... segue da Interviste impossibili: Pitagora, Ippaso e la scoperta dell'irrazionale (prima parte)
Erano mesi che aveva la mente pervasa da quell’ossessione. Quasi non riusciva a pensare più ad altro: doveva riuscire a trovarne almeno due. Forse ne esistevano un’immensità. Ma a lui ne sarebbero bastati solo due. Eppure, per quanto si fosse impegnato molto a cercarli, non era ancora riuscito a scovarne neppure l'ombra.
L’ossessione era cominciata il giorno in cui Ippaso, durante la prova per l’ammissione di un nuovo allievo, aveva cominciato a tracciare con il suo stilo alcune figure su una tavoletta cerata.
- Allora Megacle vediamo come esporresti la proprietà del triangolo e dei quadrati costruiti su di esso.
Il giovane cominciò la sua esposizione commentandola cantilenando come se fosse una litania. Mentre annuiva Ippaso prese una tavoletta e iniziò a passarsela da una mano all’altra.
- È da questo che possiamo dedurre… - disse Megacle.
Ippaso prese il suo stilo e tracciò una prima figura sulla tavoletta: un quadrato.
- Poi, se consideriamo che … - continuò l’aspirante allievo mentre Ippaso tracciava una linea da un vertice a quello opposto dividendo così il quadrato in due due triangoli uguali.
- Da cui si può concludere… - disse Megacle sempre più incalzante mentre Ippaso disegnava dei quadrati sui lati del triangolo inferiore.
Quello era per Ippaso quasi un riflesso condizionato. Ogni volta che vedeva un triangolo rettangolo tracciava sempre dei quadrati sui suoi lati. Troppe volte aveva sentito il maestro insegnare il suo teorema e troppe volte lui stesso lo aveva insegnato ai nuovi allievi.
- Maestro! Mi state ascoltando? - chiese Megacle.
- Sì, sì! - disse Ippaso trasalendo. Penso che vada bene. Anche se la parte espositiva potrebbe essere migliorata. Dovrò parlarne con il maestro. Ti comunicheremo l’esito tra qualche giorno.
Tornando a casa Ippaso aveva continuato a pensare ai quadrati e ai triangoli che aveva tracciato durante la prova.
Dunque, secondo il nostro teorema il quadrato grande, quello costruito sulla diagonale del primo quadrato più piccolo, dovrebbe avere l'area uguale alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti. - pensò Ippaso guardando la figura sulla tavoletta.
Infatti in questo caso i due cateti coincidono con i lati del quadrato piccolo e l'ipotenusa con la diagonale dello stesso.
Inoltre, essendo anche i lati di un quadrato, i cateti hanno anche la stessa lunghezza.
Allora, se provo a considerare il caso più semplice, quello in cui il lato del quadrato piccolo abbia lunghezza uno, mi troverei nella situazione in cui anche i due cateti avrebbero lunghezza uno.
Frattanto Ippaso era giunto a casa. Entrò, prese delle nuove tavolette e si sedette.
Quindi, secondo il nostro teorema, l'area del quadrato grande dovrebbe essere uguale a... - e sulla tavoletta che conteneva la figura aggiunse la lettera A sul quadrato grande per indicarne l'area
e poi scrisse la seguente formula.
A = 1x1 + 1x1 = 2
- Illustre Pitagora, scusate se interrompo la vostra lettura, ma qui sull'adePhone mi sono arrivate le immagini e le formule. Guardandole mi sono posto una domanda: a quei tempi usavate già le cifre arabe? E i simboli erano uguali a quelli che usiamo noi? E Poi anche l’uso di quella parola, "teorema"…
- Ma che domande! Ovviamente no. Usavamo un modo completamente diverso per descrivere queste cose. Era molto più prolisso e complicato. Ed anche i termini erano diversi. Noi abbiamo semplificato! Vuole che le mandi quelle di formule? Vuole che usi sempre i termini filologicamente corretti?
- No, no, scusate, era solo una curiosità.
- Ecco, allora non mi interrompa più altrimenti perdiamo il filo. Torniamo al pensiero del povero Ippaso.
Tuttavia l’area del quadrato grande è anche uguale al suo lato moltiplicato per se stesso; che in questo caso coincide con la diagonale del quadrato piccolo moltiplicata per se stessa - pensò Ippaso e scrisse.
A = dxd
Ma abbiamo anche visto che A deve essere uguale a due e quindi anche la diagonale moltiplicata per se stessa deve essere uguale a due - e aggiunse sulla tavoletta:
dxd = 2
Quindi la lunghezza della diagonale, d, dovrebbe essere quel numero che moltiplicato per se stesso dia come risultato due. A questo punto mi chiedo che numero sia questo d. Dovrebbe essere abbastanza semplice trovarlo.
Prima di tutto posso dire che d dovrà essere compreso tra uno e due. Infatti se d fosse più piccolo di uno anche dxd sarebbe più piccolo di uno e se fosse più grande di due, dxd sarebbe più grande di quattro.
Pertanto d deve essere un rapporto tra due numeri in cui il numeratore è più grande del denominatore.
d=n/m n>m
Ippaso si era quindi messo a cercare quei due numeri n ed m. Pensava che usando le raffinate tecniche aritmetiche della scuola si sarebbe tolto la curiosità con un semplice esercizio.
Aveva cominciato a fare delle prove partendo da numeri piccoli:
3/2 x 3/2 = 9/4 = 2,25
No, troppo grande.
7/5 x 7/5 = 49/25 = 1,96
No, troppo piccolo.
11/8 x 11/8 = 121/64 = 1,890625
Ancora troppo piccolo.
23/16 x 23/16 = 529/256 = 2,06640625
Troppo grande.
Continuando le prove con coppie di numeri sempre più grandi dopo alcuni giorni Ippaso era arrivato a:
99/70 x 99/70 = 9801/4900 = 2,0002040816326530612244897959184
Che era ancora troppo grande.
Le tecniche di calcolo che conosceva non gli permettevano di andare molto oltre. E dopo giorni e giorni di ulteriori tentativi Ippaso aveva cominciato a sospettare che forse quella non era la strada giusta.
Nonostante la riluttanza dovuta al suo innato orgoglio si era quindi deciso a parlarne con il maestro.
Il giorno prima aveva aspettato Pitagora alla fine di una lezione e gli aveva illustrato le sue difficoltà. Il maestro si era reso conto rapidamente della complessità della questione. Avevano deciso di non parlarne con nessun altro ed erano rimasti d'accordo che l'indomani mattina il maestro sarebbe andato a casa di Ippaso e insieme avrebbero cercato di risolvere il problema.
…continua…
Erano mesi che aveva la mente pervasa da quell’ossessione. Quasi non riusciva a pensare più ad altro: doveva riuscire a trovarne almeno due. Forse ne esistevano un’immensità. Ma a lui ne sarebbero bastati solo due. Eppure, per quanto si fosse impegnato molto a cercarli, non era ancora riuscito a scovarne neppure l'ombra.
L’ossessione era cominciata il giorno in cui Ippaso, durante la prova per l’ammissione di un nuovo allievo, aveva cominciato a tracciare con il suo stilo alcune figure su una tavoletta cerata.
- Allora Megacle vediamo come esporresti la proprietà del triangolo e dei quadrati costruiti su di esso.
Il giovane cominciò la sua esposizione commentandola cantilenando come se fosse una litania. Mentre annuiva Ippaso prese una tavoletta e iniziò a passarsela da una mano all’altra.
- È da questo che possiamo dedurre… - disse Megacle.
Ippaso prese il suo stilo e tracciò una prima figura sulla tavoletta: un quadrato.
- Poi, se consideriamo che … - continuò l’aspirante allievo mentre Ippaso tracciava una linea da un vertice a quello opposto dividendo così il quadrato in due due triangoli uguali.
- Da cui si può concludere… - disse Megacle sempre più incalzante mentre Ippaso disegnava dei quadrati sui lati del triangolo inferiore.
Quello era per Ippaso quasi un riflesso condizionato. Ogni volta che vedeva un triangolo rettangolo tracciava sempre dei quadrati sui suoi lati. Troppe volte aveva sentito il maestro insegnare il suo teorema e troppe volte lui stesso lo aveva insegnato ai nuovi allievi.
- Maestro! Mi state ascoltando? - chiese Megacle.
- Sì, sì! - disse Ippaso trasalendo. Penso che vada bene. Anche se la parte espositiva potrebbe essere migliorata. Dovrò parlarne con il maestro. Ti comunicheremo l’esito tra qualche giorno.
Tornando a casa Ippaso aveva continuato a pensare ai quadrati e ai triangoli che aveva tracciato durante la prova.
Dunque, secondo il nostro teorema il quadrato grande, quello costruito sulla diagonale del primo quadrato più piccolo, dovrebbe avere l'area uguale alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti. - pensò Ippaso guardando la figura sulla tavoletta.
Infatti in questo caso i due cateti coincidono con i lati del quadrato piccolo e l'ipotenusa con la diagonale dello stesso.
Inoltre, essendo anche i lati di un quadrato, i cateti hanno anche la stessa lunghezza.
Allora, se provo a considerare il caso più semplice, quello in cui il lato del quadrato piccolo abbia lunghezza uno, mi troverei nella situazione in cui anche i due cateti avrebbero lunghezza uno.
Frattanto Ippaso era giunto a casa. Entrò, prese delle nuove tavolette e si sedette.
Quindi, secondo il nostro teorema, l'area del quadrato grande dovrebbe essere uguale a... - e sulla tavoletta che conteneva la figura aggiunse la lettera A sul quadrato grande per indicarne l'area
e poi scrisse la seguente formula.
A = 1x1 + 1x1 = 2
- Illustre Pitagora, scusate se interrompo la vostra lettura, ma qui sull'adePhone mi sono arrivate le immagini e le formule. Guardandole mi sono posto una domanda: a quei tempi usavate già le cifre arabe? E i simboli erano uguali a quelli che usiamo noi? E Poi anche l’uso di quella parola, "teorema"…
- Ma che domande! Ovviamente no. Usavamo un modo completamente diverso per descrivere queste cose. Era molto più prolisso e complicato. Ed anche i termini erano diversi. Noi abbiamo semplificato! Vuole che le mandi quelle di formule? Vuole che usi sempre i termini filologicamente corretti?
- No, no, scusate, era solo una curiosità.
- Ecco, allora non mi interrompa più altrimenti perdiamo il filo. Torniamo al pensiero del povero Ippaso.
Tuttavia l’area del quadrato grande è anche uguale al suo lato moltiplicato per se stesso; che in questo caso coincide con la diagonale del quadrato piccolo moltiplicata per se stessa - pensò Ippaso e scrisse.
A = dxd
Ma abbiamo anche visto che A deve essere uguale a due e quindi anche la diagonale moltiplicata per se stessa deve essere uguale a due - e aggiunse sulla tavoletta:
dxd = 2
Quindi la lunghezza della diagonale, d, dovrebbe essere quel numero che moltiplicato per se stesso dia come risultato due. A questo punto mi chiedo che numero sia questo d. Dovrebbe essere abbastanza semplice trovarlo.
Prima di tutto posso dire che d dovrà essere compreso tra uno e due. Infatti se d fosse più piccolo di uno anche dxd sarebbe più piccolo di uno e se fosse più grande di due, dxd sarebbe più grande di quattro.
Pertanto d deve essere un rapporto tra due numeri in cui il numeratore è più grande del denominatore.
d=n/m n>m
Ippaso si era quindi messo a cercare quei due numeri n ed m. Pensava che usando le raffinate tecniche aritmetiche della scuola si sarebbe tolto la curiosità con un semplice esercizio.
Aveva cominciato a fare delle prove partendo da numeri piccoli:
3/2 x 3/2 = 9/4 = 2,25
No, troppo grande.
7/5 x 7/5 = 49/25 = 1,96
No, troppo piccolo.
11/8 x 11/8 = 121/64 = 1,890625
Ancora troppo piccolo.
23/16 x 23/16 = 529/256 = 2,06640625
Troppo grande.
Continuando le prove con coppie di numeri sempre più grandi dopo alcuni giorni Ippaso era arrivato a:
99/70 x 99/70 = 9801/4900 = 2,0002040816326530612244897959184
Che era ancora troppo grande.
Le tecniche di calcolo che conosceva non gli permettevano di andare molto oltre. E dopo giorni e giorni di ulteriori tentativi Ippaso aveva cominciato a sospettare che forse quella non era la strada giusta.
Nonostante la riluttanza dovuta al suo innato orgoglio si era quindi deciso a parlarne con il maestro.
Il giorno prima aveva aspettato Pitagora alla fine di una lezione e gli aveva illustrato le sue difficoltà. Il maestro si era reso conto rapidamente della complessità della questione. Avevano deciso di non parlarne con nessun altro ed erano rimasti d'accordo che l'indomani mattina il maestro sarebbe andato a casa di Ippaso e insieme avrebbero cercato di risolvere il problema.
…continua…