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giovedì, maggio 09, 2019

Visione prospettica tra antica Grecia e Rinascimento

Qualche anno fa avevo parlato della nascita della prospettiva e i suoi aspetti geometrici

Ora completo il quadro con una citazione da "Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista" di Lucio Russo.

"Nonostante la convinzione di Piero della Francesca, nei secoli successivi, e in particolare in epoca illuministica, quando ci si convinse della superiorità dei moderni sugli antichi, fra gli storici dell’arte si diffuse la tesi (ancora ripetuta in qualche libro) che i greci non avessero conosciuto la prospettiva. In realtà non è più possibile dubitare dell’esistenza dell’antica prospettiva, poiché, oltre agli accenni più o meno vaghi di autori classici che erano sempre stati noti, oggi disponiamo di due tipi di documentazione: dipinti in cui le regole matematiche della prospettiva sono applicate in modo evidente, e brani di antichi trattati in cui si riportano in modo inequivocabile regole matematiche della prospettiva. Nella prima categoria è particolarmente importante l’affresco nella «stanza delle maschere», scoperto nel 1961 nella Casa di Augusto, sul Palatino. L’affresco nella «stanza delle maschere» nella Casa di Augusto, sul Palatino, dove tutti i segmenti che nella realtà sarebbero ortogonali alla parete di fondo, coerentemente alle regole della prospettiva, sono rappresentati convergenti esattamente in un punto."

domenica, marzo 01, 2015

Il rinascimento: la nascita della prospettiva e i suoi aspetti geometrici - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo parlato dei progressi che  Niccolò Copernico e Georg Joachim Rheticus apportarono alla trigonometria. In particolare, Rheticus, con l'Opus palatinum de triangulis, pubblicato dopo la sua morte, fece raggiungere alla trigonometria un livello di maturità molto avanzato.
Ma, tornando indietro di qualche anno e cambiando settore della matematica, possiamo osservare che in Italia cominciarono a svilupparsi nuovi rapporti tra la geometria e le arti figurative. È noto che i pittori medioevali, soprattutto fino al XIII sec., non riuscivano a rappresentare molto bene la dimensione della profondità spaziale. Ma, a partire dal XIV secolo, la Prospettiva cominciò a imporsi. Dapprima, con Giotto (1267 – 1337) e Ambrogio Lorenzetti  (1290 – 1348) (Annunciazione - 1344), in modo piuttosto intuitivo, e in seguito, durante il Rinascimento, attraverso approcci più scientifici.




http://carnevalenrico.altervista.org/
Il primo a ideare un metodo per rappresentare gli edifici in prospettiva fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 - 1446)1. A lui si deve l'invenzione della prospettiva a punto unico di fuga. Attraverso studi ed esperienze condotte con l'aiuto di strumenti ottici, Brunelleschi elaborò un procedimento per rappresentare gli edifici in prospettiva. Grazie a Leon Battista Alberti (1404 - 1472) sappiamo che due tavolette di Brunelleschi andate perdute raffiguravano il battistero visto dalla porta di Santa Maria del fiore, la piazza della Signoria e palazzo Vecchio. Alberti, inoltre, produsse la prima trattazione scritta sulla prospettiva a noi pervenuta: il De Pictura (1434-1436).
http://www.istitutomaserati.it/ 
Tra le altre cose il trattato descrive un metodo ideato dallo stesso Alberti per rappresentare, nel piano del dipinto verticale, una serie di quadrati disposti nel piano del pavimento orizzontale.
Sia V il punto della veduta in cui è situato l'occhio, h la distanza dal pavimento e k la distanza dal piano del dipinto. L'intersezione del piano del pavimento con il piano del dipinto viene chiamato "la linea giacente", il piede C della perpendicolare tirata da V al piano del dipinto viene chiamato "centro della visione" o punto di fuga principale, la linea passante per C e parallela alla line giacente è nota come "linea di fuga", e i punti situati su questa linea alla distanza k da C sono chiamati "punti di distanza". Se prendiamo dei punti equidistanti tra loro lungo la linea giacente, e se tracciamo delle linee che uniscano questi punti con C, allora la proiezione di queste linee sul piano del pavimento formerà un insieme di linee parallele ed equidistanti. Se da V tracciamo linee di connessione con tali punti, in modo da formare un altro insieme di linee che intersecano il piano del dipinto in altri punti, e se per questi ultimi punti tracciamo delle parallele alla linea giacente, allora l'insieme di trapezi nel piano del dipinto corrisponderà a un insieme di quadrati nel piano del pavimento.
Un ulteriore progresso nello sviluppo della prospettiva venne effettuato da Piero della Francesca (1416/1417 circa - 1492) nel suo secondo trattato De prospectiva pingendiPiero della Francesca affrontò un problema più complesso rispetto a quello affrontato dall'Alberti. E cioè quello di dipingere nel piano del dipinto oggetti tridimensionali così come essi vengono visti da un dato punto di veduta. Il suo primo trattato, Trattato d'abaco, scritto trent'anni prima, era invece dedicato alla matematica applicata al calcolo commerciale. E il suo terzo e ultimo trattato, Libellus de quinque corporibus regularibus, è dedicato alla geometria e riprende temi antichi di tradizione platonico-pitagorica, come, ad esempio, il riferimento alla "divina proporzione" secondo la quale si intersecano le diagonali di un pentagono regolare. Nel trattato Piero della Francesca trova inoltre il volume comune a due cilindri circolari uguali i cui assi si intersecano ad angoli retti. E arriva a questo risultato senza conoscere il lavoro di Archimede Della sfera e del cilindro, ancora da riscoprire a quei tempi. Quindi, il Piero della Francesca che si studia solitamente nella storia dell'arte può essere considerato a tutti gli effetti anche un matematico.

Nella prossima puntata parleremo dei progressi della geometria dopo la riscoperta di alcuni degli antichi trattati geometrici che avvenne intorno alla metà del XVI secolo e dell'introduzione di nuovi simboli.

Puntate precedenti...

Indice della serie

1 Carl B. BoyerStoria della matematica, Oscar Saggi Mondadori

domenica, gennaio 11, 2015

Il rinascimento: Copernico, Rheticus e la trigonometria - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo parlato di Robert Recorde (1510 - 1558) e della sua introduzione del simbolo = per l'uguaglianza. Poi abbiamo visto come Raffaele Bombelli (1526 - 1573) contribuì a rendere sia i numeri complessi sia i numeri irrazionali più accettabili come veri e propri numeri attraverso la definizione di regole per l'addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, e la divisione per entrambe le classi di numeri e attraverso la corrispondenza biunivoca tra i numeri reali e le lunghezze su una retta.
Quanto scritto nella puntata precedente ci fa anche intuire che i maggiori progressi della matematica nel XVI secolo riguardavano soprattutto l'algebra. Tuttavia anche la trigonometria ebbe un'importante sviluppo in questo secolo.

Solitamente Niccolò Copernico (Mikolaj Kopernik 1473 – 1543) viene ricordato solo come uno dei più grandi astronomi della storia per aver dato un forte impulso all'affermazione della teoria eliocentrica. Ma un astronomo dell'epoca era inevitabilmente anche un trigonometrista.
Copernico cominciò a studiare nella prestigiosa università di Cracovia e poi anche a Bologna, Padova e Ferrara. Dopo un breve periodo di insegnamento a Roma tornò infine in Polonia.
Il suo celeberrimo trattato De Revolutionibus orbium coelestium (pubblicato nell'anno della sua morte) sul sistema eliocentrico contiene ampie parti sulla trigonometria.

Le grandi capacità trigonometriche di Copernico si intuiscono sia dai teoremi inclusi nel versione definitiva di De revolutionibus sia dal teorema incluso in una precedente versione manoscritta del libro. Con tale teorema Copernico generalizza la proposizione del matematico persiano Nasir al-Din al-Tusi (1201 – 1274):

se un cerchio minore rotola all'interno di un cerchio maggiore con diametro doppio, allora il luogo geometrico di un punto che non giace sulla circonferenza del cerchio minore, ma che è fisso rispetto a questo cerchio minore, costituisce un'ellisse.
Secondo Boyer1 è probabile che la forma definitiva della trigonometria del De revolutionibus derivasse da quella del Regiomontano.
Infatti nel 1539 Copernico accolse tra i propri studenti l'austriaco (figlio dell'italiana Tommasina de Porris ) Georg Joachim Rheticus (1514 – 1574) che aveva avuto contatti col Regiomontano.
Rheticus ebbe un ruolo determinante nella convincere Copernico a pubblicare la sua opera. Sembra, infatti, che il maestro non fosse del tutto convinto perché temeva che le sue teorie sarebbero state osteggiate. Rheticus ebbe un ruolo importante anche nel divulgare il trattato del maestro che non era, e non è tuttora, di facile lettura e comprensione. In realtà l'introduzione divulgativa di Rheticus, Narratio Prima, al De revolutionibus orbium coelestium uscì nel 1540: addirittura tredici anni prima dell'opera stessa.
In seguito Rheticus compose il più elaborato trattato che fosse mai stato scritto fino a quel tempo: l'Opus palatinum de triangulis. Opera completata e pubblicata nel 1596 dal suo allievo Valentinus Otho dopo la morte del maestro.



Con questo trattato la trigonometria raggiungeva un livello di maturità senza precedenti. Abbandonando la tradizionale considerazione delle funzioni trigonometriche rispetto all'arco di un cerchio Rheticus privilegiò l'uso dei lati di un triangolo rettangolo e calcolò tavole molto elaborate per tutte e sei le funzioni.

Nella prossima puntata parleremo della nascita della prospettiva nel disegno e nella pittura e dei suoi aspetti geometrici.

Puntate precedenti...

Indice della serie


1 Carl B. BoyerStoria della matematica, Oscar Saggi Mondadori

giovedì, marzo 06, 2014

Il rinascimento: Recorde e il simbolo =; Bombelli, gli irrazionali e i complessi coniugati - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo parlato dell'ingarbugliata questione della soluzione dell'equazione cubica. Il problema che tanto aveva infruttuosamente impegnato le menti di molti grandi matematici greci, cinesi, indiani e islamici, era stato finalmente risolto da Del Ferro, Tartaglia e Cardano.
A vedere i nomi affiancati qualcuno potrebbe pensare che si trattò di un lavoro di gruppo. Tutt'altro! Quello che fu probabilmente il maggiore contributo dato all'algebra da quando i babilonesi avevano capito come risolvere le equazioni di secondo grado quattromila anni prima, fu il risultato di inganni e battaglie tra i tre matematici. E l'ingiustizia si propaga fino a oggi attraverso la denominazione delle risultanti formule di risoluzione. Chiamate ancora formule di Cardano ignorando così i contributi di Del Ferro e Tartaglia.

Due puntate fa si era parlato invece di Luca Pacioli, dei matematici tedeschi, dei nuovi simboli (+, - e √) e delle nuove notazioni.
Volendo estendere il tema dell'introduzione di nuovi simboli possiamo citare Robert Recorde (1510 – 1558) che fu l'unico matematico degno di nota nell'Inghilterra del XVI secolo. Recorde studiò e insegnò matematica a Oxford e a Cambridge, ottenne il titolo di dottore in medicina a Cambridge e arrivò ad essere il medico personale di Edoardo VI e Maria Stuarda.

Un anno prima della sua morte, nel 1557, Recorde pubblicò The Whetstone of Witte. In questo libro compare per la prima volta il simbolo = per l'uguaglianza. Passò tuttavia più di un secolo prima che tale simbolo si affermasse sugli simboli altri preesistenti.

A questo punto possiamo tornare in Italia e citare un altro importante algebrista: Raffaele Bombelli (Bologna, 1526 – Roma, 1573). Essendo nato venticinque anni dopo Cardano, Bombelli si formò anche sui lavori del grande algebrista che lo aveva preceduto e probabilmente seguì pure la questione della contesa soluzione dell'equazione cubica.
Sebbene già introdotti nelle formule risolutive di Del Ferro-Tartaglia-Cardano, i numeri complessi non possedevano ancora una vera dignità di numeri. Fu proprio Bombelli a imprimere un forte impulso in quella direzione attraverso la definizione di regole per l'addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, e la divisione dei numeri complessi.
Bombelli ebbe anche un'importante intuizione che anticipò il ruolo importante che i complessi coniugati avrebbero ricoperto in futuro1.
Un altro contributo del matematico bolognese fu quello relativo alla notazione algebrica usata nella sua grande opera: L'Algebra. Notazione che impresse una forte spinta all'algebra sincopata del tempo nel suo cammino verso l'algebra simbolica moderna.
Per mostrare la notazione di Bombelli ho rubato l'immagine di destra al blog Fermat's Last Theorem3. Bombelli però, nel suo lavoro, non usò il simbolo = per l'uguaglianza. Seppure già introdotto da Recorde, infatti, quel simbolo si trovava ancora a distanze troppo grandi dalla penisola.
Due puntate fa avevamo anche visto come Stifel  prese in considerazione una questione che tormentò molti matematici che lo avevano preceduto e che ne tormenterà altri che lo seguiranno. E cioè se gli irrazionali possano essere considerati numeri oppure no. Stifel era combattuto tra l'accettarli come veri numeri e il rifiutarli in quanto la loro rappresentazione avrebbe richiesto un numero infinito di cifre dopo la virgola. Bè, Bombelli apportò un contributo anche qui attraverso un'ipotesi che conoscerà un grande successo. E cioè che ci sia una corrispondenza biunivoca tra i numeri reali e le lunghezze su una rettaBombelli definì quindi le quattro operazioni su tali lunghezze e usò quelle per definire le quattro operazioni sui numeri reali.2 In tal modo egli fornì una nuova tecnica per risolvere il millenario problema dei numeri irrazionali. Tuttavia, così come i precedenti tentativi di risolvere le difficoltà relative all'inclusione degli irrazionali tra i numeri, anche questo tentativo non risolveva del tutto il problema in quanto rendeva i numeri reali un'entità dipendente dalla geometria.

Nella prossima puntata parleremo dell'introduzione di altri simboli e di Copernico.

Puntate precedenti...

Indice della serie

1 Carl B. Boyer: Storia della matematica, Oscar Saggi Mondadori
3 Fermat's Last Theorem (blog), Rafael Bombelli.

sabato, marzo 12, 2011

Il rinascimento: Cardano, Tartaglia, del Ferro e le formule contese - Terza parte

Nella puntata precedente abbiamo lasciato Tartaglia di fronte al dilemma se resistere nonostante il giuramento di Cardano, oppure cedere rivelando la formula.
Cardano nel suo giuramento aveva abilmente tirato in ballo la fede cristiana. Tartaglia non se la sentì di infliggere un tale affronto a Cardano e cedette così a malincuore la formula.
Dopo aver decifrato l'enigma in versi, dietro il quale Tartaglia in un ultimo disperato tentativo aveva celato la formula, Cardano cominciò ad impegnarsi in ulteriori ricerche personali.
Il frutto di tali ricerche non tardò ad arrivare. Cardano scopre il celebre casus irriducibilis. Quel caso cioè in cui l'equazione di terzo grado ha tutte e tre le radici reali, ma nonostante ciò, per calcolare tali radici reali è necessario passare attraverso radici quadrate di numeri negativi. Sappiamo tutti però che un numero reale elevato al quadrato dà sempre come risultato un numero positivo (meno per meno fa più, no?). Ma allora che cosa erano questi numeri che elevati al quadrato davano come risultato un numero negativo? Che senso potevano avere a quei tempi in cui c'era molta riluttanza persino ad accettare i numeri negativi stessi? Figuriamoci le radici quadrate dei numeri negativi!
Ma Cardano fu molto pragmatico. Funzionano? Sì! E allora li usiamo. Sono ... un artificio algebrico utile per il calcolo.
Numeri "sofistici" li denominò. Con il tempo però tali numeri si rivelarono molto utili. Anche se inizialmente sembravano veramente degli artifici algebrici "che non dovrebbero esistere". Così vennero dapprima denominati "numeri immaginari" e poi numeri complessi. Cardano quindi, oltre che delle soluzioni dell'equazione di terzo grado, è anche considerato uno dei padri dei numeri complessi. Vedremo in seguito che molti altri matematici contribuirono allo sviluppo di tali numeri. Uno di questi fu Raffaele Bombelli. Ma ce ne occuperemo nelle prossime puntate.

Oltre alla scoperta del casus irriducibilis, Cardano fu anche il primo a produrre una dimostrazione rigorosa della formula risolutiva. Quindi, nonostante i raggiri, il contributo di Cardano allo sviluppo complessivo della formula non è affatto trascurabile.

Nei cinque anni successivi Cardano continua il suo lavoro di medico portando contemporaneamente avanti la stesura della sua Ars Magna, che vedrà la luce nel 1545. Con quest'opera la reputazione di Cardano assurgerà in breve tempo a quella di algebrista più celebre ed esperto d'Europa.
Tartaglia se ne procura prontamente una copia, e si accorge subito che l'Ars Magna contiene sia la soluzione dell'equazione di terzo grado, per cui viene esplicitamente citato il suo nome, che quella dell'equazione di quarto grado, la cui paternità viene attribuita a Lodovico Ferrari: "creato" e creatura di Cardano. 
La rottura del giuramento fa ovviamente infuriare Tartaglia. Il quale, da come lo riporta Lodovico Ferrari, taccia Cardano di essere "ignorante nelle matematiche, poverello, uomo che tien poco sugo e poco discorso, e altre parole ingiuriose le quali per tedio lascio da parte".

Tuttavia Cardano, nella citazione dei contributi per la scoperta delle formule, non si era limitato a citare Tartaglia e Ferrari. Egli aveva citato anche Scipione del Ferro. Ed è proprio questa citazione a fornirci degli indizi sul motivo che poteva aver indotto Cardano a rompere il giuramento. Il fatto cioè di aver scoperto che Tartaglia non poteva vantare il primato sulla paternità delle formule. Primato che Tartaglia doveva condividere con Scipione del Ferro. Ma forse a spingere Cardano alla rottura del giuramento aveva contribuito anche il fatto che la soluzione dell'equazione di quarto grado era stata ottenuta a partire dalla soluzione dell'equazione di terzo grado. E quindi la pubblicazione della prima non poteva prescindere dalla pubblicazione della seconda.

Volendo trarre delle conclusioni, citando Dario Bressanini, si può affermare che quelle che ancora oggi vengono denominate formule di Cardano forse dovrebbero più correttamente essere chiamate formule di Del Ferro-Tartaglia-Cardano"tre autori per un'equazione di grado tre".
Comunque la si voglia interpretare non si può sicuramente negare che queste soluzioni siano un puro prodotto di quel grande movimento intellettuale, artistico, scientifico e culturale che è stato il Rinascimento italiano.
Il problema della soluzione dell'equazione cubica, che tanto aveva infruttuosamente impegnato le menti di molti grandi matematici greci, cinesi, indiani ed islamici, era stato finalmente risolto. Quello di Del Ferro-Tartaglia-Cardano è probabilmente il maggiore contributo dato all'algebra da quando i babilonesi avevano capito come risolvere le equazioni di secondo grado quattromila anni prima.

Arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere: ma una volta arrivati al quarto grado, non ci si potrebbe spingere a cercare le soluzioni per il quinto e poi per il sesto, fino magari ad arrivare ad una formula generalizzata per il grado n? Effettivamente ci provarono in molti. Ma vedremo che dal quinto grado in poi la situazione si fa un po' più ingarbugliata. E la risposta definitiva arriverà solo più di due secoli dopo con Ruffini e Abel.

Dopo l'Ars Magna Cardano riuscì a produrre un altro importante contributo alla matematica contenuto in un libro scritto intorno al 1560: il Liber de ludo aleae. Libro che tratta di probabilità nel gioco e di metodi per barare. Nonostante gli scopi non propriamente edificanti, il Liber de ludo aleae contiene la prima trattazione sistematica della probabilità. La pubblicazione avverrà però postuma solo nel 1663.

Per chi volesse approfondire la storia delle formule risolutive dell'equazione di terzo grado segnalo il bellissimo articolo: Requiem per una formula. Dramma in sei atti con sei personaggi di Dario Bressanini. Da cui ho anche rubato le citazioni dei testi originali.

Concludo con la citazione completa delle conclusioni dell'articolo di Bressanini:

Cosa rimane dopo centinaia d'anni di queste vicende? Nulla. Nei libri di testo trovate le “formule di Cardano”. Quasi nessuno cita Tartaglia, e Scipione dal Ferro è un perfetto sconosciuto. Forse sarebbe bene iniziare a chiamare le formule dal Ferro-Tartaglia-Cardano: tre autori per un'equazione di grado tre.

Nella prossima puntata parleremo dell'introduzione di altri simboli matematici e di Raffaele Bombelli, che come abbiamo già detto, contribuì allo sviluppo dei numeri complessi.

Puntate precedenti...

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domenica, marzo 06, 2011

Il rinascimento: Cardano, Tartaglia, del Ferro e le formule contese - Seconda parte

Nella puntata precedente abbiamo lasciato i duellanti Fior e Tartaglia pronti per la grande sfida nella piazza gremita da una grade folla; di fronte a testimoni, giudici e un notaio. Nonostante l'apparente sicurezza di se, quando il giudice gli dà la parola, Tartaglia parla a stento e la sua lingua inciampa più volte sulle parole.
Come mai? L'espressione del volto era solo una maschera indossata per nascondere il nervosismo? 
No. Il motivo è un altro. E le cause risalgono a 23 anni prima. Quando, nel febbraio del 1512, il giovane Niccolò dodicenne è testimone dell'invasione e del saccheggio di Brescia da parte delle truppe francesi di Luigi XII. Ma lasciamo raccontare l'evento a Tartaglia stesso.

Quando che li Francesi sacchegiorno Bressa … essendo io fuggito nel domo con mia madre e mia sorella ... in tal chiesa mi furono date cinque ferite mortali, fra le quali una ne aveva attraverso la bocca… e stetti un tempo che io non poteva ben proferire parola, ma sempre balbettava nel parlare per il che li putti della mia età me imposero pe sopranome Tartaglia. Et perché tal cognome me durò molto tempo, m'è apparso de volermi chiamare Niccolò Tartaglia.

Ma tornando alla sfida con Fior, il motivo per cui il volto di Tartaglia appariva sereno era il matematico bresciano aveva risolto tutti e trenta i problemi di Fior in poche ore. Mentre Fior non era riuscito a risolvere alcuno dei problemi proposti da Tartaglia.
Il duello si risolve quindi con un trionfo per Niccolò. La folla esulta. Oltre alla gloria e alla fama tuttavia Tartaglia non ne ricava nulla. Molto dignitosamente riesce infatti a declamare d'un fiato: “Rinuncio alla posta in denaro, e mi prendo l'onore”.

Questo episodio lascia trasparire abbastanza bene alcune delle caratteristiche del personaggio Tartaglia: di umili origini ed orgoglioso del fatto che tutte le sue conoscenze provenissero unicamente dai suoi sforzi di autodidatta. Forse non era un maestro nelle relazioni sociali, ma era fiero e sostanzialmente onesto.

Maestro Tartaglia lo era invece in qualcos'altro. Era stato infatti nominato maestro d'abaco presso la scuola di Verona. Nelle scuole d'abaco si insegnava la matematica. Ma una matematica un po' diversa rispetto a quella  più astratta e speculativa che s'insegnava nelle università. Era la matematica necessaria alla pratica mercantile. E l'obiettivo principale di chi frequentava queste scuole era quello di imparare a risolvere problemi pratici. I salari dei maestri d'abaco però non è che fossero poi così ricchi.

Nel caso del personaggio Gerolamo Cardano osserviamo invece delle caratteristiche che sono un po' all'opposto rispetto a quelle di Tartaglia. Il padre di Gerolamo era un famoso giurista e matematico pavese. E Gerolamo, frequentando le migliori scuole, era presto divenuto un medico molto richiesto. Cardano coltivava inoltre una grande passione per la matematica. E a 32 anni riuscirà a coronare anche questa sua passione ereditando da suo padre il ruolo di insegnante di matematica presso le scuole dell'ospedale maggiore di Milano.
Cardano diventerà quindi un medico milanese di successo nonché matematico, filosofo ed astrologo ma anche scaltro uomo di mondo con agganci potenti, doti da istrione ed abile nelle trame e nelle manipolazioni.

Tuttavia non siamo ancora arrivati a capire in che modo Cardano venne in possesso delle formule contese.
Dunque, poco prima del duello con Fior, Tartaglia si era trasferito a Venezia; dove aveva pubblicato la prima traduzione italiana degli Elementi di Euclide. Dopo la vittoria su Fior la fama di Tartaglia si era diffusa rapidamente. Cardano proprio in quel periodo era impegnato nello sviluppo del suo trattato di algebra: l'Ars Magna. Al medico milanese brillarono gli occhi quando venne a sapere che qualcuno aveva trovato la formula risolutiva per le equazioni di terzo grado. Inviò quindi prontamente un suo uomo a Venezia, un certo Zuanantonio, per indagare sulla scoperta di Tartaglia. Era l'anno 1539.

Z: Sua Eccellenza Hieronimo Cardano, Medico et delle Mathematice lettor pubblico in Milano, vi implora che voi possiate mandargli la regola che avete inventato; e se ciò vi confà la inserirà nel suo prossimo libro sotto il vostro nome.

T: Riferite a Vostra Eccellenza che quando la mia invenzione sarà pubblicata lo sarà in un mio lavoro.

Il Marchese del Vasto - Tiziano
Ma Cardano non si arrende ed invita Tartaglia ad andare a Milano promettendogli i favori e la protezione di un potente: il Marchese del Vasto. Tartaglia, che notoriamente non navigava nell'oro, non seppe resistere ad un'offerta così lusinghiera.
Il povero Niccolò si reca quindi a Milano ma del Marchese non vede neppure l'ombra. Si trova invece vittima delle raffinate tecniche persuasive di Cardano. Niccolò resiste diverse volte alle richieste dello scaltro Gerolamo. Così Tartaglia narra quella che sarà l'ultima richiesta di Cardano:

Io vi giuro ad sacra Dei evangelia, et da real gentil’huomo non solamente da non pubblicar giammai tali vostre inventioni, ma anchora vi prometto, et impegno la fede mia da real cristiano da notarmela in zifera, acciocché da poi la mia morte alcuno non la potrà intendere. Se ora mi credete bene, altrimenti pazienza.


Cardano tira in ballo la fede cristiana! Argomento molto delicato in quei tempi. A questo punto che fa Tartaglia? Resiste calpestando la fede di Cardano? Oppure cede rivelando la formula?

Lo scopriremo nella terza parte...

Puntate precedenti...

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lunedì, febbraio 21, 2011

Il rinascimento: Cardano, Tartaglia, del Ferro e le formule contese - Prima parte

Nella puntata precedente abbiamo visto che Stifel nella sua Arithmetica integra del 1544 unificò i vari casi di equazioni di secondo grado. L'opera di Stifel risultò tuttavia superata già dopo un anno di vita.
Nel 1545 usciva infatti l'Ars Magna di Gerolamo Cardano (1501 -1576) che conteneva le soluzioni delle equazioni sia di terzo che di quarto grado. Un progresso sbalorditivo e inatteso per l'algebra. Tanto da portare qualche storico a considerare il 1545 come l'anno di inizio del periodo moderno della matematica.
Cardano tuttavia non fu lo scopritore né della soluzione delle equazioni di terzo grado né di quella delle equazioni di quarto grado.

Perché fu lui allora il primo a pubblicarle? E a chi andrebbe invece la vera gloria per la scoperta?

La storia non è delle più edificanti.
È Cardano stesso ad ammettere nel suo libro che l'idea gliel'aveva data Niccolò Tartaglia (1499 – 1557). Nome che a molti di voi evocherà il celebre Triangolo di Tartaglia. Triangolo che in realtà era già noto qualche secolo prima, ma che in molti paesi tuttora viene denominato ancora più a sproposito Triangolo di Pascal.
Ma tornando alle equazioni, dicevamo che Cardano scrisse che l'idea gliel'aveva data Tartaglia. Quello che invece Cardano dimenticò di scrivere è che Tartaglia gli aveva fatto solennemente promettere di non divulgare il segreto. Quest'ultimo aveva infatti in mente di scrivere un trattato sull'algebra in cui la rivelazione della soluzione delle equazioni di terzo grado sarebbe stata la ciliegina che lo avrebbe coronato come il più grande matematico del tempo.

La vera gloria per la scoperta andrebbe quindi a Tartaglia?
Non proprio. Intanto per evitare che Tartaglia venga considerato la povera vittima innocente bisogna ricordare che anche lui nel 1543 aveva pubblicato una traduzione archimedea altrui spacciandola per propria.
Ma per sbrogliare la matassa bisogna tornare qualche anno indietro.
E precisamente al 1526 anno della morte di Scipione del Ferro (1465 – 1526). Fu allora che del Ferro, professore di matematica all'università di Bologna, rivelò sul letto di morte ad un suo studente, Antonio Maria Fior, la soluzione delle equazioni di terzo grado della forma x3 + px = q. Come nota a margine qui bisogna aggiungere che a quei tempi le notazioni algebriche erano un po' diverse e che la suddetta equazione veniva espressa più o meno in questo modo: "trovare cubo et cose equal a un numero".
Non si sa come e quando del Ferro fosse riuscito a scoprire la soluzione. Non aveva infatti mai voluto rivelare né tantomeno pubblicare la sua scoperta. Ma non aveva neppure rivelato di aver fatto una scoperta. Forse perché pensava di pubblicarla solo quando avrebbe trovato la soluzione per l’equazione più generale: x3 + mx2 + px = q (trovare cubo, censi et cose equal a numero).
Ad ogni modo, la voce della rivelazione cominciò a circolare nell'ambiente dei matematici e raggiunse probabilmente anche l'orecchio di Tartaglia. A quel punto Tartaglia fu probabilmente stimolato a sviluppare delle sue ricerche in merito. Non si sa bene quanto queste ricerche avvennero in modo indipendente e quanto fossero basate su idee altrui. Fatto sta che nel 1530 Tartaglia era in possesso di una formula risolutiva per un altro tipo di equazioni di terzo grado. Questa volta le equazioni della forma x3 + mx2 = q (trovare cubo et censi equal a numero).
Tartaglia ne parla con qualcuno, l'ambiente dei matematici è piccolo, e di nuovo la voce della scoperta si diffonde e giunge fino alle orecchie di Antonio Maria Fior. A quel punto Fior, pensando che Tartaglia sia un impostore, pensa bene di sfidarlo pubblicamente a singolar tenzone. Questa sorta di duelli pubblici tra uomini di scienza erano all'epoca molto diffusi.

In che cosa consistevano?

Ciascuno dei duellanti sottoponeva all'altro una lista di problemi da risolvere entro una certa data. Dopodiché, nella data e nel luogo stabilito, gli sfidanti presentavano pubblicamente le eventuali soluzioni. La posta in gioco erano fama, onore e danaro. Questo era uno dei motivi per cui le scoperte venivano spesso gelosamente custodite.

Nel nostro caso specifico gli accordi tra Fior e Tartaglia prevedono che ognuno fornisca all'avversario trenta problemi da risolvere entro quaranta giorni.
Il 22 febbraio 1535 è il giorno fissato. La piazza è gremita da una folla di studenti, professori, aspiranti matematici, sfaccendati, passanti curiosi, ma anche testimoni, giudici e un notaio. Tutti attendono la grande sfida. Il volto di Tartaglia, a differenza di quello di Fior, appare sereno. Nonostante ciò, quando il giudice gli dà la parola, Tartaglia parla a stento e la sua lingua inciampa più volte sulle parole. Come mai? L'espressione del volto era solo una maschera indossata per nascondere il nervosismo?

Lo scopriremo nella seconda parte...

Puntate precedenti...

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mercoledì, novembre 24, 2010

Il rinascimento: Pacioli, i matematici tedeschi, gli irrazionali e le nuove notazioni (+, -, √, x0 = 1) - Numeri e Geometria attraverso la storia - Parte 22

Nella puntata precedente ho parlato della fine del medioevo e dell'inizio del rinascimento introducendo figure importanti come il cardinale Bessarione e il Regiomontano. Tra le opere del Regiomontano ho parlato del De Triangulis Omnimodus (completata nel 1464 ma stampata nel 1533) che segnò la rinascita della trigonometria e fece assurgere l'Europa occidentale ad una posizione di preminenza in questo campo.

Tuttavia non è lo sviluppo della trigonometria a caratterizzare principalmente la matematica rinascimentale. Il titolo di regina della matematica del tempo spetta sicuramente all'algebra. Questo aspetto diversifica leggermente lo sviluppo rinascimentale della matematica rispetto a quello delle altre scienze ed arti di quel periodo. Se infatti a stimolare il movimento rinascimentale fu per buona parte la riscoperta di opere del mondo greco antico, nel caso specifico della matematica questa riscoperta giocò sì un ruolo importante, ma un ruolo altrettanto importante fu assunto dalla continuazione e dallo sviluppo della tradizione medievale. Tale differenza traspare proprio attraverso il suddetto ruolo dell'algebra. Questa disciplina fu infatti sviluppata soprattutto nel medioevo: prima tra gli arabi e poi tra i cristiani. Lo stesso Regiomontano, ridimensionando l'apoteosi dell'ellenismo, diffusa dagli umanisti del tempo, riconosceva l'importanza dell'algebra medievale araba e latina. 

L'opera più famosa per l'algebra di quel periodo venne pubblicata dal frate Luca Pacioli  (1445, Borgo San Sepolcro – 1514) con il titolo di Summa de arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità, scritta in volgare e pubblicata a Venezia nel 1494. La Summa di Luca Pacioli, pur essendo l'opera più influente per l'algebra del tempo, non è in realtà nulla di più di una sintesi di alcune precedenti opere inedite dell'autore di carattere fondamentalmente compilativo. Non fu quindi tanto l'originalità a rendere celebre la Summa quanto piuttosto la sua diffusione ed il suo carattere sinottico. L'opera non si limita in realtà alla sola algebra, ma è una raccolta delle conoscenze dell'epoca relative a quattro campi diversi della matematica: algebra, aritmetica, geometria e metodi aritmetici usati nel commercio. Potrebbe apparire un po' inconsueto che quest'ultimo campo della matematica venga affiancato agli altri tre. Bisogna tuttavia considerare che Luca Pacioli insegnò la matematica presso alcune famiglie di ricchi mercanti veneziani.
La sezione geometrica della Summa è piuttosto elementare mentre quella aritmetica espone principalmente tecniche per il calcolo di moltiplicazioni e radici quadrate. La più corposa parte algebrica riporta i procedimenti per la risoluzione delle equazioni di primo e secondo grado - per quanto riguarda le equazioni di terzo grado Pacioli, così come Omar Khayyám, pensava che non fosse possibile risolverle con metodi algebrici. In questa sezione l'autore fa ampio uso di forme abbreviate tipiche dell'algebra sincopata. La quarta ed ultima parte include informazioni relative alla registrazione a partita doppia e alle monete e misure dei diversi regni, ducati e stati italiani. Questa quarta sezione conobbe un grande successo ed è grazie ad essa che Luca Pacioli è tuttora generalmente considerato il padre della registrazione a partita doppia.

È piuttosto noto che il paese che più contribuì allo sviluppo del Rinascimento fu l'Italia. Anche altre regioni culturali europee fornirono tuttavia consistenti contributi a questo grande movimento artistico e culturale. Nell'ambito matematico l'apporto dell'area culturale tedesca fu, ad esempio, tutt'altro che trascurabile. Soprattutto sotto l'aspetto dell'introduzione di nuove notazioni.
Un matematico tedesco che si guadagnò un posto nella storia della matematica essenzialmente per essere stato il primo ad usare i simboli + e - per l'addizione e la sottrazione fu Johannes Widmann (Cheb 1460 Lipsia 1489). 
Widmann fu docente presso l'università di Lipsia e nell'anno della sua morte a soli 38 anni pubblicò il suo trattato di Mercantile Arithmetic intitolato Behende und hüpsche Rechenung auff allen Kauffmanschafft che, come potete constatare nell'immagine di sinistra, fa uso dei simboli che divennero in seguito lo standard universale soppiantando la notazione italiana p ed m.

Un altro matematico di area tedesca che va citato solamente per il fatto di aver introdotto nuove notazioni è Christoph Rudolff (Jawor, 1499 – Vienna, 1545). Il simbolo da lui introdotto è quello attualmente in uso per la radice quadrata: √. In seguito Eulero propose la congettura che questo simbolo sia stato ottenuto attraverso deformazioni della lettera "r" (dall'iniziale della parola latina radix). Rudolff introdusse inoltre la notazione e la definizione di x0 = 1. Quindi ora sapete con chi prendervela quando vi chiedete: ma perché x0 = 1?
Rudolff detiene anche il primato di essere stato il primo ad usare il tedesco  per scrivere un libro di algebra: il suo Die Coss (versione integrale).

Il terzo tra i matematici tedeschi che citerò qui è Michael Stifel (Esslingen 1487 – Jena 1567). Stifel è l'autore della più importante fra le algebre tedesche del XVI secolo: l'Arithmetica integra (1544); in cui, attraverso l'introduzione dei coefficienti negativi, Stifel unificava i vari casi di equazioni di secondo grado.
Nell'Arithmetica integra Stifel prende anche in considerazione una questione che tormentò molti matematici che lo avevano preceduto e che ne tormenterà altri che lo seguiranno. E cioè se gli irrazionali possano  essere considerati numeri oppure no. Da una parte Stifel propenderebbe ad accettarli come veri numeri, in quanto, nella geometria, gli irrazionali riescono a risolvere problemi irrisolubili con i soli numeri razionali. D'altra parte, il fatto che la rappresentazione in notazione decimale degli irrazionali richiederebbe un numero infinito di cifre dopo la virgola condusse Stifel alla conclusione che gli irrazionali non possono  essere considerati come dei veri numeri in quanto "l'infinito stesso non più essere considerato come un numero". In realtà poi le cose cambieranno: circa tre secoli dopo con Dedekind.
Anche Stifel detiene inoltre un primato. E cioè quello di essere stato il primo ad usare la giustapposizione senza simboli tra i termini per la moltiplicazione. Cioè l'uso di X1X2X3 per indicare il prodotto tra X1, X2 e X3.

Concludo questa puntata con un ultimo primato che si ricollega a vicende della nostra attualità (non più molto attuale oramai). E cioè il "greve uso dell'acronimo S.P.Q.R. Sembra che, con grande dispiacere di una parte dei nostri concittadini, il primato spetti al nostro frate Luca Pacioli.

Nella prossima puntata parleremo di altri matematici del rinascimento italiano come Del Ferro, Tartaglia e Cardano e del loro ruolo nella scoperta della formula risolutiva per le equazioni di 3° e 4° grado.

Puntate precedenti...

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domenica, agosto 15, 2010

La fine del medioevo e l'inizio del rinascimento: il Regiomontano - Numeri e Geometria attraverso la storia - Parte 21

Nell’ultima puntata ho parlato di Swineshead, di Oresme, delle serie numeriche e dei progressi rispetto alla matematica greca nell'uso del concetto di infinito. Constatavo inoltre che tali progressi, anche se assommati a tutto il resto dei progressi del periodo medievale, non erano nemmeno lontanamente paragonabili alle conquiste matematiche realizzate dagli antichi greci. Abbiamo anche visto che subito dopo Oresme la matematica nell'Europa occidentale entrò di nuovo in una fase di declino e che la guida nel campo della matematica si spostò nel XV secolo dalle università di Oxford e Parigi alle università italiane, tedesche e polacche.
Boyer, nella sua opera, "Storia della matematica", propone il 1436 d.C. - anno probabile della morte di al-Kashi, ultimo grande matematico islamico - come data di fine del periodo medievale per la storia della Matematica.
Un altro momento di svolta per la matematica occidentale può essere individuato anche nell'anno 1453 (vedi anche Fremat's Last Theorem di Simon Singh). Quello è difatti l'anno in cui la capitolazione di Constantinopoli segnò la caduta definitiva dell'Impero bizantino. Questa conquista interrompeva definitivamente l'ultimo legame diretto con il mondo antico. Ad evidenziare emblematicamente tale rivolgimento ci fu il cambiamento del nome di Costantinopoli in Istanbul.

Ma perché la caduta di Costantinopoli è significativa per la storia della matematica?

Secondo diversi storici questo evento avrebbe indotto molti dotti bizantini a cercare rifugio in Italia. Questi sapienti portavano spesso con sé preziosi manoscritti contenenti antichi trattati greci e addirittura copie di volumi sopravvissuti alle varie distruzioni della Biblioteca di Alessandria. Tra questi volumi c'era probabilmente anche l'Arithmetica di Diofanto, che dopo essere sopravvissuto ad una serie di distruzioni - Cesare, Teofilo, il califfo Omar e ora gli Ottomani - approderà quasi due secoli dopo nello scrittoio di Pierre de Fermat. La lettura della traduzione in latino di Bachet del trattato diofanteo ispirò molto Fermat e tra le varie annotazioni che il matematico scrisse ai margini della sua copia compare anche il celebre enunciato dell'Ultimo teorema di Fermat (o teorema di Fermat-Wiles, come qualcuno lo chiama ora).

Tornando tuttavia al XV secolo incontriamo un importante matematico che nasce in Germania nel 1436 d.C. Proprio nell'anno della morte di al-Kashi. Il suo nome è Johannes Müller (1436 – 1476), ma egli, da tipico uomo rinascimentale, preferiva farsi chiamare il Regiomontano. Pseudonimo derivante dal nome della sua città natale: Königsberg (di Baviera). Latinizzato in Regio Monte.
Dopo tre anni di studio come studente precocissimo all'università di Lipsia, il Regiomontano quattordicenne si spostò in Austria presso l'università di Vienna dove a ventun anni conseguì il titolo di "magister artium" (Maestro delle Scienze) e cominciò a tenere lezioni.

Nel 1461, a venticinque anni, si trasferì a Roma nell'abitazione del cardinale Bessarione (Trebisonda, 1408 - Ravenna, 1472). Bessarione, monaco basiliano e umanista bizantino, era stato nominato arcivescovo (ortodosso) di Nicea nel 1437. Nel 1438 accompagnò l'imperatore e la delegazione bizantina in Italia per discutere l'unione della Chiesa ortodossa con quella Cattolica. Grazie ai suoi sforzi volti a unificare le due chiese, Bessarione fu nominato cardinale (cattolico ovviamente) dal papa e nel 1449 ottenne il titolo di Cardinale-vescovo della Sede suburbicaria di Sabina.

Dopo la caduta di Costantinopoli Bessarione fu molto attivo nel sostegno di quei dotti bizantini che cercavano rifugio in Italia e nella conservazione dell'inestimabile patrimonio librario che essi trasportavano.
Bessarione raccolse molte di queste opere costituendo una corposa biblioteca che donò alla città di Venezia nel 1468. Tale donazione costituì il primo nucleo della Biblioteca marciana.
Con questa attività Bessarione interpretò un ruolo fondamentale nel collegamento tra i residui della cultura classica ancora esistenti a Costantinopoli e il movimento rinascimentale sorto da poco in Italia.

È il 1461 quando il Regiomontano si trasferisce nell'abitazione romana del cardinale Bessarione, dove visse e lavorò fino al 1465.
Dovette essere sicuramente grazie all'influenza di Bessarione che Regiomontano sviluppò l'ambizione di tradurre e pubblicare l'eredità scientifica del mondo antico. Tornato in Germania, dopo i suoi viaggi e i suoi studi in Italia, il Regiomontano fondò una stamperia a Norimberga con l'idea di stampare traduzioni di molte delle opere degli antichi scienziati greci. Purtroppo la sua morte prematura a soli quarant'anni durante un nuovo viaggio a Roma non gli consentì di portare a termine il progetto.

La sua opera più importante, il De Triangulis Omnimodus, il Regiomontano la scrisse proprio durante il suo soggiorno romano. Quest'opera segnò la rinascita della trigonometria, che per la prima volta veniva esposta come una disciplina indipendente, e fece assurgere l'Europa occidentale ad una posizione di preminenza in questo campo.

A differenza di molti contemporanei il Regiomontano mostrò un certo interesse nei confronti della cultura araba e attraverso gli averroisti delle università italiane venne a conoscenza di buona parte del sapere astronomico arabo. Tanto da arrivare a manifestare l'intenzione di riformare l'astronomia. Sfortunatamente, la sua morte pose fine a tali progetti. Qualcuno ipotizza che se fosse vissuto più a lungo avrebbe forse potuto anticipare la riforma di Copernico.

Nella prossima (o forse prossime) puntata parleremo di alcuni matematici del rinascimento italiano come Pacioli, Tartaglia e Cardano.

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