Opinioni | Lasciare i social per salvare i libri | Corriere.it
"È giunta davvero l’ora di levare le tende dai social? È la domanda-che hanno posto sul «Foglio» Giulio Silvano e Antonio Gurrado, sollecitati da un allarme, lanciato su Dagospia da Paolo Di Paolo, a proposito del sempre più scadente livello dell’editoria e del decrescente numero di lettori. Qualche sera fa ho sentito dire che continuando a puntare tutto o quasi su prodotti popolari, alla fine gli editori rendono sempre più facile (e ovvia) la sostituzione del libro con i suoi surrogati (fiction e altro). Un vero e proprio harakiri. A loro modo anche gli autori contribuiscono al precipizio. Diventando imprenditore di sé stesso, ciascuno fa la sua corsa solitaria verso il massimo di visibilità, magari ingaggiando un addetto stampa o un social promoter ad personam.
Giulio Silvano proponeva, sul foglio, due forme di resistenza, interessanti ma altrettanto improbabili.
Primo: pubblicare un libro ogni dieci anni, abbassando la soglia della vanità e del narcisismo.
La seconda è, appunto, abbandonare i social tutti insieme, «uscire dalla dittatura dell’algoritmo e dei follower». Una dittatura che ha effetti noti: da una parte gli editori inseguono i nomi più seguiti sui social (da qui gli influencer bestseller). Dall’altra, molti scrittori impegnano le loro giornate nell’autopromozione cercando di conquistare il massimo di mi-piace.
Un esodo di massa da X, da Facebook, da Instagram avrebbe il vantaggio di assumere, in questo momento, un valore più solidamente engagé sfruttando lo sdegno generale per la svolta trumpiana dei tycoon digitali. Certo, è vero quel che dice Ricci: se non sei laggiù, nell’isola che non c’è dove tutto accade, non esisti. Da qualche settimana, a 88 anni, si è affacciato su Facebook il più raffinato e ironico scrittore italiano, Giovanni Mariotti. Dopo il grande esodo spero che sull’isola che non c’è rimanga almeno lui, con un paio d’altri (Andrea Di Consoli, Alberto Cristofori, Marco Ciriello...), non di più."
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