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domenica, gennaio 12, 2014

Pitagora (settima parte) - la morte di Pitagora e il grande contributo dei pitagorici

Nella puntata precedente abbiamo visto i tre modi possibili con cui probabilmente Ippaso individuò un oggetto la cui misura non si può esprimere come un rapporto tra numeri interi e che tale oggetto mise in crisi il modello cosmologico dei pitagorici. Nella quinta puntata avevamo già detto che, secondo Giamblico1, dopo la scoperta dell'oggetto incommensurabile e dopo il suo rifiuto di mantenere la segretezza di tale scoperta, Ippaso venne condannato a morte per annegamento.
Ma che successe alla scuola dopo il crollo delle fondamenta teoriche?
Sembra che la scuola continuò a funzionare e che addirittura il suo potere crebbe. Forse una tal scoperta non ebbe così tanta risonanza al di fuori della confraternita.
Contemporaneamente crebbero però anche i contrasti tra Crotone e Sibari e a guidare le forze di Crotone nella guerra contro la vicina colonia fu proprio il più forte, potente e ricco tra i pitagorici: Milone di Crotone. Ed è probabile che molti dei membri della scuola combatterono con lui. Dopo la vittoria su Sibari, nella decisione sulla spartizione dei territori e sul nuovo tipo di governo per la città di Crotone, i pitagorici esercitarono quindi una forte influenza che portò alla sconfitta dei sostenitori del sistema democratico. Secondo i pitagorici a governare doveva essere un'aristocrazia illuminata. E chi poteva essere più illuminato dei pitagorici stessi? Essi assunsero così il governo della città.
Ma la cosa non durò molto.
Giamblico narra che mentre Pitagora era in viaggio a Metaponto i democratici, capeggiati da Cilone di Crotone, in passato escluso dalla scuola dallo stesso Pitagora, approfittarono di una riunione dei pitagorici in casa di Milone e appiccarono il fuoco alla casa bruciando vivi tutti i pitagorici tranne Archippo e Liside: i più giovani della scuola.
E che cosa fece Pitagora dopo l'annientamento della scuola?
Giamblico riporta due diverse versioni. Una delle quali afferma che il maestro trascorse i suoi ultimi anni di vita a Metaponto. E tale versione coincide con ciò che Kitty Ferguson2 asserisce essere la memoria popolare di Metaponto secondo cui, qualche anno prima di morire, Pitagora avrebbe stabilito una nuova scuola nella città.
Quindi i Pitagorici non scomparvero dopo l'incendio della casa di Milone?
No, non scomparvero. La memoria popolare di Metaponto sarebbe coerente infatti anche con le testimonianze successive che narrano della presenza di pitagorici in varie città della Magna Grecia e addirittura nei loro governi. Polibo, lo storico greco del II sec. a.C., riporta infatti una descrizione trovata in fonti precedenti che parla di una rivoluzione, intorno alla metà del V sec. a.C., che disarcionò i pitagorici dai governi autocratici che avevano istituito.
Poi c'è l'altra versione riportata da Giamblico. In cui la scuola sarebbe invece sopravvissuta a Crotone anche dopo la morte di Pitagora. E il successore di Pitagora sarebbe stato Aristeo di Crotone che sposò Teano, la vedova del suo maestro. Aristeo sarebbe poi stato rimpiazzato da Mnesarco, il figlio di Pitagora.

Se qualcuno poi si chiedesse: ma qual è l'eredità che ci hanno lasciato Pitagora e i pitagorici? Beh, concludo queste puntate su Pitagora citando di nuovo Kitty Ferguson2

'Pitagora e i suoi primi seguaci non erano neppure in grado di concepire quale immenso paesaggio si aprisse dinanzi alla porta da loro dischiusa. Da guizzi di indeterminazione inimmaginabilmente piccoli alle innumerevoli galassie, a dimensioni multiple, e forse fino a un'infinità di altri universi. Eppure numeri e relazioni numeriche sembrano aver guidato il cammino in questo labirinto dell'universo fisico con un'efficacia quale lo stesso Pitagora non avrebbe mai osato sperare.
Oggi molti scienziati e matematici aderiscono alla fede pitagorica secondo cui la verità dell'universo sarebbe intrinsecamente matematica e sarebbe quindi possibile cogliere frammenti di tale verità usando il nostro livello umano di matematica. Alcuni sottolineano che la matematica è l'unica disciplina in cui alcune cose sono indiscutibilmente vere, e non soggette all'opinione, mentre altri non lo concedono. Altri ancora ridefiniscono la "completa verità" come "verità" che gli esseri umani possono scoprire attraverso la matematica.'
Ma la Ferguson si pone pure una domanda in qualche modo correlata con l'approccio cognitivista alla matematica.
Oppure..., forse i pitagorici hanno avuto una falsa intuizione, e noi abbiamo vissuto soltanto un sogno? Forse il mondo non è mai andato oltre un illimitato informe, e noi stiamo solo immaginando quella regolarità matematica, o la creiamo noi stessi? Forse la maggior parte di noi è troppo inebriata dalla musica di Pitagora per soffrire una crisi di fede? 
A voi la risposta.

Indice della serie

La prossima puntata è su Platone e le forme geometriche.

1 Giamblico, Summa pitagorica, Bompiani 2006
2 Kitty Ferguson, La musica di Pitagora, Longanesi

mercoledì, novembre 06, 2013

Pitagora (sesta parte) - L'incommensurabilità della natura: triangolo, pentagono o corde vibranti?

Nella puntata precedente abbiamo detto che Ippaso di Metaponto, uno dei più brillanti allievi della scuola di Pitagora, trovò un oggetto non misurabile attraverso un numero; e che con esso l'allievo scardinò la dottrina dei pitagorici sintetizzata dal motto della scuola: Tutto è Numero; e che addirittura, dopo il suo rifiuto di mantenere la segretezza di tale scoperta, egli venne condannato a morte per annegamento.
Quello che non abbiamo ancora detto è qual fosse l'oggetto non misurabile attraverso un numero (incommensurabile) che Ippaso scovò.
Dicevamo però che anche questa è una domanda ancora aperta. Attualmente, per quanto ne sappia, esistono tre diverse ipotesi in merito. E in tutti e tre i casi il destino dovette apparire piuttosto beffardo ai pitagorici.
La prima ipotesi è quella proposta da Giamblico: "Di Ippaso si dice che era un Pitagorico, e che sarebbe perito in mare come empio per aver divulgato la sfera che egli per primo aveva costruita geometricamente a partire da dodici figure pentagonali"1. Ipotesi  rivalutata successivamente da Kurt von Fritz2. E la figura costruita con dodici figure pentagonali non è altro che il dodecaedro regolare. Che per definizione è costituito da dodici pentagoni regolari.
E il pentagono regolare è proprio il poligono dal prolungamento dei cui lati si costruisce il pentagramma regolare. Cioè, il simbolo dei pitagorici.  Il baco che minava le fondamenta della dottrina pitagorica si sarebbe celato quindi proprio nel simbolo della scuola. Ma in quale punto preciso del simbolo fu scovato quest'oggetto? Beh, esso dimorava non in un solo luogo, ma in molti dei rapporti tra i vari segmenti del simbolo. In seguito si scoprirà che in questo caso ci si trovava di fronte ad un irrazionale molto particolare, e cioè la celeberrima sezione aurea. Che si ritrova sorprendentemente anche in molte altre aree dello scibile umano: dalla Pittura all'Architettura, fino alla Musica e alla Letteratura.

La seconda ipotesi, di cui ci parla Aristotele3, vuole invece che l'oggetto sia affiorato durante lo studio del rapporto tra lato e diagonale di un quadrato. E cioè in un caso specifico del Teorema di Pitagora. Quindi, in questo caso, l'oggetto mostruoso si sarebbe annidato nel celebre teorema del maestro!
Il caso particolare più semplice del teorema, che porta alla grandezza incommensurabile è il seguente. Se consideriamo il triangolo rettangolo di cateto 1 e chiamiamo x la lunghezza incognita dell'ipotenusa, la nota filastrocca del teorema ci dice che l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è pari alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti. Quindi nel nostro caso
1² + 1² = x²
Da cui, sommando
1² + 1² = 2 = x²
Il problema di cui si accorse Ippaso è che questo numero x, che elevato al quadrato è uguale a 2, numero che oggi chiamiamo radice di 2 e rappresentiamo con √2, non si può esprimere come un rapporto di numeri interi, cioè detto in termini più tecnici, non può esistere alcuna coppia di interi m ed n tali che m/n = √24. Il che equivale a dire che la diagonale del quadrato non può essere misurata in termini di lato del quadrato. In altre parole, se assumiamo il lato del quadrato come nostra unità di misura, non riusciremo mai ad esprimere un rapporto di numeri interi che possa rappresentare la lunghezza della diagonale.

Infine nella terza ipotesi5 "si ritiene che la scoperta del concetto di incommensurabilità sia legata al tentativo di risolvere un problema della teoria musicale6. Nelle consonanze le lunghezze delle corde sono in certi ben precisi rapporti (cfr.), per esempio nel caso dell’ottava nel rapporto 12 : 6. I pitagorici si sarebbero posti il problema di determinare la lunghezza di una corda, diciamola L, di misura intermedia tra 12 e 6 unità e tale che potesse generare due consonanze uguali, una facendo vibrare la corda maggiore e l’intermedia L e l’altra facendo vibrare quest’ultima e la minore. E questo significa che il rapporto tra la lunghezza della maggiore e l’intermedia 12 : L doveva essere uguale a quello tra la lunghezza dell’intermedia e della minore L : 6." 
Quindi 12/L = L/6
Cioè L² = 2
Vi ricorda qualcosa?
"Se la congettura di Szabò è vera, allora i pitagorici avrebbero trovato una coppia di corde di importanza nella musica, di cui sapevano per via aritmetica che non erano esprimibili con due numeri naturali e dunque erano prive di logos."

Il fatto comune alle suddette tre ipotesi è l'individuazione di un oggetto la cui misura non si può esprimere come un rapporto di numeri interi.7 Ad ogni modo, questo oggetto non riconducibile ai numeri interi rappresentò per i pitagorici il diabolus in matematica, la bestia nera che faceva crollare il loro modello cosmologico. È facile immaginare che la scoperta creò molta preoccupazione all'interno della scuola. Non si sarebbe più potuto asserire che la natura è completamente misurabile e rappresentabile attraverso i numeri e neppure quindi che attraverso la scoperta delle proprietà dei numeri si potessero specularmente scoprire i misteri dell'Universo. Era il controesempio che falsificava la teoria. Così il modello pitagorico implose inesorabilmente.

E che successe alla scuola dopo il crollo delle fondamenta teoriche?

Questo lo vedremo nella prossima puntata ...

Per chi invece volesse sapere come andarono le cose direttamente dalla voce di Pitagora può leggere Pitagora, Ippaso e la scoperta dell'irrazionale

Indice della serie

1 Giamblico, Summa pitagorica, Bompiani 2006
2 The Discovery of Incommensurability by Hippasus of Metapontum - Annals of Mathematics - Second Series, Vol. 46, No. 2, Apr., 1945, pp. 242-264
3 Analitici primi, I.23.41a23-7
4 Di dimostrazioni se ne trovano molte. Alcune vengono riportate su wikipedia e la prima che trovate lì è quella classica.
5 Giacomo Michelacci / L’evoluzione del metodo nella matematica greca - Esercizi Filosofici, Vol. 6, anno 2002
6 Szabò, The beginnings of Greek mathematics, Dordrecht, Reidel, 1978
7 Da questa negazione deriva anche il termine “irrazionale”, dal latino ratio, che significava originariamente “rapporto” o “calcolo”, evolutosi in seguito anche nel significato di “ragione”. Irrazionale quindi in quanto non esprimibile come un rapporto di numeri interi. Questo è il termine che usiamo oggi per denotare tali grandezze.

sabato, ottobre 06, 2012

Pitagora (quinta parte) - Ippaso, l'incommensurabile e il crollo della scuola

Nella puntata precedente dicevamo che i pitagorici erano giunti alla conclusione di poter decifrare le leggi che regolano l’Universo attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri e che questa conclusione spinse loro ad impegnarsi in una ricerca ossessiva di tali proprietà. La scuola così si trasformò lentamente in una sorta di setta di numerologi e questo assetto funzionò senza grosse variazioni fino al giorno in cui un adepto della scuola si accorse della presenza di un grosso problema. E del fatto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. Dentro il teorema di Pitagora!

Ma chi era questo adepto? E che cosa trovò di tanto sconvolgente da far vacillare le fondamenta della scuola?

Forse per capirlo meglio dovremmo partire da una storia raccontata da Aristosseno di Taranto (IV secolo a.C.). La storia di Aristosseno si riferisce anch'essa alla più grande scoperta dei pitagorici. Quella narrata nella puntata precedente. In cui i pitagorici si accorsero che fenomeni acustici percepiti dal nostro orecchio sono correlati al rapporto tra grandezze fisiche dei corpi che producono i suoni; e che tali suoni sono a loro volta descritti attraverso rapporti matematici tra numeri. Abbiamo visto che la tradizione tramandata da Giamblico (245 – 325 d.C.) ambienta tale scoperta nella bottega di un fabbro di Crotone. E vuole che Pitagora si sia accorto di questa relazione tra suoni e numeri ascoltando le martellate che provenivano dalla bottega. Solo che, come abbiamo visto, per quanto narrativamente efficace, la storia di Giamblico contiene errori oggettivi. La stessa cosa non si può dire invece per la storia di Aristosseno: essa non contiene errori e fornisce una narrazione alternativa in cui il protagonista della scoperta non sarebbe Pitagora, bensì Ippaso di Metaponto.

Secondo questa storia Ippaso, uno dei migliori allievi della scuola pitagorica, avrebbe costruito uno strumento usando quattro dischi di bronzo di uguale diametro e spessore diverso. E provate a indovinare in che modo fossero correlate le differenze di spessore? Ebbene sì, sempre attraverso loro: i rapporti tra i primi quattro numeri. Lo spessore del primo disco era quindi 4/3 di quello del secondo, 3/2 di quello del terzo e due volte quello del quarto. Ippaso avrebbe quindi appeso i quattro dischi a quattro corde e avrebbe verificato che, se percossi, essi emettevano suoni consonanti. Come dicevamo, questo esperimento è corretto e ripetibile da un punto di vista fisico. Infatti la frequenza di oscillazione di un disco è direttamente proporzionale al suo spessore.
Ma allora chi fu a scoprire che i fenomeni acustici sono descrivibili attraverso rapporti matematici tra numeri? Pitagora nella bottega del fabbro, come riporta Giamblico? Oppure Ippaso con i suoi dischi di bronzo, come racconta Aristosseno?
A voi l'ardua sentenza.
Quello che possiamo dire oggi è che quella correlazione tra dimensioni fisiche e suoni era probabilmente già nota da tempo. Ai costruttori e agli accordatori di lire ad esempio. Essi dovevano avere, se non altro, una conoscenza applicativa di tale correlazione. Altrimenti come avrebbero costruito e accordato quegli strumenti? Ma ciò che probabilmente mancava loro era la consapevolezza della profondità e della vastità di tale correlazione. Un po' come le antiche civiltà che possedevano una conoscenza applicativa del teorema di Pitagora e di altri risultati senza comprenderne appieno la portata teorica. E così come nel caso del teorema di Pitagora anche per questa correlazione furono i pitagorici che per primi cominciarono a intravedere la profondità e l'ampiezza di tale scoperta.

Ma tornando alla domanda su Ippaso e l'altra scoperta, quella del grande problema che citavamo all'inizio: che cosa scoprì esattamente questo giovane adepto? Ecco, parrebbe che Ippaso sia stato il primo ad accorgersi dell'esistenza di un oggetto non misurabile attraverso un numero.
E allora? - direte.
Be', alla base della dottrina e del motto dei pitagorici, Tutto è Numero, c'era proprio l'idea che qualsiasi oggetto esistente in natura potesse essere misurato e quindi espresso attraverso un numero. Ma se un giorno qualcuno ti mostra un oggetto non misurabile attraverso un numero allora tutta la tua teoria crolla. Perché non è più vero che qualsiasi oggetto esistente in natura può essere misurato.
E allora che fai? Chiudi scuola, baracca e burattini e dici: scusate, tutta la nostra teoria era sbagliata? (Un po' come fece Gottlob Frege più di due millenni dopo cestinando anni e anni di lavoro quando il giovane Bertrand Russell gli mostrò un semplice paradosso che evidenziava un buco nella sua teoria). Certo, ci vuole un bel coraggio e tanta onestà intellettuale  E sembra che i pitagorici non ne ebbero abbastanza di coraggio e onestà. La tradizione ci racconta infatti che essi decisero di mantenere segreta la scoperta.
Be', non è una sorpresa - direte. Visto che tutte le attività e gli insegnamenti che occorrevano all'interno della scuola erano mantenuti strettamente segreti e chi infrangeva la regola veniva dichiarato addirittura morto. Ma pare che in questo caso i pitagorici si spinsero un po' oltre facendo sconfinare dall'ambito virtuale quella dichiarazione di morte. Sempre il solito Giamblico infatti ci racconta che Ippaso, dopo la scoperta dell'oggetto incommensurabile e dopo il suo rifiuto di mantenere la segretezza di tale scoperta, venne condannato a morte per annegamento.
Prendendo per vera questa versione se ne può concludere che i pitagorici reagirono in modo poco scientifico - almeno secondo l'accezione moderna del termine - in quanto imposero il silenzio di fronte a una  scoperta che avrebbe falsificato la loro teoria, ma allo stesso tempo la loro reazione non sconfinò troppo nella "ascientificità", in quanto essi non si misero ad inventare una spiegazione ad hoc per risolvere il problema come spesso succede in ambiti non scientifici. Ad ogni modo, visto il rifiuto di Ippaso nel mantenere la segretezza, la teoria del Tutto è Numero, che era poi un vero e proprio culto, ne uscì fuori totalmente demolita. Probabilmente questo è il prezzo che si paga quando, forse unico caso nella storia dell'umanità, si fonda una mistica solo su elementi razionali.

Ma ora vi chiederete sicuramente qual era l'oggetto non misurabile attraverso un numero che Ippaso scovò.

Diciamo che anche questa è una domanda ancora aperta. Ho scritto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. E questo è vero. Ma in realtà quello che non sappiamo è se Ippaso trovò quell'oggetto proprio lì tra i triangoli rettangoli o da qualche altra parte. Esistono infatti diverse narrazioni e ipotesi in merito. Ma questo lo vedremo nella seconda parte.

... continua ...

Se poi qualcuno volesse leggere l'episodio, tratto da un frammento del libro che il giovane pitagorico Fulivao scrisse basandosi sulle memorie narrategli dal maestro pochi giorni prima della sua dipartita verso i Campi Elisi, in cui Ippaso con i suoi dischi di bronzo e Teano con delle corde approfondiscono la relazione tra musica e numeri non ha che da cliccare qui.

Indice della serie

martedì, marzo 06, 2012

Pitagora (quarta parte) - Tutto è Numero

Dopo aver gettato uno sguardo nella vita privata di Pitagora vediamo qualcosa sulle sue scoperte e sul suo pensiero.
Se qualcuno vi chiedesse: qual è la scoperta più importante del grande Pitagora? Che cosa rispondereste? Il teorema di Pitagora? Beh, avevamo già visto qui che esistono documenti che precedono Pitagora di più di un millennio da cui si evince una conoscenza applicativa di quel teorema. Inoltre, pur volendo attribuire ai pitagorici la paternità del teorema, o almeno della sua dimostrazione, potremmo davvero assegnare al teorema il titolo di scoperta più importante? Proviamo a capirlo.
La  tradizione tramandata da Giamblico (245 – 325 d.C.) ci dice che Pitagora si accorse di un'inimmaginabile relazione tra suoni e numeri durante le sue passeggiate per le strade di Crotone. Il filosofo era solito passare nei pressi della bottega di un fabbro. E fu proprio lì che un bel giorno il suo sensibile orecchio fu particolarmente disturbato dalle differenze tra i suoni delle martellate che provenivano dall’interno della bottega: alcune combinazioni tra suoni risultavano gradevoli al suo sensibile timpano, erano cioè consonanti, mentre altre combinazioni lo infastidivano, erano cioè dissonanti. Da buon filosofo Pitagora si interrogò sulla causa di quella differenza e volle andare a verificare di persona. Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e dopo un po' si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi dei martelli...
O almeno questo è quanto ci racconta la tradizione tramandata da Giamblico. Ma non sempre la tradizione riporta i fatti nel modo corretto. Sarà vero che la scoperta avvenne nella bottega di un fabbro? Non lo sappiamo con certezza, ma è bello pensarlo. Tuttavia, l'unica cosa del racconto di Giamblico che forse andrebbe corretta sono gli errori oggettivi. E allora riprendiamo la storiella aggiungendo solo una piccola correzione.
...Entrato quindi nella bottega egli si mise ad osservare il lavoro dei fabbri e si accorse che l’altezza dei suoni dipendeva dai pesi delle incudini. Incudini uguali producevano lo stesso suono. Quando invece un'incudine pesava il doppio dell’altra, cioè quando i rapporti fra i pesi erano 2 a 1, i suoni prodotti si trovavano a un’ottava di distanza (ad esempio come due do separati da sei tasti bianchi sul pianoforte). Il fatto dovette sembrare molto strano a Pitagora. Perché un fenomeno musicale percepito dal nostro orecchio dovrebbe essere correlato al rapporto fisico tra il peso delle incudini? E perché quest'ultimo dovrebbe essere a sua volta descritto attraverso un rapporto matematico tra i numeri 2 e 1? Perché una percezione puramente umana come quella della consonanza tra due suoni dovrebbe essere interconnessa con un determinato fatto fisico e con un preciso rapporto numerico? Si trattava di una coincidenza? Pitagora, ancora più incuriosito, proseguì le sue ricerche e si accorse che se le incudini erano in rapporto 3 a 2, cioè se il peso di  un'incudine era solo una volta e mezza il peso dell’altra, i suoni risultavano ancora consonanti, però stavolta l’intervallo musicale era quello di quinta, do-sol ad esempio. Pitagora si spinse oltre e provò il rapporto successivo: 4 e 3. E scoprì una nuova consonanza: la quarta; do-fa ad esempio. La sorpresa fu grande! Esisteva chiaramente un rapporto tra musica, fisica e matematica.
Inoltre questo rapporto lo si trovava anche altrove. Come nei movimenti e nelle orbite dei pianeti. Quest'ultima scoperta in particolare spinse i pitagorici a formulare l'ipotesi, che in questo caso però si rivelerà in seguito fallace, della produzione di una musica non udibile da parte dei corpi celesti. Ma questa è un'altra storia.
Ad ogni modo, la scoperta di queste connessioni fisico-numeriche condusse i pitagorici ad immaginare una generalizzazione per cui partendo a ritroso dalla matematica si sarebbero potuti interpretare tutti i fenomeni fisici dell’Universo. L’idea era molto affascinante. Attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo. Fu ovvio quindi giungere alla conclusione che “Tutto è Numero”. E, secondo molti, è proprio questa la più grande scoperta dei pitagorici! Non è forse questa l’idea che Galileo Galilei riprese quando scrisse: « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. »
Così ne parla Kitty Ferguson nel suo bel libro "La Musica Di Pitagora".
«Pitagora e i suoi primi seguaci non erano neppure in grado di concepire quale immenso paesaggio si aprisse dinanzi alla porta da loro dischiusa. Da guizzi di indeterminazione inimmaginabilmente piccoli alle innumerevoli galassie, a dimensioni multiple, e forse fino a un'infinità di altri universi. Eppure numeri e relazioni numeriche sembrano aver guidato il cammino in questo labirinto dell'universo fisico con un'efficacia quale lo stesso Pitagora non avrebbe mai osato sperare.
Oggi molti scienziati e matematici aderiscono alla fede pitagorica secondo cui la verità dell'universo sarebbe intrinsecamente matematica e sarebbe quindi possibile cogliere frammenti di tale verità usando il nostro livello umano di matematica. Alcuni sottolineano che la matematica è l'unica disciplina in cui alcune cose sono indiscutibilmente vere, e non soggette all'opinione, mentre altri non lo concedono. Altri ancora ridefiniscono la "completa verità" come "verità" che gli esseri umani possono scoprire attraverso la matematica.»
Ma la Ferguson si pone pure una domanda in qualche modo correlata con l'approccio cognitivista alla matematica.
«Oppure..., forse i pitagorici hanno avuto una falsa intuizione, e noi abbiamo vissuto soltanto un sogno. Forse il mondo non è mai andato oltre un illimitato informe, e noi stiamo solo immaginando quella regolarità matematica, o la creiamo noi stessi. Forse la maggior parte di noi è troppo inebriata dalla musica di Pitagora per soffrire una crisi di fede.»

Ma tornando alla nostra storia, la conclusione che attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’Universo, spinse i pitagorici a impegnarsi in una ricerca ossessiva di queste proprietà. La scuola, attraverso derive poco scientifiche secondo la nostra definizione moderna, assunse quindi lentamente anche le sembianze di una sorta di setta di numerologi ma il risvolto positivo di questa trasformazione fu la scoperta di diverse proprietà dei numeri che quella ricerca ossessiva produsse.Questo assetto della scuola funzionò senza grosse variazioni fino al giorno in cui un adepto della scuola si accorse della presenza di un grosso problema. E del fatto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro.  Dentro il teorema di Pitagora!

Ma questo lo vedremo nelle prossime puntate ...

Per chi invece volesse sapere come andarono le cose direttamente dalla voce di Pitagora può leggere Interviste impossibili: Pitagora nella bottega del fabbro.

Indice della serie

domenica, ottobre 09, 2011

Pitagora (terza parte) - la famiglia, Muia, Teano e il ruolo delle donne nella scuola

Abbiamo visto che quando arrivò a Crotone Pitagora riuscì a guadagnarsi velocemente sia la stima dei principali esponenti della città sia l'ammirazione di molti giovani crotonesi. Con il sostegno dei primi e la partecipazione dei secondi egli fondò la sua scuola.
Autorità cittadine e giovani allievi non furono tuttavia gli unici a subire il fascino di Pitagora. Teano figlia di Pitonatte fu anch'essa fatalmente attratta dal Chiomato di Samo. E dopo qualche tempo lo sposò. La prima figlia, Muia, nacque un anno dopo. In seguito Pitagora e Teano ebbero un figlio maschio a cui, secondo Giamblico, vollero dare il nome del nonno paterno: Mnesarco. L'ultimo figlio, secondo Porfirio, fu Arignota.
Muia mostrò immediatamente una particolare predisposizione per la musica e per la matematica: due discipline di fondamentale importanza per i pitagorici. Le abilità vocali della piccola Muia fecero sì che ella assumesse la guida del coro delle fanciulle di Crotone; e dopo le sue nozze con Milone la figlia di Pitagora passò alla guida del coro delle adulte. Muia, insieme a sua madre Teano, viene anche citata nell'elenco, forse tramandato da Aristosseno, delle diciassette "illustrissime donne pitagoriche".


Ma quindi nella scuola pitagorica erano ammesse anche le donne? Come fu possibile in una società che escludeva totalmente la donna dalla vita pubblica relegandola ad una sorta di reclusione casalinga totalmente subordinata? Forse lo si deve ad una perfetta alchimia che si dovette instaurare tra le idee innovatrici di Pitagora e le doti intellettive e la voglia di emancipazione di sua moglie e di sua figlia.
Diogene Laerzio afferma che ai suoi tempi, III sec. d.C., (circa otto secoli dopo Pitagora) si trovavano ancora delle copie di libri scritti da Teano. Anche se si trattava probabilmente di apocrifi, il fatto lascia comunque affiorare quanto valore il mondo antico attribuisse al contributo di Teano alla scuola pitagorica. Soprattutto se si considera il fatto che, da quel che sappiamo, Pitagora non lasciò alcuno scritto.

Ma chi era invece questo Milone? L'uomo che riuscì a far innamorare una ragazza della statura di Muia? Be', Milone era un vero e proprio eroe. Su di lui circolavano decine di aneddoti leggendari che esaltavano le sue doti atletiche. Già da bambino Milone si mostrò dotato di una forza straordinaria. Si narra che da ragazzo si allenasse sollevando un vitello sulle spalle. Ben presto a Crotone si diffuse la voce che egli fosse il figlio di Eracle. Quell'Eracle che aveva pregato gli dei di far sorgere una florida città intorno al sepolcro del suo amico Crotone. E fu proprio dall'amico di Eracle che la città prese il nome.
Nel 540 a.C., a soli tredici anni, Milone vinse i giochi olimpici della sessantesima Olimpiade come lottatore nella categoria fanciulli; e tra il 532 e il 512 a.C. egli collezionò ben sei vittorie olimpiche consecutive. Quando intorno al 532 a.C. Pitagora fondò la scuola, Milone, allora poco più che ventenne, fu tra i primi ad essere ammessi. Negli anni successivi la gloria e la ricchezza di Milone crebbero enormemente. E vista la pratica di comunione dei beni materiali che vigeva tra i pitagorici si può facilmente immaginare che il ricco Milone contribuì non poco all'affermazione e al successo della scuola.

Nella prossima puntata parleremo del ruolo fondamentale che nella scuola pitagorica si attribuì al numero per l'interpretazione dell’universo.

... continua ...

Se poi qualcuno volesse leggere un episodio della vita di Muia quindicenne tratto da un frammento del libro che il giovane pitagorico Fulivao scrisse basandosi sulle memorie narrategli dal maestro pochi giorni prima della sua dipartita verso i Campi Elisi, non ha che da cliccare su Muia.


Indice della serie

mercoledì, settembre 28, 2011

Pæstum: il museo

Anfora con raffigurazione della nascita di Afrodite. Ho trovato la forma di quest'anfora molto atipica e interessante.
Simile considerazione per questo candelabro.
Avevo letto di recente che i Greci antichi usavano anche piatti con decorazioni in tema con le portate. È stato molto interessante vederli dal vivo.
Frutta decorativa.
Riproduzione in gesso della cassetta di rivestimento in terracotta policroma del tempio di Hera (VI sec. a.C.).
A causa di un equivoco rinascimentale per alcuni secoli si è pensato che i templi greci e romani fossero privi di colorazioni. È impressionante vedere invece le ricostruzioni che mostrano i colori originali. A prevalere erano il rosso, il nero e il giallo. Ma anche il blu, il verde e l'oro.
Originale di un altro tratto di cassetta di rivestimento in terracotta policroma del tempio di Hera (VI sec. a.C.). Posta a decorare il tetto è costituita da finti gocciolatoi a testa leonina e da sima decorata da palmette e fiori di loto.
Svastiche nere e serie di riquadri rossi che decorano la veste dell'antefissa a forma di busto femminile. Questi busti di terracotta decoravano le parti terminali delle tegole di copertura nelle vicinanze dell'altare del tempio di Hera.
Coperchio in travertino della tomba del tuffatore (480-470 a.C.). È l'unica tomba rinvenuta in una città greca ad avere le pareti interne della cassa ed il coperchio decorati con scene figurate. Pare che il tuffo simboleggi il passaggio dalla vita all'oceano della morte.
Prima parete lunga della tomba del tuffatore. Uomini intenti a suonare la lira e il diaulos e a sorseggiare vino.
Seconda parete lunga della tomba del tuffatore. Uomini intenti a suonare la lira, amoreggiare e sorseggiare vino.
Tomba del tuffatore nella sua interezza.
Lira
Aulos Paestum

Lastre tombali: ritorno del guerriero e ...
...Vittoria alata su biga in corsa.
Abitazioni private.

domenica, luglio 31, 2011

Pitagora (seconda parte) - Crotone e la scuola: matematici ed acusmatici

Abbiamo visto che Pitagora viaggiò molto: Siria, Fenicia, Babilonia, Asia Minore (Mileto) ed Egitto; e abbiamo anche citato che a Mileto Pitagora conobbe Talete. Ma Mileto era anche la città di Anassimandro: probabile allievo di Talete. Secondo Giamblico Pitagora conobbe anche lui. E il Chiomato di Samo dovette sicuramente rimanere affascinato dal concetto d'illimitatezza introdotto da Anassimandro e dai suoi tentativi di usare l'aritmetica e la geometria per disegnare una delle prime carte del mondo.  
Complessivamente, la fase della vita di Pitagora, caratterizzata da viaggi e apprendimento, durò più di venti anni. In quel periodo il filosofo assimilò la maggior parte delle conoscenze matematiche e filosofiche del mondo a lui noto e probabilmente imparò le più importanti lingue del tempo.
Con quel bagaglio culturale Pitagora, allora quarantenne, tornò a Samo e lì tentò di fondare una scuola; ma il suo tentativo ebbe scarso successo. Riuscì infatti a coinvolgere un solo allievo. Che era anche un suo omonimo: Pitagora figlio di Eratocle. Ma per convincerlo a seguire le sue lezioni il maestro dovette addirittura pagare il giovane. Almeno inizialmente. Poiché poi il giovin Pitagora di Eratocle si appassionò a tal punto agli insegnamenti del maestro che decise di abbandonare tutto per seguire il suo omonimo, che, visti gli insuccessi in patria e probabilmente influenzato anche dalla recente presa del potere a Samo da parte del tiranno Policrate, aveva nel frattempo deciso di spostarsi a Crotone in Calabria, allora parte della Magna Grecia.

Quando Pitagora arrivò a Crotone (intorno al 535 a.C.) i principali esponenti della città entrarono immediatamente in rapporto di amicizia con lui. Con la sua eloquenza il filosofo riuscì a guadagnarsi velocemente anche la stima di molti giovani crotonesi coinvolgendoli come suoi seguaci. Con i discepoli più fedeli Pitagora fondò quindi la sua scuola, che oltre ai caratteri didattici assunse presto anche quelli di una confraternita, di una sorta di comunità scientifica ante litteram, nonché quelli di una setta mistico-religiosa.
La tradizione riferisce che gli adepti praticassero la comunione dei beni materiali. Inoltre tutte le attività e gli insegnamenti che occorrevano all’interno della scuola erano mantenuti strettamente segreti. Sembra addirittura che gli aspiranti adepti dovessero superare un lungo periodo di verifica durante il quale venivano messi alla prova sia i loro aspetti caratteriali, sia il loro acume intellettivo, ma, non ultima, anche la capacità di mantenere i segreti.

Ma sentiamo direttamente dalle parole di Giamblico come funzionavano le cose nella scuola di Pitagora.

Una volta che i giovani arrivavano da lui per frequentare la sua scuola Pitagora li sottoponeva a giudizio di merito: egli cercava di capire che tipo di rapporti essi intrattenessero con i loro genitori, poi osservava chi tra loro rideva senza motivo o taceva o parlava più del necessario. ... E chiunque avesse sottoposto a tale esame, [Pitagora] lasciava che per tre anni fosse osservato dall'esterno per esaminare l'autenticità del desiderio di apprendere ed il disprezzo per gli onori. Dopo questo periodo venivano ammessi come "acusmatici". Potevano cioè ascoltare Pitagora solo da fuori della tenda senza mai vederlo, dovendo per molto tempo dare prova del loro carattere. Veniva inoltre loro imposto un silenzio di cinque anni. Durante questi cinque anni i beni degli allievi venivano messi un comune. Se dopo questo periodo di cinque anni costoro apparivano degni di partecipare alle dottrine diventavano per il resto del tempo "matematici", e potevano ascoltare Pitagora all'interno della tenda, oltre che vederlo di persona. Se invece a questa prova venivano respinti, allora ricevevano il doppio dei loro beni, ma per essi veniva innalzata una tomba, come fossero morti, e quando i loro co-uditori li incontravano era come se incontrassero degli altri, perché essi dicevano che erano morti coloro che essi avevano cercato di modellare. Vi era infine anche la possibilità che rimanessero acusmatici per molti anni.

Quindi l’aspirante adepto poteva essere respinto, oppure accolto come akousmatikós (acusmatico - “ascoltatore”) o come mathematikós (matematico - “incline ad apprendere”). È facile immaginare che è proprio dal termine mathematikós che deriva l’attuale termine “matematica”.
I mathematikoi erano perciò i membri della setta che potevano apprendere la versione più dettagliata ed elaborata della conoscenza pitagorica con tanto di argomentazione e dimostrazione; mentre gli akousmatikoi potevano accedere solo a quelle lezioni in cui veniva presentato un numero ristretto delle conoscenze della scuola e in una forma più limitata e superficiale. Questo tipo di strutturazione rafforzava ovviamente il carattere settario della scuola.

La precedente citazione di Giamblico ci mostra anche come i pitagorici fossero molto duri con gli acusmatici che venivano respinti: li dichiaravano addirittura morti. Ma ancor più duri i pitagorici lo erano con gli allievi che infrangevano il giuramento di segretezza. Giamblico cita ad esempio questo ammonimento del pitagorico Liside nei confronti di un altro pitagorico: Ipparco.

Si racconta che tu, o Ipparco, insegni filosofia a chiunque incontri, anche pubblicamente, cosa che Pitagora ha proibito severamente. .... Se tu dovessi cambiare atteggiamento, io me ne rallegrerò, diversamente tu sei morto. Pietà vorrebbe che ci si ricordasse dei precetti di Pitagora, e non si condividessero i beni della sua sapienza con coloro che nemmeno in sogno si sono purificati nell'anima.

Sarà utile ricordare questo aspetto della scuola quando parleremo di uno dei pitagorici più famosi: Ippaso di Metaponto.

... continua ...

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giovedì, luglio 21, 2011

Pitagora (prima parte): La nascita e i viaggi

Abbiamo visto che la tradizione occidentale concorda nel ritenere Talete di Mileto (620-550 a.C. ca.) e Pitagora di Samo (580-500 a.C. ca.) i pionieri, in ambiti un po’ diversi, dell’impostazione logico-deduttiva che diventerà la caratteristica essenziale della Matematica. Nell'ultima puntata abbiamo parlato brevemente anche di Talete.

La figura di Pitagora non è meno confusa e controversa di quella di Talete, ed è inoltre ancora più intrisa di elementi mitici e leggendari. Tuttavia il personaggio è sicuramente tra i più affascinanti e i più citati della storia della matematica e la sua impostazione è per molti versi ancora alla base del nostro pensiero moderno.
Bertrand Russell ad esempio affermò che "Pitagora è uno degli uomini più notevoli che siano mai esistiti" e che "la matematica, intendendo come tale le dimostrazioni e i ragionamenti deduttivi, inizia con lui".

Una delle più antiche biografie di Pitagora a noi pervenute è quella dello storico e filosofo neoplatonico Giamblico di Calcide (245 - 325 d.C.) e fu scritta circa otto secoli dopo la morte di Pitagora.
Secondo Giamblico, Pitagora nacque in una ricca famiglia di mercanti sami. E per la precisione durante un lungo viaggio d'affari che il padre Mnesarco, incisore di gemme, e la madre Partenide avevano intrapreso. La nascita del bimbo fu preannunciata all'inizio del viaggio, quando Mnesarco si recò a Delfi, dall'oracolo di Apollo Pythio (Pizio): la sacerdotessa Pythia (Pizia). In onore di tale profezia Mnesarco volle cambiare il nome di sua moglie in Pythais (Pitai) e chiamare il figlio Pythagoras. Pitagora nacque qualche mese dopo, quando la coppia ebbe raggiunto Sidone in Fenicia.
Presto la famiglia tornò a Samo e Pitagora crebbe nella vivace città portuale. Samo si trovava al crocevia delle grandi rotte mercantili che
collegavano il mar Nero con l'Egitto, e l'Italia e la Grecia con l'Oriente. E proprio nel periodo in cui nacque Pitagora i sami stavano fondando delle colonie, tra le quali anche una nella città siciliana di Minoa. Pitagora crebbe quindi in un ambiente ricco di stimoli e in continuo contatto con genti, oggetti e tesori provenienti da ogni parte del mondo conosciuto.
Insieme alla tradizione familiare, dovette essere anche la curiosità suscitata da quei contatti a spingere il giovane Pitagora a cominciare presto la sua serie di viaggi. Prima per accompagnare suo padre per affari. E in seguito indipendentemente per puro amore della conoscenza. Divenne noto con il soprannome de "il Chiomato di Samo". Qualcuno ha anche ipotizzato che Pitagora possa aver raggiunto persino l'India. Giustificando così, data la contemporaneità di Pitagora con Buddha e Confucio, l'acquisizione di alcune idee religiose come la metempsicosi: cioè la rinascita dell’anima di un individuo in un altro corpo fisico anche non umano. Ritengo questa ipotesi abbastanza improbabile anche perché la reincarnazione era già parte del bagaglio mistico di preesistenti culti orfici.
Ad ogni modo, una delle conseguenze di tale credenza fu il divieto di consumare carne. Un po’ più oscure risultano invece le ragioni dell’altro divieto alimentare: quello sul consumo di fave. C’è chi ritiene possa essere collegato alla somiglianza delle fave con i genitali maschili e come tali fossero ritenute fonte di impurità; chi ritiene invece possa essere correlato al favismo; mentre l’ultima ipotesi fa riferimento a credenze antiche secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità.
Oltre all'incerto viaggio in India, si riporta, con maggiore certezza, che Pitagora visitò la Siria, la Fenicia, l'Egitto e Babilonia.
Altra importante meta dei viaggi di Pitagora fu  Mileto. Città che solo un piccolo stretto di mare divideva da Samo. Mileto era la città di Talete. E Pitagora era di circa quarant'anni più giovane di Talete. Fu intorno al 550 a.C., ai tempi della cinquantasettesima Olimpiade, 224 anni dopo la prima Olimpiade, quando Talete aveva circa sessanta anni e Pitagora circa venti, che i due giganti della filosofia dovettero incontrarsi. E sembra che Talete abbia esortato Pitagora ad andare ad apprendere la geometria in Egitto. Tra le piramidi Pitagora dimorò per molti anni. E fu probabilmente lì oppure a Babilonia che egli dovette venire a contatto con il teorema che oggi porta il suo nome. Ma come!? - vi chiederete - il teorema di Pitagora era noto già da prima di Pitagora? Ebbene sì! Esistono documenti che precedono Pitagora di più di un millennio che testimoniano una conoscenza applicativa di quel teorema. Perché quindi in seguito si attribuì ad esso il nome di Pitagora?
Lo vedremo nelle prossime puntate ...


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lunedì, aprile 18, 2011

Talete: Numeri e Geometria attraverso la storia

Dicevamo che la tradizione occidentale concorda nel ritenere Talete di Mileto (620–550 a.C. ca.) e Pitagora di Samo (580–500 a.C. ca.) i pionieri, in ambiti un po’ diversi, dell’impostazione logico-deduttiva che diventerà la caratteristica essenziale della Matematica.

Prima di proseguire è opportuno far notare che dal punto di vista storico, le figure di Talete e Pitagora sono abbastanza confuse. Tutte le vicende relative a questi due antichi matematici devono essere ricostruite non tanto sulla base di documenti storici, quanto piuttosto su di una tradizione un po’ incerta che ci è stata tramandata.
È possibile cogliere anche altri parallelismi tra i due filosofi. Sia Talete che Pitagora provenivano da zone periferiche, seppur intellettualmente molto feconde, del mondo Greco di allora, ubicate geograficamente in Asia Minore. Si racconta anche che entrambi i filosofi abbiano viaggiato verso i centri più importanti del sapere antico e che abbiano acquisito informazioni di prima mano sull'astronomia e sulla matematica sia in Egitto sia a Babilonia.

Talete precede Pitagora di alcuni decenni si è soliti quindi considerarlo il primo vero matematico e il fondatore dell’impostazione logico-deduttiva della Geometria. Impostazione che, perfezionata in seguito dai pitagorici ed estesa anche all’aritmetica, portò alla nascita del concetto di dimostrazione matematica: una sequenza di passaggi logici, incontrovertibili e teoricamente replicabili da ogni mente razionale, che a partire da fatti noti conduce a una conclusione di valore generale.
Talete è generalmente noto soprattutto per il famoso teorema che porta il suo nome e che fu probabilmente formulato durante le ricerche che il matematico effettuò per calcolare l’altezza di un obelisco egizio. Diogene Laerzio (180 – 240 d.C.) narra (sulla base di una testimonianza scritta, oggi perduta, di un allievo di Aristotele) che Talete riuscì in tale impresa piantando un'asta di lunghezza nota in prossimità dell'ombra proiettata dall’obelisco e sfruttando la similitudine tra il triangolo avente come cateti l’obelisco e la sua ombra e il triangolo avente come cateti l’asta e la sua ombra. Talete dimostrò che il rapporto tra l'altezza dell'asta e quella dell’obelisco è uguale al rapporto tra le rispettive ombre. Ciò implica che nel momento del giorno in cui la lunghezza dell’ombra dell’asta fosse stata il doppio della lunghezza dell’asta, allora similmente la lunghezza dell’ombra dell’obelisco sarebbe stata il doppio della lunghezza dell’obelisco; e nel momento del giorno in cui la lunghezza dell’ombra dell’asta avesse avuto la stessa lunghezza dell’asta, allora similmente la lunghezza dell’ombra dell’obelisco avrebbe avuto la stessa lunghezza dell’obelisco. Questo secondo caso di uguale lunghezza tra oggetti e ombre proiettate occorre nel momento del giorno (e dell'anno) in cui l’inclinazione dei raggi solari è di 45°. Si poteva quindi conoscere l’altezza dell’obelisco misurando semplicemente la lunghezza della sua ombra in quel preciso momento.

È possibile verificare che la tecnica di misurazione che abbiamo appena illustrato è proprio un’applicazione del Teorema di Talete:

un fascio di rette parallele determina su due rette trasversali, coppie di segmenti direttamente proporzionali.

Dove il fascio di rette parallele è costituito dai raggi solari mentre le due trasversali sono la retta individuata dalle altezze del bastone e dell’obelisco e la retta che contiene le ombre.

Nelle prossime puntata si parlerà di Pitagora e della sua scuola.

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lunedì, dicembre 27, 2010

I primi passi del pensiero matematico: Numeri e Geometria attraverso la storia

Nelle prime grandi civiltà della storia che si svilupparono in Egitto e in Mesopotamia l’uso dei numeri e della geometria consisteva principalmente nell’applicazione a problemi pratici di formule e procedimenti noti.
Queste culture erano venute a conoscenza di metodi, che sembravano valere per numeri e figure geometriche, attraverso l’intuizione, l’esperienza e i tentativi. In tal modo era venuto a costituirsi un bagaglio di conoscenze matematiche che veniva usato come un ricettario da cui estrarre il rimedio giusto per il problema in questione: sia che si trattasse di questioni di vita quotidiana, come problemi relativi ad attività commerciali, agricole o di ripartizioni di eredità; sia che si trattasse di attività collegate alla sfera religiosa. Se i fiumi esondavano si usavano le conoscenze geometriche per ricostruire i confini persi. Se il sovrano voleva costruire un tempio si conoscevano formule e metodi utili. Non era importante capire perché il rimedio funzionasse, l’importante era che funzionasse.
Essendo quindi assente un atteggiamento investigativo volto alla comprensione dei meccanismi di base, mancava anche un’impalcatura teorica e qualsiasi forma di discussione filosofica sui principi.

Come esempi delle più antiche testimonianze scritte di natura matematica a noi pervenute si possono citare il papiro egizio di Ahmes (o di Rhind) (1650 a.C. circa trascritto da un papiro precedente composto probabilmente fra il 2000 e il 1800 a.C.), che contiene problemi aritmetici, e geometrici; il papiro egizio 6619 di Berlino (tra il 2000 e il 1786 a.C.), che contiene un problema che suggerirebbe una possibile conoscenza applicativa di quello che in seguito sarà denominato teorema di Pitagora;
e la tavoletta babilonese chiamata Plimpton 322 (1800 a.C. circa), che contiene una lista di cosiddette terne pitagoriche, cioè terne di numeri, scritti in questo caso in caratteri cuneiformi, che sono soluzioni del teorema di Pitagora.

La discussione filosofica sui principi e sui metodi dell’Aritmetica e della Geometria ebbe inizio nell’ambito della civiltà greca intorno al VI sec. a.C. Fu allora che si cominciò a costruire quell’impalcatura teorica della Matematica che dopo più di due millenni e mezzo di aggiunte, restauri, crolli e ricostruzioni, costituisce ancora il fondamento della materia linguaggio comune di tutte le scienze.

La tradizione occidentale concorda nel ritenere Talete di Mileto (620-550 a.C. ca.) e Pitagora di Samo (580-500 a.C. ca.) come i pionieri, in ambiti un po’ diversi, dell’impostazione logico-deduttiva che diventerà la caratteristica essenziale della Matematica. Gli stessi termini di “matematica” (“ciò che si impara”), “matematico” (“incline ad apprendere”) e “filosofia” (“amore per la saggezza”), sarebbero stati coniati da Pitagora per descrivere la propria attività intellettuale e quella dei suoi allievi.

Nella prossima puntata parleremo di Talete di Mileto.

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martedì, novembre 24, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 9 bis: ascea e declino della Biblioteca di Alessandria: Ipazia

"Inventò l'astrolabio, il planisfero e l'idroscopio. Poi un giorno, qualcuno ordinò: 'uccidete Ipazia'".

Viste le discussioni che recentemente si sono generate intorno alla figura di Ipazia di Alessandria (tra il 350 e il 370 – marzo 415 - Alessandria d'Egitto) mi sento in dovere di colmare una lacuna della nona puntata di questa mia serie.

Qui sicuramente vi chiederete, com'è possibile che nel XXI secolo si sia generata una discussione sulla figura di una donna matematica e filosofa vissuta tra il IV e il V secolo? Chi dobbiamo ringraziare per questo miracolo? Bè, certamente buona parte dei meriti vanno al regista spagnolo Alejandro Amenábar, direttore dalla pellicola Agorà. Agorà è stata girata in lingua inglese ed è uscita il 9 Ottobre in Spagna. La pellicola racconta per l'appunto la vita di Ipazia e il suo assassinio perpetrato da una folla di cristiani inferociti nel Marzo del 415.
La discussione è stata innescata sia dalla pellicola in se - che lodevolmente riaccende i riflettori su una figura quasi dimenticata anche se storicamente, culturalmente ma anche simbolicamente importante - che dal fatto che il film non è ancora stato distribuito in Italia.

Dicevo di voler colmare una lacuna della nona puntata di questa mia serie.
La vicenda di Ipazia va infatti sicuramente inquadrata tra gli eventi della fase di declino della Biblioteca di Alessandria (o da un punto di vista più generale tra gli eventi della fase di declino della cultura antica spazzata gradualmente via dalle nuove idee della società cristianizzata). Nella nona puntata di questa mia serie avevamo per l'appunto parlato dell'ascesa e del declino della Biblioteca di Alessandria. E fu proprio nell'ambito di quell'eccezionale contesto culturale che Ipazia si formò, introdotta alla Scienza da suo padre Teone, geometra e filosofo d’Alessandria.
Ipazia è ricordata come la prima donna matematica storicamente nota e come una delle scienziate più famose dell'epoca. Arrivò addirittura ad essere direttrice della Biblioteca di Alessandria.

Sul motivo per cui la pellicola di Amenábar probabilmente non giungerà in Italia ci sono sostanzialmente due interpretazioni.

C’è chi sostiene che questo dipenda soprattutto dal fatto che la Chiesa si opporrebbe alla distribuzione, visto che il mandante del barbaro assassinio di Ipazia sarebbe stato Cirillo di Alessandria, santo, dottore e padre della Chiesa celebrato il 27 Giugno.
Citando il Numero 130 della rivista Rudi Mathematici "La figura di Cirillo non è secondaria, se appena due anni fa, da piazza San Pietro, papa Benedetto XVI ha ribadito la sua perfetta aderenza al pensiero cristiano".

Per quanto riguarda l'altra interpretazione cito di nuovo la rivista Rudi Mathematici: "Non vogliamo crederci (n.d.D. alla prima interpretazione): paradossalmente, sarebbe quasi una lusinga speciale, per il pubblico
matematico italiano, quella di essere riusciti ad attrarre l’attenzione preoccupata del Vaticano. Temiamo che la ragione sia più banale, persino più triste: ovvero che i distributori del film pensino che distribuire Agorà in Italia sia semplicemente un cattivo affare, che non ne valga la pena."

A ancora sulla figura di Ipazia: "Certo è che ci piacerebbe davvero che di Ipazia si tornasse a parlare. È un personaggio dal fascino e dalla bellezza assoluti, non solo per i cultori della matematica e della scienza. È il simbolo della conoscenza e della propagazione della conoscenza, e come tale un simbolo profondamente femminile. È una martire, ma martire pagana, civile, oseremmo dire martire della ragione, e sicuramente martire della scienza. Anche se rinunciamo a prendercela con Sant’Agostino, per il quale “matematici” era un insulto, vorremmo però quantomeno avere la libertà di innamorarci di questa donna che viveva di libri e di scienza, di matematica e di filosofia."

Quale che sia l'interpretazione voglio comunque pubblicizzare su questo blog la petizione affinché la pellicola di Amenabar venga distribuita in Italia. Riporto quindi la locandina con la petizione.


http://www.petitiononline.com/agorait/petition.html

Qui invece troverete la puntata del Terzo Anello: Radio3 Scienza dedicata ad Ipazia: Tutti pazzi per Ipazia

E questo infine è il trailer (madonna mi è scappato un anglicismo! ;-):


Puntata successiva della serie

Indice della serie

lunedì, maggio 18, 2009

Un percorso storico tra Numeri e Geometria - Parte 10: riepilogo, monoteismo Egizio e matematici arabi

Breve riepilogo delle puntate precedenti:

Abbiamo visto che nel V sec. a.C. il fulcro del sapere matematico era in Calabria, a Crotone: la sede della scuola pitagorica; e che i pitagorici avevano basato il loro modello del cosmo sull'Aritmetica.

Pitagora però, prima di approdare definitivamente a Crotone e spendere lì i suoi ultimi 4 decenni di vita, aveva lasciato la sua isola natìa di Samo per viaggiare in cerca di sapere e conoscenza. Era approdato in Egitto e aveva trascorso lì qualche anno ed in seguito si era spostato a Babilonia. Nei suoi prima 40 anni di vita era quindi riuscito ad entrare in contatto diretto con le tre grandi colonne portanti del sapere di allora: il mondo ellenico, l'Egitto e Babilonia.
Questo almeno secondo quello che Giamblico scriveva circa otto secoli dopo la morte di di Pitagora. Come si può facilmente immaginare non è dato sapere dove finisca la realtà e dove cominci la leggenda.

Durante il viaggio in Egitto Pitagora dovette sicuramente entrare in contatto con la teologia del monoteismo Egizio.
Se ne rivelano infatti varie tracce nella "teologia" pitagorica che asseriva che il mondo era stato creato per mezzo dei Numeri.

Il concetto proveniva appunto dalla teologia del monoteismo Egizio: il creatore crea il mondo per mezzo della Parola, del Logos, della Logica. Nella teologia pitagorica la Parola egizia si trasforma in Numero: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è il Numero.

In principio erat Verbum - Εν αρχη ην ο Λογος

Mentre nella teologia cristiana la Parola egizia si trasformerà in Cristo: il creatore ha bisogno di un mezzo per creare l'universo e tale mezzo è Cristo.
Quindi l'incipit del Vangelo di Giovanni, scritto 6-7 secoli dopo Pitagora, tradotto in Termini Pitagorici sarebbe stato:

In principio era il Numero
E il Numero era presso Dio
E il Numero era Dio


Sul tema della "teologia" pitagorica, mutuata da quella del monoteismo Egizio, vorrei fare una breve digressione.

Comunemente si tende probabilmente a pensare che il concetto di monoteismo sia nato in Israele con la religione ebraica.
La realtà potrebbe essere diversa: sembrerebbe che il monoteismo Egizio sia ben più antico del monoteismo ebraico. Anzi secondo alcuni il monoteismo ebraico sarebbe nato proprio durante la "cattività egiziana" del popolo ebraico e non sarebbe altro quindi che uno sviluppo del monoteismo Egizio.

Addirittura, secondo l'ipotesi di Freud esposta nel suo ultimo lavoro: "L'uomo Mosè e la religione monoteistica", Mosè avrebbe fatto parte della classe dirigente egizia ed egli stesso sarebbe stato un egizio.
La vicenda di Mosè si sarebbe svolta intorno all'anno 1350 a.C. durante il regno di Amenofi IV che condusse la rivoluzione monoteista nell'antico Egitto abolendo il politeismo. Egli stesso cambiò il suo nome in Akhenaton essendo Aton il dio unico.

Sarebbe stato a causa di una reazione che volle imporre in Egitto una controriforma di segno politeistico che avrebbe avuto inizio la storia del nuovo popolo di Mosè, fondato da chi non volle sottomettersi alla restaurazione del politeismo e che fu quindi costretto a fuggire dall'Egitto in cerca di una nuova terra per poter professare liberamente il nuovo credo monoteista. Terra promessa che dopo l'attraversamento del deserto fu trovata in Palestina.

Ma torniamo al riassunto delle puntate precedenti.
Abbiamo visto che in seguito ad un crollo logico-mistico-filosofico della scuola pitagorica - ma anche in seguito fisico, visto che la scuola venne bruciata - il modello pitagorico del cosmo basato sull'Aritmetica venne abbandonato e rimpiazzato con il modello di cosmo di Platone, basato sulla geometria.

Abbiamo anche visto che dopo la distruzione definitiva della Biblioteca di Alessandria in seguito alla conquista islamica dell'Egitto del 639 d.C. da parte del secondo califfo dell'Islam Omar ibn al-Khattāb, alcuni volumi custoditi nella Biblioteca sopravvissero: sia rimanendo in loco che venendo trasportati a Bisanzio; e che i primi vennero tradotti un paio di secoli dopo dagli Arabi, che nel frattempo si erano oramai evoluti e acculturati; e che fu proprio grazie a loro che molte di quelle opere, tradotte in seguito in latino, sono pervenute fino ai nostri giorni.

Circa un secolo e mezzo prima della distruzione della Biblioteca, inoltre, con la caduta dell'Impero romano d'Occidente era cominciato quel declino culturale che sarebbe durato diversi secoli; e la distruzione della Biblioteca di Alessandria fu un altro duro colpo che inflisse un'accelerazione a tale declino.
Un nuovo polo del sapere matematico (e non solo) venne però a ricostituirsi più di un secolo dopo la caduta della Biblioteca presso la cultura araba.

I matematici arabi ebbero il vantaggio di trovarsi in una posizione geografica che gli permetteva di accedere a tre grandi fonti di cultura: quella greca, quella babilonese e quella indiana.
Essi contribuirono alla disciplina con notevoli risultati, funzionando a volte come ponte culturale tra l'India e l'Europa e a volte come anello di congiunzione sintetica.

Nella prossime puntate parleremo dei matematici arabi ed in particolare del più celebre tra essi.

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