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martedì, agosto 20, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione II

Uomini e Profeti del 17122024 propone un brano di Corrado Pensa sulla risposta negativa verso l’accettazione.

"Per sviluppare l’accettazione della realtà che ci capita di vivere, occorre un lungo viaggio nella nostra NON accettazione. Nella nostra non adesione alla vita. Nel conseguente disagio che questo ci provoca. Disagio che la pratica ci aiuta a vedere meglio.

È un lungo viaggio in salita perché il nostro resistere all’accettazione è frequentissimo. A cominciare dalla compulsione al giudizio mentale negativo su tutto e tutti, che è una delle forme più sorde e potenti di non accettazione.

Come procedere? Il primo passo, che rappresenta le fondamenta del lavoro interiore, quello di acquisire una grande dimestichezza e familiarità con la non accettazione che è in noi. In pratica, avere la perseveranza di sostenere lo sguardo sul nostro chiuderci. Guardare e riguardare il nostro no.

Infatti, che cosa succede se continuiamo a contemplare la non accettazione in noi? Succede che da un prevalere iniziale di sorpresa e disappunto si passa a un sentimento diverso nel quale il disappunto appare mescolato con una sorta di soddisfazione e fiducia. La fiducia che è proprio questo semplice e difficile lavoro di farsi specchio sempre più fermo a una virtù correttiva e guaritiva. Cominciamo a comprendere che, se è vero che non riusciamo a piegare a martellate la non accettazione, è tuttavia anche vero che il puntuale e sollecito contemplare la non accettazione è  il segreto per arrivare spontaneamente all’accettazione.
Il retto sforzo da compiere non può essere sforzo di accettare a meno che non si tratti di piccole cose. Lo sforzo da fare sarà quello di osservare la non accettazione prontamente, tranquillamente e, ove possibile, per tutto il tempo che essa dura. Ed è dallo sforzo di guardare in questo modo la non accettazione che può sgorgare spontaneamente l’accettazione.
Io sospetto che tanti disincanti e abbandoni sul cammino spirituale abbiano a che fare con la mancata comprensione, o la mancata spiegazione, di questo punto così cruciale. Il dettato fondamentale non è sforzati di accettare, bensì, sforzati di guardare meglio che puoi la non accettazione."

sabato, giugno 15, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione

 Uomini e Profeti del 17122024 

 “Man mano che il lavoro interiore si consolida e la meditazione di consapevolezza si approfondisce, la dimensione dell’accettazione tende a emergere emergere in modo spiccato. È molto facile tuttavia cadere in grossolani fraintendimenti circa l’accettazione. Se, per esempio, veniamo aggrediti verbalmente da qualcuno, l’accettazione non significherà inghiottire. Inghiottire è solo segno di paura. L’accettazione, invece, è soprattutto accettare il disagio che quell’aggressione produce dentro di noi. È non resistenza, nel senso di non contrazione davanti alla sensazione spiacevole che improvvisamente comincia a pulsare in noi. Questo mantenersi aperti e morbidi invece di indurirsi ci mette in grado di rispondere adeguatamente alla situazione, invece di reagire meccanicamente. E dunque, non solo non inghiottìremo, ma diremo probabilmente ciò che è appropriato e giusto dire in quella circostanza. In tal modo non cadremo nella passività impaurita e non cadremo neppure nella reattività cieca che, anch’essa, ha molto a che fare con la paura. 

Ora, la messa in pratica di questa manovra di apertura interiore, che è relativamente facile da descrivere, richiede un tirocinio di consapevolezza il più continuo possibile durante la giornata. Tirocinio che metterà radici salde allorché cominciamo a percepire tutta la sofferenza che si accompagna alla non accettazione. Ossia al chiudersi e all’irrigidirsi nell’avversione e nella paura. Infatti, chiudersi significa separarsi, dividersi, porsi contro ciò che sta accadendo. Noi siamo disposti a credere che il problema sia nella sensazione spiacevole. Ma tale credenza è effetto di ignoranza. Il problema è invece nell’avversione e nella paura. Si può dire con tranquillità che gran parte del disagio e della differenza che sentiamo nel corso di una giornata è generata dalla nostra relazione sbagliata o non accettante con ciò che accade dentro di noi. La difficoltà principale sta nel fatto che accettare silenziosamente il disagio e il turbamento è l’ultima cosa che vogliamo fare. Se però si tocca con mano che l’accettazione rende più liberi, allora crescerà l’interesse nei suoi confronti. Nell’esempio fatto sopra è evidente che grazie alla consapevolezza accettante del nostro turbamento per essere stati aggrediti noi avremo più facoltà di scelta riguardo a ciò che diremo e faremo in quella circostanza difficile. Avere possibilità di scelta significa anche lo sviluppo di un senso di responsabilità circa le nostre azioni, parole e, in una certa misura, pensieri. Avere più scelte e responsabilità significa essere più liberi e più creativi.”

martedì, giugno 09, 2020

"La mistica selvaggia: splendore trascurato del mondo" di Romano Madera

Nell'ultima puntata ("Domande") della serie radiofonica "La mistica selvaggia: splendore trascurato del mondo", Romano Madera parla di alcuni esercizi per favorire il dialogo e l’ascolto.

“Si usano regole precise di comunicazione calibrati sugli aspetti biografici di ognuno e con cui si impari ad argomentare e interloquire partendo dalla nostra particolare prospettiva. Esponendo come interpretiamo gli argomenti di un altro, evitando la discussione fatta per prevalere e basta, chiedendosi quali possano essere i punti deboli nel nostro ascolto. Perché tutti siamo pieni di avversioni pregiudiziali, psicologiche, ideologiche, religiose, eccetera.
Può anche essere una discussione dura e senza risparmio, però una delle tecniche è: tu hai sostenuto la tua posizione, adesso prova a sostenere la posizione opposta. Non per confondere le parti, ma perché se tu sai sostenere e capire la posizione opposta, allora anche la tua posizione ne uscirà rafforzata. Gramsci metteva in guardia dal dare dell’asino all’avversario. Anche se l’avversario è un nemico."

giovedì, aprile 30, 2020

"Il Cammello e la Cruna": Luigino Bruni si interroga sulla pretesa natura cristiana - protestante o cattolica - dello ‘spirito del capitalismo’

Di Luigino Bruni, lo scorso anno, avevo ascoltato l'interessantissima serie radiofonica
"Oikonomia - Meditazioni sul capitalismo e il sacro"
Quest'anno l'economista e saggista italiano ha condotto un'altra serie altrettanto interessante: "Il Cammello e la Cruna".

"La pretesa natura cristiana - protestante o cattolica - dello ‘spirito del capitalismo’ è uno dei classici temi del pensiero economico e sociale. Negli ultimi anni, però, l’emergere della crisi dei beni comuni, della terra e dei beni relazionali, ha riacceso il dibattito sull’etica del capitalismo.
Questa serie indagherà che cosa del cristianesimo è entrato nell'economia europea e nel capitalismo moderno, giungendo forse a conclusioni nuove e inattese."


Durante l'ascolto ho trascritto solo un paio di brani tratti dalle 5 puntate, quelli che mi hanno colpito di più. E li ho sintetizzati dettando il tutto al riconoscitore vocale. Spero di non aver introdotto distorsioni. Siccome non ho il tempo per farlo, ho ripulito il testo in modo molto grossolano. Ma ho pensato che fosse meglio pubblicare un testo caotico, disorganizzato e incompleto, piuttosto che non pubblicare nulla. Ecco il testo.


L’idea della predestinazione viene presa dalla lettera di San Paolo agli Efesini - che oggi sappiamo essere della sua scuola di San Paolo e non del santo stesso - da lì Calvino prende spunto per affermare che Cristo è morto solo per i prescelti che sono stati eletti da Dio senza che nessuno sapesse il perché (predestinazione). Nessuno sa se fa parte degli eletti ma, secondo la cultura calvinista, un segno può essere dato dalla ricchezza.
Il rovescio della medaglia di questa interpretazione è che la povertà corroborerebbe l'ipotesi di far parte dei dannati. Questa teoria degli eletti e dei dannati viene rafforzata dal lavoro di Weber.
E, paradossalmente, si passa dalla negazione del valore delle opere, proprio dell'interpretazione protestante, all'esaltazione delle stesse a livello prgmatico. Perché dalle opere che mi fanno diventare ricco posso avere una maggiore speranza di essere un prescelto.

"Il capitalismo del XX secolo, quello basato sulla fabbrica, non poteva essere abbastanza seducente per i popoli latini da poter comprarci l’anima.
Ma quello del XXI secolo, basato sul consumo e sulla finanza, ci ha sedotti al punto da non avere nemmeno bisogno di comprarci l’anima perché gliel’abbiamo semplicemente regalata."

La serie si conclude con un'interessante osservazione/auspicio ma, sia per mancanza di tempo, sia per non rovinarvi la sorpresa, vi rimando alle puntate: 

giovedì, marzo 14, 2019

Meditazioni sul capitalismo e il sacro: merito e meritocrazia

Condivido questa interessantissima puntata che è parte di una serie sulla teologia e sull’etica del capitalismo.

"Oikonomia . Meditazioni sul capitalismo e il sacro" con Luigino Bruni di Uomini e Profeti - Radio3

Ho trovato particolarmente interessante il discorso su merito e meritocrazia. Eccone dei brani

"Per capire la meritocrazia dobbiamo partire da un’osservazione sulla disuguaglianza, perché la meritocrazia è oggi la legittimazione etica della disuguaglianza.

La disuguaglianza è la condizione naturale di molti esseri umani perché i talenti che ciascuno riceve arrivando sulla terra sono diversi da quelli degli altri. …

L’occidente, soprattutto nel ‘900, ha cercato di lottare contro questo dato di natura, ha cercato di cambiare questo stato naturale, con la politica e con i diritti. Ha voluto immaginare un mondo in cui fossimo più uguali di come siamo nascendo. E questo è avvenuto in Europa e non gli USA. Si è fatto nascere lo stato sociale e si è voluto investire una grande quota del proprio PIL per beni comuni immensi come la scuola per tutti e la sanità universale.

Ma mentre godevamo i frutti di questa virtuosa congiuntura del secondo novecento, in cui la disuguaglianza è mediamente diminuita in Europa, nel retrobottega della finanza, dell’economia e della politica iniziava una controrivoluzione antiegualitaria voluta e pianificata prima di tutto dalle grandi imprese multinazionali, dalle scuole di business e dalle grandi società di consulenza globali.
Questo capitalismo per potersi affermare come culto universale e quindi ottenere un consenso etico, senza il quale non ci sarebbe stata l’affermazione universale, ha avuto bisogno di una legittimazione di alcuni assiomi su cui si fonda. E così ha compiuto il miracolo. La naturale disuguaglianza che il ‘900 ha combattuto è diventata una qualità morale. L’abbiamo chiamata meritocrazia e improvvisamente la disuguaglianza da un male è diventata un bene, da vizio è diventata virtù. Perché la meritocrazia si presenta come una forma di giustizia. Quindi, grazie alla meritocrazia, le disuguaglianze naturali non vengono più contrastate ma lodate e premiate. Oggi per chiunque voglia denunciare inefficienze è sufficiente pronunciare la frase - qui ci vuole più meritocrazia - per raccogliere applausi scroscianti e convincere che si è imboccata la strada giusta.

Il merito sta diventando la nuova religione globale del nostro tempo. Ma siccome lo si presenta come una cosa tecnica non ne viene svelata la natura religiosa.

Tutte le oligarchie vorrebbero anche essere aristocrazie, cioè il governo dei migliori. La meritocrazia è l’aristocrazia dei nostri tempi dove, a differenza di quella feudale, cambiano il meccanismo di riproduzione delle élite e la giustificazione del loro essere migliori. Non più la terra né il sangue ma semplicemente il merito.

E qui sorge anche un paradosso interessante. Il primo spirito del fu generato dalla radicale critica di Lutero alla teologia del merito. Secondo Lutero siamo salvi per grazia e non per le nostre opere. Ma, quella pietra scartata, il merito, oggi è diventata pietra d’angolo della nuova religione capitalista nata nei paesi protestanti. Quei paesi che hanno scartato il merito come categoria hanno inventato la meritocrazia.

Nella religione meritocratica il talento è ridotto a merito. Operazione alquanto arbitraria perché il talento non è quasi mai meritato.

E poi le imprese riducono i molti meriti umani ai soli meriti definiti dalle imprese stesse, livellandoli e appiattendoli verso il basso. Ci sono molti meriti che si scoraggiano e si distruggono. Ad esempio, i talenti di umiltà, di mitezza, di compassione, di misericordia, Che sono degli autentici patrimoni antropologici della comunità e delle imprese. Chi li vede? Chi li considera meriti? Chi li remunera? Oggi noi stiamo assistendo a una distruzione di massa di talenti più umili e umanistici.
Quanto vale una persona mite in un’azienda? Un valore infinito. Eppure, chi si comporta da mite viene etichettato come perdente.
Inoltre, ci si dimentica che nei nostri successi contano moltissimo il caso e la fortuna.

All’interno di questa religione meritocratica sta tornando in voga l’idea arcaica che il povero è colpevole e responsabile della propria situazione. Mentre nei paesi latini avevamo molto lottato per dire che il povero è uno sfortunato, è quello che nasce nel posto sbagliato e quindi va aiutato con lo stato sociale. Ma se prevarrà questa visione allora diventerà anche etico non far nulla per aiutare il povero perché la sua colpa giustificherebbe la mia indifferenza."

domenica, settembre 20, 2015

Il dio degli ebrei fu ideato da un faraone egizio?

Questa storia la sentii per la prima volta dall'autore di questo libro: S.M. Olaf; che è stato il mio insegnante d'inglese durante l'ultimo anno della mia residenza romana. Durante quelle lezioni parlavamo anche di molte passioni comuni. Una di queste era la storia delle religioni. Un giorno Olaf mi portò delle fotocopie che ancora conservo. Era un articolo in cui si parlava di un'ipotesi di Freud sulle origini del monoteismo. Beh, giorni fa ne ho sentito parlare di nuovo a Pagina 3 (Da Akhenaton a Mosé). E allora non ho potuto fare a meno di leggere l'articolo citato e di riportarne qualche stralcio con evidenziamenti.



Da Akhenaton a Mosè, non avrai altro dio di Jan Assmann
Il faraone eretico e il profeta biblico sono gli inventori del monoteismo. Ma il primo lo fondava su un principio cosmologico, l’altro sulla Legge.

Akhenaton, l’eretico faraone egizio che intorno al 1350 a. C. abolì la religione tradizionale dell’Egitto e introdusse al suo posto il culto del Sole come unica divinità, e Mosè, che secondo la narrazione biblica all’incirca negli stessi anni, 100 anni prima o dopo, liberò gli Israeliti dalla schiavitù egizia e li vincolò all’alleanza con JHWH in quanto unico Dio, sono considerati gli inventori, o gli scopritori, del monoteismo. Subito dopo la riscoperta di Akhenaton, che in Egitto fu vittima di una damnatio memoriae e solo grazie all’egittologia del tardo XIX secolo cominciò a riemergere dall’oblio, si produssero teorie che cercavano di mettere in relazione tra loro i due fondatori di religioni monoteiste. Mosè e il suo messaggio monoteista furono influenzati dalla rivoluzione monoteista di Akhenaton? Mosè era un seguace di Akhenaton, come suggerì Sigmund Freud, che dopo la sua morte e la messa al bando della sua religione migrò verso Canaan e portò con sé il popolo degli Ebrei, insediato nel delta del Nilo? Tra storia e leggenda

Entrambi, Akhenaton e Mosè, sono legati da un destino analogo ma opposto, quanto al ricordo che hanno lasciato di sé. Akhenaton è una figura della storia, la cui esistenza è provata inequivocabilmente da centinaia di dati archeologici, ma che tuttavia, a motivo della damnatio memoriae di cui è stato oggetto, non ha potuto dare avvio ad alcuna tradizione nella memoria culturale dell’Egitto. Il suo nome fu cancellato dagli elenchi dei re, i suoi templi abbattuti ed eliminata ogni traccia visibile della sua esistenza. Mosè, al contrario, è una figura della tradizione, della cui esistenza storica non si sono mai potute trovare tracce archeologiche, tanto che si dubita del fatto che sia storicamente esistito. E anche se una volta dovessero emergere tracce di questo tipo, il Mosè storico avrebbe senz’altro ben poco in comune con la figura titanica cui Mosè è stato innalzato nella tradizione e che è viva ancora oggi nella mente e nel cuore di ebrei, cristiani e musulmani. Uno dei due, Akhenaton, è vissuto senz’altro ed è stato dimenticato con decisione ed efficacia; l’altro, nel ricordo, ha acquisito dimensioni fantastiche, ma probabilmente non è mai vissuto.

Cominciamo da Akhenaton. Nato all’incirca nel 1370 con il nome di Amenofi IV, prese il trono da ragazzino o comunque in giovane età e si diede il nome di Akhenaton, tenendo il potere per 17 anni. Questo arco di tempo gli fu sufficiente per rivoluzionare la religione egizia dalle fondamenta. I templi vennero chiusi, i sacerdoti congedati, le feste e i culti sospesi, le immagini degli dèi distrutte, i loro nomi cancellati. E anche se queste misure non riuscirono a essere applicate ovunque in tutta la loro radicalità, restano tuttavia molte tracce a indubitabile testimonianza degli intenti di Akhenaton. Al posto degli dèi rimossi venne imposto il culto del Sole come unica divinità.

Che cosa ha indotto Akhenaton a cancellare le varie divinità e fondare una religione radicalmente nuova? Dietro a questo progetto sta, con tutta probabilità, una scoperta cosmologica, e cioè la scoperta che il Sole non produce soltanto luce e calore, per via del suo splendere, bensì anche il tempo, per mezzo del suo muoversi in cielo, e che inoltre l’intera realtà può essere spiegata basandosi sulla luce, che rende tutte le cose visibili, e sul tempo, in cui tutte le cose si sviluppano, di modo che le altre divinità non servono più: non contribuiscono in nulla alla realtà.

Differenza fondamentale
La dottrina di Akhenaton è più una teoria cosmologica che una religione e più un atto illuminista che la fondazione di una nuova fede
. […] Non si abolisce soltanto il mondo degli dèi, a favore dell’unico dio Sole, ma anche - e questo, sinora, non è stato tematizzato - il ruolo tradizionale del dio del Sole come giudice e come dispensatore di orientamento morale. Come in Mesopotamia, anche in Egitto il dio del Sole era considerato guardiano di ciò che è giusto, giudice degli uomini, colui che vede tutto, che porta alla luce l’ingiustizia commessa e attraverso la sua luce diffonde la giustizia. Il dio di Akhenaton è tuttavia il Sole cosmico, e nient’altro che il Sole, che splende sui buoni e sui cattivi e non formula alcun tipo di giudizio morale.

Questo tratto della nuova religione è incredibilmente sfuggito agli studiosi dell’epoca della riscoperta di Akhenaton. Si esaltò la spiritualità profondamente etica della religione di Akhenaton, che la separava in maniera così netta dalla religione tradizionale e l’avvicinava così tanto al testo biblico. Invero, si trattava esattamente del contrario. […].

Il dio di Akhenaton non si dà pena per il buono e il cattivo, il povero e il ricco, il giusto e l’ingiusto. Lui è il Sole, che splende per tutti. Qui sta la differenza fondamentale tra il monoteismo di Akhenaton e quello biblico, legato al nome di Mosè. Se proprio si vuol tendere un paragone tra il monoteismo di Akhenaton e quello di Mosè, lo si può cogliere nell’energia della soppressione e dell’annientamento, nel loro rifiuto del pantheon di dèi a favore di un unico dio; tuttavia, le affinità spariscono appena ci si volga al contenuto positivo delle due religioni. L’una è fondata sul Sole, l’altra sulla Legge.

Traduzione di Mariagrazia Portera

giovedì, agosto 13, 2015

Quando i teologi si cimentano con la Logica Matematica

Ho appena letto Sandro Magister arruola Kurt Gödel di .mau. e lo volevo segnalare agli appassionati di logica e/o religione.
Per i curiosi non appassionati riporto questa citazione.
... penso converrete tutti che la moltiplicazione dei pani e dei pesci e il dogma della Trinità non valgono come “proprietà aritmetica di base”, il che significa che il teorema non può semplicemente essere applicato. Quanto al resto, mi sta anche bene che l’intelletto umano possa, voglia e debba uscire dalla natura per trovare le ragioni ultime che cerca nella soprannatura: ma di nuovo tutto questo non vuol dire che Gödel dovette uscire da un sistema logico coerente per dimostrare almeno una proposizione elaborata in quello stesso sistema logico. Gödel non è uscito da nessuna parte né ha “dimostrato” nulla, al più affermava che occorreva aggiungere la proposizione come assioma.

mercoledì, maggio 06, 2015

Due considerazioni sulla sparatoria di Garland

1. Trovo alcuni paralleli tra l'iniziativa del concorso texano e quella di Calderoli del "maiale-Day" contro le moschee.

2. Impedire a qualcuno di andare a gridare "Napoli m....." sotto la curva di Genny 'a Carogna sarebbe una limitazione della libertà? Sì! Una tale limitazione di libertà potrebbe essere opportuna?

domenica, gennaio 18, 2015

Il pugno di papa Francesco - Deve essere punito chi insulta le religioni?

Ho letto "Il pugno di Francesco e la lezione di Voltaire" di Eugenio Scalfari.
Riflettendo soprattutto sugli stralci che ho riportato di seguito ho fatto delle considerazioni sui fatti e mi sono posto alcune domande. 

Sequenza di fatti
1. Riviste europee, nell'arco di alcuni anni (1, 2), hanno pubblicato vignette ritenute offensive da una parte del mondo islamico.
2. Il fatto ha innescato una serie di reazioni violente.
3. La strage di alcune settimane fa (Forse la si può pensare collegata ai fatti precedenti da una catena di cause-effetti? Ma anche ammesso che non lo sia le mie considerazioni e le mie domande non cambierebbero molto.) a causa delle vignette considerate offensive nei confronti della religione islamica.
4. Molte riviste e quotidiani europei hanno ripubblicato quelle vignette.
5. In alcune zone del mondo islamico si sono verificati episodi di violenza contro chiese e simboli europei.

Ora, dati questi fatti, sarebbe giusto, come dice Scalfari, creare una norma che vieti e punisca chi si prende gioco delle religioni? Critica sì, ma insulto no: dice Scalfari. Forse si eviterebbero spirali di violenza come quella che stiamo osservando? 
Ma poi chi dovrebbe decidere il confine tra critica e insulto? Un giudice immagino.
E chi dovrebbe decidere il criterio per definire una religione? Dovremmo perseguire chi offende qualsiasi religione seppur minuscola? E i Pastafariani sono una religione? Dovremmo perseguire anche chi offende loro?

Ecco infine le citazioni dall'articolo di Scalfari.

"Nel viaggio in aereo tra lo Sri Lanka e le Filippine Bergoglio ha però detto una frase che ha suscitato un acceso dibattito: "Chi insulta mia madre si aspetti un pugno". A chi alludeva era evidente; non ai terroristi o non soltanto ad essi che compirono cose ben più gravi, ma probabilmente al giornale "Charlie Hebdo" che insulta Maometto e quindi la religione da lui rappresentata. Cristo ha detto, secondo i Vangeli, di porgere l'altra guancia a chi ti insulta. Francesco invece lo minaccia con un pugno. È un errore? Una contraddizione?"
...
"Anche lui ha pianto per i caduti e pregato per loro, ma se insultano la madre, cioè le religioni, gli minaccia un pugno. Si è scordato di porgere l'altra guancia?"
...
"Forse Francesco ha sbagliato a minacciare il pugno contro chi insulta le religioni, ma il precedente c'è e il pugno dovrebbe essere - credo io - una norma che vieti e punisca chi si prende gioco delle religioni. Puoi criticarle, certamente, ma non insultarle. Questo è il pugno. Voltaire non sarebbe d'accordo ma non possiamo chiedere a Francesco di esser volterriano."

lunedì, gennaio 12, 2015

Rispetto per le religioni

Non che io mi trovi totalmente d'accordo. Però questa frase, di un ascoltatore che ha telefonato durante la puntata di Prima Pagina di oggi, mi ha fatto riflettere. Parafraso a memoria.

"Non sto dicendo che debba esserci un rispetto per le religioni per questioni metafisiche. Il rispetto dovrebbe esserci solo per questioni umanitarie. Visto che, non per tutti, ma per molte persone la religione è un modo per avere una speranza. D'altra parte molti dei progetti umani non sono altro che un tentativo di rimanere immortali. Sbeffeggiare una religione è simile al dire a un malato terminale: guarda che quel farmaco che stai prendendo non serve a niente."

Ma una discussione famigliare sul tema ha fatto emergere la domanda: un credente può essere paragonato, anche solo metaforicamente ad un malato terminale?

giovedì, marzo 14, 2013

Papa Francesco.... o vescovo Francesco?

Ovviamente non so nulla della sua storia passata. Ho visto però che circolano anche voci un po' critiche. Ma certo che uno che si presenta scegliendo per la prima volta il nome di una delle figure più rivoluzionarie della storia della chiesa e che nel suo discorso d'investimento non usa mai la parola "papa", né per se stesso e né per il suo predecessore, lascia immaginare almeno tre cose.
Sensibilità verso i poveri e la povertà, voglia di cambiamento e predisposizione al dialogo con le altre confessioni autocollocandosi ad un livello meno divino dei suoi predecessori. Staremo a vedere se l'impressione sarà confermata.

martedì, giugno 08, 2010

C'è una teiera di porcellana che orbita attorno al Sole

La teiera di Russel (Post ispirato da Arimortis)

«Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c'è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che - posto che la mia asserzione non può essere confutata - dubitarne sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente.»

Bertrand Russel