giovedì, marzo 14, 2019

Meditazioni sul capitalismo e il sacro: merito e meritocrazia

Condivido questa interessantissima puntata che è parte di una serie sulla teologia e sull’etica del capitalismo.

"Oikonomia . Meditazioni sul capitalismo e il sacro" con Luigino Bruni di Uomini e Profeti - Radio3

Ho trovato particolarmente interessante il discorso su merito e meritocrazia. Eccone dei brani

"Per capire la meritocrazia dobbiamo partire da un’osservazione sulla disuguaglianza, perché la meritocrazia è oggi la legittimazione etica della disuguaglianza.

La disuguaglianza è la condizione naturale di molti esseri umani perché i talenti che ciascuno riceve arrivando sulla terra sono diversi da quelli degli altri. …

L’occidente, soprattutto nel ‘900, ha cercato di lottare contro questo dato di natura, ha cercato di cambiare questo stato naturale, con la politica e con i diritti. Ha voluto immaginare un mondo in cui fossimo più uguali di come siamo nascendo. E questo è avvenuto in Europa e non gli USA. Si è fatto nascere lo stato sociale e si è voluto investire una grande quota del proprio PIL per beni comuni immensi come la scuola per tutti e la sanità universale.

Ma mentre godevamo i frutti di questa virtuosa congiuntura del secondo novecento, in cui la disuguaglianza è mediamente diminuita in Europa, nel retrobottega della finanza, dell’economia e della politica iniziava una controrivoluzione antiegualitaria voluta e pianificata prima di tutto dalle grandi imprese multinazionali, dalle scuole di business e dalle grandi società di consulenza globali.
Questo capitalismo per potersi affermare come culto universale e quindi ottenere un consenso etico, senza il quale non ci sarebbe stata l’affermazione universale, ha avuto bisogno di una legittimazione di alcuni assiomi su cui si fonda. E così ha compiuto il miracolo. La naturale disuguaglianza che il ‘900 ha combattuto è diventata una qualità morale. L’abbiamo chiamata meritocrazia e improvvisamente la disuguaglianza da un male è diventata un bene, da vizio è diventata virtù. Perché la meritocrazia si presenta come una forma di giustizia. Quindi, grazie alla meritocrazia, le disuguaglianze naturali non vengono più contrastate ma lodate e premiate. Oggi per chiunque voglia denunciare inefficienze è sufficiente pronunciare la frase - qui ci vuole più meritocrazia - per raccogliere applausi scroscianti e convincere che si è imboccata la strada giusta.

Il merito sta diventando la nuova religione globale del nostro tempo. Ma siccome lo si presenta come una cosa tecnica non ne viene svelata la natura religiosa.

Tutte le oligarchie vorrebbero anche essere aristocrazie, cioè il governo dei migliori. La meritocrazia è l’aristocrazia dei nostri tempi dove, a differenza di quella feudale, cambiano il meccanismo di riproduzione delle élite e la giustificazione del loro essere migliori. Non più la terra né il sangue ma semplicemente il merito.

E qui sorge anche un paradosso interessante. Il primo spirito del fu generato dalla radicale critica di Lutero alla teologia del merito. Secondo Lutero siamo salvi per grazia e non per le nostre opere. Ma, quella pietra scartata, il merito, oggi è diventata pietra d’angolo della nuova religione capitalista nata nei paesi protestanti. Quei paesi che hanno scartato il merito come categoria hanno inventato la meritocrazia.

Nella religione meritocratica il talento è ridotto a merito. Operazione alquanto arbitraria perché il talento non è quasi mai meritato.

E poi le imprese riducono i molti meriti umani ai soli meriti definiti dalle imprese stesse, livellandoli e appiattendoli verso il basso. Ci sono molti meriti che si scoraggiano e si distruggono. Ad esempio, i talenti di umiltà, di mitezza, di compassione, di misericordia, Che sono degli autentici patrimoni antropologici della comunità e delle imprese. Chi li vede? Chi li considera meriti? Chi li remunera? Oggi noi stiamo assistendo a una distruzione di massa di talenti più umili e umanistici.
Quanto vale una persona mite in un’azienda? Un valore infinito. Eppure, chi si comporta da mite viene etichettato come perdente.
Inoltre, ci si dimentica che nei nostri successi contano moltissimo il caso e la fortuna.

All’interno di questa religione meritocratica sta tornando in voga l’idea arcaica che il povero è colpevole e responsabile della propria situazione. Mentre nei paesi latini avevamo molto lottato per dire che il povero è uno sfortunato, è quello che nasce nel posto sbagliato e quindi va aiutato con lo stato sociale. Ma se prevarrà questa visione allora diventerà anche etico non far nulla per aiutare il povero perché la sua colpa giustificherebbe la mia indifferenza."

1 commento:

dioniso ha detto...

Il culto del capitalismo visto come religione è un culto colpevolizzante, indebitamente. Il capitalismo è presumibilmente il primo caso di un culto che non espia il peccato ma che crea colpa, debito. In ciò questo sistema religioso è preso nel Gorgo di una coscienza spaventosamente colpevole che si afferra al culto, non per espiare questa colpa, ma per renderla universale, per configurarla a forza nella coscienza

Walter Benjamin

#1 "Oikonomia. Meditazioni sul capitalismo e il sacro"