Martedì 9 giugno 2015
Oggi G, D e A sono andati a Washington e Zucchero e io dedichiamo la giornata alla visita di vari quartieri di Manhattan.
All'inizio del percorso verso Little Italy capitiamo per caso in una panetteria della catena Magnolia Bakery e il muffin che prendiamo non è affatto male. Nei miei due precedenti viaggi mi ero già accorto che Little Italy è ormai solo il simulacro di quello che doveva essere nella prima metà del novecento. Credo che sopravvivano solo alcune attività commerciali nei dintorni della Mulberry Street, per tenere in vita, in modo più o meno artificiale, lo spirito italoamericano del luogo, e alcuni luoghi istituzionali come il museo e la chiesa di S. Gennaro che forse servono anche a evitare che la pressione demografica dell'adiacente Chinatown abbia la meglio sul quartiere italiano ormai non più popolato da discendenti dei nostri connazionali.
È girovagando per la Mulberry Street, la via principale di Little Italy, che scopriamo la suddetta Chiesa del Preziosissimo Sangue. Una visita fugace mi dà l'impressione che la chiesa possa essere stata un punto di riferimento per la comunità italiana. Penso che sia anche la sede di una sorta di confraternita dei Figli di S. Gennaro. Quella che gioca un ruolo importante nella newyorchese Festa di san Gennaro. Festa che è stata il modello per le varie feste di S. Gennaro che oggi si tengono in molte città statunitensi come occasioni per la celebrazione del rapporto tra italiani e statunitensi.
Ci spostiamo quindi nella vicina e debordante Chinatown. Lì si ha subito l'impressione di trovarsi in un altro paese: esercizi cinesi, insegne in cinese, gente che parla cinese per la strada. A differenza di Little Italy, Chinatown è un quartiere vivo, (sovrap)popolato e che conserva fortemente la sua identità.
Continuiamo verso la parte meridionale del Lower East Side, ormai fagocitata da Chinatown, e lì visitiamo la sinagoga di Eldridge street e il relativo museo. La signora, una probabile insegnante in pensione che ci interroga e dà i voti alle nostre risposte (ignorando tra l'altro le mie e assegnando invece delle A+ a Zucchero ), ci racconta di come quella sia stata la prima sinagoga degli ebrei ashkenaziti "orientali" che, a differenza degli ashkenaziti tedeschi, urbanizzati e ricchi, provenivano generalmente dagli Shtetl (villaggi di campagna) e non avevano grosse risorse economiche.
Tuttavia, tra quelli che fecero fortuna, ce ne furono due che decisero di far costruire quella sinagoga per la comunità. E lo fecero mescolando tradizione e modernità, radici ebraico-ashkenazite con icone e simboli americani.
Tutte queste particolarità rendono unica la sinagoga di Eldridge Street; già dalla facciata che sembra quella di una chiesa, con rosone ed elementi neoromanici, neogotici e neomoreschi. E presto capiamo il perché: essa fu progettata da Peter Herter: un architetto tedesco di religione cristiana. Poi, oltre alle normali stelle di Davide, si trovano diverse stelle a cinque punte a simboleggiare l'arrivo degli ebrei nel nuovo mondo.
Un'altra peculiarità di questa sinagoga è che nella sala della Torà si sniffava il tabacco. E, per evitare che la gente spuntasse per terra, vennero installate delle sputacchiera di legno sulla ringhiera di separazione con l'altare. Agli inizi del novecento, con la costruzione della metropolitana, gli ebrei cominciarono a lasciare il Lower East Side. Inoltre delle leggi degli anni '20 (l'Emergency Quota Act del 1921 e l'Immigration Act del 1924) ridussero drasticamente l'immigrazione soprattutto dall'Europa del sud e dell'est. Di conseguenza i fedeli della sinagoga diminuirono rapidamente e costantemente; e così la sinagoga fu chiusa. Se non fosse stato per un professore universitario che andò a visitarla negli anni '80 per un suo lavoro di ricerca e la trovò in condizioni disastrose, la sinagoga sarebbe crollata. Fu grazie alla grossa opera di sensibilizzazione da parte di quel professore che quel patrimonio culturale è stato recuperato.Oggi G, D e A sono andati a Washington e Zucchero e io dedichiamo la giornata alla visita di vari quartieri di Manhattan.
All'inizio del percorso verso Little Italy capitiamo per caso in una panetteria della catena Magnolia Bakery e il muffin che prendiamo non è affatto male. Nei miei due precedenti viaggi mi ero già accorto che Little Italy è ormai solo il simulacro di quello che doveva essere nella prima metà del novecento. Credo che sopravvivano solo alcune attività commerciali nei dintorni della Mulberry Street, per tenere in vita, in modo più o meno artificiale, lo spirito italoamericano del luogo, e alcuni luoghi istituzionali come il museo e la chiesa di S. Gennaro che forse servono anche a evitare che la pressione demografica dell'adiacente Chinatown abbia la meglio sul quartiere italiano ormai non più popolato da discendenti dei nostri connazionali.
È girovagando per la Mulberry Street, la via principale di Little Italy, che scopriamo la suddetta Chiesa del Preziosissimo Sangue. Una visita fugace mi dà l'impressione che la chiesa possa essere stata un punto di riferimento per la comunità italiana. Penso che sia anche la sede di una sorta di confraternita dei Figli di S. Gennaro. Quella che gioca un ruolo importante nella newyorchese Festa di san Gennaro. Festa che è stata il modello per le varie feste di S. Gennaro che oggi si tengono in molte città statunitensi come occasioni per la celebrazione del rapporto tra italiani e statunitensi.
Ci spostiamo quindi nella vicina e debordante Chinatown. Lì si ha subito l'impressione di trovarsi in un altro paese: esercizi cinesi, insegne in cinese, gente che parla cinese per la strada. A differenza di Little Italy, Chinatown è un quartiere vivo, (sovrap)popolato e che conserva fortemente la sua identità.
Ci rechiamo quindi sulla Delancey Street. Questa è la strada di Noodles, il protagonista di C'era una volta in America e di The Hood di Harry Grey. Ma Delancey Street, un tempo uno dei punti cardine del quartiere ebraico, si rivela essere uno stradone squallido. Beh, non potevo aspettarmi diversamente. E il locale che cercavamo non era esattamente quello che cercavamo e inoltre era chiuso. In compenso troviamo un ristorante cinese nelle vicinanze con ottime valutazioni. Avevo già detto della strabordante Chinatown, no?
La qualità dei miei spaghetti cinesi con frutti di mare è buona ma nonostante ciò il tipo di cucina non mi esalta. E credo che questa sia molto più autentica rispetto alla cucina cinese che si trova mediamente in Europa. È la seconda volta che mangio in un buon ristorante cinese di Chinatown, e seppur consapevole della sommarietà e della parzialità di esse, da questo fatto traggo delle conclusioni personali su questo tipo di cucina: non occupa i primi posti (ma neppure gli ultimi) della mia classifica personale.
Dopo pranzo andiamo al Tenement Museum al numero 97 di Orchard Street. Il condominio in cui è stato costruito il museo fu dimora, tra il 1863 e il 1935, di circa 7.000 persone di 20 nazionalità diverse. Le visite sono tematiche, e una di queste è sulla vita quotidiana di una famiglia di immigrati italiani ai tempi delle grandi immigrazioni. Ma a causa dell'orario non riusciamo a partecipare e decidiamo di tornarci nei prossimi giorni. Molto interessante è anche la libreria di quel museo: con libri che trattano soprattutto il tema dell'immigrazione e con una sezione dedicata all'Italia.
Visitiamo quindi il St. Marks Place con i suoi viali alberati.