
Alle 10 cominciamo la scalata al cratere (400 m circa). Rispetto a Stromboli e a Monte Fossa delle Felci questa è quasi una passeggiata.
All'inizio il terreno è ricoperto da sabbione nero, come quello di Stromboli. Verso metà strada, in corrispondenza del punto in cui la copertura dai venti di ponente del promontorio antistante viene a mancare, il suolo cambia totalmente colore e diventa rossiccio. Il sabbione nero è infatti spazzato via dai venti che spirano vivaci nella dimora di Eolo. A prima vista questo suolo rossiccio sembra essere roccia, ma è in realtà una sorta di friabile argilla, in cui la pioggia scava facilmente dei canali.

È vietato scendere dentro il cratere, ma molte persone scendono lo stesso. Noi non scendiamo: vista anche l'evidente difficolta, vorremmo evitare di ripetere l'esperienza di Monte Fossa delle Felci.
Torniamo indietro verso sud e ci dirigiamo verso la parte più alta della cresta del cratere che si trova ad est. La vista è stupenda e comprende tutte le isole inclusi Basiluzzo e la costa siciliana. Questa volta l'Etna però non è visibile. Il vento soffia fortissimo e fortunatamente ci spinge verso l'alto.
Riscendiamo e pranziamo nel locale che si trova nelle vecchie cantine di Stevenson, il gallese che nella seconda metà dell'ottocento colonizzò Vulcano, fino allora disabitata, avviando attività agricole e minerarie fino al 1888, anno in cui un brusco risveglio del vulcano distrusse la maggior parte delle attività. Il servizio costa il 20%, ma non vale assolutamente questa percentuale. Il cibo non è degno di nota.
Nessun commento:
Posta un commento