imposto obblighi nella scelta dei percorsi scolastici e delle mia attività collaterali (restringendo chiaramente il campo a quello delle attività genitorialmente accettabili). Nei momenti delle scelte cruciali, quelle che avrebbero potuto influenzare la mia vita futura, loro hanno sempre rispettato la mia volontà.
Secondo i miei ricordi, la prima scelta del genere si presentò alla fine delle elementari. Mi chiesero se volevo continuare le medie con i miei compagnucci del paesello oppure se avrei preferito trasferirmi nella capitale. Non ebbi il neppur minimo dubbio: mi trovavo troppo bene con i miei amichetti.
Quando frequentavo la seconda media, il sindaco del paese si fece promotore della (ri)fondazione della banda musicale. Mio padre, coinvolto in una sorta di contrapposizione doncamillopepponesca, non ne era entusiasta, ma non era neppure contrario: tiepido diciamo. In ogni caso io mi volli unire. E dovetti combattere non poco con il maestro per farmi assegnare il trombone invece del flicorno contralto in Mib, che, seppur citato da Umberto Eco nel Pendolo di Foucault, a me non convinceva per niente. Visto soprattutto che ci trovavamo sei anni prima della pubblicazione del Pendolo.
La seconda decisione cruciale la presi alla fine delle medie. Volevo studiare il trombone. Il maestro della banda mi consigliò di portare avanti anche la scuola superiore, studiare la musica in privato e presentarmi agli esami del conservatorio come privatista. Seguii il suo consiglio.
Mio padre sarebbe stato più contento se avessi scelto il liceo; ma me lo disse solo perché glielo chiesi io esplicitamente. Alla fine decisi di iscrivermi all'IPSIA: Istituto Professionale di Stato per l'Industria e l'Artigianato: la scuola più malfamata della provincia. In questa scelta fui influenzato principalmente da due fattori: l'amore che nutrivo a quei tempi per l'elettronica, soprattutto nei suoi aspetti più applicativi, e il timore che gli studi musicali mi avrebbero impedito di portare avanti scuole più impegnativi. Mi ritrovai così in un istituto che non apparteneva propriamente alla lista delle realtà d'eccellenza. Su questo tema avrei decine di aneddoti da raccontare. Sono sicuro che molti di questi, e soprattutto quelli concernenti il mio primo professore di matematica, che fortunatamente andò in pensione alla fine del mio primo anno, vi lascerebbero esterrefatti. Ma forse questa sarà materia per un'altra storia.
Adesso, col senno del poi, penso che la mia scelta sarebbe diversa. Ma allo stesso tempo sono abbastanza sicuro che un'eventuale imposizione di mio padre avrebbe irreversibilmente danneggiato la mia carriera scolastica.
La mia settimana a quei tempi era scandita da questi ritmi. Ogni mattina prendevo l'autobus per il capoluogo sabino alle 7 e tornavo a casa alle 14:30; e il sabato pranzavo velocemente, ripartivo in treno per la lezione di trombone a Roma e tornavo casa verso le 21:30. Quando poi alle lezioni di strumento cominciarono ad aggiungersi quelle di solfeggio prima e di armonia e storia della musica in seguito, i mezzi pubblici non furono più adeguati per farmi raggiungere i vari quartieri di Roma in un pomeriggio. Mio padre dovette quindi armarsi di coraggio e accompagnarmi in auto nel giro delle lezioni.
I mei insegnanti di musica appartenevano a classi socio-culturali poste a distanze variabili da quella da cui provenivo io. Si andava dalle poche decine di chilometri dell'insegnante di strumento, alle decine di anni luce dell'insegnante di Storia della Musica. Quando io, diciassettenne travagliato, entravo in quelle case mi ritrovavo catapultato in misteriose terra straniere: ricche di meraviglie, di novità e di insidie.
La più esotica tra queste terre era sicuramente quella dell'insegnante di Storia della Musica. Egli proveniva da una famiglia di antiche tradizioni musicali; era musicologo, direttore d'orchestra, autore di saggi e possedeva una cultura sconfinata. Subivo enormemente il suo fascino e nutrivo per lui un'ammirazione sconfinata. I suoi insegnamenti migliorarono molto le mie pessime capacità dialettiche di adolescente tormentato. Di tutte le sue lezioni non dimenticherò mai quella in cui, nel bel mezzo di una disquisizione sulla scuola veneziana, s'interruppe bruscamente e indicando mio padre in lettura su un divano nell'altra stanza mi disse:
- Tu a tuo padre dovresti fargli un monumento!
Mio padre ed io ci guardammo perplessi.
- Non per i soldi che spende per le tue lezioni, ma per tutto il tempo che spende per te!
Sull'altro fronte la frequentazione del malfamato Istituto Professionale innescò in me un'inconsueta alchimia. In una scuola dove l'aspetto pratico e applicativo è dominante, i miei interessi cominciarono a spostarsi sempre di più verso questioni teoriche. E questo avvenne per buona parte grazie ad un ottimo professore di elettronica (che nutriva e condivideva con noi molteplici interessi scientifici) e in seguito grazie anche agli insegnanti di matematica, di fisica e di religione. L'insegnante di religione meriterebbe un capitolo a parte: comunista dichiarato, amante di Bach e delle lingue antiche, nonché compositore. Da lui fotocopiai un libro intero per imparare l'ebraico antico. A volte quando c'erano gli scioperi nei giorni in cui avevamo religione io entravo in classe solo per poter chiacchierare con lui. Poi arrivò un nuovo vescovo e il professore fu licenziato.
Alla maturità portai italiano come prima materia e matematica come terza (la seconda non la ricordo). Dopo un mese mi diplomai in trombone a S. Cecilia.
Poi m'iscrissi a matematica, mi laureai, ebbi una borsa di studio per un progetto di ricerca, cominciai a lavorare, vinsi l'ammissione ad un dottorato, dopo un anno capii che in quei modi e in quei tempi il dottorato non faceva per me, lo interruppi ed emigrai in Germania. Ma, come dice Lucarelli, questa è un'altra storia.
Sono consapevole del fatto che il mio percorso scolastico sia piuttosto insolito. Perché l'ho raccontato?
Principalmente come testimonianza del fatto che spesso le imposizioni nella scelta di un percorso scolastico piuttosto di un altro potrebbero rivelarsi molto dannose.
Qui in Germania, ad esempio, chi ha frequentato una scuola tecnica non può accedere all'università. Ed in particolare qui nel Baden-Württemberg a decidere se un bambino di nove anni abbia le capacità per frequentare le scuole di serie A (licei), di serie B (scuole tecniche) o di serie C (professionali) sono i maestri delle scuole elementari (si spera che presto il nuovo governo rosso/verde modifichi questo abominio). Quindi, un maestro di scuola elementare si trova schiacciato dall'enorme ed assurda responsabilità di stabilire se un bambino di nove anni possiederà dopo dieci anni le qualità giuste per poter accedere all'università. Un percorso come il mio in Germania sarebbe stato impossibile.
Nel sistema scolastico italiano fortunatamente non abbiamo norme così despotiche, ma a volte sono purtroppo i genitori con le loro imposizioni a rimpiazzare le norme.
Secondo i miei ricordi, la prima scelta del genere si presentò alla fine delle elementari. Mi chiesero se volevo continuare le medie con i miei compagnucci del paesello oppure se avrei preferito trasferirmi nella capitale. Non ebbi il neppur minimo dubbio: mi trovavo troppo bene con i miei amichetti.
Quando frequentavo la seconda media, il sindaco del paese si fece promotore della (ri)fondazione della banda musicale. Mio padre, coinvolto in una sorta di contrapposizione doncamillopepponesca, non ne era entusiasta, ma non era neppure contrario: tiepido diciamo. In ogni caso io mi volli unire. E dovetti combattere non poco con il maestro per farmi assegnare il trombone invece del flicorno contralto in Mib, che, seppur citato da Umberto Eco nel Pendolo di Foucault, a me non convinceva per niente. Visto soprattutto che ci trovavamo sei anni prima della pubblicazione del Pendolo.
La seconda decisione cruciale la presi alla fine delle medie. Volevo studiare il trombone. Il maestro della banda mi consigliò di portare avanti anche la scuola superiore, studiare la musica in privato e presentarmi agli esami del conservatorio come privatista. Seguii il suo consiglio.
Mio padre sarebbe stato più contento se avessi scelto il liceo; ma me lo disse solo perché glielo chiesi io esplicitamente. Alla fine decisi di iscrivermi all'IPSIA: Istituto Professionale di Stato per l'Industria e l'Artigianato: la scuola più malfamata della provincia. In questa scelta fui influenzato principalmente da due fattori: l'amore che nutrivo a quei tempi per l'elettronica, soprattutto nei suoi aspetti più applicativi, e il timore che gli studi musicali mi avrebbero impedito di portare avanti scuole più impegnativi. Mi ritrovai così in un istituto che non apparteneva propriamente alla lista delle realtà d'eccellenza. Su questo tema avrei decine di aneddoti da raccontare. Sono sicuro che molti di questi, e soprattutto quelli concernenti il mio primo professore di matematica, che fortunatamente andò in pensione alla fine del mio primo anno, vi lascerebbero esterrefatti. Ma forse questa sarà materia per un'altra storia.
Adesso, col senno del poi, penso che la mia scelta sarebbe diversa. Ma allo stesso tempo sono abbastanza sicuro che un'eventuale imposizione di mio padre avrebbe irreversibilmente danneggiato la mia carriera scolastica.
La mia settimana a quei tempi era scandita da questi ritmi. Ogni mattina prendevo l'autobus per il capoluogo sabino alle 7 e tornavo a casa alle 14:30; e il sabato pranzavo velocemente, ripartivo in treno per la lezione di trombone a Roma e tornavo casa verso le 21:30. Quando poi alle lezioni di strumento cominciarono ad aggiungersi quelle di solfeggio prima e di armonia e storia della musica in seguito, i mezzi pubblici non furono più adeguati per farmi raggiungere i vari quartieri di Roma in un pomeriggio. Mio padre dovette quindi armarsi di coraggio e accompagnarmi in auto nel giro delle lezioni.
I mei insegnanti di musica appartenevano a classi socio-culturali poste a distanze variabili da quella da cui provenivo io. Si andava dalle poche decine di chilometri dell'insegnante di strumento, alle decine di anni luce dell'insegnante di Storia della Musica. Quando io, diciassettenne travagliato, entravo in quelle case mi ritrovavo catapultato in misteriose terra straniere: ricche di meraviglie, di novità e di insidie.
La più esotica tra queste terre era sicuramente quella dell'insegnante di Storia della Musica. Egli proveniva da una famiglia di antiche tradizioni musicali; era musicologo, direttore d'orchestra, autore di saggi e possedeva una cultura sconfinata. Subivo enormemente il suo fascino e nutrivo per lui un'ammirazione sconfinata. I suoi insegnamenti migliorarono molto le mie pessime capacità dialettiche di adolescente tormentato. Di tutte le sue lezioni non dimenticherò mai quella in cui, nel bel mezzo di una disquisizione sulla scuola veneziana, s'interruppe bruscamente e indicando mio padre in lettura su un divano nell'altra stanza mi disse:
- Tu a tuo padre dovresti fargli un monumento!
Mio padre ed io ci guardammo perplessi.
- Non per i soldi che spende per le tue lezioni, ma per tutto il tempo che spende per te!
Sull'altro fronte la frequentazione del malfamato Istituto Professionale innescò in me un'inconsueta alchimia. In una scuola dove l'aspetto pratico e applicativo è dominante, i miei interessi cominciarono a spostarsi sempre di più verso questioni teoriche. E questo avvenne per buona parte grazie ad un ottimo professore di elettronica (che nutriva e condivideva con noi molteplici interessi scientifici) e in seguito grazie anche agli insegnanti di matematica, di fisica e di religione. L'insegnante di religione meriterebbe un capitolo a parte: comunista dichiarato, amante di Bach e delle lingue antiche, nonché compositore. Da lui fotocopiai un libro intero per imparare l'ebraico antico. A volte quando c'erano gli scioperi nei giorni in cui avevamo religione io entravo in classe solo per poter chiacchierare con lui. Poi arrivò un nuovo vescovo e il professore fu licenziato.
Alla maturità portai italiano come prima materia e matematica come terza (la seconda non la ricordo). Dopo un mese mi diplomai in trombone a S. Cecilia.
Poi m'iscrissi a matematica, mi laureai, ebbi una borsa di studio per un progetto di ricerca, cominciai a lavorare, vinsi l'ammissione ad un dottorato, dopo un anno capii che in quei modi e in quei tempi il dottorato non faceva per me, lo interruppi ed emigrai in Germania. Ma, come dice Lucarelli, questa è un'altra storia.
Sono consapevole del fatto che il mio percorso scolastico sia piuttosto insolito. Perché l'ho raccontato?
Principalmente come testimonianza del fatto che spesso le imposizioni nella scelta di un percorso scolastico piuttosto di un altro potrebbero rivelarsi molto dannose.
Qui in Germania, ad esempio, chi ha frequentato una scuola tecnica non può accedere all'università. Ed in particolare qui nel Baden-Württemberg a decidere se un bambino di nove anni abbia le capacità per frequentare le scuole di serie A (licei), di serie B (scuole tecniche) o di serie C (professionali) sono i maestri delle scuole elementari (si spera che presto il nuovo governo rosso/verde modifichi questo abominio). Quindi, un maestro di scuola elementare si trova schiacciato dall'enorme ed assurda responsabilità di stabilire se un bambino di nove anni possiederà dopo dieci anni le qualità giuste per poter accedere all'università. Un percorso come il mio in Germania sarebbe stato impossibile.
Nel sistema scolastico italiano fortunatamente non abbiamo norme così despotiche, ma a volte sono purtroppo i genitori con le loro imposizioni a rimpiazzare le norme.
11 commenti:
Adoro questo genere di post! E credo che ognuno avrebbe una storia da raccontare. Io per esempio non ho mai imparato a suonare ma ho capito presto che mi mancava.
Ciao Dioniso,
seguo da tempo il tuo blog.Questo articolo è veramente molto bello.E'sempre piacevole leggere queste esperienze di vita.Non sapevo che in Germania le cose stessero così.In effetti mi sembra strano che un maestro delle elementari possa decidere il futuro di uno studente in una fase così "precoce".Però se consideri che in Italia l'articolo 34 cost."La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso" e che,nonostante,la Sentenza n. 383 - 23/27 novembre 1998 la quale invita il legislatore ad attuare mezzi di selezione più "oggettivi" per i corsi universitari a numerus clausus (medicina,veterinaria,odontoiatria ecc. solo per citarne alcuni) ancora non è stato fatto niente. Può dunque capitare che un ragazzo in Italia sia costretto ad abbandonare un proprio desiderio e buttarsi su altro che,casomai,non desidera.Da questo punto di vista,aihmé,forse è meglio in Germania:lì almeno a nove anni sai già cosa farai ed hai più tempo per poterti appassionare al tuo futuro "lavoro"
Ciao Juhan,
sono contento che ti piaccia. In realtà avevo cominicato a scrivere pensando ad una cosa breve. Poi mi sono fatto prendere la mano e alla fine mi sembrava troppo lungo, noioso e autocelebrativo.
Caro anonimo esperto di diritto, no guarda, ci sono milioni di cose per cui "è meglio in Germania", ma tra queste non c'è di certo la costrizione della quarta elementare.
Bel post, adoro i racconti di vita vissuta!. Io avrei voluto fare l'interprete e frequentare un Istituto linguistico ma mia madre mi impose il liceo ...tant'è.
Non tutti i genitori sono illuminati come i tuoi!
Non sapevo la questione relativa all'accesso all'università. Credo che anche in Italia ci fosse qualche preclusione prima della riforma, ma ho un ricordo confuso.
PS eh eh eh Dioniso, non si fotocopiano i libri!! ;-)
Grazie Titti!
Ma poi alla fine hai studiato lingue lo stesso?
In realtà io non voglio dire che le imposizioni dei genitori provochino sempre danni. Nel caso mio sono abbastanza sicuro che sarebbe stato così, ma la controprova non potrò mai averla... A meno che qualcuno scopra come accedere i mondi possibili di un universo controfattuale :-)
A volte le imposizioni potrebbero anche sortire risultati positivi. Dipende dal tipo di imposizioni e dai soggetti.
Io sono stato da sempre del tipo: sbaglio, ma voglio sbagliare di testa mia e non con quella degli altri.
Sì in Italia preclusioni simli c'erano prima della riforma del 1969. Diciamo che da questo punto di vista il '68 in Germania è passato invano.
"PS eh eh eh Dioniso, non si fotocopiano i libri!! ;-) "
Ma dai, quello era ebraico antico. I diritti erano scaduti da tempo :-)
"attività genitorialmente accettabili" ;-)
Come madre di tre (all'epoca) ragazzi capisco cosa vuol dire! Neppure io ho forzato le scelte dei miei pargoli, li ho però, insieme a mio marito, indirizzati seguendo le inclinazioni di ognuno di loro, appoggiandoli nelle loro scelte.
Purtroppo, quando era toccato a me scegliere, secoli fa, non esisteva la possibilità di optare per un Tecnico o un Professionale se si pensava di voler poi proseguire con l'Università, e col senno di poi me ne dolgo. Infatti non ho poi completato gli studi universitari, e con un diploma di liceo si poteva far proprio poco!
Sapendo quel che so ora di me, avrei potuto essere una buona elettrotecnica! (di elettronica ancora non si parlava)o meglio ancora, una ragioniera! Vabbè...
P.S.
Figurati che credevo che tu avessi fatto studi classici, vista la tua conoscenza del greco! per non parlare dei gustosi post sulle figure retoriche!
mi aspettavo, da un momento all'altro, di sentir nominare Macondo. Comunque, mi è piaciuto
Ciao Laperfidanera, è un piacere risentirti.
No, niete studi classici. Le apparenze, soprattutto in rete, spesso ingannano.
Ciao paopasc, bentornato!
Addirittura Macondo?! Sono così arcaico?
Dioniso, alla fine ho studiato lingue ma non in modo approfondito per fare l'interprete. Al liceo la lingua che scelsi (errore!!!!! ) fu francese. Col senno di poi avrei scelto inglese.
L'inglese l'ho studiato per conto mio, da autodidatta, e con un'insegnante privato nel periodo precedente all'esame di inglese che dovevo sostenere all'università.
Sempre col senno di poi, pur non avendo fatto il lavoro che mi sarebbe piaciuto (l'interprete), sono contenta di aver fatto il liceo, scuola che ritengo sia in grado di formare più di altre. Io mi sono laureata ma se mi fossi fermata al liceo probabilmente avrei avuto le stesse opportunità di lavoro di un ragioniere.
PS: fotocopie dei libri: perdonato!
Grazie :-)
Anch'io a tornare indietro molte cose le farei in modo diverso.
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