mercoledì, aprile 29, 2015

Antropologia quantistica

Ma allora anche nei sistemi antropologici così come nella meccanica quantistica non si possono fare rilevazioni senza alterare il sistema stesso!?
È la domanda che mi è venuta in mente durante l'ascolto di due interessanti puntate di Patrizia Giancotti intitolate "A MEMORIA D'UOMO".
Nella seconda di queste puntate si parla del video sul tarantismo degli anni '60 di Carpitella. Il video fu girato per documentare la pratica della meloterapia del tarantismo. L'intenzione era quindi che il video dovesse essere solo uno strumento di rilevazione. E invece quale è stato uno dei risultati finali sviluppatisi nel tempo? 
Parafrasando le conclusioni della seconda puntata.
Il film vuole prelevare la vita vera ed incamerarla. E la danza entra nel film. Ma le riprese vennero effettuate con una cinepresa con carica a molle degli anni '60. E la velocità di quella cinepresa è poi diventata la velocità del tarantismo che, nonostante la sua frenesia, è una danza leggermente più lenta rispetto ai ritmi di quelle immagini. Il fascino di quel documento è che ci mostra il tarantismo com'era ma anche come non era.
Cioè quel video ha influenzato le future interpretazioni di quella danza producendo un'imitazione di se stessa diversa dall'originale. Quindi anche nei sistemi antropologici, così come nella meccanica quantistica, può succedere che le rilevazioni alterino il sistema stesso?
Nelle puntate viene anche citato l'esempio del pastore che ha sempre suonato e cantato nelle feste, ma soprattutto per se stesso, e che ha introiettato quel codice e quei ritmi tramandati nei secoli, ma che, nel momento in cui, anche a causa degli studi antropologici, percepisce di essere il depositario di un sapere arcaico, guardandosi allo specchio altera la percezione della sua musica, del suo codice e di se stesso. E di conseguenza la sua musica cambia.
Mi sono anche tornati in mente i casi dei gangster che imitano la loro immagine proiettata sul grande schermo. La realtà viene registrata nelle immagini, ma nel momento in cui gli oggetti (o aspiranti tali) della registrazione si rivedono alterano la propria auto-percezione e imitano quella loro immagine.

Ma allora forse aveva ragione Hofstadter: l'autoreferenza genera sempre cortocircuiti?

Ad ogni modo le puntate sono quelle del 25 e 26 aprile e si trovano qui.
Questi sono i link diretti:

sabato, aprile 18, 2015

Nuova bicicletta: Dulcinea II

Due settimane fa siamo andati nel paradiso delle biciclette. E dopo un giro veloce di considerazioni, di consigli e di guida sulla pista ho deciso quale sarebbe stata l'erede di Dulcinea.
 Ed ecco a voi Dulcinea II! In tutta la sua scura bellezza.
Come catena scoraggia-ladri mi hanno consigliato questa a metro di muratore. Dice che è una delle più resistenti. Ma ho già trovato un video in cui viene spezzata con un frullino. In quest'altro video però sembra essere davvero una delle migliori. Vedremo.
Ora devo dotare Dulcinea II di un cestello posteriore altrimenti non potrò usarla per andare alle prove con trombone, iPad e leggio.

giovedì, aprile 16, 2015

Dodecafonia

Dopo aver considerato la teoria e aver ascoltato Schönberg, Webern e Berg arrivò a una conclusione:
la dodecafonia è una cacata pazzesca!
Seguirono 92 minuti di applausi.






mercoledì, aprile 15, 2015

Carnevale della Matematica #84 - I mestieri dei matematici

L'edizione di aprile del Carnevale della Matematica è ospitato da maddmaths. Il tema è "I mestieri dei matematici".
Io ho contribuito con la Cellula Melodica



e con il mio articoletto così introdotto:

Dioniso Dionisi per Pitagora e dintornici domanda: "Se vi chiedessi qual è il vostro numero preferito che rispondereste? E se vi chiedessi se i numeri hanno un sesso? E lo sapete che esiste una legge matematica per capire se qualcuno vi sta frodando? Ma allora come non dire che quello dello “scovatore di frodi” non sia un lavoro da matematici? Qual è il sesso dei numeri? E il numero preferito? E il numero più comune?

Il mese prossimo l'edizione numero 85 del 14 maggio 2015 (“tra i cespugli zampettando") verrà ospitata da Notiziole di .mau.

Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale
Pagina del Carnevale su Facebook

Ma allora le razze esistono davvero?

L'affermazione che il concetto di razza avrebbe una base scientifica mi ha fatto sobbalzare. Lo stavano dicendo durante una puntata di Radio3 Scienza mica a un comizio di Salvini!
Ma come!? - ho pensato. - Non è uno di quelle cose che ci ripetono e ci ripetiamo da anni? Non era già stato archiviato tutto anche grazie al lavoro di Luigi Luca Cavalli-Sforza esposto in parte in Geni, popoli e lingue che ci ha spiegato come il concetto di razza umana sia totalmente arbitrario?
Presto capisco che il responsabile dell'affermazione è Nicholas Wade, un noto giornalista e divulgatore scientifico anglo-americano, che ha esposto la sua tesi nel libro A Troublesome Inheritance: Genes, Race and Human History.


La tesi di Wade è che le differenze nei successi e negli insuccessi in diversi campi di diverse "razze" sarebbero riconducibili a differenze genetiche amplificate da differenze culturali.
A controbattere la tesi di Wade a Radio3 Scienza c'era Giovanni Destro Bisol, un antropologo molecolare.
Nell'intervista Wade sostiene che gli studi degli ultimi quindici anni, post-mappatura del DNA, sul genoma umano dimostrerebbero che la nozione di razza avrebbe una base biologica. Ma questo fatto non deve dare una base scientifica al razzismo - dice Wade.
Poi prosegue dicendo che Sforza, così come molti altri scienziati, non usava il termine "razza" ma ne usava il concetto. E che gli scienziati continuano a usare il concetto di razza tra loro perché è indispensabile ma poi pubblicamente usano la convenzione di non citare il termine "razza" e usano degli eufemismi, come "struttura di popolazione". E negli ultimi anni Wade si è accorto che stavano affiorando sempre più informazioni per poter descrivere le razze su basi scientifiche ma gli scienziati non ne parlavano. - Con questo libro è come se avessi esclamato: il re è nudo - conclude Wade.
Giovanni Destro Bisol dice, invece che la diversità tra i vari gruppi non può essere descritta da schemi rigidi come quello di razza. Sia perché non ci sono chiari confini genetici tra i vari gruppi, ma la diversità segue un andamento graduale; sia perché gran parte della diversità genetica è già presente all'interno di quegli insiemi di individui che condividono un luogo geografico e una cultura che sono le popolazioni. Paradossalmente, potrebbero esserci un nigeriano e un italiano con meno diversità genetica di quella riscontrabile tra due italiani.
Sembra che il libro abbia ricevuto critiche dalla maggior parte della comunità scientifica, inclusi molti degli scienziati sui cui risultati Wade basa le sue conclusioni. Ad agosto del 2014 il New York Times Book Review ha pubblicato una lettera firmata da 144 docenti in materia di genetica delle popolazioni e biologia evolutiva. Nella lettera si legge (liberamente tradotta):

...Wade giustappone un resoconto incompleto e inaccurato delle nostre ricerche sulle diversità genetiche umane a sue speculazioni secondo cui la recente (degli ultimi 50.000 anni) selezione naturale avrebbe generato differenze nei risultati del test I.Q. e nello sviluppo delle istituzioni politiche ed economiche. Noi non accettiamo l'implicazione di Wade che i risultati delle nostre ricerche convalidino le sue congetture. Perché non le convalidano.
In risposta alla lettera, Wade ha scritto: "Questa lettera è il risultato di considerazioni politiche e non scientifiche. Sono sicuro che la maggior parte dei firmatari non abbia letto il mio libro [...]".

Non posso trarre conclusioni basate sulla lettura del libro di Wade perché non l'ho letto e perché non sono un esperto in materia. Però i fatti che ho riportato mi spingono a dare sicuramente più credito ai firmatari della lettera.

mercoledì, aprile 01, 2015

The Hoods o C'era una volta in America

La lettura di The Hoods sta dando una nuova vita e aggiungendo nuovi dettagli a una delle storie cinematografiche che ho più amato: quella di C'era una volta in America. Il libro, a differenza del film che ha ispirato, viene narrato in ordine cronologico. Si apre con una scena in cui Noodles è seduto sui banchi di scuola. Seguita da una scena in cui il direttore della scuola cerca di convincere l'adolescente, fornendogli le opportunità, a continuare gli studi. Ma, nonostante l'intelligenza e l'umanità del direttore, Noodles respinge la proposta recitando bene la sua parte di duro e reprimendo invece le spinte provenienti dalla sua passione. Eh sì, Noodles ha una passione che non affiora per niente nel film di Sergio Leone: quella per i libri. Ebbene sì! Il ragazzino cresciuto nei bassifondi della Lower East Side sviluppa un interesse morboso per la lettura, tra le varie peripezie causate dall'assenza di luce per mancanza di gas e per la mancanza di soldi. Passione che alla fine lo porterà a scrivere la sua storia di malavitoso.
Ma sono circa alla metà del libro e sto lentamente pre- e post-gustando tutte le nuove e le ri-scoperte.

Correlato a Il conte di Montecristo e C'era una volta in America

lunedì, marzo 30, 2015

Epitaffio a Dulcinea

Dopo quasi sette anni e qualche migliaio di chilometri di viaggi insieme la mia cara Dulcinea mi ha lasciato.
O meglio, se la sono portata via. Al suo posto ho trovato i resti metaforici di una catena spezzata.
Nei prossimi giorni, o forse dopo Pasqua, dovrò procurarmi una degna erede. E, visto che  non ho cambiato idea dal 2008, l'erede sarà rigorosamente da donna.
Il misfatto è avvenuto nottetempo difronte alla biblioteca universitaria. Avevamo lasciato le bici lì perché, dopo una cena, a tarda ora, e viste le temperature, abbiamo preferito approfittare del passaggio di un'amica. La bici di Zucchero fortunatamente non è stata toccata.

mercoledì, marzo 25, 2015

Qual è il sesso dei numeri? E il numero preferito? E il numero più comune?

Se vi chiedessi qual è il vostro numero preferito che rispondereste? E se vi chiedessi se i numeri hanno un sesso?
Nel mio caso le mie risposte hanno coinciso in ambo i casi con le risposte della maggioranza degli intervistati.
Mi direte: ma che senso ha la domanda se i numeri abbiano un sesso? Bene, allora restringiamo il campo. I dispari sono maschili o femminili? Restringiamo ancora. Il numero 1 è maschile o femminile? E il 2?
Se volete rispondere senza essere influenzati fatelo ora, nei commenti, prima di leggere la fine di questo post.
Le risposte che troverete alla fine provengono dal libro di Alex Bellos pubblicato in italiano con il titolo I numeri ci somigliano. Libro che non ho letto. Ho ascoltato però l'intervista a Bellos di Radio3 Scienza del 17 marzo. Oltre alla domanda sul sesso dei numeri e sul numero preferito, durante l'intervista si parla di una legge matematica che ha dell'incredibile. La legge di Benford. Se uno vi dicesse prendiamo una tabella contenente tutti i numeri di abitanti di tutti i comuni italiani. Avreste una tabella con più di ottomila numeri. Dal 36 (il numero di abitanti di Pedesina) al 2.872.086 (il numero di abitanti di Roma). Se qualcuno vi chiedesse: preso un numero a caso da quell'insieme, qual è la probabilità che quel numero cominci con la cifra 1? (Come, ad esempio, il numero di abitanti del mio paese che, nell'anno in cui sono nato, era poco sopra ai 1900)

A intuito penso che tutti considereremmo il problema come equivalente al lancio di un ipotetico dado a nove facce con una possibilità (quella di avere 1 come prima cifra) su nove cifre, quindi 1/9. Cioè circa l'11,11% di probabilità che un numero scelto a caso cominci con la cifra 1. Allo stesso modo, circa l'11,11% di probabilità che quel numero cominci con la cifra 2, e così via.
E invece guardate qua! Il 31% di quei numeri cominciano con la cifra 1, il 16,9% con la cifra 2, il 12,9% con la cifra 3, e così a scendere.

E la cosa interessante è che questa non è una caratteristica dei comuni italiani. Qualsiasi altro insieme di dati reali "sufficientemente grande" e "sufficientemente distribuito su diversi ordini di grandezza" dovrebbe seguire la distribuzione stabilita da questa legge.
Ad esempio, se considero le cifre dei conti in banca di tutti i conti correnti italiani dovrei ottenere quella distribuzione. Ma, sorprendentemente, anche se converto quei numeri in dollari, o in yen, o in sterline dovrei ottenere sempre quella distribuzione!

E allora qualcuno ha pensato: perché non usare questa legge per scovare le frodi? Con l'idea che, di solito, chi froda non conosce questa legge e tende a inserire numeri con cifre equamente distribuite. Ed effettivamente negli Stati Uniti la legge di Benford è stata accettata come prova nella contabilità forense.
Ma allora come non dire che quello dello scovatore di frodi non sia un lavoro da matematici?
E quindi anch'io mi sono messo al lavoro e ho creato una tabella con i dati relativi al mio conto corrente. Ho preso i dati degli ultimi mesi, poco più di cento numeri, e li ho riassunti nella tabella sottostante. Nella prima colonna c'è la cifra, nella seconda il numero di volte che occorre come prima cifra dei vari numeri presenti nel mio conto corrente, poi la percentuale sul totale e infine la percentuale secondo la legge di Benford.

Conto Legge
1 45 42,06%   30.1%
2 19 17,76%  17.6%
3 11 10,28%   12.5%
4 10 9,35%   9.7%
5 10 9,35%   7.9%
6 2 1,87%   6.7%
7 3 2,80%   5.8%
8 4 3,74%   5.1%
9 3 2,80%   4.6%

Come vedete, le cifre che si discostano di più dalla legge sono l'1, con una differenza del 12,5% in più, il 6, con poco meno del 5% in meno, e il 7, l'8 e il 9, che hanno tutti meno occorrenze rispetto ai valori previsti dalla legge.
Ora sono un po' incerto se giudicare questo andamento come accettabilmente aderente alle previsioni della legge di Benford o se avviare una battaglia legale per frode nei confronti della mia banca. Posso considerare un insieme di 107 numeri "sufficientemente grande"? E soprattutto, posso considerare l'insieme dei numeri del mio conto "sufficientemente distribuito su diversi ordini di grandezza? Direi di no. Di certo gli ordini di grandezza non sono così ampi come quelli dei comuni italiani. E allora per stavolta la banca si è salvata.

Ah, quasi dimenticavo i risultati del sondaggio. Allora, la stragrande maggioranza degli intervistati considera i dispari maschili e i pari femminili.
E il numero preferito è il numero 7.
Comunque, se volete conoscere dei tentativi d'interpretazione delle ragioni di tali risultati ascoltate l'intervista a Bellos di Radio3 Scienza del 17 marzo. Vi dico solo che «già nelle prime rappresentazioni numeriche, in Mesopotamia, la parola per il numero uno, ges, significava uomo, mentre min, due, voleva dire anche donna. Poi, nel VI secolo a.C., Pitagora rafforzò il concetto definendo "maschili" i numeri dispari e "femminili" i numeri pari».
Ebbene sì. Si torna sempre lì.

domenica, marzo 15, 2015

Carnevale della Matematica #83 - una speciale giornata del pi greco

È ormai il quarto anno consecutivo che DropSea ospita il Carnevale della matematica nella giornata del pi greco. E che giornata del pi greco quella di quest'anno! Nella data del 14 marzo espressa nel formato americano non troverete infatti solo le solite tre cifre del pi greco 314 ma troverete anche le altre due: 15. E se farete cominciare il carnevale alle 9:26, come ha fatto Gianluigi, riuscirete ad avere un'approssimazione a otto cifre. Peccato che blogger non consente di inserire i secondi nella data di pubblicazione, dice Gianluigi, altrimenti avremmo avuto altre due cifre.

Così Gianluigi introduce i miei contribuiti:

Dopo la letteratura, passiamo alla letteratura e alla musica con Flavio Ubaldini:
È noto che i pittori medioevali, soprattutto fino al XIII sec., non riuscivano a rappresentare molto bene la dimensione della profondità spaziale. Ma, a partire dal XIV secolo, la Prospettiva cominciò a imporsi. E il primo a ideare un metodo per rappresentare gli edifici in prospettiva fu...
Lo so che siete lì, che volete sapere "chi fu! chi fu!" E allora un solo consiglio, andate a leggere La nascita della prospettiva e i suoi aspetti geometrici.
Il buon Flavio manda anche un secondo contributo, il cui titolo dice (più o meno) tutto: Come è stato scelto il genere dei nomi tedeschi?. Ovviamente... "mathematics rules"!
L'ultimo contributo di Flavio è, infine, di genere musicale: in luogo dell'usuale (da qualche edizione) cellula melodica dedicata all'ordinale del carnevale, ecco invece la cellula melodica dedicata al 14 marzo 2015 senza versi. Solo con 3, 2 × 7 3 × 5
83 è un numero primo troppo grande per essere incluso nella cellula melodica gaussiana. Purtroppo la melodia gaussiana non è come la poesia: ha dei buchi. Pure se inserissimo i quarti di tono indiani prima o poi arriveremmo a un limite. L'unica soluzione sarebbe poter avere una variazione continua delle frequenze ma poi dovrei anche creare un nuovo modo per rappresentare le note

Il mese prossimo l'edizione numero 84 del 14 aprile 2015 (“il merlo melodioso canta, canta”) verrà ospitata da MaddMaths!

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domenica, marzo 08, 2015

Come è stato scelto il genere dei nomi tedeschi?

La condivisione di questa foto da parte di Fabio Ronci mi ha ispirato alcune considerazioni grammaticali/probabilistiche sul genere dei nomi tedeschi.
Commentando la simpatica immagine dicevo a Fabio che, volendo essere pignoli e dando per buoni questi dati: maschile 47%, femminile 40%, neutro 13% , per avvicinarsi un po' di più alla realtà delle percentuali del genere dei nomi tedeschi si sarebbero dovute assegnare tre delle facce dei dadi al der (50%), due al die (33% approssimando) e una al das (17%).
Poi ho pensato che ancor meglio sarebbe stato passare dal cubo del dado a sei facce all'ottaedro del dado a otto facce. Assegnando quattro facce al der (50%), tre al die (37,5%) e una al das (12,5%). E la domanda successiva non poteva che essere: con i tipi di dadi generalmente in uso qual è il numero di facce che meglio approssima quelle percentuali?
Sicuramente ci sarà un modo matematicamente rigoroso per affrontare il problema. Se qualcuno dovesse conoscerlo si faccia pure avanti. Io, pigramente, l'ho affrontato in modo euristico.
Uno potrebbe pensare che aumentando il numero di facce l'approssimazione migliori uniformemente. La tendenza dovrebbe essere quella ma, se passiamo dall'ottaedro del dado a otto facce al trapezoedro pentagonale del dado a dieci facce otteniamo un'approssimazione di: cinque facce al der (50%), quattro al die (40%) e una al das (10%). E questa approssimazione è migliore di quella del dado a otto facce? Forse dovremmo definire una metrica per decidere come si misura un'approssimazione. Un modo semplice potrebbe essere quello di considerare la somma delle differenze dalle percentuali precise. In questo modo zero sarebbe la misura dell'approssimazione migliore e, con il crescere della misura, peggiorerebbe l'approssimazione. Con questa misura, per l'ottaedro otterremmo 6 e anche per il dado a dieci facce otteniamo 6. Mentre per il dado tradizionale avevamo 14.
E se proviamo con il dodecaedro del dado a 12 facce otteniamo: sei facce (50%) al der, 4 (33%) al die e 2 (17%) al das. E cioè 14. La stessa approssimazione delle sei facce ma nettamente peggiore rispetto alle otto e alle dieci facce.
Certo se poi ci spingiamo verso le varianti più rare fino ad arrivare allo zocchihedron del dado a cento facce, in quel caso riusciamo a ottenere un'approssimazione perfetta con 47 facce al der, 40 al die e 13 al das.

mercoledì, marzo 04, 2015

La Terra dei fuochi e il masochismo degli Italiani

Se volete avere un'idea dei controlli effettuati per accertare l'effettiva tossicità dei prodotti della Terra dei fuochi vi invito ad ascoltare questa puntata di Radio3 Scienza.
"Mappature, sopralluoghi, campionamenti. E poi rilievi chimici, analisi della radioattività e della tossicità: tutto per distinguere i terreni coltivabili da quelli off-limits. La Terra dei fuochi torna ad essere argomento di cronaca ora che, dopo mesi di lavoro, vengono pubblicati i primi dati. Con quali esiti? I prodotti agricoli della zona sono davvero a rischio? Lo chiediamo a Marinella Vito, direttore tecnico dell'Arpa Campania."
Da quello che ne so l'Italia possiede uno dei sistemi migliori in Europa per il controllo delle contraffazioni e della non tossicità dei cibi. Diciamocelo qualche volta mettendo da parte il nostro innato masochismo che ci porta ad autoscreditarci in continuazione autogettandoci addosso palate di fango.

E relativamente al masochismo nazionale, che spesso osservo e di cui a volte sono vittima anch'io, molto istruttiva è questa puntata di Pane quotidiano con Vittorino Andreoli.
"Masochismo mascherato. Fede assoluta. Individualismo spietato. Sono alcuni dei sintomi che nel suo nuovo libro “Ma siamo tutti matti” Andreoli riscontra nel popolo italiano. Non una media dei vizi nazionali, ma un vero e proprio quadro clinico che rivela, con una “pietas” che è quasi un atto d’amore per l’Italia, le influenze del contesto storico e sociale sulla nostra psiche collettiva, perennemente in bilico tra normalità e follia."
Qui c'è pure una sua intervista.

E anche questa puntata di Fahrenheit: Italiani, vil razza dannata.
"Secondo i dati forniti dal Reputation Institute, gli italiani non si piacciono, non si vogliono bene: il nostro Paese è all'ultimo posto nella graduatoria della fiducia in sé stessi, nell'autostima. A cosa è dovuto tutto questo pessimismo? Lo chiediamo a Ilvo Diamanti, docente Scienza Politica e Comunicazione politica Università Urbino-Carlo Bo, ultimo libro Democrazia ibrida, Laterza 2014 e con Vittorino Andreoli, psichiatra e autore di Ma siamo matti. Un paese sospeso tra normalità e follia, Rizzoli 2015 e Elena Pulcini, docente di Filosofia politica nell’Università di Firenze, ultimo libro Invidia. La passione triste. I 7 vizi capitali, Il Mulino 2011."

domenica, marzo 01, 2015

Il rinascimento: la nascita della prospettiva e i suoi aspetti geometrici - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo parlato dei progressi che  Niccolò Copernico e Georg Joachim Rheticus apportarono alla trigonometria. In particolare, Rheticus, con l'Opus palatinum de triangulis, pubblicato dopo la sua morte, fece raggiungere alla trigonometria un livello di maturità molto avanzato.
Ma, tornando indietro di qualche anno e cambiando settore della matematica, possiamo osservare che in Italia cominciarono a svilupparsi nuovi rapporti tra la geometria e le arti figurative. È noto che i pittori medioevali, soprattutto fino al XIII sec., non riuscivano a rappresentare molto bene la dimensione della profondità spaziale. Ma, a partire dal XIV secolo, la Prospettiva cominciò a imporsi. Dapprima, con Giotto (1267 – 1337) e Ambrogio Lorenzetti  (1290 – 1348) (Annunciazione - 1344), in modo piuttosto intuitivo, e in seguito, durante il Rinascimento, attraverso approcci più scientifici.




http://carnevalenrico.altervista.org/
Il primo a ideare un metodo per rappresentare gli edifici in prospettiva fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 - 1446)1. A lui si deve l'invenzione della prospettiva a punto unico di fuga. Attraverso studi ed esperienze condotte con l'aiuto di strumenti ottici, Brunelleschi elaborò un procedimento per rappresentare gli edifici in prospettiva. Grazie a Leon Battista Alberti (1404 - 1472) sappiamo che due tavolette di Brunelleschi andate perdute raffiguravano il battistero visto dalla porta di Santa Maria del fiore, la piazza della Signoria e palazzo Vecchio. Alberti, inoltre, produsse la prima trattazione scritta sulla prospettiva a noi pervenuta: il De Pictura (1434-1436).
http://www.istitutomaserati.it/ 
Tra le altre cose il trattato descrive un metodo ideato dallo stesso Alberti per rappresentare, nel piano del dipinto verticale, una serie di quadrati disposti nel piano del pavimento orizzontale.
Sia V il punto della veduta in cui è situato l'occhio, h la distanza dal pavimento e k la distanza dal piano del dipinto. L'intersezione del piano del pavimento con il piano del dipinto viene chiamato "la linea giacente", il piede C della perpendicolare tirata da V al piano del dipinto viene chiamato "centro della visione" o punto di fuga principale, la linea passante per C e parallela alla line giacente è nota come "linea di fuga", e i punti situati su questa linea alla distanza k da C sono chiamati "punti di distanza". Se prendiamo dei punti equidistanti tra loro lungo la linea giacente, e se tracciamo delle linee che uniscano questi punti con C, allora la proiezione di queste linee sul piano del pavimento formerà un insieme di linee parallele ed equidistanti. Se da V tracciamo linee di connessione con tali punti, in modo da formare un altro insieme di linee che intersecano il piano del dipinto in altri punti, e se per questi ultimi punti tracciamo delle parallele alla linea giacente, allora l'insieme di trapezi nel piano del dipinto corrisponderà a un insieme di quadrati nel piano del pavimento.
Un ulteriore progresso nello sviluppo della prospettiva venne effettuato da Piero della Francesca (1416/1417 circa - 1492) nel suo secondo trattato De prospectiva pingendiPiero della Francesca affrontò un problema più complesso rispetto a quello affrontato dall'Alberti. E cioè quello di dipingere nel piano del dipinto oggetti tridimensionali così come essi vengono visti da un dato punto di veduta. Il suo primo trattato, Trattato d'abaco, scritto trent'anni prima, era invece dedicato alla matematica applicata al calcolo commerciale. E il suo terzo e ultimo trattato, Libellus de quinque corporibus regularibus, è dedicato alla geometria e riprende temi antichi di tradizione platonico-pitagorica, come, ad esempio, il riferimento alla "divina proporzione" secondo la quale si intersecano le diagonali di un pentagono regolare. Nel trattato Piero della Francesca trova inoltre il volume comune a due cilindri circolari uguali i cui assi si intersecano ad angoli retti. E arriva a questo risultato senza conoscere il lavoro di Archimede Della sfera e del cilindro, ancora da riscoprire a quei tempi. Quindi, il Piero della Francesca che si studia solitamente nella storia dell'arte può essere considerato a tutti gli effetti anche un matematico.

Nella prossima puntata parleremo dei progressi della geometria dopo la riscoperta di alcuni degli antichi trattati geometrici che avvenne intorno alla metà del XVI secolo e dell'introduzione di nuovi simboli.

Puntate precedenti...

Indice della serie

1 Carl B. BoyerStoria della matematica, Oscar Saggi Mondadori

giovedì, febbraio 26, 2015

L'ospedale di Frosinone e i delitti della Rue Morgue: #dilloinitaliano

Ho provato a interpretare la logica dietro il ragionamento che ha spinto qualcuno (un dirigente dell'ospedale di Frosinone?) a scrivere "Morgue", parola che suppongo sia totalmente incomprensibile per una grande maggioranza di Italiani, invece di obitorio/camera mortuaria.
Il termine è evidentemente rivolto a un pubblico italiano, visto che tutto il resto è scritto in italiano. Propongo allora alcune interpretazioni.

1. Addolcire un termine considerato negativo. Come quando di dice scomparso invece di morto e non-vedente invece di cieco. Ma allora perché non scegliere il più comprensibile "Mortuary"? Perché quella parola avrebbe evocato troppo la parola tabù? Ma se metto "Morgue" poi la conseguenza non è che decine di persone, non proprio in vena di goliardate, debbano andare in giro a chiedere informazioni per raggiungere la camera mortuaria?
2. È il complotto ordito dalla lobby delle pompe funebri per rendere il termine incomprensibile e aumentare i guadagni.
3. Il suddetto dirigente è un appassionato di Edgar Allan Poe ed è iscritto al club dei rilettori de I delitti della Rue Morgue.

Voi che ne dite?
#dilloinitaliano

giovedì, febbraio 19, 2015

Il pianoforte a pedali

Ieri, ascoltando Primo movimento, ho scoperto uno strumento di cui ignoravo l'esistenza: il pianoforte con pedaliera. Allora sono andato a fare una veloce ricerca. E ho scoperto che la pedaliera era già comparsa nell'antenato del pianoforte. E cioè nel clavicembalo. Sembra che nel periodo barocco a qualche costruttore di clavicembali venne l'idea di aggiungere una pedaliera con lo scopo di fornire agli organisti uno strumento con cui esercitare l'abilità pedale anche a casa. Ovviamente, l'organo era già dotato di pedaliera. E non c'è da meravigliarsi del fatto che anche Bach possedesse un clavicembalo con pedaliera. In un inverno nord-teutonico voi preferireste esercitarvi in chiesa?
Quindi, dopo che Bartolomeo Cristofori ebbe ideato il pianoforte ("gravicembalo con il piano e il forte") qualche dovette avere l'idea di aggiungere la pedaliera anche al nuovo strumento a tastiera. E, negli corso degli anni, si affermarono due tipi di pianoforte con pedaliera: quello in cui la pedaliera usa le stesse corde e lo stesso meccanismo della tastiera;
e quello (meno comune) doppio, che consiste di due veri e propri pianoforti con corde, meccanismo, cassa armonica e tavola armonica separati.
Sembra che Mozart possedesse un fortepiano con pedaliera indipendente costruito appositamente per lui nel 1785. E anche Schumann ne aveva uno con 29 pedali ma non doppio. E infatti Schumann è anche uno dei pochi compositori ad aver scritto musica per quello strumento.
Infine ho scoperto anche un'altra eccellenza pianistica italiana: il Doppio Borgato. Uno strumento progettato e costruito da quel meraviglioso artigiano che è Luigi Borgato e brevettato nel 2000. La pedaliera del Doppio Borgato ha 37 pedali. Altro che Mozart e Schumann!

Ed ecco alcuni esempi di esecuzioni al Doppio Borgato: Carlo Alberini: Schumann, Studio in forma di canone, op. 56 n. 4 - Doppio Borgato
Doppio Borgato - Patrizia Cavinato plays J.S. Bach
Qui, invece, Luigi Borgato presenta il suo Doppio Borgato.

Ah, se vi dovesse interessare il Doppio Borgato costa 335.750 €.

lunedì, febbraio 16, 2015

Carnevale della Matematica #82 - Famolo strano

Ormai è tradizione che l'edizione valentiniana del Carnevale della Matematica venga ospitato dai Rudi Mathematici. L'interessante tema è "Famolo strano".
Io ho contribuito con la Cellula Melodica


e con il mio articoletto così introdotto:

,,,e lì i Greci fondavano la geometria e le città mirabili, come Siracusa. Città che si specchia nel Mediterraneo più intenso, che è stata patria di geni matematici come Archimede e di dei come Dioniso, se ad un passo da Ortigia si trova quella meraviglia dell'acustica che è l'Orecchio di Dioniso. Ma... ma... non c'è quasi un déjà-vu, in tutto questo? Non avevamo già parlato di Dioniso e di acustica, o meglio di musica? Ah, ma certo... lo abbiamo fatto a proposito della cellula melodica! Ebbene, che tutti sappiano che il contributo di Dioniso (il blogger, non il dio) non si è limitato alla messa in pratica della colonna sonora del Carnevale, ma anche a tutta la parte teorica, perdinci. Infatti è lui che, nel suo blog dal nome evocativo "Pitagora e dintorni", è venuto fin qua a parlarci della musica e la sua matematizzazione.


Il carnevale si conclude segnalando il prossimo ospite.
l mese prossimo, terzo nell'ordine usuale del calendario, cadrà puntualmente proprio nel Pi-day, il 14/3, che se letto all'americana suona 3.14. Anfitrione usuale di Marzo, sulle languide sponde di DropSea, sarà l'esimio Gianluigi Filippelli: a lui va il duro compito di convincere l'Ignaro Pellegrino che si possono stilare dei Carnevali della Matematica realmente piacevoli e divertenti, e non arruffati e maleducati come questo. 

Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale
Pagina del Carnevale su Facebook

mercoledì, febbraio 11, 2015

Il prestito pro capite italiano alla Grecia: più alto di quello tedesco

Giorni fa ho sentito a Prima Pagina che il prestito pro capite italiano alla Grecia è più alto di quello tedesco. Però mi ero perso la cifra precisa. Allora con una ricerca veloce ho trovato la cifra 58 miliardi che equivarrebbe a circa 954€ pro capite per l'Italia. Spalmati su 37 anni verrebbero più di 25€ pro capite per anno. Poi un amico mi ha recuperato l'articolo. E lì si dice:
"Per l’esattezza gli aiuti concessi alla Grecia sono pari a 623 euro per ogni cittadino italiano; il nostro Stato ha dovuto contrarre un debito aggiuntivo per quell'importo, con un onere per interessi stimabile, sempre a persona, in circa 22 euro annui (per i tedeschi, che tanto se ne lamentano, il costo è più basso: 17 euro)."
Nei risultati finali non c'è molta differenza ma nei dati intermedi sì. Mi chiedo che tipo di calcoli abbia fatto il giornalista del La Stampa. Dobbiamo stare attenti perché Varoufakis è laureato in matematica.

martedì, febbraio 10, 2015

La musica e la sua matematizzazione

- Senti. L'altra volta mi hai spiegato quella cosa dei ritmi irrazionali e dentro c'era molta matematica. Adesso però mi sono venute altre curiosità sul sistema che usiamo per scrivere la musica.
- Dimmi pure! Lo sai che questo tipo di discussioni mi appassionano.
- No, mi chiedevo: ma questo sistema di notazione, in cui le altezze dei suoni e i ritmi vengono rappresentati in modo così preciso... matematico direi, come e quando è nato?
- Aha! E ti pare una domanda da poco?!
- Non lo so, però sono curiosa.
- Uhm. Difficile decidere da dove cominciare. Beh, per il momento manteniamoci all'interno della musica occidentale.
- Sì, sì, dai. Non complichiamoci le cose.
- Allora, diciamo che un antenato del nostro sistema di scrittura musicale comincia a nascere nel medioevo e, per la precisione, intorno al IX secolo, con la notazione neumatica.
- Pneumatica?
- No, no. Neumatica. Anche se qualcuno dice che entrambe le parole potrebbero avere la stessa origine greca. Comunque, inizialmente questi neumi erano di tipo adiastematico.
- Adiaste-che?
- Eh, i musicologi hanno deciso di chiamarli così. Adiastematico significa che non indicavano né l'altezza precisa dei singoli suoni, né gli intervalli precisi tra i vari suoni della melodia.
Ecco un esempio. Così capisci meglio. Questo è il più antico trovato finora.
- E i neumi sarebbero questi sgorbi scritti sul testo?
- Esattamente.
- Ma quindi, non si sapeva se si cominciava da un Do o da un Re e nemmeno se la nota successiva era un Mi o un Fa?
- No. Questo tipo di neumi non conteneva quell'informazione.
- E come facevano allora i cantori a cantare la melodia?
- Beh, i nuovi cantori la imparavano ascoltandola. Poi i neumi servivano per avere un riferimento che aiutasse la memoria. Per ricordarsi la direzione della melodia sopra alle varie sillabe. Se si doveva salire o scendere.
- Ho capito. E il ritmo?
- Eh, anche quello era piuttosto relativo. Vedi? Qui c'è una conversione nella notazione attuale.
- Aspetta, ma qui vedo pure dei quadratini e dei rombi.
- Di quello ne parliamo dopo.
- Uhm. Ma comunque nessuno sarebbe riuscito a cantare con precisione una melodia sconosciuta basandosi solo sui neumi.
- Eh no. E infatti, anche per risolvere questo problema, verso l'XI secolo si comincia a usare il rigo musicale. Fu allora che alcuni amanuensi, forse beneventani, cominciarono a tracciare delle righe e a scrivere poi il testo su righe alternate utilizzando le righe rimanenti per scrivere la musica. Le note più acute venivano scritte sopra la riga e quelle gravi sotto. Le righe divennero poi due: solitamente una rossa e una gialla.
- E due righe bastavano per rappresentare bene tutte le note di un canto?
- No. Infatti presto crebbero ancora fino ad arrivare a quattro. E quattro linee allora bastavano. Inoltre, con questo sistema si riusciva a indicare sia l'altezza precisa dei singoli suoni, sia gli intervalli tra i vari suoni della melodia.
- Ah, allora se l'altra notazione si chiamava adiastematica questa si chiamerà diastematica.
- Bravissima!
- Visto come ho capito bene l'uso dell'alfa privativa!? Senti, ma è qui che si è cominciato a matematizzare la musica?
- Eh, in qualche modo sì. C'è addirittura chi dice che questo tetragramma, e quindi poi anche il pentagramma, sia "un piano cartesiano 'qualitativo' che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata."
- Uhm... Beh, è vero. E invece la parola tetragramma immagino che derivi dal greco tetra, quattro e gramma, linea.
- Uau, ma sei diventata una grecista!
- Heh! E si sa chi ha inventato questo tetragramma.
- L'invenzione viene tradizionalmente attribuita a Guido d'Arezzo, anche se alcuni storici non sono d'accordo, certo è che quel monaco camaldolese diede un nome alle note e, se non fu lui a inventare il tetragramma, sicuramente lo perfezionò e poi fu persino invitato da papa Giovanni XIX che voleva capire meglio la sua opera.
- Quindi il Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si si deve a lui?
- Sì, anche se all'inizio le note erano sei e la prima si chiamava Ut.
- Ut!? Ma che significa!?
- E perché? Do che significa? Anzi, in realtà, ut qualcosa significava. Allora, fammi spiegare, le cose dovrebbero essere andate più o meno così. Guido voleva dare dei nomi alle note per aiutare i monaci a imparare e a ricordare i canti. Però voleva trovare dei nomi anch'essi facili da ricordare. E allora che fece?
Prese l'inno a San Giovanni, che tutti i cantori conoscevano bene, e, come nomi delle note, scelse le sillabe iniziali dei versi. E cioè: Ut queant laxis, Resonare fibris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum.
- Ah, quindi arrivò fino al la.
- Sì, per la musica dei tempi bastava. Poi, in seguito, verso alla fine del XVI secolo, si aggiunse il si. Probabilmente da "Sancte Iohannes".
- E il Do?
Il Do arrivò in seguito per sostituire Ut, la cui pronuncia non risultava facilissima per le italiche lingue poco avvezze alle consonanti a fine parola. I francesi infatti, accanto al Do, usano ancora Ut in certi contesti. Ad esempio dicono "clef d'Ut" invece di "chiave di Do".
- Ma perché proprio la sillaba Do?
In onore al "Dominus", disse Giovanni Battista Doni quando propose il Do. In onore del suo stesso cognome, dissero invece i maligni. Comunque, nei paesi latini, a partire da quell'epoca, i nomi dati da Guido hanno sostituito la notazione alfabetica, ereditata probabilmente dai greci, che veniva usata in precedenza e che è ancora in uso in area tedesca e anglosassone.
- E l'altezza delle sei note di Guido coincideva con quella di oggi?
- Inizialmente no. Il sistema guidoniano venne chiamato solmisazione ed era l'antenato dell'attuale solfeggio. E non era usato per indicare l'altezza assoluta dei suoni, che erano denotati con il sistema alfabetico già esistente, ma per collocare correttamente la posizione del semitono mi-fa nella melodia. Il nome Ut, quindi, non era assegnato solo alla nota che oggi chiamiamo Do. Solo dopo l'aggiunta del Si si cominciarono a usare le altezze assolute. 
- E per quanto riguarda i ritmi?
- Beh, Guido codificò anche il modo di scrivere le note definendo le posizioni sulle righe e negli spazi del rigo e proponendo un sistema unificato per la scrittura utilizzando, per la parte terminale della nota, un quadrato, che sarebbe poi diventato un rombo ed infine un ovale.
- E il pentagramma, invece, quando è stato introdotto?
- Mah, guarda, ho fatto una ricerca veloce e ho trovato pochissime fonti che attribuiscono la sua nascita a Ugolino Urbevetano quindi la cosa non mi convince del tutto. Altrove ho trovato che dopo il tetragramma si hanno anche testimonianze di pentagrammi ed esagrammi.
Ah! E a proposito di esagrammi, ho trovato che qualcuno pochi anni fa ha ideato un'estensione della notazione con cui si riuscirebbero a eliminare buona parte tagli addizionali. Guarda qua l'immagine.
- Beh, niente male come idea.
- Sì, ma dubito che si affermerà.
Comunque, tornando ai ritmi, dicevo che Guido codificò il modo di scrivere le note. Però con la notazione ritmica non andò molto avanti. Un considerevole passo avanti ci fu verso la fine del XII secolo, quando nella Scuola di Notre Dame nacque la cosiddetta notazione modale.
- Modale?
- Sì, da non confondere con la musica modale. Ma quello la vedremo un'altra volta. La notazione modale, invece, è sicuramente un primo passo verso il nostro attuale sistema "matematico". Però la definizione dei ritmi non era così precisa. Quello che si definiva era il cosiddetto modo ritmico: cioè una alternanza di note lunghe (Longa) e brevi (Brevis) che potevano assumere sei disposizioni diverse ricalcate sulla metrica della poesia classica. Si parla infatti dei sei modi ritmici.
- Lunga e Breve!? Allora, forse adesso ho trovato la risposta a una domanda che mi ero posta. Perché chiamiamo Breve e Semibreve quelle che sono le figurazioni ritmiche più lunghe? È perché prima c'era anche la Lunga.
- Precisamente! E gli stessi nomi vennero adottati nel passo successivo verso il nostro sistema moderno. Cioè nella notazione mensurale. In questo sistema si arriva finalmente a una descrizione precisa dei ritmi in termini di proporzioni numeriche tra i valori delle note.
- Ed eccoci arrivati al nostro bel sistema matematico anche nel ritmo!
- Eh sì! Ah, e a proposito, oltre alla Lunga, in quel sistema esisteva anche la Massima.
- Addirittura! Senti, ma dove nacque questa nuova notazione?
- Beh, una prima teorizzazione la si trova nel trattato Ars cantus mensurabilis scritto da Francone da Colonia nella seconda metà del XIII secolo. Poi un sistema più esteso e complesso fu introdotto in Francia nell'ambito dell'Ars nova e, con alcune varianti anche in ItaliaNel XV secolo fu il sistema Francese a prevalere. Infine, dal 1600 circa in poi, la notazione mensurale conobbe una graduale evoluzione verso la moderna notazione ritmica.
- E così arrivammo alla totale matematizzazione della scrittura musicale. Con un piano cartesiano qualitativo che ha il tempo in ascissa e la frequenza in ordinata e in cui i ritmi sono governati dalle potenze di due.
- Sì, eccoti accontentata.
- Senti, ma invece, al di fuori dell'Europa come si svilupparono le cose? Ci sono altri esempi di sistemi di notazione matematica?
- Heh! Il discorso si fa ancora più complicato. Magari ne parliamo un'altra volta.

lunedì, febbraio 09, 2015

Come si usano forchetta e coltello?

Poco dopo essere arrivato qui notati che forchetta e coltello si usano in modo diverso da come ero abituato. Ne ho parlato già qui anni fa: "il coltello si usa anche a mo' di spatola per massimizzare la quantità di salsa ingurgitata ad ogni boccone".
Ma solo ieri, mangiando nell'ottima mensa della Bundesakademie für musikalische Jugendbildung di Trossingen, dopo più di quindici anni, mi sono accorto che c'è anche un'altra differenza.
Allora, se io mi trovo a dover tagliare qualcosa, impugno la forchetta con la sinistra e il coltello con la destra. Come mostrato nell'immagine. Poi cambio la forchetta di mano e inserisco il boccone in bocca usando la destra. 
Se, invece, mi trovo a mangiare un piatto che non richiede l'uso della forchetta, come gli spaghetti, il coltello non lo tocco proprio e uso solo la forchetta con la destra.
Ecco, ieri mi sono accorto che qui forchetta e coltello si usano sempre e rimangono per tutto il pasto entrambi in mano e, soprattutto, la forchetta rimane costantemente sulla mano sinistra.
Mi sono subito chiesto: sarà questa la ragione per cui qui si hanno molti problemi a mangiare gli spaghetti usando solo la forchetta?
Poi, guardando questa pagina, in cui il sistema visto qui da me viene descritto come europeo e quello che uso io come americano, mi sono anche chiesto se sia io a essermi americanizzato (probabilità molto bassa), o quel sito ad avere un'informazione sbagliata. A giudicare dal fatto che esattamente la stessa informazione si trova anche in tedesco propenderei per la seconda ipotesi. Qualcuno deve avere semplicemente tradotto quel testo dalla sua lingua originale.

Ora la domanda per tutti - italiani, non italiani ed espatriati - è: come si usano secondo voi correttamente o abitudinariamente forchetta e coltello?

martedì, febbraio 03, 2015

Incompresa

Domenica scorsa ho visto Incompresa di Asia Argento e mi è piaciuto. Subito dopo mi è venuta la curiosità di capire fino a che livello la trama rispecchiasse la realtà autobiografica della regista. E, dall'idea che mi sono fatta, credo che la storia fosse molto vicina alla realtà. O, se non alla realtà totalmente oggettiva, almeno a quella vissuta da una bambina di nove anni.
SPOILER
Le foto mostrate dopo l'infausto evento finale, visto il taglio di capelli, mi fanno pensare che siano state scattate dopo l'evento stesso. Qualcuno l'ha visto e ha avuto la stessa impressione?