giovedì, febbraio 06, 2025

Il discorso di Sergio Mattarella all’Università di Aix-Marseille

Condivido tre brani discorso di Mattarella. Il testo integrale si trova qui: Intervento di Sergio Mattarella all’Università di Aix-Marseille

Il video integrale si trova qui: Mattarella - Cerimonia di consegna dell’onorificenza accademica di Dottore Honoris Causa, Marseille – l’intervento di Mattarella comincia intorno al minuto 38.

Credo che almeno questi tre brani vadano ascoltati o letti con attenzione: perché affrontano temi di grande attualità e cruciale importanza per il futuro. È improbabile che abbiano un effetto immediato sui destinatari delle critiche, ma un discorso simile, pronunciato da una figura autorevole come Mattarella, rappresenta comunque un punto di riferimento nel dibattito già in corso.

“…Accanto a questa nuova articolazione multipolare dell’equilibrio mondiale, si riaffaccia, tuttavia, con forza, e in contraddizione con essa, il concetto di “sfere di influenza”, all’origine dei mali del XX secolo e che la mia generazione ha combattuto.

Tema cui si affianca quello di figure di neo-feudatari del Terzo millennio - novelli corsari a cui attribuire patenti - che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche.

Ricordiamoci cosa detta l’Outer Space Treaty all’ Art. II: “Lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile”.

L’età moderna è stata caratterizzata dalla “Conquista”, di terre, ricchezze, risorse. Nei secoli, dall’abbandono progressivo di territori non più fertili, con le migrazioni verso nuovi lidi. In tempi relativamente recenti, con il mito, in America, della “Nuova frontiera”.

Regole e strumenti ci sarebbero per affrontare questa fase e allora perché il sistema multilaterale sembra non riuscirci, con il rischio del ripetersi di quanto accaduto negli anni Trenta del secolo scorso: sfiducia nella democrazia, riemergere di unilateralismo e nazionalismi?

Oggi come allora si allarga il campo di quanti, ritenendo superflue se non dannose per i propri interessi le organizzazioni internazionali, pensano di abbandonarle.

Interessi di chi? Dei cittadini? Dei popoli del mondo? Non risulta che sia così.

Le conseguenze di queste scelte, la storia ci insegna, sono purtroppo già scritte.

È il momento di agire: ricordando le lezioni della storia e avendo a mente il fatto che l’ordine internazionale non è statico. E' un’entità dinamica, che deve sapersi adattare ai cambiamenti, senza cedimenti su principi, valori e diritti che i popoli hanno conquistato e affermato.

Quest’anno - ho menzionato Bandung e la Carta di San Francisco - ricorrono altresì i cinquant’anni dalla conclusione della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, insieme ai trent’anni dell’Osce, che ne è derivata.



L’Europa intende essere oggetto nella disputa internazionale, area in cui altri esercitino la loro influenza, o, invece, divenire soggetto di politica internazionale, nell’affermazione dei valori della propria civiltà?

Può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie?

Con, al massimo, la prospettiva di un “vassallaggio felice”.

Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere “protagonisti”?

L’Italia dei Comuni, nel XII e XIII secolo, suggestiva ma arroccata nella difesa delle identità di ciascuno, registrò l’impossibilità di divenire massa critica, di sopravvivere autonomamente e venne invasa, subì spartizione.

L’Europa appare davanti a un bivio, divisa, come è, tra Stati più piccoli e Stati che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi, a fronte della nuova congiuntura mondiale.

L’Unione Europea è uno degli esempi più concreti di integrazione regionale ed è, forse, il più avanzato progetto - ed esempio di successo - di pace e democrazia nella storia.

Rappresenta senza dubbio una speranza di contrasto al ritorno dei conflitti provocati dai nazionalismi. Un modello di convivenza che, non a caso, ha suscitato emulazione in altri continenti, in Africa, in America Latina, in Asia.

Costituisce un punto di riferimento nella vicenda internazionale, per un multilateralismo dinamico e costruttivo, con una proposta di valori e standard che abbandona concretamente la narrazione pretestuosa che vorrebbe i comportamenti dei “cattivisti” più concreti e fruttuosi rispetto a quelli dei cosiddetti “buonisti”.

L’Unione Europea semina e dissemina futuro per l’umanità. Ne sono testimonianza gli accordi di stabilizzazione internazionale stipulati con realtà come il Canada, il Messico, il Mercosur. Le stesse politiche di vicinato, le intenzioni messe in campo dopo la Dichiarazione di Barcellona sul partenariato euro-mediterraneo (siamo a trent’anni da quella data).

Occorre che gli interlocutori internazionali sappiano di avere nell’Europa un saldo riferimento per politiche di pace e crescita comune. Una custode e una patrocinatrice dei diritti della persona, della democrazia, dello Stato di diritto.

Chiunque pensi che questi valori siano sfidabili sappia che, sulla scia dei suoi precursori, l’Europa non tradirà libertà e democrazia.



La crisi economica mondiale del 1929 scosse le basi dell'economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. La libertà dei commerci è sempre stata un elemento di intesa e incontro. Molti Stati non colsero la necessità di affrontare quella crisi in maniera coesa, adagiandosi, invece, su visioni ottocentesche, concentrandosi sulla dimensione domestica, al più contando sulle risorse di popoli asserviti d’oltremare.

Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali.

Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto - anziché di cooperazione - pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista.

Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa.

L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura.

…”

sabato, febbraio 01, 2025

Il possibile esodo dalle reti sociali vicine al trumpismo

Negli ultimi giorni Loredana Lipperini, ha trattato il tema in due puntate di Pagina 3: Librerie fantascientifiche e I percorsi del potere.

Nell'ultima puntata ha consigliato la lettura di questi tre articoli.

Zuckerberg non ha mai creduto in niente - Lucy
Racconta bene tutte le metamorfosi Zuckerberg: "alfiere di tutto il contrario di cui era stato il capofila fino al giorno prima". Passato dalla telefonata dopo la vittoria del 2016 in cui Zuckerberg si è congratulato con Trump per il suo “innovativo” uso di Facebook; al dietrofront, dopo lo scandalo di Cambridge Analytica), con la promessa che la sua multinazionale avrebbe fatto di più per contrastare la disinformazione; al riavvicinamento a Trump, durante la pandemia, con la famosa esternazione che Facebook non avrebbe fatto da “arbitro della verità” di fronte alle bugie di Trump sui voti per corrispondenza; al voltafaccia, seguito all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 con la corsa di Zuck per arrivare primo nella gara a bandire il presidente dalle sue piattaforme; fino all’ultima campagna elettorale in cui Trump ha accusato apertamente Zuckerberg di aver “tramato” contro di lui nelle elezioni di quattro anni prima, spiegando che se l’avesse rifatto avrebbe “passato il resto della sua vita in prigione. Zuckerberg gli ha risposto epurando i vertici di Meta in favore di figure come il nuovo responsabile degli affari globali Joel Kaplan, trumpiano di ferro, donando un milione di euro al fondo per l’insediamento della nuova amministrazione e alleandosi alla crociata in favore della “libertà di espressione”.

Perché è il momento per un social network europeo - L'INDISCRETO

Addio Facebook e Instagram: è ora di ricostruire le nostre case digitali - Valigia Blu

Il tema proposto da Loredana Lipperini mi coinvolge e mi fa riflettere. Continuerò a seguire il dibattito. Non escludo di maturare decisioni che mi portino ad abbandonare lentamente le reti social vicine al trumpismo.

Mentre scrivo queste riflessioni sul blog mi viene da pensare quanto siano diversi la mia postura e il mio atteggiamento quando scrivo sulle reti sociali rispetto a quando scrivo su un blog. 

Nel primo caso uso quasi sempre il cellulare e tendo a scrivere in modo più veloce e superficiale. Quel tipo do scrittura non mi spinge alla riflessione e all'approfondimento. E da lettori, si rischia di non andare oltre le tre righe e saltare compulsivamente da un post all'altro. Se leggo da un blog, posso sempre salvarmi la pagina e tornarci. Pratica rara e complicata quando si legge dalle reti sociali.    

È giunto il momento di lasciare le reti sociali per salvare i libri (e il pensiero lento, aggiungerei) - Di Paolo Di Stefano

 Opinioni | Lasciare i social per salvare i libri | Corriere.it

"È giunta davvero l’ora di levare le tende dai social? È la domanda-che hanno posto sul «Foglio» Giulio Silvano e Antonio Gurrado, sollecitati da un allarme, lanciato su Dagospia da Paolo Di Paolo, a proposito del sempre più scadente livello dell’editoria e del decrescente numero di lettori. Qualche sera fa ho sentito dire che continuando a puntare tutto o quasi su prodotti popolari, alla fine gli editori rendono sempre più facile (e ovvia) la sostituzione del libro con i suoi surrogati (fiction e altro). Un vero e proprio harakiri. A loro modo anche gli autori contribuiscono al precipizio. Diventando imprenditore di sé stesso, ciascuno fa la sua corsa solitaria verso il massimo di visibilità, magari ingaggiando un addetto stampa o un social promoter ad personam.

Giulio Silvano proponeva, sul foglio, due forme di resistenza, interessanti ma altrettanto improbabili.
Primo: pubblicare un libro ogni dieci anni, abbassando la soglia della vanità e del narcisismo.
La seconda è, appunto, abbandonare i social tutti insieme, «uscire dalla dittatura dell’algoritmo e dei follower». Una dittatura che ha effetti noti: da una parte gli editori inseguono i nomi più seguiti sui social (da qui gli influencer bestseller). Dall’altra, molti scrittori impegnano le loro giornate nell’autopromozione cercando di conquistare il massimo di mi-piace.
Un esodo di massa da X, da Facebook, da Instagram avrebbe il vantaggio di assumere, in questo momento, un valore più solidamente engagé sfruttando lo sdegno generale per la svolta trumpiana dei tycoon digitali. Certo, è vero quel che dice Ricci: se non sei laggiù, nell’isola che non c’è dove tutto accade, non esisti. Da qualche settimana, a 88 anni, si è affacciato su Facebook il più raffinato e ironico scrittore italiano, Giovanni Mariotti. Dopo il grande esodo spero che sull’isola che non c’è rimanga almeno lui, con un paio d’altri (Andrea Di Consoli, Alberto Cristofori, Marco Ciriello...), non di più."

giovedì, dicembre 05, 2024

L'improvvisazione nella musica "classica"

"Schumann imparò a suonare in modo simile a come un giovane di oggi imparerebbe a suonare la chitarra. Cioè suonando giri di accordi e improvvisando su quelli. Ma improvvisare non nel senso di fare liberamente ciò che gli veniva in mente, ma nel senso di imparare moduli e schemi. Imparare a muovere le dita sul pianoforte liberamente seguendo delle successioni e degli schemi. Solo dopo due anni il padre gli mise davanti uno spartito.

Questo significava fino all’ottocento studiare la musica."

martedì, dicembre 03, 2024

Un patrimonio personale paragonabile al PIL di uno stato

Una singola persona che pretende uno stipendio annuo di 56 miliardi?
Tanto per farsi un’idea, è una cifra paragonabile (circa 3/4) alla spesa annuale dell’Italia per l’intero sistema di istruzione scolastica, che andrebbe ad aggiungersi a un patrimonio personale di 314 miliardi: paragonabile al PIL della Nuova Zelanda.
E questa persona è circondata da legioni di ammiratori (Umberto Eco avrebbe usato un altro termine ) pronti a osannare ogni sua mossa e convinti che l’ultima elezione presidenziale abbia segnato la riscossa degli esclusi.
No, rimango convinto che non comprerei una Tesla neppure se fossi straricco. Nemmeno sotto tortura!

martedì, novembre 05, 2024

Raffa in the Sky

Un'opera lirica con Raffaella Carrà come protagonista? Ebbene sì. E il risultato è una godibile combinazione di musica colta, pop e citazioni più disparate.

Un'opera lirica con Raffaella Carrà come protagonista? Ebbene sì. E il risultato è una godibile fusione tra musica colta e pop, arricchita da citazioni che spaziano tra riferimenti classici e contemporanei. Un omaggio che mescola mondi e linguaggi diversi, per un’esperienza che riesce a essere, insieme, profonda e leggera.



"Raffa in the Sky è un’opera, una vera opera lirica, che si ispira alla figura iconica di Raffaella Carrà, prima grande diva televisiva italiana ma anche personaggio internazionale. Non è una biografia in musica, ma il racconto di una carriera artistica che ha accompagnato, e talvolta stimolato, l’evoluzione della società italiana dell’ultimo mezzo secolo. Attraverso la straordinaria esperienza della Carrà, l’opera riflette anche sul ruolo dell’artista nella nostra società, sul valore e sull’uso dell’arte, sul ruolo della televisione e degli altri media. Tutto senza dimenticare la musica della Carrà, in un racconto che sceglie la strada del surreale e del paradossale per parlare, in realtà, di noi.

Fantaopera in due atti Libretto Renata Ciaravino, Alberto Mattioli
da un’idea di
 Francesco Micheli
Musica
 Lamberto Curtoni

sabato, ottobre 26, 2024

Nicola Lagioia sulla lotta per la conquista dell'egemonia culturale

"Qualche tempo fa sono stato invitato a un incontro per conto di un istituto Italiano di cultura all’estero. Un paio di giorni dopo mi arriva una mail: il console ci terrebbe che lei non parlasse di fascismo, mafia e, cosa ancor più ridicola, nemmeno di caporalato.
Come ha risposto? 
Naturalmente non sono andato. Ma gli ho scritto: vi rendete conto quanto è imbarazzante per voi questa richiesta? E loro: ce ne rendiamo conto ma in questo periodo è così.
La definirebbe una censura?
No, perché io ho la possibilità di un’infinità di altri megafoni da cui parlare. La definisco un indebolimento dell’istituzione culturale del paese.
È il dichiarato tentativo della destra, di conquistare l’egemonia culturale? 
...

È una colossale stupidaggine. Dove va la cultura non lo può decidere il governo. Lo decidono gli spettatori, il lettori, la critica, i premi. C'è un sistema virtuoso che decide cosa è meglio di altro. Se Almodovar vince il festival di Venezia con un film sul fine vita, non c`è ministro che possa intervenire. L'egemonia nasce dal basso, dal basso e dall’alto, ma non certo dalle stanze del potere. 
Così ovunque. Pensi alla Francia. Houellebecq non è un simpatizzante di Macron ma uno dei più grandi scrittori francesi. E a deciderlo non può essere il presidente o il ministro. Noi in Italia potremmo brillare nella cultura e nell'arte ben oltre il nostro peso geopolitico. E invece veniamo da questi due anni con le ossa rotte. "

giovedì, settembre 12, 2024

L’influenza del bel canto operistico sugli inizi della musica pop americana

“Il punto di partenza di Sinatra, come di molti altri cantanti di quella prima generazione a cui dobbiamo riferire l’invenzione della musica pop, sono i grandi tenori operistici come Caruso. Il mondo del canto americano era pervaso da questa tradizione belcantistica. E Sinatra, e un po’ prima Bing Crosby, si inseriscono proprio in quest’area: attuando una mediazione apparentemente impossibile ma invece molto ben riuscita riescono a fondere lo stile tradizionale del bel canto operistico con la vocalità della musica afro americana – blues e  jazz. Coniugando questi due generi, apparentemente molto diversi, attraverso l’innovazione tecnologica del microfono riescono a creare il nuovo stile degli inizi della musica pop“.

https://www.raiplaysound.it/audio/2024/06/Momus-Il-caffe-dellOpera-del-08062024-a014c229-7ac7-47fb-aeea-61f5bf1016f3.html

martedì, agosto 20, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione II

Uomini e Profeti del 17122024 propone un brano di Corrado Pensa sulla risposta negativa verso l’accettazione.

"Per sviluppare l’accettazione della realtà che ci capita di vivere, occorre un lungo viaggio nella nostra NON accettazione. Nella nostra non adesione alla vita. Nel conseguente disagio che questo ci provoca. Disagio che la pratica ci aiuta a vedere meglio.

È un lungo viaggio in salita perché il nostro resistere all’accettazione è frequentissimo. A cominciare dalla compulsione al giudizio mentale negativo su tutto e tutti, che è una delle forme più sorde e potenti di non accettazione.

Come procedere? Il primo passo, che rappresenta le fondamenta del lavoro interiore, quello di acquisire una grande dimestichezza e familiarità con la non accettazione che è in noi. In pratica, avere la perseveranza di sostenere lo sguardo sul nostro chiuderci. Guardare e riguardare il nostro no.

Infatti, che cosa succede se continuiamo a contemplare la non accettazione in noi? Succede che da un prevalere iniziale di sorpresa e disappunto si passa a un sentimento diverso nel quale il disappunto appare mescolato con una sorta di soddisfazione e fiducia. La fiducia che è proprio questo semplice e difficile lavoro di farsi specchio sempre più fermo a una virtù correttiva e guaritiva. Cominciamo a comprendere che, se è vero che non riusciamo a piegare a martellate la non accettazione, è tuttavia anche vero che il puntuale e sollecito contemplare la non accettazione è  il segreto per arrivare spontaneamente all’accettazione.
Il retto sforzo da compiere non può essere sforzo di accettare a meno che non si tratti di piccole cose. Lo sforzo da fare sarà quello di osservare la non accettazione prontamente, tranquillamente e, ove possibile, per tutto il tempo che essa dura. Ed è dallo sforzo di guardare in questo modo la non accettazione che può sgorgare spontaneamente l’accettazione.
Io sospetto che tanti disincanti e abbandoni sul cammino spirituale abbiano a che fare con la mancata comprensione, o la mancata spiegazione, di questo punto così cruciale. Il dettato fondamentale non è sforzati di accettare, bensì, sforzati di guardare meglio che puoi la non accettazione."

mercoledì, agosto 07, 2024

Scrollare fino a impazzire - doomscrolling, ovvero dello scorrimento catastrofico e della fine della narrazione

Citazione dall'articolo Scrollare fino a impazzire - Il Tascabile

"Secondo Doug Rushkoff, siamo nell’era del collasso narrativo. In altre parole, viviamo in un contesto storico, sociale, tecnologico, in cui le storie non sono più il modo principale in cui ci relazioniamo con il mondo
Viviamo, secondo lo studioso americano, in una cultura presentista, che genera un approccio postnarrativo al racconto di storie. Un approccio che non prevede premesse né conseguenze, ma si concentra sull’esperienza stessa, che così sostituisce lo sviluppo di una trama. “Non si tratta di cosa succederà dopo o di come finirà la storia – scrive Rushkoff – ma di capire cosa sta succedendo in questo momento, e goderselo”.
È un altro modo per considerare un neologismo recente: doomscrolling, vale a dire quella pratica che prevede lo scorrere dello smartphone così, senza una vera direzione, un contenuto (catastrofico) dopo l’altro, preda degli algoritmi che decidono per noi cosa è importante. C’è un aspetto del doomscrolling che, in particolare, racconta molto bene come ci rapportiamo alla realtà – e alle rappresentazioni della realtà – all’interno dello spazio digitale. Il feed, la home page del social network, è infinito: non importa quanti movimenti di pollice facciamo, ci sarà sempre un contenuto ad aspettarci. Il senso di doom, di rovina, di catastrofe, ce lo dà proprio questo scrollare via dal senso, questo accumulo di presenti senza scioglimento."


La crisi della narrazione, Byung-chul Han. Giulio Einaudi editore - Stile libero Extra
"Le narrazioni sono in crisi da tempo. Da bussole capaci di dare senso all’esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre. Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni. L’accumulo di notizie ha preso, insomma, il posto delle storie. Dati e informazioni, però, frammentano il tempo, ci isolano e ci bloccano in un eterno presente, vuoto e privo di punti di riferimento. A diventare impossibile è la felicità stessa. Perché la vita, con tutti i suoi imprevisti, inciampi, tentativi ed errori, incontra la pienezza solo quando può essere condivisa e tramandata all’interno di una narrazione collettiva.

«Vivere è narrare. L’essere umano, in quanto animal narrans, si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La narrazione ha la forza del nuovo inizio. Lo storytelling, di contro, conosce solo una forma di vita, quella consumistica»."


lunedì, luglio 22, 2024

Requiem di guerra - Benjamin Britten

Ieri abbiamo assistito a un’esecuzione del “Requiem di guerra” di Benjamin Britten. Non conoscevo questo lavoro monumentale (vedi organico qui sotto) e la ragione principale per cui siamo andati era la presenza nel coro di due amici.

È sicuramente un grande requiem ricco di scelte strutturali particolari e inusuali.
Mi è rimasta una domanda (o impressione, magari sbagliata) che cercherò di approfondire: nonostante sia stato composto negli anni ‘60 del novecento il linguaggio musicale sembra più vicino a quello di almeno mezzo secolo prima.
  

Organico: solisti (soprano, tenore e baritono), coro, coro giovanile, organo e due orchestre (un'orchestra completa e un'orchestra da camera).



sabato, giugno 15, 2024

Le basi della meditazione 4 - L’accettazione

 Uomini e Profeti del 17122024 

 “Man mano che il lavoro interiore si consolida e la meditazione di consapevolezza si approfondisce, la dimensione dell’accettazione tende a emergere emergere in modo spiccato. È molto facile tuttavia cadere in grossolani fraintendimenti circa l’accettazione. Se, per esempio, veniamo aggrediti verbalmente da qualcuno, l’accettazione non significherà inghiottire. Inghiottire è solo segno di paura. L’accettazione, invece, è soprattutto accettare il disagio che quell’aggressione produce dentro di noi. È non resistenza, nel senso di non contrazione davanti alla sensazione spiacevole che improvvisamente comincia a pulsare in noi. Questo mantenersi aperti e morbidi invece di indurirsi ci mette in grado di rispondere adeguatamente alla situazione, invece di reagire meccanicamente. E dunque, non solo non inghiottìremo, ma diremo probabilmente ciò che è appropriato e giusto dire in quella circostanza. In tal modo non cadremo nella passività impaurita e non cadremo neppure nella reattività cieca che, anch’essa, ha molto a che fare con la paura. 

Ora, la messa in pratica di questa manovra di apertura interiore, che è relativamente facile da descrivere, richiede un tirocinio di consapevolezza il più continuo possibile durante la giornata. Tirocinio che metterà radici salde allorché cominciamo a percepire tutta la sofferenza che si accompagna alla non accettazione. Ossia al chiudersi e all’irrigidirsi nell’avversione e nella paura. Infatti, chiudersi significa separarsi, dividersi, porsi contro ciò che sta accadendo. Noi siamo disposti a credere che il problema sia nella sensazione spiacevole. Ma tale credenza è effetto di ignoranza. Il problema è invece nell’avversione e nella paura. Si può dire con tranquillità che gran parte del disagio e della differenza che sentiamo nel corso di una giornata è generata dalla nostra relazione sbagliata o non accettante con ciò che accade dentro di noi. La difficoltà principale sta nel fatto che accettare silenziosamente il disagio e il turbamento è l’ultima cosa che vogliamo fare. Se però si tocca con mano che l’accettazione rende più liberi, allora crescerà l’interesse nei suoi confronti. Nell’esempio fatto sopra è evidente che grazie alla consapevolezza accettante del nostro turbamento per essere stati aggrediti noi avremo più facoltà di scelta riguardo a ciò che diremo e faremo in quella circostanza difficile. Avere possibilità di scelta significa anche lo sviluppo di un senso di responsabilità circa le nostre azioni, parole e, in una certa misura, pensieri. Avere più scelte e responsabilità significa essere più liberi e più creativi.”

mercoledì, aprile 10, 2024

Il mistero della discesa infinita a Palermo

Pubblico qualche foto della presentazione palermitana de Il mistero della discesa infinita in collaborazione con Luigi Menna nell'ambito della manifestazione Esperienza inSegna - manifestazione scientifica organizzata da Palermo Scienza.
 
Coinvolgere e incoraggiare studenti è una delle esperienze più gratificanti.
E lo è stata anche questa con gli studenti del liceo musicale di Palermo.







venerdì, marzo 01, 2024

Occhio per occhio

Mi ricordo dello stupore quando per la prima volta sentii definire la legge del taglione come un progresso nella storia del diritto. Eppure è semplice comprenderne il motivo: quel principio regolamentava situazioni in cui il potente poteva rivalersi dieci, cento, mille volte tanto rispetto all’offesa subita.
 
A volte mi chiedo se questo semplice principio arcaico non possa ancora essere un punto di riferimento in conflitti odierni, nonostante le complessità geo-storico-politiche.
L'"occhio per occhio, dente per dente" non definiva solo un diritto della parte offesa, ma anche un limite a quel diritto: rivalersi sì, ma in modo commisurato all'offesa subita.

sabato, febbraio 24, 2024

Le basi della meditazione 2 - Il ruolo della paura e del desiderio

Uomini e Profeti | E2 | Meditare sulle emozioni | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound

Il ruolo della paura
Abbiamo concluso l’incontro precedente presentando l’impedimento diffuso del malanimo. del disagio di percepire un perpetuo disagio esistenziale. Tale disagio è molto collegato alla paura. Senza che ci rendiamo conto siamo culturalmente trascinati nella marea del lamento. È molto difficile che una persona dica che tutto va bene. 

È vero che siamo assistendo a grandi crisi e a grandi problemi politici, ma è anche vero che i problemi a cui partecipiamo sono spesso sottolineati dalla mente che incornicia il negativo e svaluta il positivo, come dice Corrado Pensa. Siamo abituati a vedere le cose che non vanno. Ma se noi coltiviamo l’abitudine al negativo, allora sorge la paura. Perché è come se noi, con la nostra stessa proliferazione mentale, con le nostre stesse parole, con i nostri stessi atteggiamenti del volto, vivessimo una perpetua difficoltà.
La paura ne diventa una conseguenza. Essa è data molto dalla ricerca della perfezione, dalla speranza che la vita soddisfi i nostri desideri, le nostre aspettative. Questo genera il malanimo. Ma la vita è, punto. Non possiamo pretendere che la vita ci garantisca la felicità.

Se ci muoviamo nel nostro quotidiano sperando continuamente che le cose accadano per soddisfare la nostra felicità, ecco che incontreremo sempre e solo pensieri negativi e la paura la farà da padrone. La felicità non viene vista come qualcosa che possa essere sperimentata qui e ora, ma viene vissuta come una condizione che sarà possibile allorquando tutti i miei desideri siano nel tassello giusto. Cioè siamo quotidianamente addestrati all’attesa di tempi migliori.
Mi viene in mente un mio amico che aveva sempre il malumore addosso. Se gli chiedevi la ragione ti diceva: non vedo l’ora di andare in pensione. Ma quando è andato in pensione è stato profondamente infelice. Perché aveva addestrato la pratica dell’infelicità e dell’ingratitudine. 

Il ruolo del desiderio

Il desiderio di ciò che non abbiamo non ci fa apprezzare il momento presente. Ci rende ciechi nei confronti della quantità di benessere e di privilegio che viviamo quotidianamente. Se lo desideriamo possiamo essere felici adesso, in questo momento. Perché occorre tornare a vedere quello che nel concreto possiedi. Siamo costantemente bombardati da notizie su tragedie e disastri che generano una sensazione di paura costante. una paura che acceca e non fa capire dove si è. Bisogna imparare a fermarmi in un certo momento e a capire innanzitutto se quella paura è concreta ed a capire poi se esista una modalità per accoglierla.
L’obiettivo non è debellarla. L’obiettivo è imparare ad accogliere e riconoscere le nostre emozioni per renderele partecipi di un processo che porti a una liberazione interiore, a una guarigione interiore. Non significa essere felici per forza nel modo in cui ci dicono dovremmo essere felici. Significa conoscerci.

Risposta
Secondo il Buddha la sete inestinguibile. Il desiderio inteso come spinta costante al di più. È un tipo di sofferenza su cui il buddhismo ci addestra molto a lavorare innanzitutto riconoscendola. 
Innanzitutto la paura è un’emozione sana perché è parte di un istinto di sopravvivenza. Senza paura faremmo cose troppo pericolose. e serve anche il coraggio di vedere la paura. Perché spesso abbiamo paura della paura, come ci insegnano i maestri.

Innanzitutto dobbiamo riconoscerla, fermarci a sentirla, a vederla ed ascoltarla. e a volte ci accorgeremo che è solo un’abitudine che produce scenari che sono irreali. Come nell’esempio del pittore che era riuscito a dipingere così bene una tigre che poi si spaventava a guardarla.
Grazie alla mente coltivata dovremmo riuscire a riconoscere come nutriamo la paura nella nostra vita quotidiana. La paura spesso ci propone scenari immaginari ma possibili. Come gestirli? In che cosa dobbiamo avere fiducia?
Intanto non dovremmo alimentarla. Facciamo l’esempio del figlio che gira in motorino e la paura è che possa avere un incidente. Grazie alla mente più coltivata ci accorgiamo che quella paura possibile sta invadendo però tutto il nostro cuore. la vediamo, la riconosciamo. Quella paura ci fa incontrare la sofferenza e la precarietà della vita. Tutte le condizioni sono permanenti. se io parto da una prospettiva che tutto deve soddisfare i miei desideri allora allora l’imprevisto non è previsto e cresce la paura.
Ma se mi fai familiarizzo con la natura cangiante attraverso la pratica quotidiana che la mente educata, mi familiarizzo. accetto questa questa paura. ma se non l’alimento e mi limito a incontrarla, conoscerla, in realtà sto coltivando risorse interiori che nel momento che dovesse succedere qualcosa di doloroso sicuramente mi verranno in aiuto. Perché arrivare nei momenti difficili della propria vita che tutti noi prima o poi affrontiamo.

L’unicità di Berlino

L’impressione forte che pervade girovagando per le vie di Berlino è la sua formidabile unicità. Unicità nell’essere stata il palcoscenico di fatti storici tra i più significativi del ‘900. Unicità nella sua stratificazione fatta di polarizzazioni verso opposti estremi politici; fatta di scontri, incendi, deportazioni e uccisioni.
Fatta di assedi, bunker e bombardamenti; di distruzioni e ricostruzioni; fatta di abbattimenti e riunificazioni; di punk, underground, movimenti culturali e di protesta.
Unicità che si respira ad ogni passo che si batte per le strade di Berlino.
In nessun’altra città europea è passata tanta storia del novecento. E in nessun’altra città tedesca vedrete scorci simili a quelli di Berlino.


giovedì, febbraio 08, 2024

Le basi della meditazione 1 - Gestire il malanimo coltivando il buon animo

"Osserviamo che molti, a meno che non si trovino in condizioni particolarmente favorevoli, considerano normale vivere trascinando con sé il proprio senso di perpetua insoddisfazione. Invece è importantissimo coltivare il buon animo, che, innanzitutto, giova sia al proprio sia all’altrui benessere ed è inoltre condizione fondamentale per accogliere il qui e ora.


Malanimo non significa necessariamente pensare male ma è la costante di percepirsi insoddisfatti che è tipico della mente non coltivata. Perché se noi, come occidentali, ci fermassimo un attimo a riflettere. Se a mezzogiorno pensassimo alle fortune che abbiamo avuto dal momento in cui la sveglia è suonata fino a quel momento. Di quanti privilegi godiamo come se fossero dovuti. Noi in quel momento sentiremmo il cuore traboccare di gratitudine e sentiremmo anche crescere in noi il desiderio di condividere tanta fortuna. Quindi, imparare a gestire il malanimo, l’insoddisfazione, è una via reggia per incontrare la possibilità di una vita più serena, di una vita più felice. una vita in cui la gratitudine sia centrale."

Uomini e Profeti | E1 | Le basi della meditazione e gli ostacoli per entrare nella pratica | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound


Gli impedimenti a dimorare nel momento presente

"Un notevole ostacolo alla continuità nella pratica meditativa, e quindi a dimorare nel momento presente, è la fretta. La fretta intesa sia come spinta che ci porta a fare velocemente una cosa dopo l’altra, sia come di vedere subito risultati concreti. L’impedimento della fretta è insidioso perché è culturalmente e socialmente condiviso. Un altro impedimento a darsi con regolarità e fiducia al momento presente è rappresentato dall’abitudine a programmare e a considerare l’evoluzione della vita come una successione di tappe e progressi prestabiliti. A tale proposito leggiamo le parole di Larry Rosberg.

“La mente fa continuamente calcoli, vogliamo andare da B. Oppure, se siamo davvero ambiziosi, da A a Z. La nostra pratica riguarda l’andare da A ad A. Sperimentare la gamma di ciò che accade richiede un approccio esteso al momento presente. Noi tendiamo a considerare il momento presente un mezzo per ottenere infine. Se nel momento A compio una determinata azione sarò felice nel momento B. Nella nostra pratica invece ogni momento è un mezzo e un fine e lo scopo del momento A è appunto il momento A.

L’insegnamento del Budda riguarda il risveglio o la liberazione e questo sembrerebbe un obiettivo. Ma il solo modo per raggiungere è essere totalmente dove siamo in questo momento”.

Ci sembra che la prospettiva offerta da Rosemberg sia completamente diversa da quella abituale, che ci spinge a vivere il presente come momento da usare per esaudire i nostri desideri e non già come un’occasione per risvegliarci alla realtà.

Un ulteriore impedimento molto diffuso a stare nel qui e ora è costituito dalla fortissima abitudine a mettere radici non già nel momento presente, ma piuttosto nel momento pensato. Incontriamo l’attimo usando la griglia delle nostre idee precostituite, dei nostri progetti, delle nostre aspettative o paure, e così facendo, sovrapponiamo il nostro pensiero della realtà alla realtà stessa.

La pratica della consapevolezza nutre la fiducia nella possibilità di accogliere e conoscere con sincerità. Infatti, come potremmo stare nel momento presente senza essere sinceri con noi stessi? Vale a dire che se ci scopriamo abitati dalla rabbia dobbiamo essere sinceri e riconoscere che qui e ora c’è la rabbia. Sincerità e umiltà ci permettono di essere a autenticamente presenti a quello che c’è anche se non è quello che vorremmo ci fosse che ci fosse. Un pesante ostacolo a vivere nel qui e ora è infine rappresentato da una vita vita non improntata a valori etici tutto questo genere di vita rafforza di disordine e la confusione e ci rende meno sensibili alla realtà nella quale viviamo. Queste insensibilità sfociano in vere e proprie separazioni tra i nostri desideri totalmente autocentrati e tutto il resto esiste solo se considerato utile ai nostri fini."

sabato, gennaio 27, 2024

Bufale secondo gli insegnamenti di Socrate: miti fondanti ed erospoietici?

Si può davvero credere a un fatto sapendo che non è vero? Si può accettare in modo acritico un’affermazione che spacci per veri fatti mai accaduti?

In un caldo pomeriggio estivo dell’Atene del V secolo a.C. Socrate e Fedro passeggiano per le strade dell’acropoli. Discutono di un episodio leggendario: il rapimento della fanciulla Orizia da Boreo, dio del vento.
Con grande sorpresa di Fedro Socrate rivela che, come per molti ateniesi, anche per lui quel mito è vero.
Ma come è possibile! Il padre della confutazione razionale attribuisce valore di verità a una ricostruzione allegorica e fantasiosa!?
Ma per Socrate sono veri anche tutti gli altri miti inventati dai poeti. Quelli che raccontano di centauri, chimere e ciclopi.
Lo stupore di Fedro aumenta quando Socrate se la prende con i falsi sapienti che, incapaci di cogliere la verità dentro la finzione, cercano di sfatare quelle creazioni della fantasia. Secondo Socrate esprimono una razionalità falsa.
Il filosofo ci sta forse dicendo che esiste un’altra verità? Socrate arriva persino ad affermare di avere, lui stesso, la stessa natura delle creature poetiche.
Che cos’è questa verità altra che egli stesso incarnerebbe?

Può servirci questa interpretazione di Socrate per capire perché molte persone prendono per vere narrazioni che anche il loro raziocinio dovrebbe poter smontare?

Il dialogo tra Fedro e Socrate offre una soluzione: Eros e amore.
Si capisce che Eros è la materia di cui sono fatti i miti. Sono veri perché sono erotici non perché descrivono una realtà oggettiva. Sono veri perché alimentano il dispiegarsi di relazioni coinvolgenti e capaci di sottrarre chi crede alla peggiore delle condizioni: la solitudine. Una solitudine spesso mascherata da rapporti strumentali e superficiali. Questa verità erotica non descrive nulla fedelmente ma disvela. Toglie quel velo che ci isola gli uni dagli altri.
 
E la solitudine, spesso nascosta da una fitta rete di relazioni superficiali, è la condizione in cui siamo immersi noi oggi. E di cui soffrono in misura significativa anche molti seguaci di Donald Trump.
Le grottesche notizie false, proprio grazie alla carica socializzante soprattutto sulle reti sociali, hanno sedotto anche chi sospetta che siano bufale. E lo hanno fatto proprio perché offrono una risposta efficace a un dato fondamentale. E cioè una carenza erotico-politica che è disperata e diffusa.
Quindi bisognerebbe partire dalle cause profonde di questo vuoto per poter contrastare le bufale e togliere terreno all’odio che generano.
Se, invece, ci limitiamo solo a opporre la falsità dei dati il rischio è di fare la fine dei falsi sapienti di cui parla Socrate. Che perdono tempo a raddrizzare i miti. Atteggiamento che secondo Socrate pone fuori dalla Polis.”

Parafrasi di Le parole della filosofia | S2024 | Verità | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound di Pietro Del Soldà.

lunedì, gennaio 15, 2024

Recensione de "Il mistero della discesa infinita" sul sito di divulgazione matematica Maddmaths!

Il sito di divulgazione matematica Maddmaths! ha pubblicato una recensione de "Il mistero della discesa infinita": Letture Matematiche: Il mistero della discesa infinita, Flavio Ubaldini - Maddmaths! (simai.eu)

La riporto anche qui.

Brevi consigli per letture matematiche. “Il mistero della discesa infinita – Zenone e gli atomi della discordia” di Flavio Ubaldini, consigliato da Marco Menale.

Il paradosso di Achille e la tartaruga è uno dei più noti paradossi proposti da Zenone di Elea, filosofo della Magna Grecia del V secolo a.C., discepolo di un altro filosofo eleata, Parmenide. Achille, pur essendo partito dopo la tartaruga, riuscirà a raggiungerla? Intorno a questa domanda, e il più profondo tentativo di dimostrare l’illusione del movimento, si sviluppa il romanzo di Flavio Ubaldini “ll mistero della discesa infinita – Zenone e gli atomi della discordia”, edito da Scienza Express.

Flavio Ubaldini è un matematico e divulgatore italiano. Noto sul web come Dioniso Dionisi, cura il blog Pitagora e dintorni. È autore di “il mistero del suono senza numero” e “Il volo delle chimere”. Tra i suoi interessi c’è anche la musica.

“Il mistero della discesa infinita” è ambientato a Elea (l’attuale Ascea, in provincia di Salerno) e ruota intorno alle vicende della vita di Zenone. Il racconto si apre con il giovane filosofo in procinto di sostenere l’esame di accesso alla scuola del maestro Parmenide. Dopo questa tappa, Zenone resta affascinato dalla filosofia e della teoria del maestro sull’essere statico e immutabile. Così comincia a ricercare una possibile soluzione logica al noto paradosso di Achille e la tartaruga.

Nella prima parte del romanzo uno dei protagonisti è il nonno di Zenone. Non solo invita il nipote a proseguire gli studi di Parmenide, ma gli rivela un segreto che cambierà la sua vita, circa un prezioso oggetto. Da questo momento le vicende rendono il racconto un piccolo giallo, dove la filosofia fa da ambientazione. Entrano in scena altri noti filosofi, tra cui LeucippoSocrate e Democrito. Così, nelle trame di questo mistero, Flavio Ubaldini ritorna su alcune delle principali dottrine filosofiche.

L’altro personaggio rilevante di questo romanzo-giallo, soprattutto per la seconda parte del libro, è Apollonia. Amica di Zenone fin dalla gioventù, è costretta a lasciare Elea sia per necessità familiari, sia perché nella scuola di Parmenide è vietato l’accesso alle donne. Per questo motivo studia e si forma nella Scuola Pitagorica di Crotone, una delle poche aperta anche alle donne. Il tema di genere, diremmo oggi, torna più volte nel libro. Inoltre, con Apollonia, e la sua formazione, si parla anche di questioni matematiche, come l’irrazionalità di 2. E la matematica diventa un chiave di lettura per la risoluzione o presunta risoluzione del paradosso.

Le vicende si sviluppano tra trame e intrighi. Con divinità e una certa dose di fantasia, il finale è rocambolesco, con un salto nel tempo di oltre duemila anni.

In definitiva, il libro può essere un’occasione di riscoperta di tematiche di filosofia e matematica, che in molti affrontano solo nei primi anni del liceo, ed è adatto anche per i più giovani, sia per il genere giallo, che per la leggerezza con cui sono affrontati gli argomenti