Sabato abbiamo assistito al concerto di chiusura della heidelberger Frühling. Il programma era il seguente:
Pëtr Il'ič Čajkovskij
Concerto n. 1 in Si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23
Georges Bizet
Sinfonia in Do maggiore
Ottorino Respighi
Pini di Roma
Fazıl Say, Pianoforte
NDR Radiophilharmonie Hannover
Stefan Solyom, Direttore
Avevo scelto questo concerto soprattutto perché volevo sentire Pini di Roma dal vivo. Qui sotto ho incluso un'esecuzione dei Pini di Roma trovata su Youtube.
Questo poema sinfonico fa parte della trilogia:
* Fontane di Roma (1915-1916)
* Pini di Roma (1923-1924)
* Feste Romane (1928)
Il pezzo e l'interpretazione mi sono piaciuti molto. La verà rivelazione della serata però è stato il pianista turco Fazil Say. Oltre ad eseguire magistralmente il Concerto n. 1 di Čajkovskij, ha eseguito due bis: Kara Toprak e Summertime.
Kara Toprak (Terra Nera) potete ascoltarlo cliccando qui sopra. La composizione, per pianoforte solo, è ispirata ad una famosa canzone popolare turca. La caratteristica del pezzo è la tecnica che Fazil Say usa per imitare le sonorità del saz. Il musicista tocca i martelletti con la sinistra usando contemporaneamente la tastiera con la destra, alterando così enormemente il timbro dello strumento. Si ha quindi l'impressione di ascoltare un pezzo per due strumenti. Soprattutto nella parte pseudo-saz sono presenti molti echi orientali, eseguiti in uno stile monodico-salmodiante basato su scale modali. Si riconoscono però anche influenze jazzistiche.
Summertime è stata invece una bella improvvisazione jazzistica sul tema della famosa canzone di George Gershwin, dove si riscontrano però anche caratteristiche del classico tema con variazioni.
Alla fine c'è stato un lunghissimo applauso trasformatosi in ovazione con pubblico in piedi ;-)
Un diario con divagazioni su varie mie passioni. Tra le quali la musica, la matematica, la scrittura, la cucina, i viaggi, la Germania e i balli popolari del centro-sud Italia.
lunedì, aprile 30, 2007
mercoledì, aprile 25, 2007
Insalata dionisiaca di farro/orzo con tonno, olive e capperi
Ho elaborato questa ricetta come sintesi di varie ricette che avevo letto e provato. Secondo Zucchero questa combinazione è riuscita molto bene. La ricetta è semplice e molto adatta al periodo estivo che ormai è già cominciato. Si consuma fredda e si conserva bene in frigorifero anche per alcuni giorni. È particolarmente utile per quegli emigranti italiani che sono costretti a pranzare in mense dell'Europa del nord.
Ingredienti: (per 4 persone)
250 g di farro (o orzo perlato), 2/300 g di pomodorini maturi, 10/15 olive verdi e/o nere, 160/200 g di tonno in scatola (versione leggera 80/100 g), 7/8 cucchiai di olio d'oliva, 2/3 cipollotti freschi, 1 piccolo spicchio d'aglio, una manciata di capperi sotto sale, prezzemolo, basilico, maggiorana, timo, menta, sale e pepe.
Preparazione:
Lessate il farro in acqua bollente salata per il tempo riportato sulla confezione (di solito 30 minuti circa - io quando posso uso il farro di Orvinio e l'olio di Scandriglia entrambi di ottima qualità). Scolatelo e trasferitelo in un'insalatiera. Aggiungetevi il tonno scolato, i pomodorini tagliati a metà, le olive snocciolate e affettate, i capperi dissalati (io ho utilizzato anche i cucunci comprati durante il nostro viaggio alle Eolie), i cipollotti tagliati a julienne, il trito di aglio, prezzemolo, basilico, maggiorana, timo e menta. Salate, pepate, aggiungete l'olio e mescolate. Spesso, per velocizzare, lo faccio anche senza cipollotti né olive.
In un'altra variante si può eliminare il tonno e aggiungere un pezzetto di radice di zenzero grattugiato e il succo di un limone.
Ingredienti: (per 4 persone)
250 g di farro (o orzo perlato), 2/300 g di pomodorini maturi, 10/15 olive verdi e/o nere, 160/200 g di tonno in scatola (versione leggera 80/100 g), 7/8 cucchiai di olio d'oliva, 2/3 cipollotti freschi, 1 piccolo spicchio d'aglio, una manciata di capperi sotto sale, prezzemolo, basilico, maggiorana, timo, menta, sale e pepe.
Preparazione:
Lessate il farro in acqua bollente salata per il tempo riportato sulla confezione (di solito 30 minuti circa - io quando posso uso il farro di Orvinio e l'olio di Scandriglia entrambi di ottima qualità). Scolatelo e trasferitelo in un'insalatiera. Aggiungetevi il tonno scolato, i pomodorini tagliati a metà, le olive snocciolate e affettate, i capperi dissalati (io ho utilizzato anche i cucunci comprati durante il nostro viaggio alle Eolie), i cipollotti tagliati a julienne, il trito di aglio, prezzemolo, basilico, maggiorana, timo e menta. Salate, pepate, aggiungete l'olio e mescolate. Spesso, per velocizzare, lo faccio anche senza cipollotti né olive.
In un'altra variante si può eliminare il tonno e aggiungere un pezzetto di radice di zenzero grattugiato e il succo di un limone.
mercoledì, aprile 18, 2007
Serenata de paradiso
Grazie al bel CD di Tosca che da giorni ascolto in continuazione ho conosciuto questa bellissima serenata romana. La canto stasera per dimenticare le disavventure ciclistiche ;-) e la dedico a Zucchero che si trova a 1200 Km di distanza.
Sotto le stelle che brilleno,
a mille a mille lassu,
co sta serata incantevole,
c'amanchi solo che tu...
dormi e nun pensi allo spasimo
che sto provanno quaggiú.
Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
te vojo fa senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.
Amore tu che la gunnuli,
mentre che sta a riposa,
baciela m'bocca e baciannola,
cerca de falla sveja...
è mio quer bacio e sussurreje,
che me lo venghi a rida'...
Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
tesoro viè a senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
pupa bella viè 'mbraccio all'amore...
io te vojo sortanto pe me.
Sotto le stelle che brilleno,
a mille a mille lassu,
co sta serata incantevole,
c'amanchi solo che tu...
dormi e nun pensi allo spasimo
che sto provanno quaggiú.
Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
te vojo fa senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.
Amore tu che la gunnuli,
mentre che sta a riposa,
baciela m'bocca e baciannola,
cerca de falla sveja...
è mio quer bacio e sussurreje,
che me lo venghi a rida'...
Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
tesoro viè a senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
pupa bella viè 'mbraccio all'amore...
io te vojo sortanto pe me.
Belehren
Basta non ne posso più di questi "Belehrer"!
Belehren è un verbo teutonico che può essere tradotto in italiano in diversi modi: indottrinare, ammaestrare, istruire, convincere. La mia insegnante di tedesco lo usava anche per delineare quell'odioso comportamento di far notare agli altri con fare saccente e presuntuoso che stanno contravvenendo a una regola. Non so se è un uso particolare del verbo, coniato dalla mia insegnante o se in generale lo si usa anche con questo significato; fatto sta che ho avuto diversi incontri con tali belehrende personaggi.
L'ultimo è stato stasera. Tornavo dal lavoro in bicicletta e ne ho approfittato per farmi un giro dell'isolato per cercare la macchina, in quanto non ricordavo dove l'avevo parcheggiata. Imbocco una strada dando la precedenza ad un'altra bicicletta e vedo una macchina che avanza nella direzione opposta, devia come a voler investire l'altra bicicletta, e inchioda strombazzando e inveendo selvaggiamente contro la malcapitata ciclista. Dopodiché avanza pure verso di me e abbassa il finestrino. Si materializza il volto di una signora sui 35-40 anni con a fianco un bambino che mi dice con un tono belehrend da manuale: questa strada è a senso unico!! più avanti c'è la polizia che le farà 20 € di multa!! Ovviamente non c'era alcun poliziotto.
Ora, in teoria, la signora avrebbe avuto pure ragione, perché ci trovavamo su una strada a senso unico pure per le biciclette, ma quello che mi chiedo è: che cosa spinge una madre di famiglia della classe media aidelberghense quasi ad investire una ciclista per farle notare che sta contravvenendo a una regola? È interessante poi il fatto che a me non abbia detto: è pericoloso, bensì: ti può costare 20 €; e anche questo dice molto.
Questo è comunque solo l'ultima di una serie di esperienze anche peggiori. Ne racconto brevemente altre due.
Stavo parcheggiando sotto casa, ingrano la retromarcia e la macchina dietro di me rimane immobile impedendomi di parcheggiare. Dopo una decina di secondi e qualche gesto per chiedere se gentilmente poteva fare qualche metro di retromarcia, scendo dalla macchina e chiedo alla signora se poteva farmi un po' di spazio. La risposta è stata: no, perché qui non si può parcheggiare! Sono dovuto quindi rientrare in macchina, accantonarmi, farla passare, per poter poi fare retromarcia e parcheggiarmi. Un'altra signora che aveva assistito alla scena mi dice: non è assolutamente vero, io abito proprio lì e non c'è mai stato nessun divieto.
Storia simile. Io stavo in ospedale e Zucchero era dovuta tornare a casa per prendermi velocemente una cosa di cui avevo bisogno. Si ripete la scena: retromarcia, macchina dietro che rimane immobile, dopo un po' Zucchero scende e si sente ripetere dal signore la storia che non avrebbe fatto retromarcia perché lì non si poteva parcheggiare. In quel caso c'era veramente un divieto. Zucchero ha risposto: guardi, mio marito sta in ospedale, io abito in quel portone, devo salire per prendere una cosa e portargliela, ma le assicuro che quando stanotte a mezzanotte tornerò a casa non parcheggerò in divieto di sosta. A quel punto il signore è arrossito e ha fatto istantaneamente retromarcia.
Mi fermo qui anche se avrei altri simpatici aneddoti.
Belehren è un verbo teutonico che può essere tradotto in italiano in diversi modi: indottrinare, ammaestrare, istruire, convincere. La mia insegnante di tedesco lo usava anche per delineare quell'odioso comportamento di far notare agli altri con fare saccente e presuntuoso che stanno contravvenendo a una regola. Non so se è un uso particolare del verbo, coniato dalla mia insegnante o se in generale lo si usa anche con questo significato; fatto sta che ho avuto diversi incontri con tali belehrende personaggi.
L'ultimo è stato stasera. Tornavo dal lavoro in bicicletta e ne ho approfittato per farmi un giro dell'isolato per cercare la macchina, in quanto non ricordavo dove l'avevo parcheggiata. Imbocco una strada dando la precedenza ad un'altra bicicletta e vedo una macchina che avanza nella direzione opposta, devia come a voler investire l'altra bicicletta, e inchioda strombazzando e inveendo selvaggiamente contro la malcapitata ciclista. Dopodiché avanza pure verso di me e abbassa il finestrino. Si materializza il volto di una signora sui 35-40 anni con a fianco un bambino che mi dice con un tono belehrend da manuale: questa strada è a senso unico!! più avanti c'è la polizia che le farà 20 € di multa!! Ovviamente non c'era alcun poliziotto.
Ora, in teoria, la signora avrebbe avuto pure ragione, perché ci trovavamo su una strada a senso unico pure per le biciclette, ma quello che mi chiedo è: che cosa spinge una madre di famiglia della classe media aidelberghense quasi ad investire una ciclista per farle notare che sta contravvenendo a una regola? È interessante poi il fatto che a me non abbia detto: è pericoloso, bensì: ti può costare 20 €; e anche questo dice molto.
Questo è comunque solo l'ultima di una serie di esperienze anche peggiori. Ne racconto brevemente altre due.
Stavo parcheggiando sotto casa, ingrano la retromarcia e la macchina dietro di me rimane immobile impedendomi di parcheggiare. Dopo una decina di secondi e qualche gesto per chiedere se gentilmente poteva fare qualche metro di retromarcia, scendo dalla macchina e chiedo alla signora se poteva farmi un po' di spazio. La risposta è stata: no, perché qui non si può parcheggiare! Sono dovuto quindi rientrare in macchina, accantonarmi, farla passare, per poter poi fare retromarcia e parcheggiarmi. Un'altra signora che aveva assistito alla scena mi dice: non è assolutamente vero, io abito proprio lì e non c'è mai stato nessun divieto.
Storia simile. Io stavo in ospedale e Zucchero era dovuta tornare a casa per prendermi velocemente una cosa di cui avevo bisogno. Si ripete la scena: retromarcia, macchina dietro che rimane immobile, dopo un po' Zucchero scende e si sente ripetere dal signore la storia che non avrebbe fatto retromarcia perché lì non si poteva parcheggiare. In quel caso c'era veramente un divieto. Zucchero ha risposto: guardi, mio marito sta in ospedale, io abito in quel portone, devo salire per prendere una cosa e portargliela, ma le assicuro che quando stanotte a mezzanotte tornerò a casa non parcheggerò in divieto di sosta. A quel punto il signore è arrossito e ha fatto istantaneamente retromarcia.
Mi fermo qui anche se avrei altri simpatici aneddoti.
lunedì, aprile 16, 2007
Gnocchi ai funghi porcini
Domenica abbiamo sfruttato la nostra riserva di funghi porcini e quella di gnocchi preparati da Zucchero. Abbiamo preparato un piatto molto semplice e gustoso.
Ingredienti: (per 4 persone)
1 Kg di gnocchi, 300 g di funghi porcini, 1 spicchio d'aglio, 60 g di parmigiano, 5 cucchiai d'olio, 30 g di burro, prezzemolo, sale e pepe.
Preparazione:
Soffriggete l'aglio in una padella nei 5 cucchiai d'olio, a fuoco molto basso. Dopo un paio di minuti aggiungete i porcini tagliati a lamelle, alzate un po' il gas, salate, pepate, coperchiate e lasciate cuocere fin quando il liquido non si sarà addensato. Aggiungete quindi il burro e lasciate cuocere ancora per un minuto. Infine lessate gli gnocchi e mescolateli nella padella con i porcini aggiungendo il parmigiano e il prezzemolo.
Anche le fettuccine all'uovo stanno molto bene con questa salsa, specie se fatte in casa. Noi di solito ci cuciniamo le fettuccine. Ricordate inoltre che il porcino fresco non va lavato, bensì va pulito con della carta da cucina inumidita.
Ingredienti: (per 4 persone)
1 Kg di gnocchi, 300 g di funghi porcini, 1 spicchio d'aglio, 60 g di parmigiano, 5 cucchiai d'olio, 30 g di burro, prezzemolo, sale e pepe.
Preparazione:
Soffriggete l'aglio in una padella nei 5 cucchiai d'olio, a fuoco molto basso. Dopo un paio di minuti aggiungete i porcini tagliati a lamelle, alzate un po' il gas, salate, pepate, coperchiate e lasciate cuocere fin quando il liquido non si sarà addensato. Aggiungete quindi il burro e lasciate cuocere ancora per un minuto. Infine lessate gli gnocchi e mescolateli nella padella con i porcini aggiungendo il parmigiano e il prezzemolo.
Anche le fettuccine all'uovo stanno molto bene con questa salsa, specie se fatte in casa. Noi di solito ci cuciniamo le fettuccine. Ricordate inoltre che il porcino fresco non va lavato, bensì va pulito con della carta da cucina inumidita.
venerdì, aprile 13, 2007
L'antiromanismo spiegato a mio figlio
Un esempio di come i romani prendono le sconfitte..... diciamo pure disfatte.
Sì, a papà, era sera
Era d'aprile
Er pesce era passato, muto e senza spine
Nell'Albione perfida e a modello
Cavalli mozzicanti invece che er manganello
S'era partiti pe' 'n'impresa, de quelle da racconta' davanti al focolare
Tutto bruciava 'n' petto
Muto, er cellulare
Chi era rimasto in tera sampietrina
Era du' giorni che nun dormiva come dormiva prima
Er traffico nun c'era, i semafori silenti
I dentisti s'erano rifiutati de cava' li denti
I televisori a palla coprivano li piatti apparecchiati
Qualcuno pannellava sciopero dei carboidrati
Poi venne l'ora, quella che non vie' pe' tutti
Eravamo tutti belli, a papà, nun esistevano più li brutti
Nun era un sogno, era reale
Manco li gabbiani sur tetto del Quirinale
Parte l'orologio, fischia l'omo in giallo
Partono le vene, pompa er core de metallo
Manco la prima scarica de adrenalina pura
Che ar decimo più o meno l'idraulico ce stura
Ce stura er lavandino dove nun score niente
Se non nel sangue de chi crede alla panza e no alla mente
Tu penzi: "Daje...daje reca' non è successo niente
E' 'na battaglia, battaglia dirompente
Via la maglia dai calzoni, sporcateve er battente"
Invece niente
Li vedi rotola' su un prato all'inglese
Come 'na balla de fieno a Porta Portese
Poi parte un conto alla rovescia dei manrovesci che ce danno
Penzi: "Daje, basta poco"
Sì...ma quanno
Non c'è er tempo pe' ferma' er tempo boia
Penzi: "Mai, mai un giorno de gloria"
E qui, papà, devi penza'
Sì, che chi dopo 'sta sera d'aprile è annato a festeggia'
La gioia la troverà solo sulle disgrazie altrui
Pe' 'sta gente non c'è luce, papà, ma solo giorni bui
Perchè chi pe' soride' deve vede piagne uno, mille e centomila
E' uno che nella vita sua starà sempre ‘n fila
Chi invece la prova, la vita, sulla pellaccia
Non starà mai a chiede un sorso da 'n'altra boraccia
Sii orgoglioso, papà, de prova' emozioni davanti a 11 leoni
A volte un pò coglioni
E' raro, amore mio, è raro come te
E come mamma tua
Che dopo er sette a uno c'ha lasciato a sparecchia'
Limortaccisua!
Valerio Mastandrea
Sì, a papà, era sera
Era d'aprile
Er pesce era passato, muto e senza spine
Nell'Albione perfida e a modello
Cavalli mozzicanti invece che er manganello
S'era partiti pe' 'n'impresa, de quelle da racconta' davanti al focolare
Tutto bruciava 'n' petto
Muto, er cellulare
Chi era rimasto in tera sampietrina
Era du' giorni che nun dormiva come dormiva prima
Er traffico nun c'era, i semafori silenti
I dentisti s'erano rifiutati de cava' li denti
I televisori a palla coprivano li piatti apparecchiati
Qualcuno pannellava sciopero dei carboidrati
Poi venne l'ora, quella che non vie' pe' tutti
Eravamo tutti belli, a papà, nun esistevano più li brutti
Nun era un sogno, era reale
Manco li gabbiani sur tetto del Quirinale
Parte l'orologio, fischia l'omo in giallo
Partono le vene, pompa er core de metallo
Manco la prima scarica de adrenalina pura
Che ar decimo più o meno l'idraulico ce stura
Ce stura er lavandino dove nun score niente
Se non nel sangue de chi crede alla panza e no alla mente
Tu penzi: "Daje...daje reca' non è successo niente
E' 'na battaglia, battaglia dirompente
Via la maglia dai calzoni, sporcateve er battente"
Invece niente
Li vedi rotola' su un prato all'inglese
Come 'na balla de fieno a Porta Portese
Poi parte un conto alla rovescia dei manrovesci che ce danno
Penzi: "Daje, basta poco"
Sì...ma quanno
Non c'è er tempo pe' ferma' er tempo boia
Penzi: "Mai, mai un giorno de gloria"
E qui, papà, devi penza'
Sì, che chi dopo 'sta sera d'aprile è annato a festeggia'
La gioia la troverà solo sulle disgrazie altrui
Pe' 'sta gente non c'è luce, papà, ma solo giorni bui
Perchè chi pe' soride' deve vede piagne uno, mille e centomila
E' uno che nella vita sua starà sempre ‘n fila
Chi invece la prova, la vita, sulla pellaccia
Non starà mai a chiede un sorso da 'n'altra boraccia
Sii orgoglioso, papà, de prova' emozioni davanti a 11 leoni
A volte un pò coglioni
E' raro, amore mio, è raro come te
E come mamma tua
Che dopo er sette a uno c'ha lasciato a sparecchia'
Limortaccisua!
Valerio Mastandrea
mercoledì, aprile 11, 2007
Babel
Tre storie in tre diversi continenti. Che hanno in comune?
Può il battito d’ali di una farfalla a Tokio provocare una tempesta in America e un uragano in Africa?
Chi è la vittima e chi è il carnefice?
Recensioni.
Può il battito d’ali di una farfalla a Tokio provocare una tempesta in America e un uragano in Africa?
Chi è la vittima e chi è il carnefice?
Recensioni.
sabato, aprile 07, 2007
Kopenhagen - Mannheim - Gilbert - Heidelberg
Un paio di giorni fa siamo andati a cena al ristorante Kopenhagen di Mannheim per il compleanno di zucchero. Ci eravamo già stati un'altra volta per il mio compleanno nel 2004 e la cucina ci aveva entusiasmato: prezzi molto alti, ma adeguati alla qualità - considerando il contesto tedesco.
La specialità di questo ristorante è il pesce. Lo stile della cucina non è mediterraneo, ma il risultato è comunque gustoso. La materia prima è di una freschezza ineguagliabile nella Germania meridionale; almeno secondo la mia esperienza.
Attualmente la cucina continua ad essere molto buona, ma il rapporto qualità/prezzo è un po' sceso. Ciò che è peggiorato molto è invece il servizio: vi dico solo che sulla carta dei dolci c'era il dessert della casa e ho chiesto al cameriere che cosa fosse. Mi ha risposto più o meno così: "... ehh ... non lo so.... vuole provarlo!?".
Come antipasto abbiamo preso dei gamberoni grigliati: erano buoni.
Per sbaglio abbiamo preso un altro antipasto come portata principale e il cameriere ovviamente non ce lo ha fatto notare. Io ho preso delle capesante con avocado e mandorle tostate: erano molto buone. Zucchero ha preso l'astice con il tartufo: era buono, ma assolutamente non adeguato al prezzo.
Ieri sera invece siamo stati da Gilbert ad Handschusheim: un ristorante tedesco dove andiamo spesso e dove festeggiamo tutte le nostre piccole ricorrenze.
Zucchero ha preso le sue amate geschmälzte Maultaschen e io un'insalata con pezzetti di tacchino.
Volevamo prendere anche un dolce e abbiamo visto che sulla lavagna c'era scritto il dolce del giorno. Era un po' lontana e non leggevamo bene. Si leggeva chiaramente "crème brulé". Il resto era poco chiaro. Strizzando un po' gli occhi riusciamo a leggere: "dazu Hirschragout"; cioè "con ragù di cervo". Ci siamo guardati: "come con ragù di cervo?!". Ho pensato, magari sarà tutto un menú. Ho chiesto alla cameriera la quale ha confermato: "Sì, crème brulé con Hirschragout!". Stavo già chiedendo ulteriori spiegazioni, quando finalmente il mio cervello è riuscito a trovare la giusta collocazione a quello che l'orecchio aveva ascoltato; e cioè "Kirschragout": sciroppo di ciliegie.
La specialità di questo ristorante è il pesce. Lo stile della cucina non è mediterraneo, ma il risultato è comunque gustoso. La materia prima è di una freschezza ineguagliabile nella Germania meridionale; almeno secondo la mia esperienza.
Attualmente la cucina continua ad essere molto buona, ma il rapporto qualità/prezzo è un po' sceso. Ciò che è peggiorato molto è invece il servizio: vi dico solo che sulla carta dei dolci c'era il dessert della casa e ho chiesto al cameriere che cosa fosse. Mi ha risposto più o meno così: "... ehh ... non lo so.... vuole provarlo!?".
Come antipasto abbiamo preso dei gamberoni grigliati: erano buoni.
Per sbaglio abbiamo preso un altro antipasto come portata principale e il cameriere ovviamente non ce lo ha fatto notare. Io ho preso delle capesante con avocado e mandorle tostate: erano molto buone. Zucchero ha preso l'astice con il tartufo: era buono, ma assolutamente non adeguato al prezzo.
Ieri sera invece siamo stati da Gilbert ad Handschusheim: un ristorante tedesco dove andiamo spesso e dove festeggiamo tutte le nostre piccole ricorrenze.
Zucchero ha preso le sue amate geschmälzte Maultaschen e io un'insalata con pezzetti di tacchino.
Volevamo prendere anche un dolce e abbiamo visto che sulla lavagna c'era scritto il dolce del giorno. Era un po' lontana e non leggevamo bene. Si leggeva chiaramente "crème brulé". Il resto era poco chiaro. Strizzando un po' gli occhi riusciamo a leggere: "dazu Hirschragout"; cioè "con ragù di cervo". Ci siamo guardati: "come con ragù di cervo?!". Ho pensato, magari sarà tutto un menú. Ho chiesto alla cameriera la quale ha confermato: "Sì, crème brulé con Hirschragout!". Stavo già chiedendo ulteriori spiegazioni, quando finalmente il mio cervello è riuscito a trovare la giusta collocazione a quello che l'orecchio aveva ascoltato; e cioè "Kirschragout": sciroppo di ciliegie.
lunedì, aprile 02, 2007
Pizza di Pasqua sabina
Lo scorso fine settimana ho preparato una ricetta tipica sabina tramandata oralmente fino alla generazione di mia nonna. E poi non mi si venga a dire che non sono arcaico ;-)
Si chiama pizza ma è un dolce. Nel dialetto del mio paese la parola pizza si usa, sia per la pizza vera e propria, che per le torte di crema e panna, che per la pizza di Pasqua. La si prepara qualche giorno prima di Pasqua e la si mangia per l'abbondante colazione del giorno di Pasqua insieme a uova sode, salumi, frittata con gli asparagi selvatici e coratella d'abbacchio: dopo il digiuno quaresimale bisogna pur recuperare! Durante la preparazione si diffonde quell'odore caratteristico di pasta lievitata che mi riporta alla memoria alcune immagini della mia infanzia, in cui mia nonna e mia madre amalgamavano gli ingredienti con il braccio immerso fino al gomito in un enorme recipiente.
Le pizze di Pasqua ricorrono in diverse regioni del centro-sud Italia con innumerevoli varianti: dal dolce al salato, con uvetta, uova, formaggio. Tutte hanno in comune la lunga lievitazione in cui si può forse scorgere una metafora di culti pagani: fertilità, primavera, rinascita; cristianizzati in seguito nella risurrezione: il lievito che muore e risorge in qualcosa di grande.
Ingredienti: (per 2 pizze piccole o una grande)
8-900 g di farina, 25 g di lievito di birra, 250 g di latte, 5 uova, 300 g di zucchero, 150 g di burro (la ricetta tradizionale prevede lo strutto, ma io ho sempre usato il burro e zucchero mi dice che il risultato è migliore - nel 2020 ho rimpiazzato 40g di burro con olio: risultato simile - nel 2021 50g olio), 150 g di uva passa, 2-300 g di frutta candita mista (ciliegie, cedro, arancia, ecc.), la buccia di un limone e di un'arancia non trattati, una bustina di vanillina, mezzo bicchiere di liquore aromatico (nel 2007 ho usato Cointreau e un goccio di Chivas, in passato si usava Strega ma nel 2013 ho usato Martini e il risultato mi è sembrato migliore).
Si chiama pizza ma è un dolce. Nel dialetto del mio paese la parola pizza si usa, sia per la pizza vera e propria, che per le torte di crema e panna, che per la pizza di Pasqua. La si prepara qualche giorno prima di Pasqua e la si mangia per l'abbondante colazione del giorno di Pasqua insieme a uova sode, salumi, frittata con gli asparagi selvatici e coratella d'abbacchio: dopo il digiuno quaresimale bisogna pur recuperare! Durante la preparazione si diffonde quell'odore caratteristico di pasta lievitata che mi riporta alla memoria alcune immagini della mia infanzia, in cui mia nonna e mia madre amalgamavano gli ingredienti con il braccio immerso fino al gomito in un enorme recipiente.
Le pizze di Pasqua ricorrono in diverse regioni del centro-sud Italia con innumerevoli varianti: dal dolce al salato, con uvetta, uova, formaggio. Tutte hanno in comune la lunga lievitazione in cui si può forse scorgere una metafora di culti pagani: fertilità, primavera, rinascita; cristianizzati in seguito nella risurrezione: il lievito che muore e risorge in qualcosa di grande.
Ingredienti: (per 2 pizze piccole o una grande)
8-900 g di farina, 25 g di lievito di birra, 250 g di latte, 5 uova, 300 g di zucchero, 150 g di burro (la ricetta tradizionale prevede lo strutto, ma io ho sempre usato il burro e zucchero mi dice che il risultato è migliore - nel 2020 ho rimpiazzato 40g di burro con olio: risultato simile - nel 2021 50g olio), 150 g di uva passa, 2-300 g di frutta candita mista (ciliegie, cedro, arancia, ecc.), la buccia di un limone e di un'arancia non trattati, una bustina di vanillina, mezzo bicchiere di liquore aromatico (nel 2007 ho usato Cointreau e un goccio di Chivas, in passato si usava Strega ma nel 2013 ho usato Martini e il risultato mi è sembrato migliore).
Preparazione:
Complessivamente non richiede molto lavoro - 1 ora e mezza circa - però la preparazione si protrae per due giorni. Si comincia di pomeriggio stiepidendo 125 g di latte che verserete in un grosso recipiente, sciogliendovi il lievito. Attenzione a non far superare i 40° al latte altrimenti il lievito muore. Aggiungete quindi 150 g circa di farina amalgamando. Otterrete la cosiddetta "missitura" che lascerete lievitare fino a sera mantenendola coperta ad una temperatura non più bassa di 19-20°.
Dopo cena stiepidite 125 g di latte e scioglietevi il burro (o lo strutto). Sistemate l'uvetta in una tazza e cospargetela con il mezzo bicchiere di liquore. Grattugiate il limone e l'arancia, riducete a pezzetti la frutta candita e immergetela nel latte. Inserite zucchero, limone e arancia grattugiati e uova nel contenitore della missitura. Versate quindi l'uvetta e il liquore prima nel contenitore del latte e poi in quello della missitura e infine mescolate energicamente il tutto (nel 2021 con leccapentole) per almeno 5 minuti aggiungendo lentamente con un setaccino il resto della farina. A questo punto bisognerà lasciar lievitare l'impasto, che durante tutta la notte crescerà considerevolmente, prestando attenzione alle dimensioni del contenitore: se sono insufficienti l'impasto potrebbe traboccare. Nel mio caso ho usato due contenitori. I contenitori dovranno quindi essere sigillati da una pellicola e coperti con un canovaccio e una coperta. Non chiedetemi perché: mia madre e mia nonna lo facevano e l'ho fatto pure io.
Il mattino successivo si imburreranno e infarineranno due teglie a bordi alti e l'impasto lievitato verrà spostato in esse. Stiepidite quindi il forno ad una temperatura non superiore ai 40° e inseritevi le teglie possibilmente sullo stesso ripiano centrale. A questo punto avverrà una nuova lievitazione che dovrà durare tre ore circa. Consiglio di non spostare più le teglie e di non aprire più il forno. Dopo esperienza 2021 provare a far lievitare fuori da forno e infornare a 200°, abbassando dopo 5 min).
Dopo l'ulteriore lievitazione accendete il forno (solo la parte inferiore altrimenti la superficie del dolce si brucerà prima della cottura interna) e regolatelo inizialmente su una temperatura di 175° che porterete a 160-170° dopo una decina di minuti. (Nota 1. commento Francesco 2020) Se la forma delle pizze sviluppa una convessità le cose vanno bene, viceversa se diventa concava, significa che l'impasto si è sgonfiato (slievitato) e la sofficità del risultato lascierà a desiderare. Dopo un'ora dovrete controllare se l'interno delle pizze si è asciugato. A tale scopo è necessario infilare uno spiedino metallico fino al centro della pizza: se lo spiedino risulterà umido allora la cottura dovrà proseguire. Quando risulterà asciutto sfornatele, toglietele dalle teglie, lasciatele raffreddare per qualche ora e gustatele. Per mantenerle soffici più a lungo conservatele in bustine di plastica.
La mia fatica fine-settimanale è stata ricompensata: le pizze sono venute buone e soffici e persino Zucchero, che non è un'estimatrice delle pizze di Pasqua, mi ha detto che mi sono riuscite bene. Zucchero le mangia solo se fresche ed effettivamente quando si seccano non sono più gustabili come dolce. Io ho trovato però un modo molto gustoso per continuare a godermele anche se secche: inzuppate nel latte della colazione.
1. In linea generale per i lievitati forno statico piuttosto caldo (>200°C) all'inizio per far crescere l'impasto (per il pane meglio con un pentolino d'acqua in forno per tenere umida la superficie e non far fare la crosta prima del tempo e bloccare la lievitazione) dopo i primi 10min abbassare il forno tra 160/180 per tutto il tempo di cottura. Eventualmente coprire l'impasto all'inizio aiuta a non farlo cuocere troppo in superficie. Per le temperature e i tempi esatti devi basarti sul tuo forno ;) come direbbero da noi "t'ha da recoje 'u furnu"
Dopo l'ulteriore lievitazione accendete il forno (solo la parte inferiore altrimenti la superficie del dolce si brucerà prima della cottura interna) e regolatelo inizialmente su una temperatura di 175° che porterete a 160-170° dopo una decina di minuti. (Nota 1. commento Francesco 2020) Se la forma delle pizze sviluppa una convessità le cose vanno bene, viceversa se diventa concava, significa che l'impasto si è sgonfiato (slievitato) e la sofficità del risultato lascierà a desiderare. Dopo un'ora dovrete controllare se l'interno delle pizze si è asciugato. A tale scopo è necessario infilare uno spiedino metallico fino al centro della pizza: se lo spiedino risulterà umido allora la cottura dovrà proseguire. Quando risulterà asciutto sfornatele, toglietele dalle teglie, lasciatele raffreddare per qualche ora e gustatele. Per mantenerle soffici più a lungo conservatele in bustine di plastica.
La mia fatica fine-settimanale è stata ricompensata: le pizze sono venute buone e soffici e persino Zucchero, che non è un'estimatrice delle pizze di Pasqua, mi ha detto che mi sono riuscite bene. Zucchero le mangia solo se fresche ed effettivamente quando si seccano non sono più gustabili come dolce. Io ho trovato però un modo molto gustoso per continuare a godermele anche se secche: inzuppate nel latte della colazione.
1. In linea generale per i lievitati forno statico piuttosto caldo (>200°C) all'inizio per far crescere l'impasto (per il pane meglio con un pentolino d'acqua in forno per tenere umida la superficie e non far fare la crosta prima del tempo e bloccare la lievitazione) dopo i primi 10min abbassare il forno tra 160/180 per tutto il tempo di cottura. Eventualmente coprire l'impasto all'inizio aiuta a non farlo cuocere troppo in superficie. Per le temperature e i tempi esatti devi basarti sul tuo forno ;) come direbbero da noi "t'ha da recoje 'u furnu"
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