Camminavo su di una strada sterrata del mio paese natale. Ad un certo punto la strada era chiusa da un fil di ferro teso tra due paletti di legno: lo scavalco. Dopo un po' passa un tir che sembra voglia travolgermi, ma si ferma un soffio prima di farlo. Il camionista scende e mi obbliga ad andare con lui in un ristorante... non so come mi devo comportare. In quel momento la sveglia mi ha trafitto i timpani, entrando dritta al centro del cervello. Non mi sarei proprio alzato: ho deciso, da domani dormo mezz'ora di più.
Ad accogliere il mio risveglio c'era una luce molto fievole e un tamburellare autunnale di pioggia.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
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