Quattro prelievi di midollo; quattro intratecali; tre cicli di chemio: induzione uno, induzione due, consolidazione, con una decina di diversi citostatici; un ciclo di radio; un ciclo di morfina; tre trasfusioni; decine di flebo idratanti; e centinaia di pillole. Tutto questo e molto altro ancora era successo in quei quasi tre mesi di ricovero ospedaliero. Ma finalmente la fase di pausa pre-trapianto era alle porte. Se la stava pregustando, quasi come un ragazzino negli ultimi giorni di scuola, prima delle lunghe vacanze estive. Anche se non proprio con la stessa leggerezza. E per quel mercoledì Fosco si aspettava la lettera di dimissioni.
- Prima ci sarebbe l'appuntamento alla clinica chirurgica per decidere l'installazione del catetere di Hickman - gli disse l'infermiera del mattino.
- L'Hickman è un catetere venoso centrale - gli spiegò più tardi la Engel durante la visita, accompagnata quel giorno dai due soli tirocinanti. - È utile per diverse ragioni. Serve ad evitare che i potenti citostatici del trattamento pre-trapianto possano danneggiarle le vene, riduce la possibilità d'infezione e le risparmia le molteplici perforazioni del braccio.
L'operazione d'inserimento del catetere comincerà con un'incisione qui, sotto la clavicola - continuò la dottoressa toccandogli la spalla sinistra. - Di lì, con un ago, inseriranno un filo guida nella vena succlavia che verrà spinto fino alla vena cava superiore - proseguì la Engel facendo scorrere il dito sul petto di Fosco fino all'altezza del cuore.
- Dalla stessa incisione inseriranno quindi uno strumento, chiamato alligatore, che riemergerà da un'altra incisione a quest'altezza qui - seguitò puntando il dito un po' più in basso - tale strumento afferrerà il tubicino del catetere e lo trascinerà in alto attraverso la tasca sottocutanea.
Una volta riemerso dall'incisione superiore il tubicino verrà inserito nella vena per mezzo di un dilatatore venale precedentemente introdotto sopra il filo guida - concluse la dottoressa.
Nel colloquio alla clinica chirurgica il medico gli ripeté più o meno le informazioni che gli aveva dato la Engel con qualche dettaglio in più e inaspettatamente gli fissò l'appuntamento per il giorno successivo alle 14:00.
- A questo punto dovremo rimandare la sua dimissione a venerdì - gli disse la Engel quando Fosco tornò.
E così con grande dispiacere dovette rinunciare a ben due giorni di vacanza. Se non altro l'intervento di domani mi eviterà di interromperla questa pausa casalinga, pensò Fosco cercando di consolarsi.
- Per l'andata può anche andare a piedi, se vuole, ma per il ritorno potrebbe anche servirle un taxi - gli disse l'infermiera il giorno successivo. - Solo che ora mi trovo sprovvista di buoni ma basta che lei al ritorno chieda al tassista di salire un attimo e noi provvederemo a pagare il viaggio.
Fosco si avviò a piedi dubitando che gli sarebbe servito un taxi per ripercorrere quei cinquecento metri. Giunto al reparto l'infermiera gli disse di lasciarsi indosso solo mutande e calzini. Poi gli fece indossare un camice bianco con apertura anteriore, una specie di cuffia e una sorta di copricalzini dello stesso materiale della cuffia. Quindi lo invitò a sedersi su di una sedia a rotelle e lo trasportò in sala operatoria.
- Questo è uno scarico a terra - gli disse la simpatica infermiera asiatica. - Serve per la corrente che verrà usata per la cauterizzazione.
Poi arrivò la giovane chirurgo e l'operazione cominciò.
Anestesia locale. Solito dolore breve e acuto. Gli consigliano di tenere le mani sotto i glutei, gli coprono il volto, gli spennellano il petto di tintura di iodio e cominciano a tagliare. Non è doloroso ma neppure piacevole. Il freddo in sala si fa sentire e Fosco chiede una seconda coperta. Dopo un po' la chirurgo comincia a premere. Preme, preme, preme. Sarà l'inserimento del filo guida? O forse dell'alligatore? Poi ancora preme, preme, preme. E va avanti così forse per un quarto d'ora. Nonostante la seconda coperta Fosco sente freddo. Un freddo interiore che parte dalle ossa, dalle vene, dalle viscere. Che lo fa contrarre, che lo fa tremare. Poi il chirurgo spinge, spinge, spinge. E lì Fosco sente il dolore. E, sotto quelle coperte e quei panni che gli coprono anche la vista, trema. Trema per il freddo e per la sfinitezza. Trema per la paura e per la rabbia. Trema per il fastidio e per lo sconforto. È vicino ai limiti della sua sopportazione quando finalmente sente l'ago e il filo che richiudono l'incisione superiore e riducono quella inferiore.
Guardò l'orologio. Era passata quasi un'ora dall'inizio dell'operazione. Poi l'infermiera lo trasportò in sedia a rotelle al controllo radiografico. Tutto apposto. Nessuna complicazione. Ma lui continuava a tremare e a soffrire. Nel trasporto di ritorno vide Sara in sala d'attesa e le fece cenno di seguirli. E quando l'infermiera li lasciò soli in quell'ambulatorio Fosco scoppiò in lacrime. Un pianto breve e sconsolato che durò fino all'arrivo della dottoressa che lo aveva operato.
- E mi raccomando - disse la dottoressa dopo aver commentato l'esito dell'impianto - non bagni assolutamente la ferita fino a quando i punti non saranno stati tolti. Ma anche dopo è meglio che copra quella parte durante la doccia e che prenda tutte le misure del caso per evitare una possibile infezione. In fondo, per quanto limitato da un supporto sottocutaneo, si tratta pur sempre di un buco costantemente aperto nella sua pelle.
Un'altra restrizione. Un'altra complicazione che si aggiungeva alle innumerevoli regole del suo vivere quotidiano.
- E se s'infetta? - chiese Fosco.
- Non è un grosso problema. Lo togliamo e lo reimpiantiamo.
Lo togliamo e lo reimpiantiamo. Al solo pensiero Fosco ebbe una stretta al cuore e cercò subito di scacciare il pensiero.
All'uscita dalla clinica chirurgica Sara suggerì di prendere un taxi per tornare al suo reparto e Fosco non se lo fece ripetere due volte.
- Potrebbe gentilmente salire per il pagamento della corsa? - disse Fosco quando giunsero di fronte all'ingresso della clinica ematologica.
- No! - rispose il tassista. - Io non salgo. Dovete pagarmi voi qui.
- Guardi, quando sono uscito l'infermiera si trovava sprovvista di buoni e mi ha detto che....
- Non m'interessa quello che le ha detto l'infermiera. Non ho tempo di salire.
A quelle parole quel poco sangue che gli era rimasto gli schizzò immediatamente alla testa.
- Se tutti fossero come lei questo mondo sarebbe proprio un bel posto - disse dapprima Fosco nella lingua del tassista. Ma alla vista di Sara che, forse per evitare il peggio, stava pagando la corsa, l'attacco d'ira fu incontrollabile e inevitabile. Affiorò direttamente dall'ipotalamo. Da quegli anfratti che lo riportavano ai feroci litigi dell'infanzia. E sentimenti del genere non possono che essere espressi nell'idioma dell'anima. Fosco uscì dalla vettura e cominciò a urlare.
- Ma che cazzo de omo sei? Tu non sei un uomo. Tu sei un pezzo de merda -. In quel momento per Fosco era come se tutti i suoi mali si fossero materializzati in quel tassista. Sara sembrava imbarazzata e cercò di far avanzare Fosco verso l'ingresso della clinica.
- Tu lo vedi che sto male - seguitò a urlare egli mentre il tassista continuava a tenere lo sguardo abbassato non comprendendo probabilmente neppure una parola della lingua di Fosco ma comprendendone molto bene mimica e intenzioni. - Tu lo sai che sto male. Perché ci lavori qui dentro. Però pensi solo a quei cazzo di due minuti che perdi per venire su. Ma nella vita ci sono cose molto più importanti di quei due minuti.
Stranamente, dopo quella crisi d'ira un po' esagerata, Fosco cominciò a sentirsi meglio. Tutto il malessere e la smania che lo avevano dominato dopo l'intervento sembravano essere evaporati al calore del suo furore. Forse, dopotutto, il malcapitato tassista era servito da catalizzatore della sua rabbia repressa e quello sfogo lo aveva alleggerito un po'.