domenica, marzo 29, 2020

Coronavirus e la crisi dell'Unione Europea

Mi trovo in totale accordo con António Costa, il primo ministro portoghese che ha definito ripugnante l’atteggiamento del ministro delle Finanze olandese (Wopke Hoekstra propone di mettere sotto inchiesta i paesi che non hanno le risorse di bilancio per far fronte all’epidemia di coronavirus). Così come trovo ripugnante, inadeguato e sconveniente l’atteggiamento di Christine Lagarde quando dice che “non è nei miei piani passare alla storia per un altro whatever it takes” e quello di Ursula Von der Leyen quando afferma che "i Coronabond sono solo uno slogan".
Allo stesso tempo mi viene da considerare l’iniziativa di Conte come la più congrua possibile in questo momento. E cioè combattere fino all’ultimo barlume di energia per ottenere quello che ci spetta e che ci si aspetta da una comunità di stati che abbiamo contributo a fondare, che abbiamo sostenuto per 63 anni e alla quale si dà (2 miliardi annui netti) per sostenere le regioni più povere e dalla quale ci si aspetta di ricevere nel momento del bisogno. Dobbiamo unrici in un fronte compatto con gli altri otto paesi alleati (Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Slovacchia) e pretendere il cambiamento dei parametri per affrontare questa crisi senza precedenti.
Ecco quali sono le prime argomentazioni che mi sono venute in mente a sostegno di questa tesi, tenendo presente che io non sono né un economista, né un politologo, né un sociologo e quindi riporto solo la mia impressione di persona incompetente basata su dati a mia disposizione e su qualche riflessione.

Credo che in questo momento di grande difficoltà e di apparente disgregamento dei valori di solidarietà alla base di ogni patto comunitario, nel piccolo nel grande, tutti dovremmo fare uno sforzo per rimanere razionali e non cedere alle sirene delle soluzioni facili. È molto raro che le soluzioni facili siano quelle giuste quando i problemi sono complessi. E credo nessuno possa negare la complessità del problema sanitario ed economico attuale.
Le sirene delle soluzioni facili in questo momento ci dicono: usciamo dall’Europa, usciamo dall’euro. Ma aldilà dello slogan dovremmo riflettere su che cosa implicherebbero queste soluzioni nella pratica.

1. Uscire dall’UE ci permetterebbe di affrontare i problemi prodotti dal coronavirus a breve termine? Per darci una risposta sui modi e sui tempi dell’uscita dall’Europa potremmo semplicemente considerare il caso di Brexit: a che cosa hanno portato tre anni di trattative, tentennamenti e ripensamenti?

2. Pure ammettendo che l'uscita dall'UE possa avvenire dall’oggi al domani, quali risorse finanziarie avrebbe l’Italia per poter affrontare da sola la grossa crisi sanitaria ed economica presente e futura?

3. L’Italia ogni anno versa all’Ue 2 miliardi in più di quanto riceve (la Germania ne versa nove).
Uscendo potremmo rivendicare i miliardi di euro versati negli anni?

4. Non dovremmo invece considerare l’iniziativa di Conte come la più razionale e congrua possibile in questo momento? E cioè combattere fino all’ultimo barlume di energia per ottenere quello che ci spetta e che ci si aspetta da una comunità alla quale si dà (Vedi i 2 miliardi annui di cui sopra) e dalla quale ci si aspetta di ricevere nel momento del bisogno? È la comunità che abbiamo contributo a fondare, che abbiamo sostenuto per 63 anni e che adesso dobbiamo contribure a far cambiare. Dobbiamo unrici in un fronte compatto con gli altri otto paesi alleati (Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Slovacchia, che insieme rappresentatno il 60% del PIL europeo) e pretendere il cambiamento dei parametri per affrontare questa crisi senza precedenti.

1 commento:

dioniso ha detto...

Pare che al gruppo dei nove governi (capitanato da Italia, Francia e Spagna e che include Portogallo, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Slovacchia) che si sono schierati contro Germania e Paesi Bassi si siano aggiunti i tre Stati del Baltico (Estonia, Lettonia e Lituania) e Cipro.