Volete leggere una storia leggera e profonda allo stesso tempo e che vi faccia (ri)vivere e riflettere sulle evoluzioni/involuzioni della società e della politica italiana degli ultimi 40 anni? Francesco Piccolo ne "Il desiderio di essere come tutti" riesce brillantemente a intrecciare le vicende private del protagonista con quelle pubbliche del paese e, tratteggiando linee tra i punti degli eventi storici e politici, ci fornisce interessanti chiavi di lettura, alcune delle quali, forse anche a causa della mia ignoranza, per me nuove e illuminanti.
I fatti storici li conoscevo quasi tutti più o meno bene ma quello che a volte mi mancava era l'interpretazione. Interpretazione soggettiva, certo. Ma proposta da qualcuno che, oltre a essere un ottimo osservatore della realtà, sembra aver attraversato un percorso di consapevolezza e di autocritica, sembra essersi documentato molto bene sui fatti e avere gli strumenti storico-filosofici per poter delineare un quadro d'insieme molto acuto, coerente, accurato e autocritico.
Pur avendo avuto una storia piuttosto diversa dalla mia ed avendo vissuto gli eventi con una maturità di cinque anni di più, ho trovato alcuni paralleli tra la formazione e le esperienze di Francesco Piccolo e le mie: nel rapporto con il padre, nel tentativo di voler essere parte del "Movimento", nell'arroccamento nella purezza e nel successivo esame di coscienza autocritico.
Mi è piaciuta un po' meno la parte finale in cui Francesco Piccolo scende troppo nel personale. In questa parte ho perso la sensazione di stare a leggere un romanzo solamente ispirato a vicende autobiografiche e ho acquisito la consapevolezza di trovarmi di fronte a una vera e propria autobiografia. Ma mi rendo conto che quest'ultimo commento è molto più soggettivo rispetto agli altri.
Ringraziando Zucchero per avermene suggerito la lettura vi propongo qualche passo saliente storico/politico distribuito in qualche puntata.
Il compromesso storico
I fatti storici li conoscevo quasi tutti più o meno bene ma quello che a volte mi mancava era l'interpretazione. Interpretazione soggettiva, certo. Ma proposta da qualcuno che, oltre a essere un ottimo osservatore della realtà, sembra aver attraversato un percorso di consapevolezza e di autocritica, sembra essersi documentato molto bene sui fatti e avere gli strumenti storico-filosofici per poter delineare un quadro d'insieme molto acuto, coerente, accurato e autocritico.
Pur avendo avuto una storia piuttosto diversa dalla mia ed avendo vissuto gli eventi con una maturità di cinque anni di più, ho trovato alcuni paralleli tra la formazione e le esperienze di Francesco Piccolo e le mie: nel rapporto con il padre, nel tentativo di voler essere parte del "Movimento", nell'arroccamento nella purezza e nel successivo esame di coscienza autocritico.
Mi è piaciuta un po' meno la parte finale in cui Francesco Piccolo scende troppo nel personale. In questa parte ho perso la sensazione di stare a leggere un romanzo solamente ispirato a vicende autobiografiche e ho acquisito la consapevolezza di trovarmi di fronte a una vera e propria autobiografia. Ma mi rendo conto che quest'ultimo commento è molto più soggettivo rispetto agli altri.
Ringraziando Zucchero per avermene suggerito la lettura vi propongo qualche passo saliente storico/politico distribuito in qualche puntata.
Il compromesso storico
Adesso, dopo lunghe trattative, si stava per compiere il cammino che Berlinguer aveva intrapreso dai fatti del Cile in poi. Il suo interlocutore era stato sempre Aldo Moro, in questo momento presidente della democrazia cristiana e convinto sostenitore dell'alleanza con i comunisti. In pratica, da quando alle elezioni del 1976 il PCI si era avvicinato così tanto alla DC, la soluzione di Moro fu non contrapporsi più al PCI. Moro ragionava così: la clausola "ad escludendum" deresponsabilizza il partito comunista; non solo: gli dà la possibilità di giudicare di continuo l'operato dei partiti di governo, come se vivesse di rendita sugli errori degli altri; ed era questo, secondo lui, ciò che stava succedendo, e il motivo per cui i voti al PCI si allargavano ogni volta oltre il suo bacino. L'esclusione a priori del PCI lo rendeva un partito populista, senza responsabilità. È questo che Moro spiega in un incontro difficilissimo e decisivo con i deputati e senatori della democrazia cristiana. Il suo discorso politico è nitido: se noi ci alleiamo con il partito comunista, possiamo conservare il potere e il controllo sul Paese per molti altri decenni. E solo con un'alleanza governativa terremo a bada i nostri antagonisti. ... Con questo discorso convincere gli scettici promettendo in cambio moltissimi misure cautelative. La strada per il compromesso storico e finalmente spianata. L'esecutivo, guidando ancora da Andreotti, comprenderà anche il secondo partito italiano. Il nemico.
Comprenderà, però, è una parola eccessiva... Moro ritiene che il PCI non possa ancora entrare nel governo direttamente con i suoi ministri. La cosa sarebbe malvista dall'alleanza atlantica e dai conservatori italiani.
Nel PCI si denuncia il tradimento, Si teme una trappola. Le trattative diventano frenetiche, il PCI chiede almeno la presenza di tecnici che rappresentino in qualche modo una diversità. Ma Moro è irremovibile. Sa come può reagire il Paese, come possono reagire gli Stati Uniti. Convoca Andreotti e gli dà il via per il governo monocolore, senza più esitazioni. Nel PCI c'è rabbia, sospetto, voglia di abbandonare il compromesso. Berlinguer ha difficoltà a sedare gli animi. La proposta di andare in aula e non votare la fiducia viene presa in considerazione. Si sussurra che il PCI potrebbe anche decidere, a sorpresa, di non votare la fiducia ad Andreotti. La sera del 15 marzo, Moro scrivere un bigliettino a Berlinguer e lo rassicura sul fatto che nonostante i nomi dei ministri, che sono il risultato del coinvolgimento delle varie correnti del partito, il rinnovamento andrà avanti. Moro lo prega di votare la fiducia e soprattutto di fidarsi di lui: pian piano il PCI avrà visibilità, ma bisogna cominciare in questo modo. Bisogna tranquillizzare tutti: la destra DC, gli Stati Uniti, i conservatori e gli anticomunisti di tutto il paese. E il giorno dopo, nonostante i malumori e il timore di improvvise defezioni, il PCI avrebbe votato la fiducia al governo, sperando davvero in un primo passo, timido ma sincero, verso un governo comune dei due grandi partiti.
Comprenderà, però, è una parola eccessiva... Moro ritiene che il PCI non possa ancora entrare nel governo direttamente con i suoi ministri. La cosa sarebbe malvista dall'alleanza atlantica e dai conservatori italiani.
Nel PCI si denuncia il tradimento, Si teme una trappola. Le trattative diventano frenetiche, il PCI chiede almeno la presenza di tecnici che rappresentino in qualche modo una diversità. Ma Moro è irremovibile. Sa come può reagire il Paese, come possono reagire gli Stati Uniti. Convoca Andreotti e gli dà il via per il governo monocolore, senza più esitazioni. Nel PCI c'è rabbia, sospetto, voglia di abbandonare il compromesso. Berlinguer ha difficoltà a sedare gli animi. La proposta di andare in aula e non votare la fiducia viene presa in considerazione. Si sussurra che il PCI potrebbe anche decidere, a sorpresa, di non votare la fiducia ad Andreotti. La sera del 15 marzo, Moro scrivere un bigliettino a Berlinguer e lo rassicura sul fatto che nonostante i nomi dei ministri, che sono il risultato del coinvolgimento delle varie correnti del partito, il rinnovamento andrà avanti. Moro lo prega di votare la fiducia e soprattutto di fidarsi di lui: pian piano il PCI avrà visibilità, ma bisogna cominciare in questo modo. Bisogna tranquillizzare tutti: la destra DC, gli Stati Uniti, i conservatori e gli anticomunisti di tutto il paese. E il giorno dopo, nonostante i malumori e il timore di improvvise defezioni, il PCI avrebbe votato la fiducia al governo, sperando davvero in un primo passo, timido ma sincero, verso un governo comune dei due grandi partiti.
Poi tutto questo scomparve di colpo la mattina del 16 marzo...
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