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domenica, aprile 17, 2016

De Africa - Ernesto Ragazzoni

Visto che eminenti intellettuali sostengono che imparare poesie a memoria sia cosa buona e giusta io mi sto cimentando con questa. Se qualcuno fosse interessato a ingaggiarmi per una declamazione pubblica o privata mi faccia sapere.

De Africa - Ernesto Ragazzoni



Vi dirò dunque dell’Affrica,
la qual Affrica è il paese
dove sta il senegalese,
l’ottentotto ed il niam-niam;
ed ha un clima così torrido
che, pel sole e i gran calori,
tutti i neri sono mori
ed in più, figli di Càm.

Gli abitanti — detti indigeni —
così in uggia han panni e gonne
che, sì uomini che donne,
vanno nudi, o giù di lì;
ed han gusti così semplici
che, talor, se è necessario,
mangian anche il missionario
che li accolse e convertì.

Pur ve n’ebbero, di celebri
affricani, e di cartello:
Amonasro, il moro Otello,
la regina Taïtù,
e fra tutti memorabile
quel Scipione l’Affricano
così detto, perché un sano,
vero e buon romano fu.

Fattispecie di triangolo
con la punta volta in basso,
mezzo arena e mezzo sasso
e padul l’altra metà
(tre metà?), caos di polvere
con dentro iridi di fiori,
tale è l’Affrica, o signori,
nella sua complessità.

L’Ibi, il tropico del Canchero
l’equatore, l’Amba rasa
sono là come di casa,
con il ghibli, il Congo, Assab;
col cammello, con il dattero
e la tanto celebrata
adamonia digitata,
che sarebbe il baobab.

Sono là. E là — tartufolo
minerale — c’è il diamante,
c’è la pulce penetrante,
e la ria mosca tsè-tsè.
Ed è là che a volte càpita
di veder, tra arbusto e arbusto,
quel pulcino d’alto fusto
che lo struzzo è detto... ed è.

Ma la cosa che c’è in Affrica
e più merita attenzione
è il terribile leone,
ruggibondo e divorier.
Non è ver che di proposito
sia malevolo e cattivo,
ha un carattere un po’ vivo,
e va in bestia volentier.

Ed allora, Dio ne liberi
incontrarlo per la strada!
Se per lì non ci si bada
si finisce entro il leon.
Affamato, quei vi stritola
vi trangugia a larghe falde
poi, tra ciuffi d’erbe calde,
digerito vi depon.

Sono cose che succedono.
Ma l’ardito cacciatore
col fucil vendicatore
spaccia il mostro — e come no!
Urli, spari, capitomboli!
Crolla il re della foresta.
Alla sera... Allah! gran festa
di tam-tam e di falò.

Viva l’Affrica ed il semplice
suo figliolo, l’affricano.
Non ancora buon cristiano
veramente come va;
un po’ lesto di mandibola,
un po’ lento nel lavarsi,
coi capelli crespi ed arsi,
... ma... speriamo... si farà.

Già, pel bianco nostro merito
ei, selvaggio ebano ignavo
si piegò, percosso e schiavo,
nella pelle del zio Tom,
ed — onore per lui inclito —
importato or ora in Francia
s’ebbe a far bucar la pancia
sulla Marna e sulla Sòm.

Benvenuto dal tuo Senegal,
fratel nero, e dal Sahara;
dalla tua contrada avara
benvenuto a crepar qui.
Vien! L’Europa qui ti prodiga
(giù la barbara zagaglia!)
la civile sua mitraglia
che già tanto suol nutrì!

Ti vogliamo eroe... Rallegrati.
Pur, se mai, ti si dà il caso
che tu porti fuori il naso
da quest’orgia, o almeno un piè,
quando torni ai tuoi, ricòrdati:
(quando là sarai tranquillo)
— Tante cose al coccodrillo,
per mio conto, e al cimpanzè!

venerdì, febbraio 19, 2016

O Germania

Oggi che la Germania
Non è più il mostro accucciato
Che ho conosciuto nell’infanzia,
Oggi che è tornata arrogante
E la sua
Meticolosità nell’efficienza
Mi appare per quel che è
– Nevrosi da obbedienza –
Io le ripeto: quieta, zitta, a cuccia
Già hai dato il meglio, non strafare.

sabato, gennaio 30, 2016

Leopardi: Non essere cattivo

Negli ultimi due giorni ho visto due film molto diversi tra loro. Il primo è stato "Non essere cattivo", gentilmente prestatomi dall'amico Luciano. E dopo averlo visto gliel'ho commentato così: "Bello! Sto ancora a piagne."
E, dopo aver visto Il giovane favoloso, mi è venuta da fare questa considerazione.
"Non essere cattivo" mi ha fatto risuonare molte corde emotive. Ieri invece ho visto al cinema il film di Martone su Leopardi. Bella la fotografia, interessante la storia e la ricostruzione. Però, nonostante si parlasse di un poeta con una mente e una sensibilità eccelse imprigionate in un corpo deforme - situazione che non può ingenerar altro che insopportabili dolori fisici e spirituali - il film non mi ha suscitato emozioni così forti.

mercoledì, ottobre 17, 2012

Quando il bambino era bambino



«Quando il bambino era bambino,                            Als das Kind Kind war,
se ne andava a braccia appese.                                 ging es mit hängenden Armen,
Voleva che il ruscello fosse un fiume,                      wollte der Bach sei ein Fluß,
il fiume un torrente,                                                  der Fluß sei ein Strom,
e questa pozza il mare.                                              und diese Pfütze das Meer.

Quando il bambino era bambino,                              Als das Kind Kind war,
non sapeva d’essere un bambino.                             wußte es nicht, daß es Kind war, 
Per lui tutto aveva un’anima,                                    alles war ihm beseelt,
e tutte le anime erano tutt’uno.                                 und alle Seelen waren eins.

Quando il bambino era bambino,                              ......


su niente aveva un’opinione.
Non aveva abitudini.
Sedeva spesso a gambe incrociate,
e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli,
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
Perché io sono io, e perché non sei tu?
Perché sono qui, e perché non sono lì?
Quando è cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio?
La vita sotto il sole, è forse solo un sogno?
Non è solo l’apparenza di un mondo davanti a un mondo,
quello che vedo, sento e odoro?
C’è veramente il male?
E gente veramente cattiva?
Come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare?
E che un giorno io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

Quando il bambino era bambino,
non riusciva ad inghiottire gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
il cavolfiore bollito,
ed ora mangia tutto, e non solo per necessità.

Quando il bambino era bambino,
si risvegliò una volta in un letto estraneo,
ed ora gli accade sempre,
gli apparivano belli molti uomini,
e adesso soltanto in rari casi,
si rappresentava nitidamente un paradiso,
e adesso lo può al massimo intuire,
non riusciva ad immaginare il nulla,
ed oggi rabbrividisce al suo pensiero.

Quando il bambino era bambino
giocava con entusiasmo
e adesso è così preso dalla cosa come allora
solo se questa cosa è il suo lavoro.
Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così. 

Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano,
come solo le bacche sanno cadere.
Ed è ancora così.
Le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così.
Ad ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora più alta,
e in ogni città sentiva nostalgia di una città ancora più grande.
E questo, è ancora così.
Sulla cima di un albero,
prendeva le ciliegie tutto euforico,
com’è ancora oggi.
Aveva timore davanti ad ogni estraneo,
e continua ad averne.
Aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l’albero un bastone, come fosse una lancia.
E ancora continua a vibrare.»

(P. HANDKE, Lied Vom Kindsein)

domenica, gennaio 08, 2012

Una forza del passato

"Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più"

Pier Paolo Pasolini

mercoledì, giugno 02, 2010

Vivi dell'oggi e non perdere al vento la vita

Non ricordare il giorno trascorso
e non perderti in lacrime sul domani che viene:
su passato e futuro non far fondamento
vivi dell'oggi e non perdere al vento la vita.
(ʿOmar Ḫayyām, Rubʿayyāt)
از دی که گذشت هیچ از او یاد مکن
فردا که نیامده‌ست فریاد مکن
بر نامده و گذشته بنیاد مکن
حالی خوش باش و عمر بر باد مکن

mercoledì, aprile 18, 2007

Serenata de paradiso

Grazie al bel CD di Tosca che da giorni ascolto in continuazione ho conosciuto questa bellissima serenata romana. La canto stasera per dimenticare le disavventure ciclistiche ;-) e la dedico a Zucchero che si trova a 1200 Km di distanza.




Sotto le stelle che brilleno,
a mille a mille lassu,
co sta serata incantevole,
c'amanchi solo che tu...
dormi e nun pensi allo spasimo
che sto provanno quaggiú.

Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
te vojo fa senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.

Amore tu che la gunnuli,
mentre che sta a riposa,
baciela m'bocca e baciannola,
cerca de falla sveja...
è mio quer bacio e sussurreje,
che me lo venghi a rida'...

Ma come poi dormi,
co st'aria 'mbarzamata,
tesoro viè a senti,
sta bella serenata.
Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
sei la gioa, la vita e l'amore...
e sto core sospira pe te.

Te vojo fa sapè,
quello che sei pe me...
pupa bella viè 'mbraccio all'amore...
io te vojo sortanto pe me.

venerdì, aprile 13, 2007

L'antiromanismo spiegato a mio figlio

Un esempio di come i romani prendono le sconfitte..... diciamo pure disfatte.







Sì, a papà, era sera
Era d'aprile
Er pesce era passato, muto e senza spine

Nell'Albione perfida e a modello
Cavalli mozzicanti invece che er manganello

S'era partiti pe' 'n'impresa, de quelle da racconta' davanti al focolare
Tutto bruciava 'n' petto
Muto, er cellulare

Chi era rimasto in tera sampietrina
Era du' giorni che nun dormiva come dormiva prima

Er traffico nun c'era, i semafori silenti
I dentisti s'erano rifiutati de cava' li denti

I televisori a palla coprivano li piatti apparecchiati
Qualcuno pannellava sciopero dei carboidrati

Poi venne l'ora, quella che non vie' pe' tutti
Eravamo tutti belli, a papà, nun esistevano più li brutti

Nun era un sogno, era reale
Manco li gabbiani sur tetto del Quirinale

Parte l'orologio, fischia l'omo in giallo
Partono le vene, pompa er core de metallo

Manco la prima scarica de adrenalina pura
Che ar decimo più o meno l'idraulico ce stura

Ce stura er lavandino dove nun score niente
Se non nel sangue de chi crede alla panza e no alla mente

Tu penzi: "Daje...daje reca' non è successo niente
E' 'na battaglia, battaglia dirompente

Via la maglia dai calzoni, sporcateve er battente"
Invece niente

Li vedi rotola' su un prato all'inglese
Come 'na balla de fieno a Porta Portese

Poi parte un conto alla rovescia dei manrovesci che ce danno
Penzi: "Daje, basta poco"
Sì...ma quanno

Non c'è er tempo pe' ferma' er tempo boia
Penzi: "Mai, mai un giorno de gloria"

E qui, papà, devi penza'
Sì, che chi dopo 'sta sera d'aprile è annato a festeggia'

La gioia la troverà solo sulle disgrazie altrui
Pe' 'sta gente non c'è luce, papà, ma solo giorni bui

Perchè chi pe' soride' deve vede piagne uno, mille e centomila
E' uno che nella vita sua starà sempre ‘n fila

Chi invece la prova, la vita, sulla pellaccia
Non starà mai a chiede un sorso da 'n'altra boraccia

Sii orgoglioso, papà, de prova' emozioni davanti a 11 leoni
A volte un pò coglioni

E' raro, amore mio, è raro come te
E come mamma tua
Che dopo er sette a uno c'ha lasciato a sparecchia'
Limortaccisua!


Valerio Mastandrea

giovedì, agosto 10, 2006

San Lorenzo

Ritorno al lavoro dopo quattro settimane: voja de lavora' sarteme addosso e tu pigrizia, nun m'abbandona'.

Stanotte bisognerenne andare ad osservare le stelle cadenti sdraiandosi su prati tempestati di lucciole.
Purtroppo qui attualmente il clima non consente né l'osservazione del cielo, né di sdraiarsi sui prati, né la sopravvivenza delle lucciole.

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

giovedì, agosto 03, 2006

La pioggia... nel pineto

Camminavo su di una strada sterrata del mio paese natale. Ad un certo punto la strada era chiusa da un fil di ferro teso tra due paletti di legno: lo scavalco. Dopo un po' passa un tir che sembra voglia travolgermi, ma si ferma un soffio prima di farlo. Il camionista scende e mi obbliga ad andare con lui in un ristorante... non so come mi devo comportare. In quel momento la sveglia mi ha trafitto i timpani, entrando dritta al centro del cervello. Non mi sarei proprio alzato: ho deciso, da domani dormo mezz'ora di più.
Ad accogliere il mio risveglio c'era una luce molto fievole e un tamburellare autunnale di pioggia.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.