Il viaggio comincia all'insegna del controllo aleatorio (random check) per il quale un colpo di fortuna, probabilmente influenzato dalle impressioni di una cara signora addetta al controllo del biglietto, mi fa selezionare. Oltrepassata infatti la signora un giovane poliziotto mi affianca e mi chiede di seguirlo. Così, invece di trascorrere quell'ultima mezzora a rilassarmi sorseggiando un cappuccino, vengo sottoposto a un'accurata ispezione con tanto di estrazione e palpazione delle solette delle scarpe e controllo della bustina con creme e medicinali. Le due operazioni vengono eseguite nell'ordine suddetto. Spero almeno che i guanti indossati fossero stati sostituiti dopo il passeggero precedente.
L'unica nota sul volo con la Singapore Airlines è che noi viaggiavamo nella quinta di cinque classi. (Che però non costava meno di 1000 lire). E che noi siamo stati degni di gettare uno sguardo solo alla quarta classe mentre scendevamo e ho visto che i posti erano sormontati da una sorta di baldacchini. Non oso immaginare che cosa avessero a disposizione i passeggeri delle tre classi superiori. Circolano voci secondo cui i passeggeri della prima avrebbero a disposizione letti e docce.
Giunti a New York dobbiamo passare per le forche caudine dell'immigrazione. Per Zucchero è la prima volta negli USA ma lei viene ammessa immediatamente senza problemi mentre la guardia giudica la mia foto troppo dissimile da me e mi spedisce al controllo approfondito. Dopo qualche minuto d'attesa mi chiamano a gesti come si chiamerebbe un cagnolino. Mi scrutano. Parlottano tra di loro.
- It was seven years ago...
- Scusate, ma non potreste controllare le impronte digitali appena prese con quelle che avevate preso le altre volte che sono venuto qui?
Mi pare una cosa molto logica da fare. Se coincidono, a meno di un trapianto di dita, non posso essere un'altra persona. Mi ignorano totalmente. È come se non avessi aperto bocca. La guardia sbadiglia: - Oggi ho poca energia avrei bisogno di un caffè - dice. Mi pare un atteggiamento volto a provocare. A farmi perdere la calma. Ci tiene altri dieci minuti. Mi chiama di nuovo a gesti e mi restituisce il passaporto senza proferir parola. - Possiamo andare? - chiede Zucchero. Il tipo annuisce. "Avete il diritto di porre qualsiasi domanda e di parlare con un supervisore", c'è scritto sui manifestini di cui è tappezzata l'area. Ma l'impressione che mi sono fatta è che le domande ammesse siano ben poche e che le conseguenze potrebbero essere poco piacevoli se uno dovesse porre quelle sbagliate. Ad ogni modo, alla fine mi sono chiesto se la mia bella coppola variopinta possa aver contribuito a suscitare diffidenza.
L'unica nota sul volo con la Singapore Airlines è che noi viaggiavamo nella quinta di cinque classi. (Che però non costava meno di 1000 lire). E che noi siamo stati degni di gettare uno sguardo solo alla quarta classe mentre scendevamo e ho visto che i posti erano sormontati da una sorta di baldacchini. Non oso immaginare che cosa avessero a disposizione i passeggeri delle tre classi superiori. Circolano voci secondo cui i passeggeri della prima avrebbero a disposizione letti e docce.
Giunti a New York dobbiamo passare per le forche caudine dell'immigrazione. Per Zucchero è la prima volta negli USA ma lei viene ammessa immediatamente senza problemi mentre la guardia giudica la mia foto troppo dissimile da me e mi spedisce al controllo approfondito. Dopo qualche minuto d'attesa mi chiamano a gesti come si chiamerebbe un cagnolino. Mi scrutano. Parlottano tra di loro.
- It was seven years ago...
- Scusate, ma non potreste controllare le impronte digitali appena prese con quelle che avevate preso le altre volte che sono venuto qui?
Mi pare una cosa molto logica da fare. Se coincidono, a meno di un trapianto di dita, non posso essere un'altra persona. Mi ignorano totalmente. È come se non avessi aperto bocca. La guardia sbadiglia: - Oggi ho poca energia avrei bisogno di un caffè - dice. Mi pare un atteggiamento volto a provocare. A farmi perdere la calma. Ci tiene altri dieci minuti. Mi chiama di nuovo a gesti e mi restituisce il passaporto senza proferir parola. - Possiamo andare? - chiede Zucchero. Il tipo annuisce. "Avete il diritto di porre qualsiasi domanda e di parlare con un supervisore", c'è scritto sui manifestini di cui è tappezzata l'area. Ma l'impressione che mi sono fatta è che le domande ammesse siano ben poche e che le conseguenze potrebbero essere poco piacevoli se uno dovesse porre quelle sbagliate. Ad ogni modo, alla fine mi sono chiesto se la mia bella coppola variopinta possa aver contribuito a suscitare diffidenza.
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