sabato, agosto 04, 2018

Owens e Long: un'amicizia nella Germania di Hitler

Oggi è l'82° anniversario della vittoria di Jesse Owens nel salto in lungo delle olimpiadi di Berlino 1936Le straordinarie vittorie di Owens fanno da cornice a un'ancora più straordinaria storia di umanità e di amicizia nella Germania nazista. Ma partiamo dalla fine.

"Questa fu l’ultima lettera ricevuta da Owens nella primavera del 1943: «Caro amico Jesse, qui dove siamo sembra ci siano solo sabbia e sangue. Non ho paura per me, ma per mia moglie e il mio bambino che non ha mai realmente conosciuto suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere, ti chiedo questo: quando la guerra sarà finita vai in Germania a trovare mio figlio e raccontagli di suo padre. Parlagli di quando la guerra non ci separava, e digli che le cose tra gli uomini possono essere diverse, su questa terra. Tuo fratello Luz».

Il ragazzo bianco e il ragazzo nero si vedono per la prima volta la mattina del 4 agosto 1936. Stadio di Berlino, qualificazione per la finale del lungo. Hanno 23 anni.

Il ragazzo nero, Jesse Owens, il giorno prima ha vinto la finale dei 100 metri, è già un idolo del pubblico. È la Germania di Hitler, ma non tutti allo stadio sono nazisti.

Il ragazzo nero sa che il bianco è dato per favorito. Si chiama Carl Ludwig Long, fisico imponente. È nato a Lipsia da famiglia agiata, ariano puro, capelli biondi e occhi azzurri. Studia Giurisprudenza. Owens è nato in Alabama da una famiglia di agricoltori, settimo di dieci figli. Suo nonno era uno schiavo.

Long si qualifica al primo tentativo. Owens fa due salti nulli, e Long va lui. «Sei troppo teso», gli dice, «rilassati, uno con i tuoi mezzi deve qualificarsi a occhi chiusi. E poi secondo me sbagli rincorsa, allungala di una trentina di centimetri, se vuoi metti una maglietta bianca vicino al punto di battuta».

Owens segue i consigli del rivale e si qualifica, sia pure per pochi centimetri. C’entra l’emozione, ma anche il fatto che il salto è la specialità che Jesse sente meno sua (anche con l’8.13 mondiale). Nel pomeriggio, finale-spettacolo. Owens è sempre primo, ma Long vicinissimo 7.84 contro 7.87 al quarto salto. Al quinto Long pareggia a 7.87, ma Owens sale a 7.94. Nullo l’ultimo salto di Long, 8.06 per Owens. Il primo a congratularsi è Long, appena Owens si rialza dalla sabbia. E parlando fitto vanno verso gli spogliatoi, passando davanti alla tribuna d’onore dove Hitler inghiotte rabbia. «Gli americani dovrebbero vergognarsi di mandare gli ausiliari negri a vincere medaglie al posto loro» dirà Goebbels.

La staffetta Owens aveva chiesto di non disputarla. «Ho già vinto abbastanza, fate correre gli altri». Nal quartetto-base c’erano solo bianchi: Draperer, Wykoff, Stoller e Glickmann. Gli ultimi due, ebrei, vennero depennati, su disposizione di Brundage, e le prime due frazioni della finale le corsero i neri Owens e Metcalfe. Tornato in patria, Owens dichiarò: «Non mi sono sentito offeso da Hitler, semmai dal mio Presidente: ho vinto 4 medaglie per gli Usa e non ho ricevuto neanche una telefonata».

In effetti, Franklin Delano Roosevelt, temendo di perdere i voti degli elettori del Sud, non ebbe mai una parola per Owens, mentre gli olimpionici bianchi erano accolti alla Casa Bianca con tutti gli onori. Allo stesso modo si comportò Truman, il successore. I primi importanti riconoscimenti ufficiali glieli tributarono Gerald Ford nel 1976 e Jimmy Carter nel 1979. Nessun contratto pubblicitario per Owens nel ’36. Passò professionista, corse contro auto, moto, camion, levrieri, cavalli. Fece il bidello, il benzinaio, il disc-jockey, il conferenziere (ma sempre entrando negli alberghi dalla porta di servizio, e salendo sugli autobus da quella posteriore). Fece il preparatore atletico degli Harlem Globetrotters.

«Molti dei lavori che ho fatto li ho fatti malvolentieri. Ma erano tutti lavori onesti e dovevo pur mangiare», disse. Ebbe sempre al fianco la moglie Ruth, si erano sposati giovanissimi nel ’35, fino all’ultimo giorno: 31 marzo 1980. Owens morì di cancro ai polmoni, fin da adolescente fumava un pacchetto di sigarette al giorno.

Long e Owens continuarono a scriversi. Questa fu l’ultima lettera ricevuta da Owens nella primavera del 1943: «Caro amico Jesse, qui dove siamo sembra ci siano solo sabbia e sangue. Non ho paura per me, ma per mia moglie e il mio bambino che non ha mai realmente conosciuto suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere, ti chiedo questo: quando la guerra sarà finita vai in Germania a trovare mio figlio e raccontagli di suo padre. Parlagli di quando la guerra non ci separava, e digli che le cose tra gli uomini possono essere diverse, su questa terra. Tuo fratello Luz».

Si era laureato, Long, e sposato. Il figlio, Kai, nacque nel ’42. Long fu richiamato alle armi come ufficiale della Luftwaffe. Ferito nella battaglia all’aeroporto di Biscari, morì 4 giorni dopo, il 14 luglio 1943. E in Germania Owens ci andò a parlare col figlio di Long. Ad Amburgo, nel 1951. E quando Kai si sposò l’invitato d’onore era Owens. Ai mondiali di atletica a Berlino, nel 2009, Kai Long e sua figlia Martine abbracciarono Marlene Dortch, la nipote di Owens.

A Owens è intitolato un viale, vicino allo stadio di Berlino. Long è sepolto nel cimitero di Motta Sant’Anastasia (Catania), fos­sa comune 2, piastra E."

Da JESSE OWENS E LUTZ LONG, ALL’OMBRA DELL’OLIMPIADE DI HITLER di Gianni Mura pubblicato lunedì, 16 maggio 2016

Un bel racconto di questa storia lo si trova anche nella puntata radiofonica JESSE OWENS - IL CIELO SOPRA BERLINO | Leggende Olimpiche del 30/07/2016 e nella puntata TV de La Grande Storia I campioni di Hitler.

8 commenti:

dioniso ha detto...

Da FB

Annalisa
Bellissimo Dioniso...ovviamente rubo! 😏

Pietro
Che bel racconto.

Dioniso
Sì, è una storia molto bella. Piena di umanità positiva.

Stefania
La condivido ❤️

dioniso ha detto...

Fiore Liborio
Il povero Long fece una brutta fine per quell'amicizia...ma Owens un grande!!

Dioniso
Perché fece una brutta fine per quell'amicizia? Da quello che ho letto "Long morì a trent'anni per le ferite riportate in combattimento durante la seconda guerra mondiale nell'Operazione Husky, che vide gli Alleati sbarcare in Sicilia. Long, di stanza a Niscemi con la divisione corazzata "Hermann Göring", fu coinvolto nei feroci combattimenti attorno alla piana di Gela."

Pietro
Magari non lo mandavano al fronte essendo un olimpionico medaglia d'argento.

Comar Enrico
Non credo che nel 43 potessero permettersi di tenere gente abile lontana dal fronte...

dioniso ha detto...

Comar Enrico
Comunque Hitler & Co non se la presero mai troppo per la faccenda di Owens, dicendo che "i popoli primitivi sono più portati per certe discipline". Anzi, in Olympia, finanziato dal partito, Owens viene inserito senza problemi (anche se Leni Riefensthal disse che Goebbles -credo- minacciò di prenderla a pugni, mentre Hitler approvò tutto il film). In quegli anni la Germania faceva di tutto per mostrare al mondo la sua faccia migliore, ed effettivamente quelle olimpiadi furono una bella parentesi di "correttezza" (anche da parte delle altre nazioni europee, già molto ostili alla Germania, che fino a poche settimane prima avevano minacciato boicottaggi) e netta separazione tra sport e politica.

Piccolo aneddoto: per la staffetta, gli americani intendevano schierare gli atleti arrivati 3, 4, 5 e 6 nelle qualificazioni di corsa, decidendo di cambiare formazione la mattina stessa. Si dice che, dato che due di loro erano ebrei, furono fatte pressioni politiche per escluderli ed evitare attriti con i tedeschi. L'allenatore per risposta decise di schierare Owens e Metcalfe: Neri!
Gestire

Alfonso Rossetti
Eppure nelle biografia di Owens che consiglio a tutti leggere, il grandissimo Lampo d'Ebano scrisse che vi era molto più razzismo negli Usa di quanto ne percepì lui stesso alle Olimpiadi di Berlino. Adesso non attribuitemi ciò che non ho detto, ovvero che il Terzo Riech non fosse una ignobile dittatura, per favore. Riporto solo le dichiarazioni dello stesso Owens per completezza di informazione.

dioniso ha detto...

Pietro
Hai ragione e penso la stessa cosa. I presidenti americani, se leggi l'articolo del blog di Dioniso, non lo invitarono alla Casa Bianca, come invece fecero per gli altri atleti vittoriosi in quelle olimpiadi. Vergognoso razzismo di stato. Gli Stati Uniti sono la patria del KKK. Mica pifferi.

Alfonso
Vi è sempre in tema di atletica un altro clamoroso caso datato Olimpiadi di Stoccolma (vado a braccio e non ricordo se si siano tenute nel '20, '24 o '28), riguardò un altro formidabile atleta nativo americano, un "indiano" per intenderci. Egli si chiamava Jim Thorpe al metto di errori di battitura. Ebbene questo atleta conseguì una medaglia in quella manifestazione, ma in America fecero di tutto per screditarne il valore: fu accusato dalla stampa Usa di aver preso soldi per una gara di corsa in una sagra paesana di qualche sperduto villaggio americano. Tanto fecero che il CIO decise di togliere postumamente, se posso dire così, la medaglia a questo fenomeno di varie specialità. Ovviamente morì solo, abbandonato e alcolizzato in una baracca tanto grande fu il dramma che visse. Fatto sta che dopo anni il CIO riaprì l'inchiesta ed emerse che Thorpe non gareggiò per soldi (all'epoca per un atleta era considerato tabù!), i reali di Svezia convocarono a metà degli anni Ottanta, vado a braccio anche adesso, non sono uno storico dell'atetica mondial :D, gli eredi del povero Jim che nel frattempo era schiattato di crepacuore e riconsegnaro la medaglia alla memoria, nel tentativo vano e goffo di porre rimedio alla eccezionale ingiustizia. ;)

Enrico
Il razzismo tedesco era superficiale, indotto in tempi relativamente brevi per ragioni politiche sfruttando il malessere sociale dell'epoca. Quindi era abbastanza facile "spegnerlo a comando" nelle occasioni opportune. Il razzismo americano, sebbene meno palese e violento, era ben più radicato sotto la superficie, coltivato in due secoli di schiavismo e di convivenza conflittuale.

Alfonso
Esatto. Oltretutto al tempo se non "indotte" le ragioni per essere razzisti neppure ve ne erano, tenuto conto che la gente al massimo si spostava da un Land ad un altro e i contatti con gli stranieri praticamente nulli.

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Pietro Spagnoli
Pietro Spagnoli Che vergogna. Il razzismo anglosassone è stato ben esportato in tutte le colonie.
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Gestire
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Alfonso Rossetti
Alfonso Rossetti Beh, francesi, spagnoli, portoghesi, belgi e olandesi e per certi versi perfino noi, ma rispetto a quelli sopra poca roba, non è che abbiano scherzato. :)

dioniso ha detto...

Dioniso Dionisi Capisco le vostre considerazioni. Ma penso che esse vadano fatte con attenzione perché potrebbero essere facilmente fraintese.
Per quanto riguarda il razzismo radicato, io vivo in una ricca città universitaria della Germania del sud. Quindi qui, forse anche per ragioni storico-sociali, il razzismo di quel tipo non mi è mai capitato di incontrarlo. A parte in qualche manifestazione di gruppuscoli di scalmanati.
Però posso dirvi che ho avuto a che fare con diversi colleghi dell’Europa dell’est il cui razzismo radicato si percepiva chiaramente. Con questo non voglio generalizzare. Si tratta solo della mia esperienza personale.
Di recente mi è capitato di ascoltare questa puntata radiofonica. Ne consiglieri l’ascolto. Parla dell’ultimo pogrom europeo accaduto in Polonia dopo la fine della guerra.

dioniso ha detto...

Dioniso
Detto questo, il mio voleva essere un tentativo di sottolineare la storia di umanità, lealtà e amicizia in una situazione sfavorevole più che un tentativo di innescare un dibattito su chi avesse il tipo peggiore di razzismo.

In realtà poi, anche qui nella città ricca abbiamo vissuto sulla nostra pelle un caso che forse non definirei proprio di razzismo, ma più espressione di quell’insopprimibile tendenza all’ipertrofia dell’ego nazionale che affligge questo popolo da tempi remoti.
E in quel caso ad esprimere quella tendenza fu una rappresentante delle istituzioni.

Pietro
Dioniso, il tuo racconto è bellissimo. L'amicizia abbatte frontiere e culture ed è solo una grande ricchezza. Chi l'apprezza riconosce il valore dell'essere umano che ha di fronte.
Abbiamo spostato il tiro. Scusa me innanzitutto.
Tornando al tema della tua esperienza personale, te e Daniela siete emigranti di lusso. Istruiti e specializzati. Consci del vostro valore sociale e culturale.
Quelli che hanno passato i nostri bisnonni e nonni è stata una grande umiliazione.
Anche io, emigrante di lusso, non ho mai patito nessun episodio sgradevole, a parte un bigliettaio della stazione di Mentone, Francia del sud, che reagì malissimo perché una mia carta di credito non funzionava. Sembrava gli avessi messo le mani nella cassa della biglietteria, o che trenta secondi in più compromettessero la sua giornata. Ero giovane ma risposi a modo e lo freddai lì sulla sua poltroncina in similpelle.
I pregiudizi sono una piaga.

dioniso ha detto...

Enrico
In generale comunque, le nazioni europee credo siano meno inclini al razzismo di altre. Anche perché vivono in una situazione di alta stabilità sociale e politica e di generale benessere, che non generano il bisogno di trovare nemici o colpevoli.

dioniso ha detto...

Dioniso
Sì, concordo. Noi siamo emigranti di lusso. I nostri “disagi” se messi a confronto di quelli degli emigranti veri sono ridicoli.