venerdì, settembre 28, 2012

Riunioni internazionali

Tutti i partecipanti si sono profusi in elogi per l'organizzazione dell'evento e mi hanno detto di far tutto il possibile per organizzarne un altro il prossimo anno. Mi ha fatto piacere. Ora finalmente torno a casa e mi concedo qualche settimana un po' più rilassata prima della nuova partenza verso gli USA di fine ottobre.
Buon inizio di fine settimana a tutti!

lunedì, settembre 24, 2012

Reparti

Entrati nella nuova stanza Fosco e Sara disfecero la valigia per la seconda volta in due giorni.

- A proposito, l'infermiera mi ha detto che puoi collegarti alla Rete - gli disse Sara passandogli il portatile.
- Bene. Tra l'altro devo ancora scrivere a Günter per annullare i corsi.
- Che hai preso per pranzo? - chiese Sara prendendo il foglio del menù che giaceva sul letto.
- Penne all'arrabbiata.
- Penne all'arrabbiata!? - esclamò Sara sorpresa conoscendo l'opinione di Fosco in fatto di cucina pseudo-italiana. - Scusa, ma non hai visto come l'hanno scritta? "Penne al arabiata".
- Sì, lo so. Sembra il nome di un'emittente araba. Però hai visto quali erano le altre due possibilità?
- Be', effettivamente ... - rispose Sara guardando di nuovo il foglio.

In quel momento entrò un'infermiera con un vassoio. Aveva capelli e carnagione scura e un fisico non propriamente snello.

- Il pranzo! - disse con voce forte e sgraziata.

Dietro di lei una seconda infermiera alta, bionda e appariscente portava il secondo vassoio.
Fosco sollevò il coperchio di plastica, guardò il piatto stupefatto e poi guardò Sara. Prese infine la forchetta e si mise a smuovere il contenuto. Si trattava di una sorta fettuccine con salsa di cipolline sottaceto, peperoni e piselli. Sollevò di nuovo lo sguardo verso Sara che ricambiò la smorfia con un sorriso. Una delle passioni di Fosco era la cucina ma nonostante fosse un buongustaio egli si adattava a mangiare un po' tutto. Tuttavia a finire quel piatto di Penne al arabiata non ce la fece proprio.

- Stasera ti porto qualcosa io - disse Sara.

Non appena Sara fu uscita Fosco si mise a scrivere ai suoi capi per annullare il viaggio di lavoro. Egli sarebbe dovuto partire quella domenica per andare a tenere un corso a Roma. Era da un paio di mesi che dedicava una parte delle sue giornate lavorative alla preparazione di quel corso e da alcune settimane si stava pregustando il viaggio verso la sua città d'adozione. Aveva spiegato a Günter e Pedro qual era il motivo dell'annullamento e gli aveva detto che, se il suo stato di salute glielo avesse concesso, avrebbe voluto continuare a lavorare un po' in quei mesi di ospedale. Deliziato dal sottofondo di musica Schlager che proveniva dal televisore di Herr Mittnacht, il suo nuovo compagno di stanza, Fosco aveva quindi continuato ad usare il portatile. Si alternava tra la ricerca d'informazioni sulla sua malattia e la stesura di un appello. Quando l'ebbe terminato spedì l'appello a tutti i suoi contatti italiani e lo usò anche per aprire un forum di discussione su uno dei siti web che frequentava. Fosco aveva aperto l'appello con il racconto di quello che gli era accaduto negli ultimi giorni. Aveva quindi proseguito:

I medici mi hanno spiegato che avrò bisogno di un trapianto di cellule staminali provenienti da un donatore e che tali cellule dovranno essere compatibili con le mie. Tra fratelli è molto probabile (30%) che sussista una tale compatibilità. Tuttavia, essendo figlio unico, io dovrò usufruire della banca dati mondiale che raccoglie le caratteristiche delle cellule di tutti i potenziali donatori. Ovviamente, più grande è il numero di potenziali donatori presenti nella banca dati, più alta è la probabilità che si trovino delle cellule compatibili con le mie. Per questo vorrei pregare tutti voi dal profondo del cuore di dare una speranza a me e ai miei cari recandovi presso il più vicino centro dell'ADMO (Associazione Donatori Midollo Osseo) e farvi registrare come donatori. La procedura prevede un solo un prelievo di sangue come per una qualsiasi analisi.

Il tempo che ho a disposizione è di 4-6 mesi. Vi prego di registrarvi il più presto possibile e far registrare quante più persone potete.

Vi ringrazio, vi abbraccio e vi bacio.

Fosco


- Buongiorno signor Chiellini, sono la dottoressa Engel.

Voltandosi Fosco vide una figura minuta, graziosa, con i capelli corti e scuri e il volto da bambina.

- Sono una dei medici di reparto - continuò la dottoressa mentre Fosco chiudeva il portatile. - Sono qui per l'anamnesi e per fornirle alcune informazioni.

La dottoressa lo visitò, lo palpò, lo auscultò. Poi gli fece una serie di domande sulla sua storia sanitaria e su quella della sua famiglia. La Engel piacque subito a Fosco. Mostrava tatto, dolcezza e umanità in ogni sua azione.

- Ho una domanda - azzardò Fosco. - Visto che ora i globuli bianchi sono meno di quarantamila, non si potrebbe seguire il protocollo per le leucemie a basso rischio ed evitare quindi il trapianto?
- No. Per la classificazione conta il risultato della prima analisi. E poi senza trapianto la terapia durerebbe almeno due anni. Con il trapianto invece tra sei mesi potrebbe esser già tutto finito.
- Eh già - disse Fosco con scarsa convinzione.
- Con la chemioterapia non abbiamo ancora cominciato - riprese la dottoressa. - Le flebo che le stiamo somministrando sono a base di cortisone. Con i pazienti più giovani di solito ritardiamo l'inizio della terapia per dar loro l'opportunità di congelare lo sperma.
- Congelare lo sperma? - ripeté Fosco.
- Sì. Molto probabilmente la terapia la renderà sterile. Se vuole noi siamo in contatto con un ginecologo che offre questo servizio.

Più tardi, dopo un viaggio in taxi rimborsato dalla clinica, Fosco constatò che gli sgabuzzini medici dotati di riveste pornografiche non esistono solo nelle leggende metropolitane.

domenica, settembre 23, 2012

Baccalà alla portoghese

Stasera ho provato una nuova ricetta: baccalà alla portoghese.
Il risultato non è stato niente male. Penso si possa ripetere.

Ingredienti: (per 4 persone ma noi abbiamo mangiate 3 porzioni in 2 e non siamo mangioni)
baccalà ammollato 600 g - patate 500  g  - cipolla bianca o gialla 300 g - olio d'oliva 100  g  - 6 chiodi di garofano - 4 spicchi d'aglio - prezzemolo - sale.

Preparazione:
Tagliate il baccalà a pezzi regolari, privandoli di scarti. Pelate le patate e affettatele a rondelle (me ne sono avanzate quindi ne dovrei mettere di più per ogni strato); mondate e affettate le cipolla a rondelle. 
 In una teglia, possibilmente di coccio, preparate degli strati (ne sono venuti tre) con la cipolla, le patate e i pezzi di baccalà condendo man mano con 6 chiodi di garofano, prezzemolo tritato e spicchi d'aglio, interi e tritati, in quantità a piacere (almeno 4). Irrorate con l'olio, cuocete la preparazione nel forno già a 200° per circa un'ora e 15'. A cottura ultimata, assaggiate e, al caso, aggiustate di sale. Servite il baccalà nel recipiente di cottura, cosparso con un pizzico di prezzemolo tritato.

venerdì, settembre 21, 2012

Ultimo giorno d'estate

Godetevi l'ultimo giorno d'estate.
Domani 22 settembre alle ore 14:49 entrerà ufficialmente l'autunno

Buon equinozio d'autunno!!


domenica, settembre 16, 2012

Guida statunitense e usanze gastronomiche giapponesi

Ieri sera mi sono intrattenuto di nuovo con il nuovo collega edochiano. Tra le altre cose gli ho detto che attraverso brevi ricerche su Tokyo e il Giappone ho appreso anche un nuovo vocabolo italiano che non avevo mai sentito prima. E cioè proprio il termine "edochiano". Lui mi ha confermato subito quello che dice anche la Treccani: Edo era l'antico nome di Tokyo.
Tra una chiacchiera e l'altra ci siamo incamminati per recarci al vicino centro abitato per la cena. In realtà, chiamarlo centro abitato non è molto corretto. Soprattutto se il lettore non ha mai visitato una moderna città USA. Questi centri abitati sono infatti cellule urbane composte di ristoranti, distributori, qualche negozio ed, eccezionalmente in questo caso, anche da una palazzina con appartamenti. Dico eccezionalmente perché qui la maggior parte delle abitazioni sono case con giardini disposte in un altro tipo di cellule urbane composte esclusivamente da case con giardini. Tutte queste cellule urbane sono delle isole circondate dalle famose ragnatele di superstrade a 5-6 corsie ed immerse in un territorio molto boscoso. Il tutto messo insieme costituisce la città. Per chi volesse farsi un'idea sulla ecco un esempio.
Ad ogni modo, la grande sorpresa e novità è stata la presenza di qualche sporadico semaforo pedonale. Un enorme passo avanti! Ora non si rischia più di essere investiti percorrendo quei dieci minuti di cammino che separano la struttura alberghiera dalla zona ristoranti. Cominciassero a capire che per spostarsi non è sempre necessaria l'auto? A dire il vero comunque devo anche spezzare una lancia a favore dello stile di guida locale. Lo ammiro molto. Sono molto gentili quando guidano: se uno ha sbagliato corsia e vuole rientrare, loro frenano e lo lasciano rientrare; se uno fa un errore gli sorridono. Insomma applicano gli stessi principi che uno applicherebbe se sta camminando. Ed è quello che cerco di fare anch'io da un po' di anni. Non capisco perché quando uno si trova alla guida si debba disumanizzare.
Ma comunque, tornando alla conversazione di ieri, una volta raggiunta la cellula urbana dei ristoranti abbiamo deciso di scegliere uno dei migliori e forse anche il più caro. Che è poi di proprietà della moglie del nostro megacapo galattico.

Entrati nel ristorante ci siamo accorti con una certa sorpresa che il luogo era ben attrezzato per sushi e sashimi. A quel punto, visto il mio interesse, la scelta è stata quasi obbligata e ci siamo orientati sul piatto grande di sashimi.
- Ma allora - ho detto - la cena deve essere totalmente giapponese. E se voi pasteggiate con il saké, vada per il saké. Solo che io pensavo si trattasse di un superalcolico e sono rimasto molto sorpreso quando il mio collega ne ha ordinata una bottiglia da 0,75. E invece andando a leggere ho visto che aveva solo 16°. Poco più di un vino rosso quindi. Quando poi il collega mi ha spiegato che i saké vengono classificati su una scala con gradazioni dal dolce al secco e che loro scelgono gradazioni diverse a seconda del cibo ho capito che l'attenzione e l'importanza che la loro cultura attribuisce al cibo è paragonabile a quella della nostra cultura. Il che mi ha reso quella cultura ancora più interessante.

Dopo l'arrivo del saké è arrivato questo legume simile a una fava ma che fava non era e il cui sapore non le somigliava neppure. Dice che loro lo usano così, per intervallare il pasto. E penso che avrà riso molto dentro di se quando io ho infilato in bocca tutto il baccello ed ho poi passato un paio di minuti a sputare i resti.
Poi c'è stata la lezione sul sashimi. Che non si mangia così com'è ma ha un suo rituale che prevede il versamento della salsa di soia nel piattino, il distaccamento di un grumetto di wasabi con le bacchette1, il suo posizionamento sul bordo del piattino, il posizionamento del pezzo di pesce nel piattino2, il posizionamento di un mini grumetto di wasabi3 sul pesce e infine la sospirata introduzione del boccone nel cavo orale.
Oltre all'uso appropriato del wasabi il collega mi ha detto che le fettine di zenzero vengono usate quando si passa da una qualità di pesce ad un'altra come a voler far ripartire le papille gustative: un po' come il nostro sorbetto tra pesce e carne. Poi abbiamo parlato di buddismo, di geishe, di zen e della cerimonia del tè di cui sua moglie è una cultrice.
Poi mi ha raccontato aneddoti sulla visita a Tokyo del megacapo galattico. Dovete sapere che qui hanno l'ossessione per l'aria condizionata. Vi dico solo che appena entrato nella mia camera d'albergo ho dovuto accendere i riscaldamenti. C'erano 18° quando fuori stavamo a 28°. Insomma questa visita a Tokyo del megacapo galattico è avvenuta poco dopo l'incidente di Fukushima4, quando il governo aveva dato indicazioni per risparmiare energia. Con 28° i condizionatori erano quindi spenti e pare che egli si sia lamentato e in particolare per il fatto che con quel caldo servissero caffè e non coca-cola. 

Invece oggi per pranzo, insieme alla mia capa, siamo capitati, un po' per caso e mio malgrado, in un ristorante pseudo-italiano. Come musica c'erano canzoni italiane a ripetizione e le ricette erano ovviamente anch'esse pseudo-italiane ma con la pretenziosità di apparire genuinamente italiane. Ecco, forse è questa la differenza tra i ristoranti italiani in Germania e quelli negli USA: entrambi sono pseudo, ma quelli in Germania sono quasi sempre gestiti da italiani e non seguono quella falsa ritualità e pretenziosità. Ad ogni modo la sorpresa più grande l'ho avuta quando sono andato in bagno. Ho trovato una porta con su scritto "donne" e l'altra con su scritto "signore". Purtroppo non avevo il telefono con me e quindi non sono riuscito a fotografare l'irripetibile scena. Se voi foste stati nei miei panni quale porta avreste scelto?

1 Ma io dopo vari tentativi inutili ho usato la forchetta
2 Se si usano le bacchette tutto risulta più elegante ed efficace. 
3 Attenzione alla quantità altrimenti anche di lacrime ne verserete una quantità discreta
4 Non si dice né Fukùshima e né Fukushìma. In giapponese non esistono glii accenti

sabato, settembre 15, 2012

Italia - Giappone

Stamane la corsa antelucana non è andata così bene come ieri. I muscoli erano un po' indolenziti e il ginocchio sinistro mi dava un po' di fastidio. Probabilmente a causa dell'inusuale sforzo di ieri.
In compenso ho appreso che la tv giapponese trasmette una qualche trasmissione condotta dal nostro amatissimo erede dimezzato al trono inesistente: Emanuele Filiberto. Non ho ben capito di quale trasmissione si trattasse, ma come potrete immaginare il mio cuore si è riempito di gioia nel constatare come solo il meglio del nostro paese raggiunga anche l'altra faccia del globo.
Poi ho appreso che la moglie del nuovo collega edochiano ha studiato l'italiano e che prima
della partenza del marito per le Americhe ha stilato una serie di raccomandazioni per lui. Tra le quali: Mi raccomando! Non salutarlo con il "ciao"! Lui è il tuo capo, non puoi dirgli "ciao"! E forse altre raccomandazioni che non mi ha raccontato.
Ho anche appreso che la coppia nipponica ha trascorso il viaggio di nozze in Italia. Sono rimasti talmente colpiti che hanno deciso di chiamare la figlia, probabilmente concepita durante quel viaggio, con il nome di una città toscana. Al che ho fatto sfoggio della mia comprensione del sistema di scrittura giapponese osservando:

- Ma allora per scrivere il suo nome avete dovuto usare il sistema di scrittura Katakana, visto che la parola è straniera! Quindi tua figlia non ha un pittogramma tradizionale Kanji per il suo nome.
- No - mi ha risposto lui. - In Giappone è usanza che i nomi dei figli ereditino un pittogramma dal nome del padre e un pittogramma dal nome della madre. E noi nei nostri nomi avevamo i due pittogrammi che ci servivano per esprimere il nome di quella città. Quindi anche lei ha i suoi due bei pittogrammi.

Questa storia mi è piaciuta molto. Una storia che invece stento ancora a comprendere è quella in cui il collega edochiano ha ordinato il "peperoncino" (sembra che lo chiamino con il nome italiano anche in Giappone, quindi con quale sistema di scrittura lo scriveranno?) in un ristorante romano e i camerieri gli hanno chiesto se voleva il "peperoncino bianco" o quello rosso. Avete mai sentito parlare del "peperoncino bianco"?

venerdì, settembre 14, 2012

Boschi americani e cultura giapponese

Stamane nuova corsa antelucana per i boschi americani. Ma stavolta si faceva sul serio. Perché non ero solo. Ero con il mio collega danese che vive in Francia e che si sta allenando per la maratona di NY. Per venti minuti ho quindi sostenuto un ritmo che non avevo mai raggiunto prima: tra i 5 e i 6 min/Km.
Poi gli ho detto: se vuoi andare più veloce vai pure. E dopo un po' lui si è involato e io ho virato la marcia viaggiando ai miei più confortevoli 8 min/Km e concedendomi delle pause per scattare le foto che vedete. L'alba sul lago con anatre e bruma mattutina erano veramente un bello spettacolo. Interessante anche il fatto che quasi tutti gli altri corridori che incrociavo mi salutavano. Addirittura uno mi ha salutato con la mano e poi girandosi alle mie spalle mi ha chiamato per nome. Ho capito chi fosse solo più tardi a mensa: uno da cui cinque anni fa ho rischiato di essere licenziato.

Per quanto riguarda la cultura giapponese invece ho appreso che hanno quasi la stessa quantità di ferie e festivi che abbiamo noi solo che ne usano pochissimi. E mi ha fatto piacere constatare che il nuovo collega di Tokio ha un buon senso dell'umorismo. Ieri mattina davanti all'ascensore mi ha spiegato che se in Giappone si trova in quella situazione con il suo capo, quando arriva l'ascensore deve entrare lui per primo, tenere premuto il bottone per bloccare le porte e dopo l'ingresso del capo premere il bottone per chiudere le porte. Quando ci siamo trovati nella stessa situazione nel pomeriggio non appena le porte dell'ascensore si sono aperte lui si è tuffato all'interno mimandomi tutta la scena e dicendomi sorridendo: ora sei tu il mio capo.

Il corso sulle metodologie di risoluzione dei problemi procede piuttosto bene. È basato molto sul ragionamento di tipo logico. E la cosa mi piace. Anche la cena di stasera, che immaginavo molto noiosa, alla fine non è stata male. Forse perché non eravamo troppi, né troppo pochi.

giovedì, settembre 13, 2012

Di nuovo negli USA

Rispetto al viaggio USA dello scorso anno stavolta ho molto meno da raccontare. Purtroppo i tempi serrati tra la vacanza italica e la partenza per questo viaggio non mi hanno consentito il solito girovagare per la città di scalo e i ritmi serrati al lavoro, con l'opera di ciceronaggio con il mio nuovo acquisto di Tokio e questo corso sulle metodologie di risoluzione dei problemi, mi concedono pochissimo tempo libero. Devo rubarlo qua e là. Tra la fine di un corso e l'inizio di una cena di lavoro.

Oppure la mattina sfruttando la maledizione dei troppo velocemente attraversati meridiani terrestri. Stamane ad esempio il dio dei meridiani mi ha fatto svegliare alle 4:30. Dopo vari tentativi vani di riprendere sonno mi sono alzato e sono uscito all'alba per una corsetta. Ho potuto così constatare che in questo strano questo posto, appena si sconfina di un centinaio di metri dalle strutture alberghiere supertecnologiche e dalle ragnatele di superstrade a 5-6 corsie uno si trova circondato da una natura paragonabile a quella delle parti più incontaminate dei nostri parchi.

 Imboccato il sentiero silvano che parte dal parcheggio dell'albergo ho trovato immediatamente questi funghi.
Sono stato tentato di usarli per un aperitivo alla colazione. Ma poi ho desistito: erano troppo belli. Che dite? Forse sarei stato più creativo nel trovare le risoluzioni ai problemi durante il corso?
Poi continuando a correre ho visto con la coda dell'occhio un grosso animale che scappava. Credo si trattasse di un daino.... oppure.... era forse l'effetto virtuale del fungo?

Forse il fatto più interessate di questo viaggio è che sto imparando qualcosa sulla cultura giapponese dal mio nuovo collega. Mi ha parlato del loro tipo di rapporto reverenziale con chiunque occupi un gradino superiore nella scala socio-anagrafica, mi ha mostrato le foto del più grande mercato del pesce del mondo che si trovava sotto le finestre del loro precedente ufficio, con particolari di centinaia di tonni allineati (e lì non ho potuto fare a meno di pensare che molti di quelli era stati probabilmente pescati nel mediterraneo) e infine mi ha spiegato i primi rudimenti del sistema scrittura giapponese.

Ho scoperto così che, non solo il sistema di scrittura giapponese è composto da logogrammi cinesi, che di per sé rendono le cose già molto complicate, ma che i giapponesi usano addirittura altri due alfabeti. Fatto che rende tale sistema il più complicato tra i sistemi di scrittura esistenti. In tutto i giapponesi usano quindi tre alfabeti: il
Kanji, costituito da caratteri cinesi;

il Kana, sistema sillabico a matrice, che a sua volta si divide in:
Hiragana, usato insieme al kanji per parole giapponesi originali o naturalizzate e per elementi grammaticali; e Katakana, usato per le parole straniere, per i nomi, per le onomatopee e per i nomi scientifici.

A proposito, avete presente lo stereotipo linguistico dell'orientale che trasforma tutte le "r" in "l"? Be' è parzialmente vero. In quanto molte volte le "r" diventano "l" ma molte altre volte succede il contrario: cioè le"l" diventano "r". Quindi, ad esempio, "Italy" si tramuta in "Itry". Diciamo che quando non capisco qualche parola mi devo fare sempre una conversione mentale con tutte le possibili permutazioni di "r" ed "l" presenti nella parola.

Comunque, se imparerò cose nuove vi terrò aggiornati. So che starete tutti fremendo per una nuova lezione di giapponese.

martedì, settembre 04, 2012

Ragazzetto niro niro

Il nipotello, prima di ripartire per il centro Italia causa malattia ha inviato la sua apodittica risposta alla signora dai capelli rossicci.

Erano sul divano e Zucchero gli leggeva "Anna e la lezione di nuoto". Durante la lettura di una delle pagine il pargolo ha indicato Anna.
- Quetta è zia Daddà - ha detto. Poi guardando uno dei bambini - Quetto è Lele - e infine indicando l'unico bambino nero ha scandito: - E quetto è zio Babbu.

Signora dai capelli rossicci! Tèèhhh!

domenica, settembre 02, 2012

Cilento: Acciaroli, Novi Velia e Padula

Siamo giunti ad Acciaroli dopo un viaggio di circa 250 km con suoceri e nipotello. Rimarremo una settimana, ma il portabagagli è stipatissimo. E non solo il portabagagli. C'è mancato poco che non mi ritrovassi qualche pacco di pasta tra l'acceleratore e il freno. Pomodori, zucchine, patate, caffè, zucchero, crostate... e.... limoni. Giustamente! Uno va a sud di Amalfi e che fa!? Non si porta i limoni!? Probabilmente qundo Totò e Peppino andarono a Milano avevano meno scorte di noi. Purtroppo a noi mancavano i polli vivi. Penso che il nipotello avrebbe apprezzato molto un viaggio con le coccò.

Durante la permanenza balneare l'amore del nipotello per gli zii e in particolare per il pbone verde dello zio Babbu è cresciuto a dismisura. Il primo giorno non si voleva staccare dalla culisse. Pianti disperati quando ho dovuto togliergliela. Il giorno dopo l'ha vista sul mobile e gliel'ho data a patto che non la sbattesse. Visto che si è mostrato coscienzioso lo zio Babbu l'ha premiato montandogli pure la campana e il bocchino e spiegandogli che per suonare doveva fare una pernacchia senza la lingua ma solo con le labbra. E magicamente il nipotello è riuscito a far suonare il pBone. Ha intrattenuto tutta la famiglia. Chiama mamma! Chiama nonna! E poi ha voluto pure duettare con lo zio: "Zio Babbu, pendi l'oganetto". Ho foto e video che sarei molto tentato di condividere ma purtroppo non si può. Alla fine ho imparato pure come farlo smettere senza grossi traumi. E ora per ricattarlo ho l'arma del pBone: guarda che se non mi ascolti il trombone non te lo faccio più suonare. Prevedo un nuovo J.J. Johnson.

L'ultimo giorno di agosto siamo andati in questo bel paesino di alta collina che è Novi Velia. Leggendo il quotidiano del Cilento "La città" avevo infatti scoperto che a Novi Velia avrebbe ospitato il Festival Antichi Suoni.


Non avevo mai visto una tale quantità di bancarelle di artigiani di cose ballo-popolaresche. Organetti, castagnette, zampogne, ciaramelle, tammorre, tamburelli, triccheballacche... E ovviamente non potevamo non acquistare un bel paio di castagnette.
Poi ci è scappata pure un'abballatina nell'affollatissima piazza. Tra l'altro ho scoperto cose interessanti su questa zona.
Sembrerebbe che questo festival celebri "gli antichi raduni di tanti pellegrini, provenienti dalle regioni vicine, che facevano tappa a Novi Velia, per raggiungere poi il Santuario della Madonna di Novi Velia, posto sulla vetta del Monte Gelbison, 1707 m. slm, antico luogo di culto, la cui origine si perde nella notte dei secoli."
Strano toponimo per un monte italiano, eh!?... A meno che... 
"Il Santuario della Madonna del Monte si trova sulla cima del Monte Gelbison, sul luogo di un antico insediamento sacro pagano. Probabilmente gli Enotri eressero un tempio ad una loro divinità, in seguito identificata con Era. Quasi certamente il sito fu conosciuto al tempo dei Saraceni: infatti Gelbison sembra derivare da Gebel-el-son, che in arabo significa Monte dell'Idolo."
C'erano anche bambini che suonavano. La ragazzina all'organetto era bravissima. E ce n'era un altro ancora più piccolo che batteva un ritmo di pizzica fenomenale.
Ovviamente c'era anche sovrabbondanza di specialità gastronomiche locali: mozzarella con mirto, prosciutti, salsicce al finochietto, pizze con friarielli (i nostri broccoletti), vino e percoche, fichi, dolci...

...e cose dietetiche come "melanzane mbuttute", panino cu' suffritto, e fritture varie.
Ieri infine abbiamo visitato la bellissima Certosa di Padula







Purtroppo non ho il programma per ruotarla. Quindi, per apprezzare appieno il fascino di questa strabiliante scala a chiocciola, dovrete ruotarvela voi.

Al ritorno dalla Certosa siamo ripassati per Novi Velia dove abbiamo partecipato al laboratorio di tammurriata della bravissima Raffaella Coppola nella chiesa sconsacrata il cui soffitto vedete nella foto.
Sono state tre ore dense di apprendimento ballo-popolaresco e non solo di nozioni tecniche, ma anche di filosofia e valori correlati ad esso.

mercoledì, agosto 29, 2012

Ferite

 Venerdì 22 luglio 2005

La notte precedente Sara sarebbe voluta rimanere con lui. Seduta lì, accanto al suo letto per tutta la notte.

- Domani sarà una giornata pesante per tutti e due - le aveva detto Fosco poco prima delle due. - Vai a casa. Dobbiamo cercare di riposare un po' -. Si erano quindi abbracciati. Poi si erano baciati mentre le loro labbra venivano raggiunte da una confluenza di lacrime.
Come d'accordo Sara lo aveva chiamato appena rientrata in casa. Gli aveva detto che l'infermiera era stata molto gentile e aveva chiamato la guardia notturna per farla accompagnare al parcheggio.

Dopo qualche ora di sonno tormentato che quella pasticca gli aveva concesso Fosco si era svegliato definitivamente verso le sei. Oltre ai pensieri aveva contribuito a svegliarlo anche la luce troppo forte che penetrava dall'ampia finestra. Ogni tanto sentiva in lontananza lo starnazzare delle oche del vicino laghetto.
Era rimasto immobile per un tempo indeterminato. A contemplare quel groviglio di fili e tubicini di gomma che affluivano e defluivano da strumenti dotati di schermi: come raccordi tra ampolle di un fantascientifico laboratorio alchimistico del XXI secolo. A differenza del suo corpo, dominato dall'inerzia, la sua mente era congestionata da un vortice di pensieri confusi.
Quello stato di quiete fisica e tumulto interiore fu rotto dall'irruzione dell'infermiera. Fosco fu così iniziato al rito infermieristico mattutino: misurazione della pressione e della temperatura, distribuzione dei medicinali e collegamento della siringa per il prelievo al tubicino che fuoriusciva dal suo braccio.
Sara arrivò mentre Fosco stava spalmando la marmellata sul panino della colazione ospedaliera.

- L'infermiera mi ha detto che oggi mi dovranno fare un prelievo di midollo - le aveva detto subito.
- Sei preoccupato?
- Eh, un po' sì. Mi sono anche fatto dare i risultati del sangue di ieri. Adesso i globuli bianchi sono circa trentacinquemila. Quindi può darsi che il trapianto non sia più necessario.

In quel momento Doktor Strauß entrò con un carrello.

- Buongiorno Herr Chiellini! È pronto per l'agoaspirato?
- Non molto veramente, ma va bene lo stesso.
- Non si preoccupi, non è nulla di terribile.

Con il cuore in tumulto Fosco seguì le indicazioni del dottore scoprendosi la parte destra del bacino e disponendosi disteso sul fianco sinistro. Sara gli diede la mano mentre Doktor Strauß prendeva l'occorrente dal carrello. Quando il dottore cominciò a toccargli la zona posteriore del bacino Fosco cercò di voltarsi.

- Non si preoccupi, stavo cercando il punto giusto sulla cresta iliaca - disse Doktor Strauß mentre prendeva una boccetta dal carrello. - Nicht erschrecken - continuò mentre gli spruzzava il disinfettante sul fianco. E quindi: - Es kommt ein Pieks.

Stavolta il dolore fu più acuto. Fosco strinse forte la mano di Sara. Ogni spruzzata di anestetico era come la puntura di una vespa. Con la differenza che il dolore non perdurava ma scompariva dopo un breve instante. L'anestetico cominciò a fare effetto quasi subito e la sensazione che provò quando l'ago arrivò a toccare l'osso fu più di fastidio che di dolore.

- Tutto bene? - chiese Doktor Strauß mentre estraeva l'ago. Fosco annuì.
Dopo un paio di minuti il dottore toccò di nuovo quell'area.
- Fa male?
- No - rispose Fosco e quando il dottore cominciò a premere Fosco capì che per toccarlo sul fianco il dottore non aveva usato il dito ma l'ago. Quanto durarono quella pressione e quegli avvitamenti? Non molto. Un minuto, forse due. La sensazione dell'ago che penetrava nell'osso era simile a quella precedente: più fastidio che dolore. Un po' come quello che si prova quando si tocca un muscolo indolenzito. Poi Doktor Strauß smise di premere.
- Ora potrebbe avvertire un po' di dolore.
Fosco sentì un rumore. Come quando ci si toglie un guanto di gomma. E subito avvertì l'aspirazione. Non era un dolore acuto come quello dell'anestetico. Era un dolore nuovo. Mai provato prima. Un liquido vitale che viene risucchiato al di fuori del corpo. E il corpo protesta generando quel nuovo dolore per la cui definizione non esiste neppure una parola. Il dolore del midollo risucchiato.
- Fatto! - disse il dottore estraendo l'ago con un movimento rapido. Poi applicò un cerotto sul buco, dispose un cuscinetto sul letto e fece distendere Fosco in posizione supina in modo che il cerotto andasse a poggiare sul cuscinetto. Fosco gettò uno sguardo a quella provetta piena di un liquido rosso, ma di un rosso troppo chiaro per essere sangue.
- Tra mezzora l'infermiera verrà a controllare che non sanguini più - disse il dottore uscendo.
- È stato doloroso? - gli chiese Sara.
- Un po', ma mi aspettavo di peggio - rispose Fosco con un sorriso. Ora si sentiva rilassato. Aveva superato la sua prima dura prova.
Mezzora dopo, oltre a controllare il cerotto, l'infermiera gli disse che il posto al reparto giusto si era liberato e poteva quindi spostarsi al piano di sopra.

domenica, agosto 26, 2012

Ragazzetto pallido

La scena si svolge ai giardinetti del paesello natio sabino. Diverse persone attendono il loro turno al bancone del chiosco.

- Io prendo un caffè e tu? - dice Zucchero.
- No, io  vado a casa a sistemare quelle cose - risponde Dioniso. Poi saluta e si allontana
Barista: - Ecco il caffè.
Signora dai capelli rossicci: - Ma chi è quel ragazzetto pallido?
La barista tace imbarazzata. Zucchero vorrebbe rispondere ma poi si frena.
Signora dai capelli rossicci guardando insistentemente la barista: - Quello là - dice indicando- quel ragazzetto senza capelli che si sta allontanando.
- È il figlio di Dionismammà - risponde infine tra i denti la barista scappando a pulire i tavoli per evitare altre domande.

Son soddisfazioni eh!?

giovedì, agosto 23, 2012

Escursione sui Monti Lucretili

Stamane siamo partiti alle 8:30. (Lo so, saremmo dovuti partire prima. Me l'ha detto pure l'amico pastore organettista che abbiamo incontrato riscendendo. Ma la vacanza è vacanza.) L'obiettivo era Cima Coppi (1211 m). Ma strada facendo la mia memoria ha fallito (considerate che saranno 15 anni che non frequento questi boschi) e abbiamo mancato l'obiettivo proseguendo, proseguendo, proseguendo. Man mano che proseguivamo mi tornavano in mente i luoghi e le storie, ma mi mancavano i nomi dei luoghi. Fortunatamente l'amico pastore ha poi fornito una stampella ai miei recalcitranti neuroni. Mi son così ricordato dell'"Ara du puzzu" e della storia del commercio di ghiaccio da neve che veniva ammassato dentro le fosse nel periodo invernale e trasportato, presumibilmente poco prima del disgelo, verso Roma dove veniva probabilmente conservato in grotte di ville nobiliari ed utilizzato per i sollazzi dei signori. Mi sono anche ricordato delle fenditure carsiche (che non ho ritrovato) e dei lagustelli di Percile. E mi sono ricordato anche de "u Ripar' 'ell'aquila" con il suo panorama spettacolare reso spesso più interessante dal volteggiare di un'aquila. Purtroppo di aquile non ne abbiamo avvistate. Mi sono chiesto se fosse a causa del caldo, o per coincidenza. Oppure se fosse a causa dei miei ricordi fallaci che mi facevano riaffiorare gli avvistamenti frequenti del passato. Poi l'amico mi ha anche ricordato il nome della valle del fontanile al centro del prato punteggiato come sempre da vacche maremmane. Era forse valle sambucu? Un altro amico mi ha detto che "u Ripar' 'ell'aquila" è in realtà un nome moderno. Il vero nome di quel punto panoramico è "a sforcatura d'i piani"
Alla fine siamo arrivati alle pendici del Monte Pellecchia. A quaranta minuti dalla vetta. Ma si era fatto un po' tardi e abbiamo desistito.
Al ritorno poi mi sono pure ricordato che il nostro obiettivo, la Cima Coppi, era quella alla sinistra de u Ripar' 'ell'aquila. Ci siamo così avventurati nella scalatina raggiungendo la cima più bassa.
Complessivamente ci siamo fatti 11 km in poco più di tre ore. Giunti a casa, per non deludere la genitrice, ci siamo visti costretti a consumare un piatto di fettuccine fatte in casa con asparagi selvatici e "spinaróli" (un ottimo fungo locale), porchetta e fichi di mio padre. Eh sì, è stata dura. Per fortuna il 9 settembre rivalicheremo le Alpi verso nord.

mercoledì, agosto 22, 2012

Documenti

Subito dopo l'applicazione della prima flebo Fosco e Sara si erano messi a leggere il materiale che il dottor Strauß gli aveva lasciato. Già la lettura del titolo li spaventò.

Multizentrische Therapieoptimierungsstudie der akuten lymphatischen Leukämie bei Erwachsenen und Adoleszenten ab 15 Jahren - Therapieoptimierung durch Evaluation der minimalen Resterkrankung
Anche se a tradurlo non ci misero molto. E non ebbero neppure molte difficoltà nel comprendere le prime righe. Quello che avevano in mano era sostanzialmente un consenso informato per inserire Fosco in questo "studio per l'ottimizzazione della terapia per la leucemia linfatica acuta attraverso la valutazione della malattia residua minimale".

- Questa malattia residua minimale dev'essere un parametro importante - osservò Fosco.

- Direi di sì, visto che lo citano nel titolo - rispose Sara.

- Guarda, qui di seguito lo chiamano MRD. Usano l'acronimo inglese: Minimal Residual Disease. Chissà come la misureranno questa malattia residua.

Fosco continuò a leggere, nel modo in cui si era gradatamente abituato a fare quando voleva capire velocemente qualcosa in quella lingua. In modo automatico e quasi inconsapevole ignorava i termini che non capiva e poi cercava di ricostruire il significato della frase colmando a senso le lacune disseminate qua e là. Spesso questa tecnica funzionava, ma non sempre.

Dopo aver girato pagina lo sguardo di Fosco si rabbuiò. Voltandosi si accorse che quella frase aveva scosso anche Sara.

"Lei ha una malattia grave che, se non trattata, può portare alla morte entro poche settimane o pochi mesi."

Cercò di riprendere a leggere.

- Qui dice: i risultati stanno mostrando guarigioni sempre più frequenti ottenute attraverso l'uso prolungato di chemioterapia intensiva e "Bestrahlung". Controlleresti che è 'sto Bestrahlung?

- Radioterapia - disse Sara dopo aver consultato il dizionario.

- Ma come!? Mi curano con la radioterapia? - esclamò Fosco. - Non abbiamo letto che le radiazioni sono una delle poche cause note della leucemia?

Sara lo guardò un po' smarrita.

- Eppure io ho sempre cercato di evitare le radiografie superflue - continuò Fosco abbassando lo sguardo. - Solo quel cretino del dottor Schulz ha voluto ripetermi l'ortopanoramica per due volte in due anni - riprese rabbioso. - Saranno state quello a scatenare tutto?

- Non lo sappiamo. E penso che non potremo saperlo mai - rispose Sara.

- Oppure qualcosa di strano che è successo nei mesi scorsi. Magari durante il viaggio a Cuba - proseguì Fosco. Poi tornò a guardare il documento. Sfogliava e leggeva a volo d'uccello - Certo però che questa lingua ci fornisce proprio pochi appigli. Chemotherapie si capisce ma Bestrahlung per radioterapia... E guarda quest'altra parola: "Knochenmark". Ma che cos'è? Dunque, "Knochen" significa osso e "Mark"... l'ho già visto scritto.... Sì, sui barattoli di polpa pomodoro!

- Midollo osseo - disse Sara alzando lo sguardo dal dizionario.

- Ah! Certo! La polpa di osso... - disse Fosco mentre l'immagine di un osso buco gli si materializzava nella mente. - Che cos'è il midollo osseo se non una polpa di osso?

Il bello di quella lingua era che, seppur quasi priva di appigli iniziali, metteva a disposizione una struttura logico-semantica che facilitava la deduzione una volta noti alcuni mattoni linguistici di base. Ma quel barlume di soddisfazione che era comparso negli occhi di Fosco tornò a spegnersi dopo la lettura di due delle altre tre terapie alternative che il documento era probabilmente obbligato a citare.

  1. Una terapia priva di chemio e radioterapia volta al solo alleviamento delle complicazioni che insorgeranno. Tale opzione la condurrebbe alla morte entro pochi mesi.
  2. Farmaci a basso dosaggio e con pochi effetti collaterali possono esser usati per combattere le cellule cancerogene. Neppure questa opzione produrrebbe una guarigione.
  3. Terapie di altri protocolli di studio approvati, ai quali, in ogni caso, sono associati effetti collaterali paragonabili a quelli del presente studio.

Continuando a leggere avevano capito che il protocollo proposto prevedeva una fase di chemio e radioterapie con una durata che poteva andare dai quattro ai sei mesi dopo la quale ci sarebbe stato il trapianto.

- Dobbiamo farcelo tradurre - disse Fosco dopo aver richiuso il documento. - Sono troppi i dettagli che non riusciamo a capire.

- Sì, hai ragione - disse Sara.

- Non che io abbia dubbi sul da farsi, viste le alternative offerte. Però... Insomma, non vorrei neppure firmare un documento che parla della mia vita e della mia morte senza averne compreso bene il contenuto.

- Potremmo chiedere ad Angela, l'amica di Donatella. Lei è traduttrice.

venerdì, agosto 17, 2012

La pecora dei Grigioni

17/8/2012 ore 19:05
Il gionaleradio della radio svizzera ci mantiene informati con notizie irrinunciabili.

1. È stata ritirata la patente a un motociclista italiano di 26 anni che percorreva un passo dei Grigioni a 216 Km/h
Ma quella più importante è sicuramente che
2.  L'orso M13 ha ucciso una pecora dei Grigioni.

Alla seconda notizia abbiamo immaginato questo tecnologicissimo centro di controllo svizzero pieno di monitor in cui i due Polizisten si sono trovati a fronteggiare questa due difficilissime emergenze. Non sapevano come gestire la pattuglia. Se mandarla a fermare il ventiseienne italiano oppure se salvare la povera pecora spedendo la pattuglia a bloccare l'orso M13. A volte nella vita ci si trova davanti a dilemmi buridaneschi insolubili.
Comunque alla fine la mia vescica non ha resistito a queste immagini mentali e ci siamo dovuti fermare interrompendo il viaggio con una tappa fuori programma.

Le ricette scientifiche di Bressanini: il pesto (quasi) genovese

Prima di partire per una lunga vacanza una delle incombenze per noi appassionati incompresi del balconaggio è quella di trovare un amico disposto ad aver cura dei nostri piccoli.
Una volta avevamo i nostri simpaticissimi e affidabilissimi amici crimei (Qui i racconti del nostro viaggio per le loro nozze crimee) che si prendevano cura di tutto e soprattutto respingevano le incursioni intrusive di Mortisia e Mortimer, ma ora che loro sono altrove non possiamo certo chiedere di annaffiare le piante proprio a Mortisia e Mortimer.
Individuata quindi la sfortunata e gentilissima amica che si è prestata a farsi due chilometri in bicicletta più volte a settimana e che sarà ricompensata a suon di salamelle e bottiglie d'olio, a noi non rimane che effettuare l'ultima annaffiata e i lavori di disposizione delle piante per minimizzare lo sforzo della nostra amica.
In tutto ciò, guardando il grosso vaso del basilico con le sue grandi, verdi e rigogliose foglie mi son detto: lui non ce la farà di sicuro. E allora perché non dargli modo di esprimersi ora che è nel pieno della sua bellezza e prestanza giovanile?
E così sono andato a rispolverare tra le ricette scientifiche di Bressanini quella del pesto (quasi) genovese.
Ho seguito quasi alla lettera le indicazioni del quasi pesto. Solo che Bressanini ci dice "Lo raccogliete e lo pesate (io peso tutto quando cucino) per meglio dosare gli altri ingredienti", ma poi non ci fornisce i dosaggi. Così io ho seguito questi dosaggi trovati su una delle migliaia ricette che si trovano in giro 

(Note 1/1/24 e 13/7/25: Ho ottenuto il risultato migliore, seguendo la tecnica del congelatore di Bressanini e le proporzioni di questa ricetta: https://ricette.giallozafferano.it/Pesto-alla-Genovese.html - Visto che uso il mio piccolo frullatore, la tecnica migliore è di fare 50 g di basilico per volta, con 50 g di formaggio ripartito a metà tra pecorino e parmigiano, 50 g di olio, 20 g di pinoli, 2 g di sale grosso e uno spicchio d’aglio.
Il frullatore con i pinoli vanno nel congelatore, mentre il basilico, il formaggio e l’aglio, vanno nel vano 0º del frigorifero. Il tutto per 15-20 min.
Con queste quantità nel 2025 ho prodotto 185 g di pesto. (Lo so, è un po’ di più della somma degli ingredienti. Forse ho aggiunto un po’ di olio alla fine.)  E ho visto che una quantità ragionevole di pesto per ogni piatto è di circa 30 – 35 g Fine note.

INGREDIENTI PER 260 G DI PESTO: Basilico Genovese DOP 70 g; Olio extravergine d'oliva Ligure DOP 70 g; Parmigiano Reggiano DOP(Stravecchio) 50 g; Pecorino sardo (Fiore Sardo) 30 g; Pinoli 30 g; Aglio (di Vessalico) 2 spicchi, Sale grosso (marino) 3 g)
Peso foglie basilico 100, peso pinoli 40 (rimpiazzati con anacardi),  parmigiano 10, pecorino 20 (essendomi rimasto senza parmigiano e solo con del pecorino forte ho fatto pecorino 30), olio extra vergine oliva 100 (ho un po' abbondato), 1 spicchio d'aglio, peso sale grosso 6.
Il frullatore a bicchiere con basilico, olio e anacardi l'ho tenuto circa 20 minuti in congelatore.

Risultato: buona la consistenza e il colore, ma il sale era troppo. Penso che la metà (3) sarebbe stata più che sufficiente.
Quindi le note per il prossimo tentativo sono: metà sale, parmigiano e pecorino, e come bicchiere a immersione posso usare anche quello più piccolo con probabilmente più tornate di introduzioni di foglie.

martedì, agosto 14, 2012

Il Carnevale della Matematica di Ferragosto (#52): connessioni, nessi, legami, collegamenti, relazioni

Il Carnevale della Matematica di Ferragosto, il numero 52, ha come tema: connessioni, nessi, legami, collegamenti, relazioni.
Ad ospitarlo è Paolo Alessandrini, sul suo blog Mr. Palomar.

Paolo ci dice che per rappresentare il tema scelto anche attraverso l'immagine, ha "pensato di impreziosire il post carnevalizio con alcune pregevoli opere dell'artista slovena Teja Krasek, internazionalmente nota per la sua ricerca di connessioni (appunto) tra matematica e arte."

Così Paolo Alessandrini introduce il mio contributo (secondo lui in tema:-):

Continua l'affascinante itinerario di Dioniso sulle orme di Pitagora. Nell'ultimo mese sul Blogghetto sono uscite due nuove tappe di questo viaggio: Viaggio pitagorico: Metaponto e Viaggio pitagorico: Taranto - il Museo della Magna Grecia.
Potete trovare gli appunti completi del viaggio pitagorico di Dioniso su questa pagina del Blogghetto.
Dioniso mi mette in guardia che questi appunti "non contengono molto di matematico": a mio parere, invece, sono una suggestiva dimostrazione di come discipline molto diverse come la matematica, la storia, l'arte e la filosofia possano legarsi assieme.



Il carnevale si conclude segnalando il prossimo ospite.
Siamo arrivati in fondo, cari amici. Mr. Palomar lascia il testimone carnevalesco ai Rudi Mathematici, che ospiteranno l'edizione di settembre, la numero 53.
Nel ringraziare di cuore tutti i partecipanti e tutti i lettori, vi lascio in compagnia di un video realizzato da Teja Krasek in occasione dell'iniziativa "Gathering for Gardner 9", con musica di Jean Michel Jarre.
Buon Ferragosto a tutti!



Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale


sabato, agosto 11, 2012

Le medaglie tedesche e le previsioni del ministero degli interni

Molta stampa tedesca, tra cui la Süddeutsche e lo Spiegel, parla in questi giorni della previsione del ministero degli interni secondo cui la Germania avrebbe dovuto vincere 86 medaglie di cui 28 d'oro.
Secondo me ce la possono ancora fare. Mancano solo 44 medaglie di cui 18 d'oro.
Chissà se il modello usato per la previsione si ispirava a quello usato per le previsioni finanziarie...

venerdì, agosto 10, 2012

Campi di battaglia

Frau Doktor Licht era stata molto brava a comunicargli quella terribile notizia. Gli aveva spiegato che esistono quattro tipi principali di leucemia. C'è la linfatica, la mieloide e per entrambe esistono la forma cronica e quella acuta. Solitamente le leucemie croniche sono meno aggressive ma è più difficile guarirle in modo definitivo, mentre quelle acute sono aggressive e rapide. Vanno affrontate immediatamente, ma molto spesso si riesce a guarirle completamente.
- Ho già parlato con i medici della clinica ematologica - gli aveva detto la dottoressa. - È una delle migliori del paese. Se vuole può andare oggi stesso.
- È strano - disse Fosco uscendo dall’ambulatorio - adesso mi sento molto meglio rispetto a qualche ora fa. Mi sento sollevato. Nonostante la diagnosi.
- Be', almeno adesso sappiamo che c'è una cura che funziona. Ma io forse mi sono persa qualche pezzo di quello che ha detto la dottoressa.
- Da quello che ho capito la terapia sarà un po' lunga. Mi ha pure detto che perderò i capelli - disse Fosco passandosi una mano tra la folta capigliatura riccioluta.
Tornati a casa Fosco aveva voluto farsi scattare una fotografia.
- Voglio lasciare un'ultima immagine di me: com'ero immediatamente prima dell'inizio della giostra. - E poi si era messo in posa accanto a quel mazzo di fiori che aveva comprato qualche giorno prima. Con la consapevolezza che non sarebbe stato mai più l'uomo di quel momento.
Varcando la porta d'ingresso della clinica Fosco pensò che quella era la prima volta che entrava in un ospedale come paziente. Quel fastidioso odore di disinfettante gli riempì immediatamente le narici, e come sempre nel passato gli provocò una sensazione di disagio. Ma oggi quel disagio era molto più forte. Sconfinava nella paura.
Chissà quanto tempo dovrò rimanere qui - si chiese.
- Nel reparto non ci sono letti liberi - gli dissero all'accettazione. - Per una notte dovrà pernottare nel reparto trapianti.
Un'infermiera li ricevette davanti alla porta chiusa del reparto. Mostrò loro l'interruttore per aprire la prima porta, i camici e le mascherine da indossare, il dosatore di disinfettante per le mani e l'interruttore per aprire la seconda porta.
 - Buongiorno Herr Chiellini. Io sono Doktor Strauß - gli disse un gigante stringendogli energicamente la mano. Poi li condusse alla camera assegnata a Fosco. Il grande spazio vuoto di quella camera con un solo letto accrebbe il livello d'inquietudine di Fosco. Quando il dottore tornò Sara stava carezzando la testa di Fosco: un castano cespuglio di capelli che copriva quel cuscino troppo sottile. Il gigante teneva in mano diversi fogli.
- Per curare il suo tipo di leucemia sarà necessario un trapianto - disse Doktor Strauß.
Quella parola riecheggiò nella testa di Fosco - trapianto, trapianto - perdendo un pezzo di significato ad ogni rimbalzo - trapianto, trapianto. Un senso d'irrealtà lo pervase. Poi di colpo la parola riemerse dagli abissi dell'inconscio proiettando intorno a se un caleidoscopio d'immagini. Sale operatorie, camici verdi e mascherine, bisturi, scrigni contenenti organi, trasporti in elicottero. E infine essa si materializzò in un suono vacillante sostenuto da un respiro spezzettato: - Un trapianto... - Mentre il pensiero di Fosco accompagnava quel suono con un contrappunto veloce ed ossessivo: sta succedendo a me, sta succedendo a me, sta succedendo a me.
- Ma la dottoressa aveva parlato solo di chemioterapia - riuscì a dire infine.
- Sì, quello è il protocollo per le leucemie a basso rischio, ma nel suo caso non funzionerebbe. La sua è una leucemia ad alto rischio in quanto i globuli bianchi della prima analisi erano più di quarantamila.
Alto rischio! L'espressione gli provoco una nuova tempesta interiore seguita da sforzo subconscio di dissimulazione.
- E quando dovrò essere operato?
- Il trapianto di midollo osseo non prevede operazioni. Fosco guardò Sara smarrito. Poi si voltò di nuovo verso Doktor Strauß.
- Il trapianto di midollo osseo - riprese il dottore - si effettua attraverso un'infusione di cellule staminali midollari prelevate dal sangue di un donatore.
- Quindi mi inietterete queste cellule staminali nella spina dorsale?
- No, quello è il midollo spinale. È un'altra cosa. Non c'entra nulla con il midollo osseo. Diciamo che dal suo punto di vista sarà come ricevere una trasfusione sanguigna. Ma prima dovrà subire alcuni cicli di chemioterapie e radioterapie per eliminare le cellule maligne e poi un ciclo finale per eliminare tutto il suo midollo. Solo allora le inietteremo in vena una sacca di cellule staminali che, se tutto andrà bene, troveranno da sole la strada per andare a posizionarsi nel luogo giusto e poter così ricostruire il suo midollo. Ma qui troverà tutte le spiegazioni e anche i moduli da firmare per il consenso - concluse il dottore porgendogli il pacco di carte che aveva in mano.
In quel momento entrò un'infermiera con una flebo e il dottore li lasciò. A Fosco non era mai stata applicata una flebo prima di allora. La sola vista di aghi e cannule gli aveva sempre provocato un certo disagio. Di colpo gli tornò in mente il suo primo prelievo di sangue. Aveva quattordici anni e il prelievo serviva per una questione burocratica: un certificato di "sana e robusta costituzione" necessario per l'ammissione alla scuola superiore. Uscendo dal laboratorio Fosco era quasi svenuto. Poche altre volte nei suoi 35 anni di vita si era sottoposto a prelievi. Li aveva sempre evitati volentieri ma poi, con un po' di sforzo, si era andato man mano abituando. E da quando, a 30 anni, si era trasferito a nord delle Alpi Fosco si era convinto a fare un prelievo di controllo ogni anno. Tutti i valori erano sempre a posto. L'ultimo prelievo lo aveva fatto un mese prima e non risultava alcuna anomalia. L'anno precedente invece di prelievi ne aveva fatti due. Oltre a quello solito di controllo infatti ne aveva voluto fare anche un altro per farsi tipizzare. C'era stato un caso tra i suoi conoscenti. Si era scoperto che quattro fratelli erano affetti da un rara malattia genetica. E Fosco fu tra quelli che risposero all'appello del padre dei bambini: "I miei bambini potranno sopravvivere solo grazie a un trapianto di midollo. Per favore, fatevi tipizzare." E ora era lui che sarebbe potuto sopravvivere solo grazie a un trapianto di midollo. A questo pensava Fosco quando l'infermiera gli disse: "Nicht erschrecken", non si spaventi, mentre gli spruzzava il disinfettante sulla parte centrale dell'avambraccio. E poi "Es kommt ein Pieks", arriva una puntura, mentre gli perforava pelle e vena con la cannula. Fu meno doloroso di quello che pensava. Ma Fosco era abbastanza sicuro che quelle parole avrebbe dovute ascoltarle molte volte ancora e che nei giorni successivi sarebbe andato ben oltre una semplice flebo.

giovedì, agosto 09, 2012

Alex Schwazer e l'epo

In questi giorni si è parlato molto dell'esclusione di Alex Schwazer dalle olimpiadi per la sua positività all'epo. Io non ho seguito la vicenda con estremo interesse. Mi è arrivata in modo un po' passivo e laterale.
Molto di quello che ho sentito e letto però parlava di Schwazer come vittima sacrificale sottoposto alla gogna medievale e cose simili. Ma io di commenti spietati sul caso Schwazer non ne ho sentiti.


C'è stato veramente chi si è scagliato spietatamente contro di lui?


In tutto quello che ho sentito si esprimeva soprattutto compassione e pena per un ragazzo di 28 anni che ci ha raccontato una vita di 35 ore di allenamenti a settimana vissuti da lui come una tortura da subire in solitudine. Per poi sentirsi pure trattare "da coglione" (ha pure detto "scusate il termine", come fai a non volergli bene) per non essere arrivato primo.
I commenti più duri che ho sentito dicevano: "ha sbagliato ma ...". E invece ho sentito persino chi suggeriva che il suo datore di lavoro (i carabinieri) si dovrebbe far carico del recupero psicologico di un ragazzo che afferma: "Bisogna essere bravi anche a usare l'epo e io non sono stato bravo neppure in quello". Qualcun altro ha suggerito
"al giovane Schwazer di dedicare il prossimo anno alle scuole, andando a parlare con i giovani, di sport, di valori, di aspirazioni, di errori, di amicizia, di affetti. La sua esperienza, proprio perché tremenda, secondo me è credibile e comprensibile da parte dei giovani, che vivono il malessere di una società basata sulla performance a tutti i costi, sulla perfezione da esibire a ogni costo, sul primo gradino del podio come unico obiettivo accettabile. Lo sport è una metafora della vita, che ci piaccia o meno. Io oggi, ascoltando Schwazer, mi sono sentito vicino alla sua umanità. Non per perdonarlo, cosa che non mi riguarda, ma solo per comprenderlo, e rispettarlo come persona."

Sì, credo che sarebbe molto educativo cercare di far capire ai giovani delle scuole, con una testimonianza del genere, che il successo non implica sempre la felicità.

Comunque l'idea che mi sono fatta io è che Schwazer non ce la faceva più a sopportare quella vita e come via d'uscita più semplice, magari inconsciamente, ha trovato quella lì.

A proposito, l'epo me lo sono fatto anch'io più volte in passato. Pure io dovevo vincere una gara.